[NuovoLaboratorio] Fwd: [ATTAC] INFORMAZIONE 92 - E' SOLO L…

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Szerző: Paola Manduca
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Tárgy: [NuovoLaboratorio] Fwd: [ATTAC] INFORMAZIONE 92 - E' SOLO L'INIZIO
>Resent-Date: Thu, 10 Apr 2003 06:49:19 +0200
>X-Authentication-Warning: ernesto.ras.eu.org: list set sender to granello.di.sabbia-request@??? using -f
>From: "Redazione ATTAC Italia" <redazione@???>
>To: <granello.di.sabbia@???>
>Date: Wed, 9 Apr 2003 18:59:03 +0200
>X-Priority: 3
>Subject: [ATTAC] INFORMAZIONE 92 - E' SOLO L'INIZIO
>Resent-From: granello.di.sabbia@???
>Reply-To: redazione@???
>X-Mailing-List: <granello.di.sabbia@???> archive/latest/110
>X-Loop: granello.di.sabbia@???
>Resent-Sender: granello.di.sabbia-request@???
>
>GRANELLO DI SABBIA (n°92)
>Bollettino elettronico settimanale di ATTAC
>Mercoledì, 09-04-2003
>______________________________
>
>Vi preghiamo di diffondere il Granello nella maniera più ampia
>possibile.
>Numero di abbonati attuali: 6 112
>ATTENZIONE:
>tutti i Granelli di Sabbia sono a disposizione sul sito in versione .pdf e
>.rtf al seguente indirizzo:
>http://www.attac.org/italia/granello/indice.htm
> ____________________________________________________________
>
>Indice degli argomenti
>
>CESSATE IL FUOCO!" A ROMA IL 12 APRILE!
>"Cessate il fuoco" può sembrare una parola d'ordine superata, se riferita
>agli esiti più recenti della guerra all'Iraq. Noi sappiamo che così non è,
>perché questa guerra non è un incidente di percorso, bensì costitutiva della
>politica neoliberista e ne perpetua il sistema iniquo, concentrando in poche
>mani la ricchezza sociale e privando la grande maggioranza del mondo dei
>beni e dei servizi essenziali.
>
>1 - Impero debole, impero pericoloso: guerra e libero commercio.
>di Peter Rosset
>Con la guerra contro l'Iraq, con le nuovi basi militari ovunque nel Sud del
>mondo, e con l'ALCA, il NAFTA e gli accordi bilaterali, gli Stati Uniti
>cercano un vantaggio rispetto ai concorrenti nella nuova guerra di
>colonizzazione del Terzo Mondo. Una guerra militare e del libero commercio.
>(.) Traduzione a cura di Genoveffa Corbo
>
>2 - Libera guerra in libero mercato
>di Tommaso Fattori (Forum sociale di Firenze)
>Mai come in queste ore è chiaro quanto il cosiddetto "libero mercato" si
>sorregge su una terribile forma di schiavitù: la schiavitù della paura in
>cui è costretta a vivere la maggior parte della popolazione di questo mondo,
>la paura della "guerra permanente", infinita, senza più confini di spazio e
>di tempo.
>
>3 - La valuta dell'oro nero
>di Elmar Altvater
>La guerra del petrolio viene condotta anche per il predominio della moneta:
>dollaro e/o euro? (.) Traduzione a cura di Corinne Milani
>
>4 - Sradicati dalla povertà
>di Harry Throssell
>La crudele realtà dello sradicamento" globale è che nasce dall'ineguaglianza
>economica che causa fame, malattie e violenza da cui la gente scappa se può,
>guidata dal bisogno di sopravvivere fisicamente e restare umani. Ne consegue
>che se questa disperazione diminuisce, le economie principali devono
>compiere sforzi maggiori per colmare il divario tra i ricchi e i poveri
>perché i membri più deboli del villaggio globale vivano con dignità nei
>propri Paesi.
>
>
>_____________________________
>
>CESSATE IL FUOCO!" ATTAC A ROMA IL 12 APRILE!
>__________________________________________________________
>
>"Ce n'est qu'un debut, continuons le combat", gridavano e scrivevano per
>tutta Parigi nel maggio '68 i movimenti ("E' solo l'inizio, continuiamo la
>lotta"). Oggi questa frase è detta dai militari Usa e dalla volontà di
>guerra infinita che Bush e i falchi hanno deciso per ridisegnare il mondo.
>Non sarà mai troppo tardi per provare a fermarli.
>
>"Cessate il fuoco" può sembrare una parola d'ordine superata, se riferita
>agli esiti più recenti della guerra all'Iraq. Noi sappiamo che così non è,
>perché questa guerra non è un incidente di percorso, bensì costitutiva della
>politica neoliberista e ne perpetua il sistema iniquo, concentrando in poche
>mani la ricchezza sociale e privando la grande maggioranza del mondo dei
>beni e dei servizi essenziali.
>"Gli Usa hanno tentato di darci una lezione di pessima geografia - ha
>scritto il subcomandante Marcos - facendoci credere che l'Iraq sia in
>Medioriente. Noi sappiamo che l'Iraq è in Africa, in Asia, in America Latina
>e perfino nei sobborghi delle metropoli occidentali, perché questa è una
>guerra contro l'umanità".
>Una guerra globale e permanente, oggi contro l'Iraq, ma già da domani contro
>la Siria, l'Iran e ciascun nuovo "stato canaglia", di volta in volta
>strategicamente individuato.
>E allora "Cessate il fuoco!" qui e subito, perché finiscano i massacri del
>popolo iracheno.
>Ma anche "Cessate il fuoco!" come impegno per il movimento contro la
>globalizzazione neoliberista a saper trasformare l'enorme consenso e la
>straordinaria sensibilizzazione sociale prodotta contro la guerra in questi
>mesi, in un altrettanto consapevole massa critica contro l'economia
>liberista,contro il Wto a Cancun, per l'estensione dei diritti e contro le
>politiche di mercificazione dei beni comuni e di privatizzazione dei servizi
>pubblici in ogni territorio.
>Per questo saremo a Roma per la manifestazione nazionale del 12 aprile e
>continueremo quotidianamente a lottare nei territori.
>Perché un altro mondo è oggi più che mai necessario.
>
>SABATO 12 APRILE TUTTI A ROMA!
>Il corteo muoverà da Piazza dei Cinquecento (Stazione Termini) al Circo
>Massimo, circondando nel suo percorso di 8 km le ambasciate inglese ed
>americana. IL RITROVO PER TUTTI gli/le ATTACant* E' FISSATO PER LE ORE 12.00
>DAVANTI ALLA BIBLIOTECA NAZIONALE, Via del Castro Pretorio (cinque minuti a
>piedi dalla Stazione Termini, oppure una fermata di metrò). Ci sarà un
>camion con sound-system e quattro striscioni. Portate bandiere, striscioni,
>intelligenza e determinazione.
>
>Vi aspettiamo.
>
>ATTAC Italia
>
>_____________________________
>
>1 - Impero debole, impero pericoloso: guerra e libero commercio.
>__________________________________________________________
>
>di Peter Rosset (*)
>
>Con la guerra contro l'Iraq, con le nuovi basi militari ovunque nel Sud del
>mondo, e con l'ALCA, il NAFTA e gli accordi bilaterali, gli Stati Uniti
>cercano un vantaggio rispetto ai concorrenti nella nuova guerra di
>colonizzazione del Terzo Mondo. Una guerra militare e del libero commercio.
>
>Da alcuni anni, gli Stati Uniti versano in una grave crisi, sempre più
>difficile e profonda. In primo luogo subiscono una perdita di competitività
>dell'industria nordamericana rispetto a quella europea e asiatica. Questo
>problema è cresciuto negli ultimi decenni. Contemporaneamente, con la fine
>della guerra fredda, si è creato poco a poco un divario tra gli Stati Uniti
>e i suoi alleati di sempre. Allo stesso tempo, cresce a livello interno la
>crisi di legittimità del modello neoliberista, in primo luogo per la
>crescente polarizzazione sociale all'interno degli stessi Stati Uniti
>(disoccupazione, criminalità, corruzione) e poi per scandali come quelli
>della Enron, della WorldCom ecc. A questo si aggiunge la dubbia legittimità
>elettorale del Presidente Bush, e fondamentalmente il contesto di recessione
>profonda in cui si trova attualmente l'economia nordamericana.
>Con tutti questi problemi, chi si sorprende che i potenti Stati Uniti
>comincino una guerra? E' una tattica ben sperimentata per stimolare
>l'economia e distrarre l'attenzione della popolazione dai problemi interni.
>Ma ad uno sguardo più attento, troveremo anche stretti legami tra la guerra
>e la militarizzazione con la eccessiva difesa nordamericana del cosiddetto
>"libero commercio".
>In entrambi i casi, gli Stati Uniti cercano di riconquistare il loro posto
>di comando nel mondo sia a livello economico che politico e militare.
>In questo contesto quali sono gli scopi della militarizzazione nordamericana
>dell'America Latina, del Medio Oriente, dell'Europa Orientale e dell'Asia? E
>della guerra annunciata contro l'Iraq? In primo luogo, e in forma più
>evidente nel caso del petrolio e delle risorse dell'Amazzonia, il controllo
>sulle risorse strategiche. Come dice il vecchio motto "costruire un mondo
>sicuro per le multinazionali e gli investitori" degli Stati Uniti, dando
>copertura militare al libero sfruttamento delle risorse e proteggendo i loro
>investimenti. La guerra contro l'Iraq ha un doppio scopo: oltre a distrarre
>l'elettorato nordamericano, pretende di controllare i profitti del petrolio
>del Medio Oriente, e serve come esempio per i molti paesi del Sud del mondo,
>circondati dalle basi militari nordamericane. Ovvero, "si comportino bene o
>vedranno quello che succede!" Non si tratta di una guerra localizzata, si
>tratta di una vera e propria guerra di ricolonizzazione globale.
>Ora, se analizziamo gli obiettivi dei trattati del commercio libero (OMC,
>ALCA, TLCAN ["Tratado de libero comercio de America de Norte" - meglio
>conosciuto forse come NAFTA NdT] e gli accordi bilaterali) troviamo che
>esiste una notevole somiglianza con gli scopi della guerra e della
>militarizzazione. Attraverso questi accordi si garantisce alle
>multinazionali del Nord del mondo l'accesso incondizionato ai mercati del
>Sud, eliminando ogni barriera alla libera circolazione dei profitti e
>inoltre il controllo sulle risorse (petrolio, acqua, esperimenti di genetica
>ecc) con la privatizzazione guidata dalle multinazionali del Nord del mondo.
>In altre parole, la stessa ricolonizzazione. Ovvero il libero commercio è
>una guerra con altri mezzi.
>Questo ci fa nascere un dubbio. Se esiste già l'OMC, perché gli Stati Uniti
>vogliono anche l'ALCA? Se si firmano gli accordi della OMC nella prossima
>riunione ministeriale che si terrà a Cancun a settembre 2003, ne risulterà
>un consolidamento normativo di tutti i Paesi all'interno di un'unica
>economia globale. In questa unica grande economia globale, l'industria
>nordamericana dovrà confrontare la sua bassa competitività, soprattutto con
>l'Europa, il Giappone e la Cina. Di fronte a questo scenario gli Stati Uniti
>vogliono assicurarsi delle riserve private, dove le loro imprese abbiano
>maggiore accesso di altre, a vantaggio degli Stati Uniti. Queste riserve
>private sono l'ALCA, il TLCAN e gli accordi bilaterali.
>Con la guerra contro l'Iraq, con le nuovi basi militari ovunque nel Sud del
>mondo, e con l'ALCA, TLCAN e gli accordi bilaterali, gli Stati Uniti cercano
>un vantaggio rispetto ai concorrenti nella nuova guerra di colonizzazione
>del Terzo Mondo. Una guerra militare e del libero commercio. Una guerra che
>oltre i suoi terribili effetti sulle popolazioni del Sud del mondo incide
>anche gravemente sull'economia interna. A causa del "libero" commercio,
>negli Stati Uniti è già quasi scomparsa definitivamente la piccola
>agricoltura e si è creata disoccupazione e disperazione sociale nel Paese.
>Con i tagli sociali che saranno il costo della guerra contro l'Iraq, questi
>problemi peggioreranno.
>Per tutti questi motivi, in questo momento storico è fondamentale legare i
>movimenti contro la guerra nel Nord e nel Sud del mondo con il movimento
>mondiale contro la globalizzazione neoliberista rappresentata dagli accordi
>del libero commercio. Il "libero" commercio non è niente di più che una
>guerra con altri mezzi, una guerra contro tutti i popoli, nel Nord e nel Sud
>del mondo.
>
>(*) Peter Rosset è co-direttore di Food First/Istituto per la Politica
>dell'Alimentazione e dello Sviluppo (http://www.foodfirst.org) negli Stati
>Uniti d'America.
>
>ALAI-AMLATINA, 17/03/2003
>
>Traduzione a cura di Genoveffa Corbo
>
>
>_____________________________
>
>2 - Libera guerra in libero mercato
>__________________________________________________________
>
>di Tommaso Fattori (Forum sociale di Firenze)
>
>Saluto di apertura del primo Forum mondiale alternativo dell'acqua (Firenze,
>21-22 marzo 2003)
>
>Mai come in queste ore è chiaro quanto il cosiddetto "libero mercato" si
>sorregge su una terribile forma di schiavitù: la schiavitù della paura in
>cui è costretta a vivere la maggior parte della popolazione di questo mondo,
>la paura della "guerra permanente", infinita, senza più confini di spazio e
>di tempo.
>La guerra in Iraq è iniziata; anzi, non è mai finita. Mai sono finiti i
>bombardamenti nelle no fly zone (il concetto di sovranità nazionale è,
>all'occasione, assai elastico) e mai è finito un embargo che in questi anni
>ha ucciso mezzo milione di bambini, come la più terribile arma di
>distruzione di massa. Dannis Halliday, allora responsabile del programma ONU
>Oil for food, si dimise dal suo incarico per non essere corresponsabile di
>un "genocidio", mentre la signora Allbright concluse: "è stata una scelta
>molto dura, ma pensiamo che, data la posta in gioco, ne sia valsa la pena".
>Come in tutte le guerre degli ultimi 50 anni anche stavolta sarà la
>popolazione civile a morire sotto le bombe. A noi non interessa oggi il
>destino di Saddam Hussein come ieri non ci interessava il destino di Bin
>Laden: a noi sta a cuore il destino di milioni di persone innocenti.
>Guardiamo in queste ore alla guerra dall'unico punto di vista umanamente
>possibile: quello delle sue vittime.
>Oltre che di vite, questa guerra ha già fatto strage del diritto.
>Innanzitutto ha fatto strage del diritto internazionale, nato dall'orrore di
>due conflitti mondiali e della Shoà: un orrore che doveva condurre l'umanità
>intera ad introiettare il Tabù della guerra. L'unica guerra necessaria (non
>esistono guerre giuste) e cioè la Resistenza al nazifascismo, volle bandire
>per sempre la guerra dalla storia. Questa eredità è stata depositata nella
>Costituzione italiana ma anche nella Carta delle Nazioni unite: conquiste di
>civiltà che sono il risultato delle grandi tragedie del novecento. Con il
>concetto di "guerra preventiva" assistiamo invece alla fine del diritto
>internazionale e alla disintegrazione dell'intero sistema delle relazioni
>internazionali, in vista del diverso ordine mondiale che la Casa Bianca
>intenderebbe ridisegnare con la nuova strategia dell'unilateralismo.
>La guerra si è definitivamente sostituita alla politica. La guerra è
>strutturale, coessenziale a questo modello di sviluppo: non è più
>semplicemente la "continuazione della politica con altri mezzi" perché è
>divenuta "la" politica: la nuova forma permanente della politica. Ma
>qualcosa sta iniziando a cambiare.
>Mesi fa i movimenti europei erano riuniti qui a Firenze per il primo Forum
>sociale continentale, con l'obiettivo di ostacolare la guerra e intralciare
>i nuovi poteri assoluti, politici ed economici. Cercavamo di impegnarci
>perché si verificassero nuovi eventi positivi e il 15 febbraio abbiamo
>manifestato per la pace assieme a 110 milioni di persone di tutti i
>continenti, un appuntamento lanciato a Firenze e ripreso al Forum mondiale
>di Porto Alegre. Si è costituita quel giorno la nuova società civile
>mondiale: la seconda super-potenza, secondo la celebre espressione del New
>York Times, una pacifica "anti-potenza" globale, sarebbe meglio dire. Siamo
>ancora una volta a Firenze, una città che ci accoglie con i colori della
>pace ad ogni finestra. Qui continuiamo in altra forma il percorso di
>allora, il percorso del forum europeo e il percorso del Forum sociale
>mondiale: questo è un altro importante momento di "condensazione" dei nostri
>fluidi movimenti. Contro questa guerra dobbiamo bloccare l'Europa e il
>mondo, utilizzando tutti i mezzi e le pratiche pacifiche in nostro
>possesso, organizzando un grande sciopero generale internazionale di tutte
>le cittadine e i cittadini; contro questa guerra dobbiamo avere la forza di
>mettere in piedi anche la più grande campagna di boicottaggio e di obiezione
>fiscale alle spese militari mai vista prima. Questa del Forum alternativo
>dell'acqua è, infatti, una tappa fondamentale della costruzione del più
>grande movimento pacifista della storia. Un movimento nato ancor prima
>dello scoppio del conflitto; anzi, un movimento che ha avuto la forza di
>ritardare lo scoppio di una guerra che nei piani della Casa Bianca avrebbe
>dovuto essere già guerreggiata e finita da molti mesi. Un movimento che ha
>avuto la forza di sorprendere e allarmare chi parla di diritti e lancia le
>bombe, chi parla di "democrazia" ma si pensa imperatore assoluto di questo
>mondo. Qualcuno ha pensato di aver a che fare con una distesa sterminata di
>sudditi e invece ha trovato un mondo di cittadine e cittadini consapevoli;
>qualcuno ha pensato di poter comprare l'ONU e i paesi del consiglio di
>sicurezza, ma ha trovato che non tutto è un libero mercato; qualcuno ha
>pensato di tener al guinzaglio le istituzioni internazionali, come fa col
>suo cane, ma si sbagliava; qualcuno ha creduto di poter addomesticare
>un'opinione pubblica rincretinita dai mezzi di dis-informazione di massa, ma
>il mondo ha già iniziato a cambiare: questa è l'unica buona notizia che
>abbiamo, e non è poco.
>La partecipazione è l'arma pacifica dei nuovi movimenti. Stiamo imparando ad
>unirci, a tenerci stretti, ben consapevoli che le nostre differenze sono
>ricchezza inesauribile e ben consapevoli che di fronte alle sfide globali
>nessuno può più bastare a se stesso, nessun movimento, nessuna
>organizzazione.
>Di fronte a questa moltitudine della società civile globale, di fronte a
>questo "pienezza" dei movimenti c'è il vuoto: il vuoto e la solitudine delle
>leadership americana e britannica.
>Acqua e guerra sono connesse per più di un motivo: anche stavolta
>l'emergenza idrica provocherà migliaia di morti in Iraq. Già nei
>bombardamenti del '91 furono deliberatamente distrutti gli impianti idrici,
>sapendo che questo avrebbe decimato la popolazione civile e "particolarmente
>i bambini": "vi è la massima probabilità che scoppino tra i civili e i
>militari malattie, attribuibili al degrado degli impianti di depurazione e
>distribuzione dell'acqua", si legge in un documento di allora della Defense
>Intelligence Agency.
>Ma c'è una connessione ancor più profonda. Per noi essere contro la guerra
>significa essere contro il neoliberismo ed esser contro il neoliberismo
>significa essere contro la guerra: questo nesso è inscindibile. La stessa
>privatizzazione dell'acqua si iscrive all'interno del generale processo di
>privatizzazione dei servizi: è questa la "guerra interna" o "guerra sociale"
>che si combatte ogni giorno, è questo il volto nascosto della guerra
>militare. Gli accordi Gats rappresentano perciò una vera e propria
>"dichiarazione di guerra" all'umanità: se gli accordi Gats passeranno
>provocheranno decine di migliaia di morti.
>I nostri movimenti hanno capito il nesso fra queste due forme di "guerra".
>Nei nostri movimenti confluiscono due tradizioni che nel novecento spesso
>camminavano separatamente: il movimento per la pace, da una parte, e il
>movimento contro la povertà e la disuguaglianza mondiale, dall'altra.
>Abbiamo capito che la lotta per la pace e la lotta contro la globalizzazione
>neoliberista sono la stessa cosa.
>Per questo sappiamo che se i beni comuni saranno trasformati in merci, cioè
>in beni economici, presto assisteremo a nuove sanguinose guerre militari per
>l'accaparramento di queste risorse. Ecco perché ribadiamo che non è
>possibile essere pacifisti e nello stesso tempo voler privatizzare l'acqua,
>che non è possibile essere pacifisti e voler privatizzare il sistema
>sanitario, che non è possibile essere pacifisti e voler privatizzare la
>conoscenza e l'istruzione: non è più possibile essere pacifisti e
>acconsentire alla privatizzazione e alla mercificazione del mondo, in nome
>del libero mercato.
>Questo mercato effettivamente è "libero"; per certi versi non potrebbe
>essere più libero di così: libero di distruggere la natura, libero di
>sfruttare tutto e tutti. Quando - per esempio- nel mondo ci sono oltre 200
>milioni di bambini che lavorano, non ci troviamo di fronte ad una
>distorsione del sistema: questo "è" il sistema. Un sistema che pone al
>centro il profitto e che persegue il solo obiettivo di rendere tutto merce,
>dalle sementa fino agli algoritmi del nostro cervello.
>Perciò siamo contro tutte le guerre: anche contro le guerre che il
>fondamentalismo del mercato ha scatenato contro l'acqua, l'aria, la terra,
>che vengono inquinate, depredate, privatizzate. L'umanità è arrivata al
>massimo della propria capacità di "deformazione" dell'ambiente. E tante sono
>le guerre in corso contro il genere umano: ogni giorno muoiono decine di
>migliaia di persone per mancanza d'acqua; molte migliaia per mancanza di
>cibo. Queste "stragi" quotidiane non sono una "fatalità", non avvengono "per
>natura" e dobbiamo aver il coraggio di chiamare i responsabili col loro
>nome: sono assassini.
>Dobbiamo avere il coraggio di affermare nuovi diritti basilari, come il
>diritto all'accesso all'acqua per tutti gli esseri umani, e di dichiarare
>"illegale" la povertà. Questo è il fondamentale contributo alla pace -e alla
>vita- che verrà da questo Forum, un Forum che dovrà elaborare "proposte",
>dovrà definire un'agenda alternativa della "gestione" dell'acqua:
>alternativa, s'intende, a quella di mercato. La pace si costruisce anche
>ideando un "servizio pubblico" su scala mondiale, che sia finanziato dalla
>collettività attraverso una forma di fiscalità generale da progettare
>insieme (attraverso la tassazione delle speculazioni finanziarie
>internazionali, ad esempio). "Acqua, cibo e lavoro per tutti", con questo
>striscione abbiamo aperto la grande marcia per la pace Perugia-Assisi un
>anno fa: questo è il vero programma alternativo alla guerra.
>Se i bombardamenti su Bagdad sono iniziati, tuttavia non siamo noi ad aver
>perso. Qualcosa sta cambiando, come ho cercato di dire. Se la guerra è
>iniziata "sul campo", in Iraq, tuttavia è stata fermata definitivamente nei
>cuori e nelle teste delle persone. Ci sono state anche altre sorprese
>positive, come il risveglio dell'Europa da un lungo sonno, dopo che per
>decenni si era mimetizzata con gli interessi e le politiche degli Stati
>uniti d'America; dobbiamo ricordare che su molti governi europei ha influito
>il peso dei nostri movimenti contro la guerra (emblematico il caso tedesco);
>ma ha sorpreso anche il coraggio di tanti paesi poveri -e "ricattabili"- che
>alle Nazioni Unite hanno osato non accodarsi all'impero. Questa guerra,
>allora, appare anche come una guerra "crepuscolare" per la super-potenza
>statunitense: è l'inizio della fine della sua egemonia sul mondo; è
>l'inizio della fine del mondo che abbiamo conosciuto. Spesso la storia ha
>percorsi tortuosi e grandi mutamenti epocali passano attraverso immani
>tragedie. Quel che ormai abbiamo imparato è che quanto accadrà dipende
>anche da tutti noi.
>I nostri movimenti preludono al nuovo mondo possibile e dobbiamo essere
>capaci di stringerci e continuare a lavorare insieme, a maggior ragione in
>momenti come questi; dobbiamo farlo per noi stessi, per coloro che verranno
>dopo di noi e per coloro che sono stati al nostro fianco fino a ieri, e ora
>non ci sono più, come Rachel Corrie, la giovanissima pacifista americana
>schiacciata da un bulldozer mentre cercava di impedire la distruzione di
>un'abitazione civile a Gaza. Anche in suo nome continueremo a chiedere e a
>costruire pace e giustizia in Palestina, in Kurdistan e nel mondo; anche in
>suo nome continueremo a stare a fianco delle vittime della guerra in Iraq.
>
>_____________________________
>
>3 - La valuta dell'oro nero
>__________________________________________________________
>
>di Elmar Altvater
>
>La guerra del petrolio viene condotta anche per il predominio della moneta:
>dollaro e/o euro?
>
>Esistono solo due motivi razionali per una guerra contro l'Iraq. Uno
>ipotizza una minaccia alla pace mondiale, ai "valori occidentali", alla
>sicurezza degli USA da parte dell'Iraq di Saddam Hussein. L'altro rimanda
>alla volontà di controllare le risorse petrolifere, il prezzo del petrolio e
>la valuta in cui il prezzo del petrolio viene fatturato: in dollari o in
>euro.
>Sono in gioco tuttavia anche irrazionalità e ideologie. Infatti il
>Presidente G.W. Bush sembra pensi in modo fondamentalista come uno
>"ayatollah cristiano"; sarebbe ossessionato dall'idea di portare a termine l
>'opera "incompiuta" di suo padre nella Guerra del Golfo del 1991; oppure nel
>gioco di potere delle élite USA i falchi conservatori avrebbero preso il
>sopravvento. Si ipotizza anche che Blair e Aznar con i postfascisti dell'
>Italia e gli ex-comunisti riabilitati dell'Europa Orientale vogliano
>svolgere un ruolo di primo piano nella "nuova" Europa contro i "vecchi
> europei e che Bush li sostenga per dividere l'Europa. Partiamo pure dal
>presupposto che le moderne burocrazie lasciano la briglia sciolta alle
>irrazionalità solo nella misura in cui non contrastano le motivazioni
>razionali e gli interessi che vi sono dietro.
>L'ipotesi che l'Iraq minacci il mondo con armi di distruzioni di massa, pur
>essendo razionale, è tuttavia assolutamente inverosimile. Gli americani e
>gli inglesi con le loro oltre 240.000 incursioni nello spazio aereo dell'
>Iraq dal 1991 a oggi (cioè quasi 70 al giorno) controllano ogni centimetro
>quadrato del paese. I satelliti trasmettono immagini continue del territorio
>iracheno e le conversazioni telefoniche sono intercettate e ascoltate in
>tutto il paese; Powell lo ha confermato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU
>il 4 febbraio 03. Con le ispezioni fino al 1998, il potenziale militare dell
>'Iraq è stato dismesso o è obsoleto. Una popolazione di 26 milioni di
>abitanti, impoverita, senza risorse e letargica a seguito di dieci anni di
>embargo, dovrebbe scagliarsi contro il resto del mondo, guidato dall'
>armatissimo esercito US e dalla sua Air Force? In effetti la favola della
>minaccia irachena è al limite del ridicolo. Questo lo sanno bene anche gli
>strateghi della Casa Bianca. Condoleeza Rice ha definito le armi irachene di
>distruzione di massa "unusable", "poiché ogni tentativo di utilizzarle
>avrebbe l'inevitabile conseguenza dell'autodistruzione nazionale". E il New
>York Times, citando l'articolo di Condoleeza Rice si chiede: "If Iraq's
>chemical, biological and nuclear arsenal is ,unusable'... why do the
>president and Ms. Rice favor war?" (John J Mearsheimer and Stephen M. Walt,
>Keeping Saddam Hussein in a Box, in: NYT 1./ 2. 2.03).
>Anche da soli gli USA riuscirebbero ad ottenere con la forza il "disarmo"
>dell'Iraq minacciato da Bush e dagli altri "falchi", poiché l'Iraq è debole.
>Ma sanno che con la loro aggressione violano il diritto internazionale, la
>Carta dell'ONU, i diritti civili. Pertanto viene caricata a bordo la "nuova
>Europa", poiché in tal modo sono tanti i governi che violano la legge e,
>come sanno bene i solerti avvocati, creano in questo modo infame un "nuovo
>diritto internazionale". La violazione del diritto da parte di un intero
>gruppo crea facilitazione, legittimazione e ricompensa. Il Presidente Bush
>riguardo alla Russia ha detto espressamente di "aver compreso gli interessi
>della Russia laggiù "... "And of course those interests will be honoured"
>(International Herald Tribune, 23-24 novembre 2002, p. 4). Il senatore
>repubblicano Richard Lugar "ha comunicato attraverso un portavoce che la
>Francia e la Russia dovrebbero partecipare a un attacco all'Iraq, se
>vorranno trarre profitto dal petrolio iracheno. Dovrebbero partecipare sia
>all'impegno militare, sia ai costi. Solo in tal modo potranno avere accesso
>al petrolio iracheno " (NZZ, 24. 1. 03, pag. 2). La Turchia può occupare
>parti dell'Iraq del Nord per impedire la costituzione di uno Stato curdo e
>stendere la mano verso Mosul e Kirkuk, dove si trovano i giacimenti di
>petrolio dell'Iraq settentrionale. Come si può definire questa politica se
>non con i termini di ricatto e corruzione?
>La pelle dell'orso viene divisa senza vergogna come in una banda di
>briganti, prima che l'orso sia stato ucciso. Si tratta dunque dell'oro nero,
>del petrolio: ma questa strategia di occupare i giacimenti di petrolio
>iracheni, suddividerli tra gli interessati e pomparli fino a esaurimento è
>così semplice?
>Affatto. Innanzi tutto ci vorrebbe probabilmente molto tempo sia per
>recuperare i costi della guerra, stimati fino a 1.000 miliardi di US$, sia
>per poter soddisfare i diversi interessi degli "alleati". Poi, con un'
>ipotesi del prezzo del petrolio al barile di 30 US$ si dovrebbero vendere 33
>miliardi di barili, senza neppure tener conto dei costi di estrazione e di
>trasporto, né del profitto. Con riserve di petrolio stimate a 112 miliardi
>di barili in Iraq, i costi della guerra ammontano a circa il 30% delle
>riserve o della produzione mondiale di petrolio (attualmente 22 miliardi di
>barili l'anno) di un anno e mezzo - qualora la guerra in Iraq si svolga in
>modo così favorevole che consenta di occupare i giacimenti di petrolio
>intatti.
>Un prezzo elevato, tanto più che gli effetti indiretti di una guerra sono
>del tutto incalcolabili. Cosa ne è delle vittime civili, sono solo
>deplorevoli "danni collaterali" o si faranno valere, forse mediante
>sabotaggi, anche nel sordido calcolo di potere economico? Verrà quindi
>allevata una nuova generazione di "terroristi", come teme l'ex comandante
>della Nato Clark?
>La manovra per impossessarsi dell'oro nero dell'Iraq apre la strada a un
>futuro nero. Tuttavia queste domande vengono sottaciute e accantonate,
>poiché mettono in questione la razionalità dell'attacco bellico al petrolio
>del Medio Oriente e dell'Asia centrale.
>Chi domina le riserve di petrolio ha molti assi in mano. Dagli anni '90 i
>tassi di esaurimento dei giacimenti conosciuti superano i tassi dei nuovi
>giacimenti individuati e sfruttati. Lo sfruttamento ammonta attualmente a
>circa 22 miliardi di barili all'anno, ma ogni anno si trovano in media solo
>6 miliardi di barili di nuovi giacimenti. L'apice della produzione globale
>di petrolio è quindi superato; i bei tempi in cui i ritrovamenti di nuove
>riserve erano superiori agli sfruttamenti sono passati - e non torneranno
>mai più, confermano i geologi.
>L'improvviso aumento delle riserve di petrolio alla metà degli anni '80 non
>è stato altro che un trucco contabile; neppure una goccia di nuovo petrolio
>è stata scoperta. Alcuni Stati OPEC avevano sopravvalutato le loro riserve
>per aumentare in tal modo le loro quote di estrazione all'interno del
>cartello. Nel 1983 ha cominciato l'Iraq (sopravvalutando le sue riserve da
>meno di 30 miliardi di barili a 41), per finanziare la guerra contro l'Iran,
>tollerata e perfino sostenuta dalle potenze occidentali. Tale comportamento
>è stato seguito dal Venezuela e dal Kuwait, Abu Dhabi e infine dall'Arabia
>Saudita. Nuovi giacimenti di qualche importanza sono stati individuati negli
>ultimi anni solo sulla riva orientale del Mar Caspio. Attualmente si
>calcolano riserve da circa 15 a 20 miliardi di barili.
>La guerra contro il regime dei talebani in Afghanistan ha offerto agli USA
>la possibilità di metter piede militarmente anche nei Paesi dell'Asia
>centrale, in prossimità delle nuove fonti di petrolio e in quei Paesi
>attraverso cui passeranno gli oleodotti, una volta che saranno costruiti.
>Inoltre, dal punto di vista geopolitico l'Asia centrale viene sottratta alla
>zona di influenza della Russia e della Cina, ma anche dell'India. Gli
>alleati europei degli USA possono occuparsi del mantenimento della pace in
>Afghanistan, ma le basi in Uzbekistan, Kirgistan, Kazakistan o in
>Turkmenistan vengono mantenute solo dagli USA. È come se il regno dei
>Sasanidi che 1500 anni fa si estendeva dal Paese dei Due Fiumi fino all'
>Hindukusch, debba risorgere sotto il patronato transatlantico diretto da
>Washington.
>Proprio di fronte alla crescente domanda del liquido nero, visto che anche
>la Cina, l'India e altri Paesi vogliono partecipare all'
>ndustrializzazione - e devono farlo, se ottemperano alle normative del WTO -
>il controllo della produzione di petrolio e del mercato del petrolio è
>decisivo. Chiunque ritenga che nell'approvvigionamento delle società
>industrializzate con questo combustibile agiscano leggi di mercato con "mano
>invisibile", è cieco davanti alla mano molto visibile del potere politico e
>militare. Qui si tratta del dominio sulle riserve conosciute e dell'accesso
>ai giacimenti di petrolio presunti, e si tratta della facoltà di influire
>sul prezzo del petrolio e della valuta in cui viene fatturato. L'Iraq è
>interessante perché dispone di oltre l'11% delle riserve mondiali, oltre
>tutto di elevata qualità. I giacimenti sul Mar Caspio dovrebbero ammontare a
>circa 1,5 - 2% delle riserve globali; il loro accesso è assicurato agli USA.
>Di ulteriori riserve ancora poco sfruttate o affatto sfruttate si conosce l'
>ubicazione approssimativa: si presumono riserve ancora sulla costa atlantica
>del Brasile, nell'Atlantico davanti all'Africa Occidentale, nella fascia
>dalla Mauritania fino al Sudan, in Groenlandia - tuttavia mai nell'ordine di
>grandezza dei ritrovamenti degli ultimi decenni. L'apice delle estrazioni
>petrolifere è stato superato. Ora si scatenano le battaglie per la
>distribuzione della metà non ancora consumata di tutte le risorse
>petrolifere.
>Non dappertutto si arriva alla guerra per il petrolio. La diplomazia del
>petrolio interviene anticipatamente e anche qui gli USA sono in prima linea.
>Nel caso del petrolio del Sahara Occidentale l'ex Ministro degli Esteri USA
>James Baker è stato nominato inviato personale di Kofi Annan per dirimere il
>conflitto del Sahara Occidentale. Baker, insieme a altri fidi manager dell'
>industria petrolifera texana, ha fatto tutto per concedere i diritti
>territoriali al Marocco, e non ai Sahrawi. In questo modo è stato possibile
>imporre un accordo tra il Marocco, la TotalElf Aquitaine e la società
>petrolifera texana Kerr McGee anche contro il diritto internazionale e le
>rivendicazioni dei Sahrawi (Wayne Madsen, Big Oil and James Baker Target the
>Western Sahara, in: allAfrica, 9.1.2003). Qualora i Sahrawi si ribellino,
>potranno essere facilmente dichiarati terroristi, con la conseguenza che i
>loro depositi bancari verranno congelati, i loro leader perseguitati e
>imprigionati. Così la "lotta contro il terrorismo" indetta a livello
>internazionale si rivela un'arma affilata della diplomazia del petrolio.
>Il controllo delle riserve vecchie e di quelle future, in effetti, ha senso
>solo se si può controllare anche la formazione del prezzo. Innanzi tutto
>possiamo dimenticare l'OPEC, se il maggior consumatore di petrolio, gli USA,
>hanno in mano la leva del prezzo e non più i Paesi produttori e il loro
>cartello. Il prezzo del petrolio certamente non viene stabilito secondo
>criteri ecologici, per rendere la produzione e il consumo del petrolio più
>indipendenti e promuovere le energie alternative. Il prezzo del petrolio può
>essere aumentato per rendere redditizio lo sfruttamento di riserve di
>petrolio non convenzionali, dalla sabbia e scisti petrolifere al petrolio
>degli abissi marini, fino ai condensati di gas. Queste fonti energetiche
>fossili "non convenzionali" sono ecologicamente ancora più nocive dell'
>estrazione e del consumo del petrolio tradizionale. I "danni collaterali" di
>tale estrazione per la natura sono enormi e la liberazione di gas nocivi al
>clima è molto elevata.
>Un prezzo alto del petrolio potrebbe essere anche la condizione per la
>redditività di quelle regioni estrattive che presentano elevati costi di
>trasporto (pipeline dal Mar Caspio e dal Kazakista ai porti sul Golfo, sul
>Mediterrano o sull'Oceano Indiano) e generare alti costi per la protezione
>militare delle vie di trasporto. Il prezzo aumenta non soltanto per la
>maggiore scarsità del petrolio, ma anche per motivi geostrategici.
>Per gli USA il rincaro del petrolio non avrebbe solo conseguenze negative.
>Infatti l'aumento del prezzo del petrolio colpirebbe la Cina e il Giappone e
>altri concorrenti effettivi o potenziali degli USA. Anche la vecchia Europa,
>al pari della nuova Europa, avrebbe solo svantaggi finché il petrolio viene
>fatturato in US$. Il controllo di una gran parte dell'offerta sui mercati
>globali del petrolio assicurerebbe agli USA che le fatture del petrolio
>anche in futuro vengano emesse in US$. Questo probabilmente è un motivo
>determinante per la brutale sistematicità con cui l'Iraq deve essere portato
>sotto l'influenza USA.
>Per gli USA questa diventa una fiaba della 1000 e 1 notte, poiché
>otterrebbero la linfa vitale della loro economia pressoché gratis. La Zecca
>della Federal Reserve si trasformerebbe in una spumeggiante sorgente di
>petrolio. I dollari potrebbero essere "stampati" in qualsiasi quantità
>desiderata per importare il petrolio. I tempi d'oro del "twin-deficit", che
>regalò alla classe media americana una sbornia consumistica negli anni 90,
>potrebbe ripetersi e proseguire anche contro quei guastafeste dell'OECD che
>pretendono dai cittadini USA una quota di risparmio superiore all'attuale
>3%. Il petrolio diventerebbe per così dire la base di valore del US$, un'
>arma multifunzionale nella concorrenza valutaria, soprattutto con l'Euro.
>Tuttavia questa strategia di un inflazionamento dell'economia mondiale
>potrebbe anche andare storta. Per le grandi società petrolifere la ciliegina
>sulla torta sarebbe il riconoscimento delle rivendicazioni sulle riserve
>petrolifere irachene, statalizzate dal 1972 e di nuovo privatizzate dopo la
>guerra. I profitti privati, le azioni e quindi anche gli stipendi dei
>manager potrebbero salire. Anche una parte delle industrie degli armamenti
>guadagnerebbe. Ma quasi tutte le altre industrie perderebbero, cioè tutti i
>settori industriali che non sono impegnati nel ramo petrolifero e bellico, i
>consumatori, il settore finanziario. E se la guerra non finisse rapidamente,
>bensì si prolungasse, avverrebbe una fuga dal US$ e quindi una sua
>svalutazione.
>Questo sarebbe un pessimo colpo per il governo Bush. Il petrolio non
>verrebbe più fatturato in US$, bensì per esempio in Euro, oppure il prezzo
>potrebbe salire vertiginosamente come nel 1973, qualora vi sia un'occasione,
>come allora la guerra arabo-israeliana. Con un deficit della bilancia
>commerciale USA intorno ai 550 miliardi US$ (2002), il finanziamento delle
>necessarie importazioni di petrolio in valuta estera diventerebbe un
>problema pressoché irrisolvibile, visto che la produzione nazionale è in
>regresso di 300.000 barili annui.
>Al conflitto per il petrolio, per il controllo delle riserve e per la
>formazione del prezzo segue il conflitto per la valuta in cui viene
>fatturato il petrolio. La concorrenza valutaria tra il dollaro e l'euro e lo
>yen vedrebbe un'escalation fino alla guerra delle valute. L'attuale
>conflitto tra "vecchia" e "nuova" Europa si acuirebbe, portando a uno
>scontro frontale i membri di Euroland e gli altri europei. La Spagna e l'
>Italia sarebbero costretti a cambiare fronte tornando alla "vecchia Europa".
>Poiché il divario tra la produzione e il consumo aumenta costantemente, il
>prezzo del petrolio viene sospinto verso l'altro anche dai meccanismi del
>mercato. Forse vi sarà di nuovo una breve pausa di abbassamento del prezzo
>del petrolio, se la guerra sarà breve e l'estrazione dei pozzi iracheni
>potrà essere ripresa e accelerata in breve tempo. Tuttavia a lungo termine
>il prezzo del petrolio inevitabilmente salirà. La questione è: in quale
>valuta? Questo è il nocciolo della guerra per l'oro nero. Pertanto già da
>oggi è essenziale cercare energie alternative, cioè sviluppare fonti
>energetiche solari, tanto più che queste non presentano gli svantaggi delle
>fonti energetiche fossili di surriscaldare il clima. Sotto questo aspetto la
>politica USA è coerente. Fanno ricorso alle risorse energetiche fossili e si
>rifiutano al tempo stesso di limitare le emissioni di anidride carbonica,
>come previsto dal Protocollo di Kyoto. E sono pronti a scatenare una guerra.
>L'oro nero ha solo un futuro nero. Una politica europea contro la guerra e
>la distruzione ecologica dovrebbe puntare alla fonti energetiche solari e
>offrire un'alternativa ai cittadini degli USA che non sono disposti a
>sopportare la politica irachena del governo Bush.
>
>(Tratto da Sand im Getriebe 17, il Granello di Sabbia in lingua tedesca)
>
>_____________________________
>
>4 - Sradicati dalla povertà
>__________________________________________________________
>
>di Harry Throssell *
>
>Scusateci
>Scusate se respiriamo la vostra aria
>Se camminiamo sul vostro terreno
>Se siamo di fronte a voi
>Scusateci
>
>(Poesia "Scusateci", recitata dai bambini profughi a Londra e citata nel New
>Internationalist, Ottobre 2002)
>
>La crudele realtà dello sradicamento" globale è che nasce dall'ineguaglianza
>economica che causa fame, malattie e violenza da cui la gente scappa se può,
>guidata dal bisogno di sopravvivere fisicamente e restare umani. Ne consegue
>che se questa disperazione diminuisce, le economie principali devono
>compiere sforzi maggiori per colmare il divario tra i ricchi e i poveri
>perché i membri più deboli del villaggio globale vivano con dignità nei
>propri Paesi.
>Il mondo opulento allontana la sua attenzione da queste realtà per
>impegnarsi su altri fronti meno impegnativi. I trafficanti di clandestini
>sono giustamente condannati per lo sfruttamento senza pietà di coloro che
>sono obbligati a lasciare le proprie terre, ma non sono loro a creare il
>problema, loro ci guadagnano, è una cosa frequente nel mondo degli affari.
>Alcuni emigranti si indebitano perfino per ripagare le spese del viaggio. I
>controlli sempre più efficaci alle frontiere - che comunque aumentano la
>redditività del mercato di clandestini - e condizioni di detenzione sempre
>più severe danno per scontato che il problema è di difendersi da invasori
>criminali, quando in realtà si tratta di gente alla disperata ricerca di
>aiuto.
>Un'altra digressione è la separazione concettuale dei "veri" profughi dai
>molti milioni a cui ci si riferisce, spesso ingiustamente, come "emigranti
>economici", sottintendendo che questi in qualche modo stanno imbrogliando,
>che non hanno dei reali bisogni, quando in realtà essi stessi sono spesso in
>lotta per la sopravvivenza. Senza dare meno importanza agli orrori delle
>torture e ad altri pericoli a causa di violente persecuzioni che alcuni
>devono affrontare nei loro stessi Paesi, da cui senza dubbio necessitano
>protezione e con cui devono scontrasi nuovamente quando sono obbligati a
>tornare.
>Ad un'analisi, ciò che diventa evidente è che tutte le persone sradicate-
>sia quelle riconosciute come profughi, che coloro che chiedono asilo, che le
>persone obbligate a spostarsi internamente [IDPs] o gli emigranti senza
>documenti - sono alla fine vittime della povertà. Susan Gorge ha detto che
>certe persone sono così disperate che pur di abbandonare una situazione
>invivibile "non si preoccupano molto di come fare", alcuni chiedono asilo
>quando in realtà sono "profughi economici". Questo è sintomo di bisogno,
>non di malvagità.
>La Terra ha risorse sufficienti per alimentare tutta la sua popolazione ma
>individui potenti, società e governi - alcuni nei Paesi poveri - si
>arricchiscono a spese altrui appropriandosi ingiustamente di porzioni
>maggiori. Questa è la causa scatenante dello "sradicamento" o del "problema
>dei profughi". I Paesi ricchi si lamentano della pressione migratoria, ma la
>realtà è che quattro quinti della gente sradicata emigra prima in altri
>Paesi poveri.
>Paradossalmente, i Paesi ricchi con una popolazione sempre più vecchia
>stanno cominciando a rendersi conto di aver bisogno di immigranti dai Paesi
>poveri per far continuare a prosperare le loro economie.
>
>COYOTES MESSICANI
>I primi trafficanti di emigranti furono i "coyote" Messicani che portavano
>"gli stranieri clandestini" oltre i 3000 km di confine tra il Messico e gli
>Stati Uniti. Vista la natura illecita dell'affare non si hanno dati
>completi ma nel 1998, per esempio, mentre più di un milione erano stati
>fermati al confine, circa due milioni lo avevano superato tranquillamente.
>Non tutti sono Messicani, sono state calcolate circa 60 diverse nazionalità.
>Circa 2000 "stranieri" sono morti dal 1995 nonostante gruppi di volontari
>distribuivano acqua e un minimo per sopravvivere nel deserto dell'Arizona.
>Fino al 1965, metà degli emigranti clandestini negli Stati Uniti provenivano
>dall'Europa, ma oggi la maggior parte proviene dai Paesi con basso reddito
>pro capite. Metà dei due milioni degli attuali Messicani che lavorano nei
>campi negli Stati Uniti sono clandestini, attratti dagli stipendi dieci
>volte superiori a quelli della loro patria. L'Accordo del Commercio Libero
>del Nord America dà il diritto alle società in Messico, Stati Uniti e Canada
>a commerciare senza dazi ma non permette ai lavoratori di attraversare gli
>stessi confini per trovare un'occupazione, Coalizione sul Debito del
>Giubileo 2000, www.jubilee2000uk.org . Recentemente il numero delle persone
>che hanno cercato di entrare negli Stati Uniti è diminuito, principalmente
>perché sono migliorate le opportunità economiche in Messico. L'ironia è che
>i clandestini sanno che se portano abbastanza acqua e riescono a sfuggire
>alle guardie saranno benvenuti come manodopera in America.
>Il traffico del confine Messico-Stati Uniti è uno scenario che si ripete
>intorno tutto il globo, molti riescono a attraversare i confini, mentre
>altri muoiono tragicamente, come le centinaia di persone che un anno fa sono
>affogate nel Mediterraneo per cercare di raggiungere le coste della Spagna,
>dell'Italia e della Grecia.
>
>DIFESI DAL MARE
>Dall'Australia si percepisce una visione distorta del problema dei profughi
>a livello globale, primo perché è circondata dal mare e quindi è
>relativamente facile tenere sotto controllo la quantità e la provenienza dei
>nuovi arrivi e poi perché l'Oceania (principalmente l'Australia e la Nuova
>Zelanda) si occupa di un numero molto ristretto di "queste persone che
>rientrano nel mandato dell'Alto Commissario per i Profughi delle Nazioni
>Unite [UNHCR], solo lo 0,4 per cento nel 2001/2002.
>Dei venti milioni di persone attualmente protette dall' UNHCR, dodici
>milioni sono profughi ufficiali, un milione richiedono asilo e sperano di
>essere considerati come profughi, e cinque milioni sono IDP che restano
>entro i confini nazionali. Altri vengono rimpatriati, trovano una nuova
>sistemazione o ricevono aiuti umanitari. Molto importante, l'UNHCR rende
>noto che probabilmente ci sono altri venti milioni di IDP al di fuori del
>loro ambiente, mentre Helen Hughes dà una cifra complessiva di 35 milioni di
>IDP. Questi dati escludono gli emigranti senza documenti che superano
>segretamente i confini riuscendo a sfuggire ai funzionari, e che quindi non
>sono calcolati. Nel 2000 Justin Healey ha avanzato l'ipotesi che fossero
>trenta milioni, Amnesty International afferma che una persona ogni 115 è
>stata forzata a scappare, cioè 52 milioni, l'Organizzazione Internazionale
>del Lavoro riporta "100 milioni di emigrati lavoratori con famiglia che
>vivono fuori i loro Paesi", Michael Toole ha scritto "nel 2000, circa 150
>milioni di persone vivono lontano dal loro Paese di nascita; di questi solo
>il dieci per cento sono profughi". Se il dato attuale di UNHCR di 12 milioni
>di profughi è pari al 10 per cento di tutta la gente sradicata, arriviamo ad
>un totale di 120 milioni. George ha detto che la paura del Programma
>Ambiente delle Nazioni Unite riguarda il fatto che nel nuovo millennio ci
>potrebbero essere un miliardo di "profughi ambientali". Circa un 80 per
>cento della gente sradicata sono donne e bambini, includendo due milioni di
>bambini che ogni anno dai Paesi in via di sviluppo vengono venduti come
>schiavi del sesso.
>E' il grande numero degli "emigranti economici" che allarmano i politici e
>provocano ostilità tra coloro che sentono la loro vita minacciata dai nuovi
>arrivati. Questi sono anche sottoposti ai rischi maggiori di continuo
>sfruttamento.
>
>LEGAMI TRA I PROFUGHI E LA POVERTA'
>La crescita del numero dei profughi ufficiali negli ultimi 30 anni coincide
>con un aumento dell'ineguaglianza economica globale e questo senza
>considerare gli emigrati clandestini. Il numero di quelli sotto la
>protezione dell' UNHCR si era stabilizzato attorno ai 3 milioni agli inizi
>degli anni '70, poi è aumentato di nove volte tra il 1973 e il 1995 fino a
>28 milioni, molto di più della crescita della popolazione mondiale che è
>raddoppiata.
>Anche nel 1973, i Paesi produttori di petrolio hanno notevolmente aumentato
>il prezzo del petrolio provocando l'aumento di molti altri prezzi con un
>effetto devastante su Paesi già poveri. Per peggiorare le cose, i tassi di
>interesse sui debiti nazionali che i Paesi poveri dovevano alle banche e ai
>governi occidentali sono stati aumentati enormemente, così i pagamenti hanno
>raggiunto cifre da capogiro mentre i prezzi delle materie prime da loro
>prodotte restavano bassi.
>I dati presentati dalla Banca Mondiale [WB] dimostrano che dal XIX secolo l'
>ineguaglianza dei redditi globali è aumentata più dal 1970 che in ogni altro
>periodo. Una recente inchiesta delle Nazioni Unite [UN] ha riscontrato che
>"la povertà estrema è raddoppiata negli ultimi trenta anni nei Paesi Poco
>Sviluppati [LCD's]. nei Paesi Poco Sviluppati dell'Africa . la percentuale
>della popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno è salita dal 56
>per cento, nella seconda metà degli anni '70, al 65 per cento nella seconda
>metà degli anni '90".
>L'aspettativa di vita in molti Paesi dell'Africa sub-Sahariana [sSA], dopo
>essere aumentata, è diminuita nuovamente, principalmente a causa dell'AIDS,
>notoriamente prevalente nelle comunità più povere. L'un per cento più ricco
>della popolazione mondiale è aumentato grazie al poco sviluppo dei Paesi
>poveri (nonostante la considerevole ricchezza naturale) e l'espansione
>economica nei Paesi industriali.
>I dieci Paesi da cui provengono i profughi e coloro che cercano asilo nel
>2000 erano i Territori Palestinesi, l'Afghanistan, il Sudan, l'Iraq, il
>Burundi, l'Angola, la Sierra Leone, la Birmania, la Somalia e la Repubblica
>Democratica del Congo. Il reddito medio pro capite di tutti questi Paesi,
>tranne uno, è di 755 dollari USA o meno all'anno, paragonati ai 25000
>dollari USA nei Paesi ricchi. Il Prodotto Interno Lordo della Palestina
>[PIL] non è disponibile ma il 65 per cento della popolazione vive al di
>sotto della soglia di povertà, la disoccupazione è al 70 per cento e un
>bambino su sette è severamente mal nutrito.
>I Paesi con i maggiori IDP - Palestina, Repubblica Democratica del Congo,
>Afghanistan, Colombia, Sudan, Indonesia, Etiopia, Eritrea, Cecenia, Sierra
>Leone, hanno indicatori molto simili di povertà. Dieci dei quindici Paesi
>descritti sopra sono considerati dalle Nazioni Unite come Paesi in via di
>sviluppo (cioè i più poveri).
>Da notare che i profughi, i richiedenti di asilo e gli IDP non sono coloro
>che vengono considerati dai politici come "emigrati economici", sebbene
>questi possono avere condizioni materiali poco inferiori. Purtroppo il
>rapporto LDC aggiunge che "Considerando l'andamento attuale entro il 2015
>[ci sarà] come minimo un aumento di 113 milioni tra la popolazione
>estremamente povera".
>George ha scritto " La fuga dalla povertà [crea] una corrente così forte ed
>inesorabile che sembra impossibile da fermare. la migrazione dalle campagne
>alle città sembra il preludio di un viaggio più lungo e più precario che
>probabilmente verrà intrapreso verso Nord [verso i Paesi ricchi]. Milioni di
>persone che affrontano una povertà disumanizzante, guerre distruttive, o
>collassi ecologici vedono svanire tutti i loro mezzi di sopravvivenza. Quale
>altra scelta hanno - oltre la morte - se non di andare via?".
>
>PERSECUZIONE
>Per definizione i profughi sono coloro che scappano da persecuzioni, una
>caratteristica dei conflitti violenti. Negli ultimi cinquanta anni molte
>guerre sono scoppiate dentro i confini nazionali, più del 90 per cento delle
>vittime sono stati civili (aumentati dal 10 per cento nella Prima Guerra
>Mondiale al 50 per cento nella Seconda) e queste guerre si sono svolte
>purtroppo nei Paesi poveri. Molti di questi erano ex colonie, abbandonati
>con una debole struttura amministrativa, pochi investimenti nell'istruzione
>e poco controllo sulle loro stesse risorse economiche, aggravate dalla
>ristrutturazione delle capacità di produzione imposti dalle organizzazioni
>internazionali per la restituzione dei prestiti.
>Il Report delle Nazioni Unite sui bambini commenta: "Soltanto in Africa, ci
>sono state più di 30 guerre che hanno danneggiato il continente dal 1970
>[causando] più di 8 milioni profughi, re-immigrati o persone senza casa. Il
>fatto è che la povertà, la protratta instabilità, l'avarizia e la mancanza
>di leadership hanno favorito in un certo senso molte di queste guerre e la
>malnutrizione, la morte di madri e di bambini, l'analfabetismo e la
>discriminazione che esse generano.
> "Non è un caso che più della metà dei Paesi più poveri del mondo sono
>coinvolti in crisi continue o imminenti . alimentate dalla insaziabile fame
>di gruppi esterni per la terra, la grande disponibilità di pietre preziose,
>di petrolio e, in Asia, di oppio. In Angola, Congo, Sierra Leone e Sudan, ci
>sono molti esploratori in cerca di petrolio, miniere di oro e di diamanti e
>società di sicurezza private. Il commercio delle armi è fiorente." Nel
>disperato Sudan, nel 1997, una spedizione delle Nazioni Unite ha ritrovato
>mine provenienti da nove diversi Paesi. Gli Stati Uniti esportano il 45 per
>cento delle armi mondiali, e sono seguiti dalla Russia, la Francia e la Gran
>Bretagna.
>Nel report Bambini e Guerra Susan Thompson ha detto che ci sono "33 zone nel
>mondo dove i bambini sono attualmente coinvolti in conflitti. nell'ultimo
>decennio. 20 milioni di bambini [sono stati] obbligati a fuggire a causa di
>guerre interne".
>Paesi colpiti da conflitti violenti in questa decade sono i Territori
>Palestinesi, l'Afghanistan, la Somalia, la Nigeria, la Birmania, lo
>Zimbabwe, Mozambico, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Burundi,
>Tajikistan, Indonesia, Sri Lanka, Pakistan, Algeria, Costa d'Avorio,
>Etiopia, Eritrea, Haiti, Ruanda, Sierra Leone, Angola. Tutti con povertà
>diffusa e un alto tasso di persone costretto ad andare via dalle proprie
>terre. Come ha detto Gandhi, "La povertà è la peggiore forma di violenza".
>Agitazioni civili possono essere pronosticate da fattori sociali, secondo
>il dottor Jared Diamond: "Di otto fattori che la gente ha identificato con
>il rischio di guerra civile. negli ultimi 30 anni. quello più allarmante è
>il tasso di mortalità dei neonati e dei bambini". Nei Paesi da cui proviene
>la maggior parte dei profughi il numero dei neonati che muoiono prima dell'
>età di 12 mesi varia da 30 a 180 su ogni 1000 nati vivi, paragonata ad un
>media di 6 nei Paesi con alto reddito.
>L'economista canadese Michel Chossudovsky ha studiato il famoso massacro
>avvenuto in Ruanda nel 1994 tra le tribù Hutu e Tutsi che ha causato mezzo
>milione di morti. Storicamente questo è stato giudicato inevitabile ma "ciò
>che i mass media hanno mancato di menzionare era che la guerra civile era
>stata preceduta dallo scoppio di una profonda crisi economica" a causa del
>collasso del mercato internazionale del caffè e all'imposizione di riforme
>indiscriminate da parte della Banca Mondiale e dell'IMF [Fondo Monetario
>Internazionale]. Pressioni politiche da Washington da parte dei grandi
>commercianti di caffè americani ne hanno fatto precipitare il prezzo, e in
>Ruanda la caduta dei prezzi "ha inasprito le violenze". Ne conseguì estrema
>povertà che si sommava alle tensioni esistenti dal periodo coloniale
>Tedesco-Belga, quando furono dati privilegi alla minoranza Tutsi, come la
>gestione delle tasse e l'amministrazione della giustizia, rispetto al numero
>maggiore di Hutu. La depressione economica ha fatto aumentare la
>disoccupazione, la malnutrizione infantile e la malaria, sono state imposte
>tasse scolastiche che molti non potevano pagare e i finanziamenti sono stati
>devoluti agli armamenti militari, di cui potevano disporre liberamente molti
>disoccupati arruolati nella polizia civile responsabile dei massacri.
>Chossudovsky ha concluso "le misure di austerità insieme all'impatto del
>IMF- hanno promosso la svalutazione e contribuito all'impoverimento della
>gente del Ruanda in un tempo di acuta crisi sociale e politica. [creando]
>una situazione di generalizzata carestia e di disperazione sociale. A
>peggiorare la situazione si aggiunge il profondo odio tribale. che distorce
>un processo complesso di disintegrazione economica, sociale e politica che
>riguarda l'intera nazione".
>Come la Banca Mondiale ha notato " la devastazione e la violenza si
>verificano in misura maggiore tra i gruppi di popolazioni più povere del
>mondo".
>
>EMIGRAZIONI ECONOMICHE
>Jose lascia Haiti, arriva negli Stati Uniti e lavora come raccoglitore di
>frutta per l'agricoltore Hank. Il suo stipendio è più basso del minimo
>salariale ma è più alto di quanto Jose guadagnava ad Haiti. In questo modo
>lui si mantiene e manda anche soldi alla sua famiglia in patria. Hank è
>felice perché il lavoro è fatto a basso costo e lui sa che Jose non si
>lamenterà delle condizioni per paura di essere denunciato alla polizia e
>rimpatriato. L'economia degli Stati Uniti ci guadagna visto che la
>produzione costa poco, e l'economia di Haiti migliora con i contributi che
>Jose manda alla sua famiglia.
>La moglie di Jose, Maria, e i loro bambini lo seguono negli Stati Uniti. Lei
>ottiene un lavoro come domestica, i bambini si nutrono bene, la loro salute
>migliora e vanno a scuola. Il lavoro della famiglia migliora l'economia
>degli Stati Uniti ma non più quella di Haiti.
>Come molti emigranti, Jose e Maria sono giovani adulti, abbastanza in salute
>e sono istruiti quanto basta. I più poveri dei poveri, senza soldi per
>pagare il viaggio e le mazzette, con una salute precaria, incapaci di
>leggere e scrivere, restano a casa. Jose e Maria preferirebbero restare
>vicino alla loro famiglia allargata, ma emigrano per sopravvivere alla
>povertà, all'AIDS e alle epidemie di tubercolosi. Il dilemma cruciale è che
>Haiti, per superare la povertà, ha bisogno di persone come Jose e Maria che
>restino in Patria e contribuiscano alla formazione di una società più forte.
>Senza di loro, il Paese peggiorerà sempre più e sempre più persone
>decideranno di andare via.
>
>Greg Palast ha detto che gli immigranti dovrebbero essere visti "come un
>dono, non un flagello [perché] l'immigrazione è semplicemente un buon
> affare". Cita il pensiero del Cato Institute: "E' una forma di aiuto
>estero al contrario. Noi [Stati Uniti] destiniamo meno di 20 miliardi di
>dollari per l'aiuto delle nazioni del Terzo Mondo e ne abbiamo un guadagno
>di 30 miliardi di dollari in valore capitale.con "valore" si intendono i
>lavoratori che crescono, mangiano e vengono istruiti nei Paesi poveri e poi
>che arrivano a lavorare negli Stati Uniti". Gli economisti nordamericani
>hanno considerato "semplicemente stupida" la preoccupazione, da parte del
>Primo Ministro inglese Tony Blair, dei falsi emigranti che chiedono asilo.
>Invece di chiedere ai nuovi venuti l'impegno di costruire la Gran Bretagna,
>gli viene chiesto solo se vogliono vivere". Palast ha raccontato di Mino,
>che per primo ha provato ad entrare negli Stati Uniti dal Guatemala 11 anni
>prima, pagando un contrabbandiere per attraversare il confine del Messico
>pigiato in un camion sigillato insieme ad un centinaio di altri uomini.
>Riuscì a sopravvivere ma fu arrestato, imprigionato e rimandato a casa. Così
>ha comprato un falso visto e un biglietto aereo ed è entrato in America
>senza problemi, ha avuto subito un lavoro come lavapiatti - e ora ha un
>attività di giardinaggio, guida un furgone e si sta organizzando per
>prendere un diploma in ragioneria. Uno studioso americano, a cui era stato
>chiesto del ruolo dei lavoratori clandestini, ha detto "Non ci sarebbe l'
>economia che c'è negli Stati Uniti senza i clandestini".
>Nei Paesi ricchi i tassi di natalità stanno precipitando e la gente vive di
>più, creando una società instabile di gente anziana, che non lavora e con
>meno gente giovane in proporzione per aiutarli nelle loro necessità. Una
>soluzione, ha scritto Jonathan Steele, è di accettare più immigrati.Le fonti
>più grandi di potenziale immigrazione sono l'Africa e l'Asia, dove la
>popolazione sta aumentando".
>
>PRIMI PENSIERI SULLE SOLUZIONI
>Con una popolazione mondiale in crescita, una aumentata disuguaglianza
>economica, e la fuga dei poveri dai Paesi del Terzo Mondo ai Paesi ricchi
>(come risultato finale, in ogni caso) non solo è pericolosamente stupido che
>i Paesi ricchi creino barriere per difendere le loro ricchezze e tenere
>lontano i bisognosi, ma è anche ipocrita quando gli stessi Paesi chiedono di
>avere i benefici della globalizzazione e del "libero commercio". I Paesi
>fortezza stanno cercando di difendere i privilegi di un elite, che le
>persone povere non accetteranno per sempre, privilegi che hanno causato
>rivoluzioni nei secoli. Non possiamo avere entrambi i risultati - non
>possiamo lamentarci dei profughi che chiedono il nostro aiuto quando noi
>concorriamo alla loro disperazione. Il fulcro degli sforzi umani ha bisogno
>di spostarsi da una situazione di sfruttamento nei confronti degli altri ad
>una situazione di vita decente.
>Un programma completo per la totale eliminazione della povertà del mondo e
>del problema dei profughi esula in qualche modo dallo scopo di questo
>saggio, ma si aggiungeranno solo un altro paio di punti. Gorge ha detto che
>ci sono due modi razionali di affrontare i problemi legati all'immigrazione.
>"Il primo è di promuovere il benessere di coloro che si sono già sistemati
>nei loro nuovi Paesi", che non è solo considerare ma anche un modo per
>condividere la ricchezza, sia materiale che sotto forma di esperienza
>acquisita. "Il secondo", ha scritto George, "è di rendere meno necessario
>per gli esponenti essenziali di una popolazione di emigrare". Cioè, aiutare
>le persone potenzialmente sradicate ad ottenere ciò che più desiderano- di
>stare bene ed in pace nelle loro patrie- aiutandoli a sviluppare vite
>sostenibili o almeno non portarli a quella situazione.
>Il mondo ricco dovrebbe assicurare non solo che non è giusto sfruttare le
>risorse delle economie povere, sia direttamente- per esempio con le famose
>fabbriche in cui l'orario di lavoro è lungo, la paga è molto bassa e le
>condizioni indecenti - o attraverso organizzazioni internazionali, e di
>vedere come si può co-operare per promuovere lo sviluppo. In ultimo il mondo
>ricco arriva a condividere i doni materiali del Pianeta Terra mentre
>assicura che la gente abbia maggiore controllo sulla propria vita. Per far
>avere a tutti gli abitanti della Terra gli standard di vita dell'Australia
>bisognerebbe avere la capacità di produzione di cinque pianeti, o di 12
>Paesi come gli Stati Uniti. Poiché ne abbiamo solo uno di questi, l'altra
>opzione è di ridurre i nostri consumi medi nel mondo ricco. Una media
>inferiore non implica un cambio per coloro con un reddito medio basso se
>coloro che occupano le fasce più alte, vivono di lussi inutili che costano
>molti milioni di dollari all'anno, fanno dei "sacrifici". In questo modo i
>Paesi singoli devono indirizzare l'ineguaglianza economica nazionale come
>parte di un cambiamento globale.
>La globalizzazione economica non rende questo possibile. Il premio Nobel per
>l'Economia Joseph Stiglitz, che faceva parte della Banca Mondiale, scrive
>"La globalizzazione oggi non sta aiutando i poveri del mondo. Non sta
>aiutando molto l'ambiente. Non sta aiutando la stabilità dell'economia
>globale". Le economie dei Paesi poveri sono controllate in vario modo dalla
>Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Organizzazione
>Mondiale per il Commercio [WTO], tutte organizzazioni guidati dalle potenze
>occidentali. Loro hanno "stabilito le regole del gioco" dice Stiglitz.
>"Hanno fatto in modo che, troppo spesso, hanno servito gli interessi dei
>Paesi più industrializzati - e interessi particolari di quei Paesi-
>piuttosto che quelli del Mondo in via di sviluppo. In altre parole, hanno
>imposto una nuova forma di colonialismo. I Paesi poveri dovrebbero avere
>più voce in capitolo per l'uso delle risorse globali e in particolare di
>come gestire le loro stesse economie". Il Centro di Ricerche Economiche e
>Politiche di Washington [CEPR] ha concluso "Non c'è regione del mondo che la
>Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale possano indicare come un
>posto dove hanno avuto successo tramite l'adozione delle politiche da loro
>promosse. La distruzione delle industrie e l'allontanamento delle persone
>dalle loro terre natali, la dura "austerità" medica spesso ha richiesto da
>queste istituzioni e dai mercati finanziari internazionali di diventare un
>fardello per la società senza produrre un beneficio dall'altra parte. Nella
>crisi finanziaria in Asia, le politiche del Fondo Monetario Internazionale .
>hanno portato milioni di persone alla povertà".
>Un altro grande passo avanti per aiutare i Paesi poveri riguarda i debiti
>che hanno con i Paesi ricchi che non hanno bisogno di denaro. George ha
>dedotto "più la crisi del debito e la stagnazione economica persisteranno,
>sempre più improbabile sarà l'innalzamento di qualche barriera per l'
>emigrazione e sempre più incoraggeranno i loro cittadini appena arrivati a
>restare in Europa, per la semplice ragione che portano soldi". Il CEPR ha
>detto che Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale "potrebbero
>avere un ruolo molto più costruttivo aiutando a cancellare il devastante e
>impagabile debito dei Paesi poveri e a permettere ad ogni Nazione di
>scegliere il proprio percorso di crescita economica e di sviluppo". Stiglitz
>scrive "Senza la cancellazione del debito, molti dei Paesi in via di
>sviluppo semplicemente non possono andare avanti. La maggior parte delle
>loro attuali esportazioni vanno a ripagare i prestiti ai Paesi sviluppati.
>In alcuni Paesi questo costituisce un quarto o la metà di tutte le
>esportazioni". Non che i prestiti siano senza complicazioni morali.
>Stiglitz: " Quando il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale
>prestarono soldi alla Repubblica Democratica del Congo [allora si chiamava
>Zaire] al governatore ben noto Mobutu, sapevano (o avrebbero dovuto sapere)
>che molti dei soldi non andavano ad aiutare la gente povera di quel Paese,
>ma sarebbe stato usato per arricchire Mobuto. Erano soldi pagati per
>assicurare che questo leader corrotto avrebbe mantenuto il suo Paese dalla
>parte dell'Occidente". Il movimento del Giubileo [cancellazione del debito]
>ha avuto successo nell'ottenere sempre maggior impegno per la cancellazione
>del debito, ma la cancellazione del debito deve proseguire. Stiglitz
>commenta "Come è ora, gli accordi riguardano solo i Paesi più poveri [ma
>altri ne hanno bisogno] per essere portati sotto la loro protezione".
>Mentre alcuni debiti sono stati cancellati, questo è stato spesso ottenuto
>solo a certe condizioni, con il risultato che alcuni Paesi, come l'Etiopia,
>che ha seguito attentamente uno schema di restituzione, sarà in debito per i
>molti anni futuri e sta affrontando attualmente una carestia.
>Ci sono stati recenti suggerimenti che gli aiuti dovrebbero sostituire i
>prestiti. Il che sembrerebbe una cosa positiva, ma dei 23 Paesi
>industrializzati che nel 1969 hanno promesso di dare lo 0,7 per cento del
>loro PIL all'aiuto di Paesi poveri, solo cinque hanno fatto così e tra
>questi non ci sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Australia. Se tutti
>avessero mantenuto questa promessa una grande somma di denaro sarebbe stata
>disponibile per i Paesi da cui la gente si allontana. Aiuti, senza
>condizioni, evitano alcune misure di controllo colonialista, ma ancora
>mantengono la dipendenza. La Banca Mondiale incoraggia i Paesi ricchi ad
>aiutare i Paesi poveri aprendo i loro mercati alle esportazioni dei Paesi in
>via di sviluppo, e con l'abbandono dei loro aiuti agricoli di milioni di
>dollari al giorno, e altre barriere commerciali, che limitano le opportunità
>di mercato per la maggior parte della merce che la gente povera produce a
>condizioni competitive. Gli aiuti, mentre sono vitali nelle crisi di fame di
>massa e malattie epidemiche infettive, può essere meno importante del
>commercio a lungo termine.
>Un altro modo in cui risorse molto necessarie possono essere trasferite ai
>Paesi poveri senza vincoli esterni è attraverso il sistema ampiamente
>condiviso della Tobin Tax. La proposta è di imporre una tassa dello 0,25
>percento o meno su tutte le transazioni oltre confine di scambio merce, che
>renderebbe tra i 100 e i 300 miliardi di dollari all'anno da devolvere ad un
>fondo per finanziare progetti sulla la povertà, la malattia e il
>riscaldamento della Terra.
>Forse, dopo tutto, la gente sia nei Paesi ricchi che nei Paesi poveri
>dovrebbe avere più voce in capitolo su come le loro vite vengono
>organizzate.
>
>Contatti per questo articolo harold@???
>L'autore è un lavoratore sociale, lettore universitario e giornalista in
>Australia. I suoi Saggi sull'Uguaglianza su argomenti di giustizia sociale,
>di cui questo ne è uno, sono raccolti sul sito web
>www.geocities.com/youngmick/levellers/
>
>
>
>
>---
>Il Granello di Sabbia è realizzato da un gruppo di traduttori e traduttrici volontari/e e dalla redazione di ATTAC Italia redazione@???
>Riproduzione autorizzata previa citazione e segnalazione del "Granello di Sabbia - ATTAC - http://attac.org/"


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Paola Manduca