[Lecce-sf] la festa è finita

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Autor: Antonella Mangia
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Assunto: [Lecce-sf] la festa è finita
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In contatto con Baghdad (56)
by robdinz Thursday April 10, 2003 at 12:04 AMrobdinz@???
La festa è finita.


La festa è finita.
I “liberatori” sono tornati nei carri, negli autoblindo. Le jeep “Hammer” hanno ripreso a fare le staffette per le strade della città.
I 150/200 giovani iracheni che erano serviti come comparse per la festa in mondovisione in Piazza Paradiso sono scomparsi. Tornati nelle loro case senza luce e senz’acqua. Ma con i pacchi di cibo che gli sono stati donati dai “furieri” dell’armata americana.

Ed i combattimenti sono ripresi: a Saddam City, lungo la Shaab, sulle due sponde del Tigri, intorno a ciò che rimane del Ministero dell’Informazione. Combattimenti duri ed impari. I marines si confrontano con uomini e ragazzi che impugnano armi leggere e perfino bottiglie incendiarie.

I cannoni e le mitragliatrici rispondono schiantando sulle facciate delle case migliaia di proiettili che sbriciolano infissi e finestrte, fanno saltare i vetri inutilmente coperti di nastro adesivo.

Ed ancora sangue, feriti e vittime che sembrano non interessare più nessuno. Certo interessano e preoccupano quella parte della stampa che alloggia al “Palestine” e che non ha accolto come “liberatori” i soldati che di forza hanno fatto irruzione nell’hotel, scandendo ad alta voce e ritmando i nomi dei colleghi uccisi dal fuoco amico dei “liberatori”.

Sara è una giovane fotografa europea “ufficiale”, a Baghdad con un contratto a tempo per conto di una importante agenzia stampa. Sara ha sempre seguito diligentemente tutte le indicazioni che le venivano fornite dai funzionari del Ministero dell’Informazione, è in posseso di tutti i visti, i passi e le autorizzazioni necessarie per lavorare alla “luce del sole” nella capitale.
Per due settimane Sara è rimasta nella sua stanza d’albergo con l’obiettivo puntato verso l’esterno. Pronta a correre fuori ogni qualvolta si presentava la possibilità di uscire con i pulman messi a disposizione dalle autorità irachene per arrivare nelle aree della città dove i funzionari del Ministero avevano deciso di portare i giornalisti.

E così sono andate avanti le giornate di Sara, giovane fotografa alla sua prima esperienza come inviata di guerra, nell’inferno di Baghdad.
Fino ad oggi. Fino all’arrivo dei “liberatori”.
Passato l’entusiasmo derivato dall’ abbattimento della statuta un po’ buffa e un po’ tragica di Saddam Hussein, Sara ha pensato davvero che Baghdad fosse stata “liberata”.
E allora, cosa stare a fare lì in mezzo alla piazza in “festa”?

Sara si è butatta a piedi per le strade subito dietro il “Palestine” e lo “Sheraton”.
Gli autoblino ed i carri armati erano messi di traverso e puntavano le armi contro centinaia di civili niente affatto desiderosi di unirsi ai “festeggiamenti”. Poco oltre e Sara assiste ai primo scontri a fuoco: militari americani che inseguivano uomini e donne sparando raffiche di mitra, carri armati che salivano e scendevano dai marciapiedi tritando sotto i congoli tutto quanto si trovavano davanti come automobili, biciclette, carretti di legno.
E poi i colpi di cannone, secchi che mandavano in frantumi le facciate delle case, con la popolazione che usciva piangendo, terrorizzata.

Sara ha paura. Si ferma. Scatta una dietro l’altra una serie di foto.
Non crede ai suoi occhi Sara: ma come, pensa, Baghdad non è stata “liberata”?

Una jeep dei marines si avvicina da dietro, scendono tre soldati mentre uno rimane alla guida. Le chiedono i documenti, i passi e le autorizzazioni. Lei, che ha tutto, li mostra senza timore. Poi le viene detto che non poteva fare foto, perché quella era zona di guerra.
Ma siamo a centocinquanta metri dagli albeghi dei giornalisti, prova a giustificarsi. Le sequestrano le pellicole, e dopo averle strappato dal collo uno degli accrediti le ordinano di andare via, di tornare in albergo.

Sara, con la preoccupazione di salvare le sue macchine fotografiche, si incammina tornando sui suoi passi.
Ancora una raffica, ancora colpi, ancora urla,pianti, ancora quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi. E poi ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi……..

Ritornata sulla piazza, la grande statua di Saddam stavolta è a terra. Decapitata. Sul basamento di cemento gli stivali di bronzo del rais appaiono come flosci, piegati su loro stessi.
La festa è finita. Solo carri armati e soldati. Ma nel silenzio ritrovato si sentono, proprio lì dietro a due passi, ancora raffiche di mitra, ancora colpi, ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi.

Che la notte sia leggera.
r.


da Shafa Badran
(Amman)
Rosarita Catani
Notiziario della tv giordana ore 19.30

9.4.03 – I soldati americani entrano nell’aeroporto “Saddam” in Bagdad dopo la fine di un’operazione nella capitale irachena. Intorno all’aeroporto ci sono 6000 soldati americani.
Tutti i membri del Governo iracheno hanno lasciato la città. Esattamente non si sa dove si trovino.
L’agenzia di stampa francese, ha dichiarato che l’esercito americano è entrato stamattina nei quartieri Nord Est di Bagdad dopo combattimenti tra l’esercito americano e quell’iracheno. Alcuni testimoni hanno dichiarato che i soldati americani sono entrati nella parte sciita a Nord di Bagdad senza aver incontrato resistenza. Le televisioni internazionali hanno mostrato le immagini d’alcuni iracheni che esprimevano la loro gioia all’ingresso degli americani.
All’interno della città si sono viste operazioni di sciacalaggio da parte d’iracheni . Degli uomini corrono all’interno d’uffici e portano via tutto ciò che trovano: sedie, divani suppellettili. Entrano ed escono dall’edificio molto velocemente trasportando più cose possibili. All’esterno dell’edificio uomini armati controllano la strada. Uno di loro strappa la foto del presidente iracheno. Poco lontano altri uomini caricano ciò che trovano ancora su dei camioncini e gridano “ Americani go out”. Prendetevi Saddam ed andate via
La sede dell’ONU è stata anch'essa saccheggiata. E’ stata occupata dalle forze americane anche la città natale di Saddam Hussein – Takrit.
I membri dell’esercito americano continuano i loro attacchi al Palazzo Presidenziale che si trova nel cuore della città.
Negli ospedali continuano ad arrivare feriti. Per i civili la situazione è sempre più grave.
Una bambina è distesa sul letto dell’ospedale. Ha tutto il vestito rosso. Rosso di sangue. E’ morta. Il padre piange. Si copre il viso con le mani. Si avventa sul lettino vuole prenderla in braccio. Lo fermano e l’allontanano da quel corpo.
Una madre piange mentre medicano suo figlio “Haram” dice questa guerra non è contro Saddam è contro il nostro popolo ed i nostri bambini. “Haram” – Wallah Haram”.
Avere informazioni sta diventando un’impresa difficile. Molti giornalisti hanno lasciato la città.
I pochi rimasti hanno paura. In questo momento – h. 17.00 - si vedono le immagini di un caro armato americano fermo nella piazza di Bagdad, al centro della stessa la statua di Saddam Hussein, sopra ed intorno al carro armato civili iracheni contrari al regime. Un iracheno sale sulla statua e lancia una corda. Stanno tentando di abbatterla.
La situazione è veramente drammatica. I generi di prima necessità e le medicine sono ancora giacenti ai confini. La distribuzione, molto probabilmente sarà fatta dai soldati americani. La probabilità è che chi avrà realmente bisogno di medicine e di cibo rimarrà senza nulla.









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<P class=article>Ed i combattimenti sono ripresi: a Saddam City, lungo la Shaab, sulle due sponde del Tigri, intorno a ciò che rimane del Ministero dell’Informazione. Combattimenti duri ed impari. I marines si confrontano con uomini e ragazzi che impugnano armi leggere e perfino bottiglie incendiarie. </P>
<P class=article>I cannoni e le mitragliatrici rispondono schiantando sulle facciate delle case migliaia di proiettili che sbriciolano infissi e finestrte, fanno saltare i vetri inutilmente coperti di nastro adesivo. </P>
<P class=article>Ed ancora sangue, feriti e vittime che sembrano non interessare più nessuno. Certo interessano e preoccupano quella parte della stampa che alloggia al “Palestine” e che non ha accolto come “liberatori” i soldati che di forza hanno fatto irruzione nell’hotel, scandendo ad alta voce e ritmando i nomi dei colleghi uccisi dal fuoco amico dei “liberatori”. </P>
<P class=article>Sara è una giovane fotografa europea “ufficiale”, a Baghdad con un contratto a tempo per conto di una importante agenzia stampa. Sara ha sempre seguito diligentemente tutte le indicazioni che le venivano fornite dai funzionari del Ministero dell’Informazione, è in posseso di tutti i visti, i passi e le autorizzazioni necessarie per lavorare alla “luce del sole” nella capitale. <BR>Per due settimane Sara è rimasta nella sua stanza d’albergo con l’obiettivo puntato verso l’esterno. Pronta a correre fuori ogni qualvolta si presentava la possibilità di uscire con i pulman messi a disposizione dalle autorità irachene per arrivare nelle aree della città dove i funzionari del Ministero avevano deciso di portare i giornalisti. </P>
<P class=article>E così sono andate avanti le giornate di Sara, giovane fotografa alla sua prima esperienza come inviata di guerra, nell’inferno di Baghdad. <BR>Fino ad oggi. Fino all’arrivo dei “liberatori”. <BR>Passato l’entusiasmo derivato dall’ abbattimento della statuta un po’ buffa e un po’ tragica di Saddam Hussein, Sara ha pensato davvero che Baghdad fosse stata “liberata”. <BR>E allora, cosa stare a fare lì in mezzo alla piazza in “festa”? </P>
<P class=article>Sara si è butatta a piedi per le strade subito dietro il “Palestine” e lo “Sheraton”. <BR>Gli autoblino ed i carri armati erano messi di traverso e puntavano le armi contro centinaia di civili niente affatto desiderosi di unirsi ai “festeggiamenti”. Poco oltre e Sara assiste ai primo scontri a fuoco: militari americani che inseguivano uomini e donne sparando raffiche di mitra, carri armati che salivano e scendevano dai marciapiedi tritando sotto i congoli tutto quanto si trovavano davanti come automobili, biciclette, carretti di legno. <BR>E poi i colpi di cannone, secchi che mandavano in frantumi le facciate delle case, con la popolazione che usciva piangendo, terrorizzata. </P>
<P class=article>Sara ha paura. Si ferma. Scatta una dietro l’altra una serie di foto. <BR>Non crede ai suoi occhi Sara: ma come, pensa, Baghdad non è stata “liberata”? </P>
<P class=article>Una jeep dei marines si avvicina da dietro, scendono tre soldati mentre uno rimane alla guida. Le chiedono i documenti, i passi e le autorizzazioni. Lei, che ha tutto, li mostra senza timore. Poi le viene detto che non poteva fare foto, perché quella era zona di guerra. <BR>Ma siamo a centocinquanta metri dagli albeghi dei giornalisti, prova a giustificarsi. Le sequestrano le pellicole, e dopo averle strappato dal collo uno degli accrediti le ordinano di andare via, di tornare in albergo. </P>
<P class=article>Sara, con la preoccupazione di salvare le sue macchine fotografiche, si incammina tornando sui suoi passi. <BR>Ancora una raffica, ancora colpi, ancora urla,pianti, ancora quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi. E poi ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi…….. </P>
<P class=article>Ritornata sulla piazza, la grande statua di Saddam stavolta è a terra. Decapitata. Sul basamento di cemento gli stivali di bronzo del rais appaiono come flosci, piegati su loro stessi. <BR>La festa è finita. Solo carri armati e soldati. Ma nel silenzio ritrovato si sentono, proprio lì dietro a due passi, ancora raffiche di mitra, ancora colpi, ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi. </P>
<P class=article>Che la notte sia leggera. <BR>r. </P>
<P class=article><BR>da Shafa Badran <BR>(Amman) <BR>Rosarita Catani <BR>Notiziario della tv giordana ore 19.30 </P>
<P class=article>9.4.03 – I soldati americani entrano nell’aeroporto “Saddam” in Bagdad dopo la fine di un’operazione nella capitale irachena. Intorno all’aeroporto ci sono 6000 soldati americani. <BR>Tutti i membri del Governo iracheno hanno lasciato la città. Esattamente non si sa dove si trovino. <BR>L’agenzia di stampa francese, ha dichiarato che l’esercito americano è entrato stamattina nei quartieri Nord Est di Bagdad dopo combattimenti tra l’esercito americano e quell’iracheno. Alcuni testimoni hanno dichiarato che i soldati americani sono entrati nella parte sciita a Nord di Bagdad senza aver incontrato resistenza. Le televisioni internazionali hanno mostrato le immagini d’alcuni iracheni che esprimevano la loro gioia all’ingresso degli americani. <BR>All’interno della città si sono viste operazioni di sciacalaggio da parte d’iracheni . Degli uomini corrono all’interno d’uffici e portano via tutto ciò che trovano: sedie, divani suppellettili. Entrano ed escono dall’edificio molto velocemente trasportando più cose possibili. All’esterno dell’edificio uomini armati controllano la strada. Uno di loro strappa la foto del presidente iracheno. Poco lontano altri uomini caricano ciò che trovano ancora su dei camioncini e gridano “ Americani go out”. Prendetevi Saddam ed andate via <BR>La sede dell’ONU è stata anch'essa saccheggiata. E’ stata occupata dalle forze americane anche la città natale di Saddam Hussein – Takrit. <BR>I membri dell’esercito americano continuano i loro attacchi al Palazzo Presidenziale che si trova nel cuore della città. <BR>Negli ospedali continuano ad arrivare feriti. Per i civili la situazione è sempre più grave. <BR>Una bambina è distesa sul letto dell’ospedale. Ha tutto il vestito rosso. Rosso di sangue. E’ morta. Il padre piange. Si copre il viso con le mani. Si avventa sul lettino vuole prenderla in braccio. Lo fermano e l’allontanano da quel corpo. <BR>Una madre piange mentre medicano suo figlio “Haram” dice questa guerra non è contro Saddam è contro il nostro popolo ed i nostri bambini. “Haram” – Wallah Haram”. <BR>Avere informazioni sta diventando un’impresa difficile. Molti giornalisti hanno lasciato la città. <BR>I pochi rimasti hanno paura. In questo momento – h. 17.00 - si vedono le immagini di un caro armato americano fermo nella piazza di Bagdad, al centro della stessa la statua di Saddam Hussein, sopra ed intorno al carro armato civili iracheni contrari al regime. Un iracheno sale sulla statua e lancia una corda. Stanno tentando di abbatterla. <BR>La situazione è veramente drammatica. I generi di prima necessità e le medicine sono ancora giacenti ai confini. La distribuzione, molto probabilmente sarà fatta dai soldati americani. La probabilità è che chi avrà realmente bisogno di medicine e di cibo rimarrà senza nulla. </P>
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