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著者: Carlo Mileti
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giro per eventuali interessati

_________________

> LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO>
> Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
> Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
> Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,

01100
> Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@???
>
> Numero 561 del 9 aprile 2003
>
> Sommario di questo numero:
> 1. Fedele Labruiero: la scacchiera
> 2. Elisabetta Caravati: pace, femminile plurale
> 3. Benito D'Ippolito: ancora una cantata dei morti invano
> 4. Alessandra Bocchetti: simili nella debolezza
> 5. Giulio Vittorangeli: le parole e la guerra
> 6. Ida Dominijanni: due note sul giornalismo e sull'Occidente
> 7. Unione cristiana evangelica battista d'Italia: dichiarazione sulla

guerra
> in Iraq
> 8. Arundhati Roy: l'argomento dell'ago e del pagliaio
> 9. Ali Rashid: l'opposizione alla guerra e' la legittima difesa
> dell'umanita' intera
> 10. Yesh Gvul: fermate il massacro
> 11. War Resisters' International: a sostegno degli obiettori di coscienza
> israeliani
> 12. Augusto Cavadi: una chiesa cattolica per gli indu'
> 13. Charlotte Bronte: Achab e Michea
> 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
> 15. Per saperne di piu'
>
> 1. RIFLESSIONE. FEDELE LABRUIERO: LA SCACCHIERA
> [Ringraziamo il dottor Labruiero per questo intervento]
>
> "La solidarieta' del mondo progressista per il popolo del Vietnam ricorda
> l'amara ironia che rappresentava, per i gladiatori del circo romano,
> l'incoraggiamento della plebe" (da una lettera ben nota del dottor Ernesto
> Guevara de la Serna)
>
> Mentre scrivevo importantissimo un articolo
> contro la guerra, il bimbo mio piccino
> mi fa cadere con fracasso grande
> dall'intarsiato suo bel tavolino
> opima la scacchiera.
> Il caro frugoletto e' qui che piange
> per lo spavento, ma quella scacchiera
> era dono e ricordo di famiglia
> e adesso giace li', spezzata a un bordo
> e mai ne trovero', ohime', l'eguale.
>
> Quanti dolori deve sopportare
> un uomo di buon cuore come me.
> Ma non punii il bimbetto gemebondo,
> siamo gente civile, e senza indugi
> impartii l'ordine di pulir tutto
> alla servetta, giovin clandestina
> che di bonta' per impeto teniamo
> quasi come se fosse una di casa.
>
> E adesso, con augusta calma e forza
> di volonta', il dolore gia' domato,
> torniamo a scrivere che orrore grande
> la guerra sia e come e' nostro impegno
> convocar tutti ad opporsi alle stragi.
>
> Che gran fatica e' vivere e che gioia
> sentir di avere un'alma tanto magna.
>
> 2. RIFLESSIONE. ELISABETTA CARAVATI: PACE, FEMMINILE PLURALE
> [Dalla mailing list di "Peacelink News" (per contatti: news@???)
> riprendiamo questo intervento di Elisabetta Caravati, impegnata
> nell'esperienza delle "Donne in nero" a Varese]
> "La guerra e' anche il piede, di un soldato iracheno morto steso a terra,
> che in una fotografia ci viene mostrato, vestito di una calza bucata; e,
> accanto a lui, un soldato anglo-americano nella sua impeccabile e
> costosissima uniforme. La guerra noi non l'abbiamo voluta! Noi, con le
> nostre manifestazioni, le nostre bandiere affacciate alle nostre finestre;
> noi che abbiamo tentato di fermare treni e navi; noi non abbiamo impedito

ai
> B 52 di bombardare, distruggere e uccidere! Noi, con le nostre
> manifestazioni, le nostre bandiere affacciate alle nostre finestre; noi

che
> abbiamo tentato di fermare treni e navi; noi abbiamo impedito che

crescesse
> ancor di piu' l'odio verso l'Occidente da parte del mondo arabo; noi

abbiamo
> impedito che aumentasse ancor di piu' la separazione fra due mondi

diversi."
> Con queste parole Luisa Morgantini (coordinatrice nazionale delle Donne in
> nero ed europarlamentare), ci restituisce gioia e speranza e fiducia e
> complicita' che riescono a placare, per un momento almeno, l'angoscia, la
> sofferenza ed il dolore che accompagnano le nostre giornate di guerra.
> A Varese sabato 5 aprile, la', dove la domenica sera sono solita andare a
> vedere film che, lontani dai grandi produttori statunitensi, sanno ancora
> parlare al cuore; ben piu' delle cento solite persone che la sala dovrebbe
> ospitare sono pronte per partire per una riflessione al femminile dal
> titolo: Donne e guerra.
> E' con immensa gioia che Gabriella, portavoce delle Donne in nero di

Varese,
> ci saluta e orgogliosa ribadisce che le donne devono imparare ad osare
> sempre di piu'... in questo caso, avrebbero dovuto osare organizzare la
> giornata di riflessione in un locale che avrebbe potuto ospitare piu'
> persone. Ma va bene anche cosi', le ragazze si siedono per terra, come

gia'
> sono abituate a fare nelle manifestazioni, e lasciano il posto a quelle

piu'
> grandi di loro. E allora Gabriella ricorda brevemente che sono state le
> donne israeliane nel 1987 le prime a vestirsi di nero ed a manifestare in
> silenzio, perche' il dolore non ha voce, contro il loro stesso governo che
> occupava (ed occupa) i territori palestinesi; poi si sono aggiunte a loro

le
> donne palestinesi; poi altre donne in altri luoghi del mondo hanno seguito
> il loro esempio con un messaggio ben chiaro: fuori la guerra dalla storia.
> *
> Ma "fuori la guerra dalla storia", ci spiega piu' tardi Lidia Menapace,

con
> una saggezza ed una dolcezza che incantano, non e' solo uno slogan, ma e'

un
> processo culturale molto piu' complesso; per il movimento femminile che ha
> messo insieme queste parole, esse sono come una targa stradale,
> un'indicazione di cammino. La guerra non e' un evento naturale; percio',
> come e' entrata nella storia, dalla storia deve uscire. Ci sono stati,
> nell'Europa neolitica, mille anni di pace. Pace non vuol dire assenza di
> conflitti. Pace vuol dire imparare a riconoscere, nominare e gestire i
> conflitti; non con la guerra, ma con molteplici altre soluzioni. Le donne
> ogni giorno imparano a gestire i loro piccoli e grandi conflitti

quotidiani;
> le donne ogni giorno imparano a far fronte agli imprevisti. La guerra

recita
> sempre lo stesso copione; la pace si costruisce e si mantiene cercando

ogni
> volta nuove soluzioni. L'Europa - continua a spiegarci Lidia - ha scritto
> la sua storia con le aggressioni ed il colonialismo; ma, all'interno
> dell'Europa, sono nati anche quei due movimenti, quello operaio sindacale

e
> quello delle donne, capaci di organizzarsi, manifestare, scioperare,
> sabotare, boicottare per rivendicare i propri diritti. Oggi l'Europa
> dovrebbe dichiarasi neutrale, uscire dalla Nato, e diventare non
> l'antagonista degli Usa, bensi' l'alternativa agli Usa, per costruire
> appunto quell'altro mondo possibile.
> *
> Quasi tutte donne ad ascoltare altre donne parlare, narrare, spiegare...

una
> suora, una psichiatra, una volontaria di Emergency, un'insegnante e le sue
> alunne. Tutte donne. Tutte con la consapevolezza che siamo appunto noi
> donne, che facciamo continuare il mondo. Le donne palestinesi, le donne
> irachene, le donne del Sudan e tutte quelle dei tanti paesi in guerra,

hanno
> il coraggio di passare oltre la guerra, di guardare al futuro e offrire al
> futuro nuovi bambini. Le donne, che quasi mai, sono sedute la', dove le
> guerre vengono decise; le donne che mai scelgono la guerra, ma sempre la
> subiscono, sanno di dover essere tessitrici di pace, nel senso che sanno
> perfettamente che tocchera' a loro ristabilire tutti i rapporti e le
> relazioni che ogni guerra interrompe in modo brutale.
> Nella cultura degli uomini la guerra e' vista come un modo per poter

andare
> contro la morte; un eroe verra' ricordato oltre la sua morte. Per noi

donne
> la morte e' sconfitta dalla vita; la vita cresce in noi, e continua dopo

di
> noi, attraverso i figli.
> Mentre la mente umana progetta e costruisce armi in grado di distruggere
> l'umanita' stessa; mentre il governo degli Usa programma e lancia le sue
> guerre stellari; mentre nessuna donna che lascia a casa il proprio figlio

e
> parte a combattere in nome del petrolio, potra' mai essere considerata un
> eroina al femminile; gli occhi e il cuore della maggior parte delle donne,
> fra uccidere e morire scelgono di vivere. Perche' gli occhi e il cuore
> continuano ad avere ragioni che la ragione non conosce. Solo il punto di
> vista femminile potra' tutelare un mondo nuovo. Quell'altro mondo
> indispensabile. Dunque ne' con Bush, ne' con Saddam, lontane dalle loro
> macabre danze, lontane dalle loro culture di morte; per riaffermare
> l'illegalita' di ogni guerra affinche' la guerra sia fuori dalla storia e
> percio' fuori dalla vita di ogni singolo essere umano.
>
> 3. LE INUTILI PAROLE. BENITO D'IPPOLITO: ANCORA UNA CANTATA DEI MORTI

INVANO
> [Dall nostro buon amico Benito D'Ippolito riceviamo e diffondiamo]
>
> E noi siamo i soliti morti
> i soliti morti invano
> quelli come sempre poco furbi
> che non sapevano guardar lontano
> e quelli come sempre troppo furbi
> che non sapevano guardar vicino.
> Adesso siamo qui, presi all'uncino
> nello sheol infrante estinte spoglie
> morti per sempre come tutti i morti,
> e come tutti i morti morti invano.
>
> E noi anche avevamo attese e voglie
> e vite personali e aspetto umano
> di femmine e di maschi, e come foglie
> discerpaci ed invola un vento vano.
> E i sogni alati e le gioie e le doglie
> tutto disparve qual miraggio arcano
> quando al lume dei giorni e al buon cammino
> per sempre ci strappo' il colpo assassino.
>
> E voi che questa voce che si spegne
> avete cuore di ascoltare ancora
> sappiate che anche le nostre eran degne
> di essere vissute vite, e l'ora
> che ce le tolse - ed erano ancor pregne
> di luce e di belta' che t'innamora -
> non fu di caso o fato il cupo frutto:
> furono uomini a rapirci tutto.
>
> E tu che ancora senti e ancora vedi
> a te affidiamo un'ultima parola:
> ferma la guerra, con le mani e i piedi;
> ferma la guerra e bruciati la gola
> a forza di gridarlo; e se non cedi
> vi e' speme che s'inceppi questa mola
> e cessi questa storia di orchi e brace
> e possa venir l'ora della pace.
>
> Ma noi siamo solo i soliti morti
> i soliti morti invano
> quelli come sempre poco furbi
> che non sapevano guardar lontano
> e quelli come sempre troppo furbi
> che non sapevano guardar vicino.
> Adesso siamo qui, presi all'uncino
> nello sheol infrante estinte spoglie
> morti per sempre come tutti i morti,
> e come tutti i morti morti invano.
>
> 4. MAESTRE. ALESSANDRA BOCCHETTI: SIMILI NELLA DEBOLEZZA
> [Da Alessandra Bocchetti, Dell'ammirazione, Stampa Alternativa, Roma 1996,
> pp. 37-38. Alessandra Bocchetti, tra le fondatrici del Centro culturale
> Virginia Woolf, e' una delle figure piu' autorevoli del movimento delle
> donne in Italia. Tra le sue opere: Cosa vuole una donna, La Tartaruga,
> Milano 1995]
> Se non si arriva al pensiero di essere simili, di essere tutti simili, la
> guerra non finira'. Le guerre non finiranno. Bisogna fare leva su qualcosa
> di comune per averne ragione. Ma come si fa a trovare qualcosa di comune

in
> una guerra civile, la piu' terribile delle guerre, dove viene negata

proprio
> questa comunanza, dove terra, aria, acqua, sangue, tutto si vorrebbe
> dividere. A questa domanda una donna potrebbe rispondere che cio' che

rende
> simili e' la debolezza. Una donna risponde non perche' sia dotata di una
> intelligenza speciale, ma perche' conosce gli esseri umani da quel verso
> li', sa la debolezza di tutti, la propria e quella degli altri, e sa che

e'
> proprio questo a rendere umani gli umani. Se la forza ci rende diversi, e'
> la debolezza che ci rende simili.
> La debolezza puo' essere una risorsa e un'opportunita'. E' una virtu'.

Dalla
> debolezza si potrebbe raccontare la storia in un altro modo e si

potrebbero
> aprire nuove prospettive. Nella debolezza c'e' una ricchezza che, volendo,
> sarebbe capace di governare il mondo, di renderlo diverso.
>
> 5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LE PAROLE E LA GUERRA
> [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti:

giulio.vittorangeli@???)
> per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali
> collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose
> impegnate nella solidarieta' internazionale]
> Dubito che ci si possa immedesimare con chi questa guerra oscena la

subisce,
> ma e' veramente ipocrita chi ne discute comodamente seduti in poltrona.
> Davvero la parola e' niente di fronte a cadaveri sventrati, corpi mutilati

e
> atroci pianti di madri; perche' la guerra ammala anche il linguaggio. Non

se
> ne puo' piu' dell'eufemismo che dice "intervento" invece che "guerra", che
> chiama le bombe "uso della forza", dei giochini per cui la guerra e'

sempre
> fra "gli alleati" e "gli uomini di Saddam", mai fra "l'Iraq" e "gli uomini
> di Bush e Blair". Ha scritto Marc Auge' ("Il manifesto", 6 aprile 2003):
> "L'aspetto piu' terrificante delle immagini e dicerie con cui si pretende

di
> informarci e' che le parole, lungi dal dare un senso alle immagini, hanno
> perso il loro significato. La democrazia, i diritti umani, la liberta', i
> fini umanitari: tutte nozioni massacrate dai bombardamenti di una retorica
> arrogante, tracotante, ingarbugliata e cialtrona. Come le citta' in

rovina,
> le macerie semantiche testimoniano il trionfo della farneticazione (...).

La
> guerra e' dappertutto e da nessuna parte. Le immagini la mostrano, le
> immagini la mascherano. Le parole fuggono, le parole mancano. Quando le
> parole torneranno, sara' per dirci quel che le immagini non riuscivano a
> tacere. Che questa guerra non si doveva fare".
> Eppure la guerra teme la parola, in particolare quando diventa poesia. Un
> tempo la poesia e' stata profezia e preveggenza, oggi conserva la

capacita'
> di restituire alle parole il loro significato piu' profondo e autentico.
> Ieri come oggi i poeti vengono banditi dalle citta' e dalle case perche'
> smascherano l'ipocrisia dei politici e dei mercanti di morte. Si cerca di
> far accettare l'inaccettabile, usurpando e rovesciando il senso delle
> parole, cosi' le guerre diventano giuste, umanitarie e sante, e quindi
> inevitabili e - perche' no? - desiderabili!
> Da quando le bombe sono diventate intelligenti c'e' di che preoccuparsi di
> come viene utilizzata la parola e l'intelligenza. Per arrivare al

ripugnante
> "effetto collaterale" con cui viene definita la morte di civili innocenti.
> Per restare al far-west iracheno: le stragi al mercato nei due quartieri
> popolari di Baghdad, gli undici bambini bombardati nella fattoria, le
> famiglie sterminate dai razzi mentre fuggivano, quelle uccise
> (prevalentemente donne e bambini) su un furgoncino perche' non si sono
> fermati all'alt, ospedali sventrati, bambini morti o deturpati dalle

bombe,
> persone disperate, case distrutte, macerie ovunque... si puo' fare

l'elenco
> di una lugubre litania. Ma sembra che non accada niente di grave: il

crimine
> e' ingrediente quotidiano e rischia di diventare assuefazione.
> Nonostante tutto, la guerra e i suoi rappresentanti temono le parole

perche'
> prima o poi torneranno a riprendersi il loro vero significato. Allora
> riappropriamoci della poesia perche' la parola pace possa raggiungere gli
> uditi meno sensibili, anche quelli dei potenti che solo con la forza

tentano
> di dominare il mondo. Lo facciamo con un piccolo Promemoria scritto da
> Gianni Rodari:
> "Ci sono cose da fare ogni giorno:
> lavarsi, studiare, giocare,
> preparare la tavola
> a mezzogiorno.
> Ci sono cose da fare di notte:
> chiudere gli occhi, dormire,
> avere sogni da sognare,
> orecchie per non sentire.
> Ci sono cose da non fare mai
> ne' di giorno ne' di notte,
> ne' per mare ne' per terra:
> per esempio, la guerra".
>
> 6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: DUE NOTE SUL GIORNALISMO E SULL'OCCIDENTE
> [Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo i seguenti due articoli,
> rispettivamente il primo ("Embedded in guerra e in pace") dall'edizione

del
> 7 aprile 2003; e il secondo ("In nome dell'Occidente") dall'edizione

dell'8
> aprile 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini@???) e'

una
> prestigiosa giornalista e saggista]
> I. Embedded in guerra e in pace
> Se la prima guerra irachena inauguro' l'era delle guerre a copertura
> mediatica totale - tanto totale da "coprire" interamente la realta',

scrisse
> all'epoca Jean Baudrillard - questa seconda pare aver inaugurato
> l'edificante prassi dei giornalisti "embedded", ovverossia incastrati - in
> tutti i sensi - nelle truppe di cui dovrebbero raccontare fatti e

misfatti.
> Li vediamo ogni sera anche nelle nostre tv, ma negli Stati Uniti pare che

i
> loro reportage debordino incontrastati, fonte unica e conferma garantita

del
> discorso ufficiale sulla guerra. E la cosa da' non poco fastidio a chi

della
> guerra ha in testa tutt'altra interpretazione. Tom Engelhardt, l'autore di
> The End of Victory Culture, su "Mother Jones.com" coglie l'occasione per
> sparare a zero contro il giornalismo embedded in tutte le sue forme, di
> guerra e non. Non e' una novita' dell'operazione irachena, denuncia

infatti
> giustamente: e' embedded ormai tutto il giornalismo di palazzo, che della
> "collusione" con l'oggetto che dovrebbe liberamente indagare ha fatto la
> propria cifra. "La collusione e' uno strano misto di possibilita' di
> accesso, adulazione, servitu', attrazione", scrive Engelhardt. E il fatto

e'
> che al giornalismo embedded si somma una visione del mondo a sua volta
> "profondamente embedded", cioe' a sua volta collusa con la collusione. Il
> giornalismo di guerra e' solo la continuazione del giornalismo politico

con
> altri mezzi?
> *
> II. In nome dell'Occidente
> Nell'attesa della battaglia di Baghdad cominciamo a contare i cadaveri.

Non
> quelli che giacciono sul campo e non si contano piu', ma quelli che pesano
> nelle teste. E il cadavere numero uno, il piu' ingombrante di tutti,

quello
> fa piu' sporco il gioco della guerra e che minaccia di agitare il

dopoguerra
> come il fantasma di Amleto agitava il regno putrescente di Danimarca, e'

il
> cadavere dell'Occidente. Cioe' del vincitore.
> Vorrei rovesciare un discorso corrente, che promette in queste ore di
> diventare un alibi politico per quella sinistra moderata sempre in cerca

di
> qualche via di ritirata. Il discorso recita piu' o meno questo: fatta come
> l'ha fatta Bush, questa guerra e' illegittima, violenta, sproporzionata.
> Tuttavia risponde, in modo sbagliato, a una questione fondata. Che sarebbe
> non solo la fine del regime di Saddam Hussein, ma anche e soprattutto la
> democratizzazione forzata dell'Iraq, e ancor di piu' la sconfitta di un
> islamismo che sta diventando la bandiera dell'internazionalismo
> anti-occidentale. Insomma, bisogna in ultima analisi stringersi a coorte a
> difesa dell'Occidente minacciato dallo scontro di civilta'. Come? Tentando
> di condizionare l'estremismo di Bush con la buona volonta' di Blair, e
> ricomponendo per questa via nel dopoguerra la frattura fra Europa e Stati
> Uniti che si e' prodotta con la guerra. Sottoscrivono questo ragionamento
> tutti i pasdaran del riformismo (blairiano), che con la parola "sinistra"
> evitano ormai di contaminarsi. Ma ad articolarlo con il dovuto corredo di
> toni e mezzi toni e' stato, su "Repubblica" di qualche giorno fa, Adriano
> Sofri - e chi oserebbe dubitare della patente di sinistra dell'ex leader

di
> Lotta Continua? nessuno, come non ha mancato di far presente prontamente

"Il
> foglio".
> Lasciamo perdere le patenti, che di questi tempi valgono quanto un
> certificato d'identita' scaduto, e veniamo alle intenzioni morali (e
> moraliste), che invece di questi tempi purtroppo abbondano e abbindolano.

A
> sostegno della sua lealta' con l'occidente scritto minuscolo come vuole un
> sobrio minimalismo, Sofri ne avanza due: corresponsabilita' e

solidarieta',
> due vincoli che dovrebbero legarci tutti, comunque vadano le cose e

chiunque
> guidi la barca, alle nostre democrazie libere (tralascio la polemica sul
> metro di misura di questa liberta', che stavolta e' la liberta' delle

donne
> di decidere non come vestirsi bensi' come pettinarsi: cfr. la guerra
> precedente in Afghanistan).
> Propongo di sostituire queste due obbligazioni morali con due sentimenti,
> che prendo a prestito dalle parole di una occidentalissima e

americanissima
> filosofa come Judith Butler: vergogna e umiliazione. Vergogna e

umiliazione
> sono quello che molti e molte di noi occidentali provano in queste
> settimane. E non, o non solo, per quello che l'Occidente, per il quale
> continuo a nutrire tanta affezione da continuare a scriverlo maiuscolo,

sta
> facendo al popolo iracheno, ma per quello che sta facendo a se stesso:
> sfigurandosi in sostanza e in immagine, fino a diventare impresentabile.

Che
> ne facciamo di questi due sentimenti? Non dubito che la logica binaria e
> strumentale che sempre si impossessa del mercato delle idee in tempi di
> guerra si affrettera' a sospingermi, per queste parole, nel campo
> filoislamico. Inutile depistaggio: e non solo perche' all'Islam non mi

lega,
> non foss'altro che per i rapporti tra i sessi che lo abitano, alcuna
> particolare simpatia. C'e' dell'altro.
> C'e' che, a differenza di quanti civettano con lo scontro di civilta', e a
> differenza altresi' di quanti (a sinistra) sono tentati di ripristinare

sul
> fronte mediorientale le dinamiche del bipolarismo che fu, io non credo che
> stia a Baghdad la trincea politica decisiva. Il mondo non e' piu' quello

del
> Vietnam. E tanto rispetto la resistenza irachena, quanto sono convinta che
> non e' ad essa che possiamo delegare il nostro problema. E il nostro
> problema - per nostro intendo: degli occidentali che provano vergogna e
> umiliazione per le res gestae dell'Occidente - e' esattamente il rovescio

di
> quello di Sofri e compagnia: salvare l'Occidente, si', ma non dai barbari
> bensi' dai suoi usurpatori. Sottrarre la bandiera della democrazia a

leader
> eletti in forza di brogli, apatia politica e miliardi, la bandiera della
> liberta' a governi che ingabbiano la gente a Guantanamo, la bandiera dei
> diritti a sondaggi che equiparano i pacifisti ai terroristi, la bandiera

del
> diritto a chi distrugge in pochi mesi mezzo secolo di diritto
> internazionale. E' questo panorama di macerie il problema di noi

occidentali
> che abbiamo a cuore le sorti dell'Occidente, e a risolvercelo non sara'

ne'
> la colla di Blair sui cocci dell'atlantismo, ne' d'altro canto la

resistenza
> irechena. L'Occidente, che nella sua storia ha fatto tutto e il contrario

di
> tutto, dalle rivoluzioni di liberta' a Auschwitz, e' un'idea molto spuria

e
> tutt'altro che innocente, come dovrebbe essere diventato di senso comune
> dopo decenni di critica postcoloniale delle sue pretese universalistiche.

Ma
> almeno questo dovrebbe avercelo insegnato: che quando il quartier generale
> diventa pericoloso, non lo si copre di solidarieta' ma si combatte, e in
> casa propria.
>
> 7. RIFLESSIONE. UNIONE CRISTIANA EVANGELICA BATTISTA D'ITALIA:

DICHIARAZIONE
> SULLA GUERRA IN IRAQ
> [Ringraziamo Lidia Maggi (per contatti: lidia.maggi@???) per averci
> inviato questa dichiarazione del comitato esecutivo dell'Unione cristiana
> evangelica battista d'Italia sulla guerra in Iraq, del 29 marzo 2003]
> Mentre ascoltiamo le notizie se pur frammentarie che provengono dai campi

di
> battaglia aperti in Iraq dall'attacco anglo-americano, mentre le pagine

dei
> giornali si riempiono di foto di corpi dilaniati, di padri e madri
> disperate, di palazzi sventrati, mentre cominciano a tornare in patria le
> prime bare di soldati occidentali e le strade polverose dell'Iraq si
> riempiono di cadaveri a migliaia, mentre l'odio, la paura e la violenza
> vengono seminati nella coscienza e nel cuore dei bambini iracheni, siamo

qui
> a chiederci: come si poteva evitare tutto cio'?
> In che cosa il popolo della pace, mai tanto numeroso e visibile in ogni
> angolo del mondo, ha sbagliato? Dove hanno sbagliato i cristiani, mai

tanto
> uniti nel dire il proprio no alle minacce di guerra, come in questo
> frangente?
> Come e' stato possibile iniziare una guerra senza tener conto del fatto

che
> la popolazione irachena era gia' alla fame e i loro bambini avevano pagato
> un prezzo altissimo all'embargo per ben 13 anni?
> Come e' possibile oggi dichiarare giusta una guerra? Questa guerra? Una
> guerra in contrasto con l'Onu, che non risponde ad un'aggressione militare
> in atto e che pericolosamente mina un equilibrio gia' precario in una
> regione afflitta da grave instabilita' politica e sociale?
> Ma soprattutto, come invocare Dio mentre ci si prepara ad uccidere? Come
> dire che Dio lo vuole? Quale Dio?
> Una donna di antica saggezza disse un giorno al re Davide proprio per
> respingere la violenza come fonte di giustizia: "Noi siamo come acqua
> versata in terra che non si puo' piu' raccogliere, ma Dio non toglie la
> vita" (II Samuele 14, 14). Se mai citiamo Dio e la sua volonta' per il
> genere umano dobbiamo ricordare la sua supplica affinche' nell'alternativa
> fra vita e morte scegliamo la vita perche' ci sia futuro per noi e per i
> nostri figli (Deuteronomio 30, 19). Ma anche per i figli degli altri.

Gesu'
> stesso disse ai suoi discepoli "Io sono venuto perche' abbiano vita e
> l'abbiano in abbondanza" (Giovanni 10, 10). Cristo crocifisso e' il volto
> della scelta di Dio di donare la vita, non di toglierla, di soffrire la
> violenza, non di farla.
> Nel settembre 2001, durante il convegno nazionale delle nostre chiese,
> restammo in silenzio e in preghiera, esprimemmo la nostra angoscia e
> solidarieta' alle vittime del terrorismo e al popolo americano. Oggi

mentre
> e' in corso un'altra strage, ugualmente evitabile, foriera di altri lutti

e
> di altre distruzioni, diciamo la nostra vicinanza a tutte le vittime e ai
> loro parenti. Diciamo la nostra volonta' e il nostro impegno perche' le

armi
> cessino e si faccia di nuovo spazio al dialogo e alla trattativa

diplomatica
> perche' smantellino in Iraq, ma non solo in Iraq, tutte le armi di
> distruzione di massa, perche' si dia soccorso alla popolazione stremata e

si
> accolgano i profughi. Diciamo il nostro impegno perche' non si

costruiscano
> piu' tali ordigni e ci sia rigido controllo per la commercializzazione di
> tutte le armi.
> Portiamo anche noi cristiani le nostre responsabilita'. Troppo tardi ci
> siamo accorti che la nonviolenza e' nel cuore della rivelazione di Dio,
> troppe bandiere nazionali hanno cancellato nella storia l'immagine di Dio
> nel volto dell'altro, troppo spesso abbiamo nominato il nome di Dio invano

e
> la nostra preghiera si e' trasformata in bestemmia.
> Il futuro di tutti noi e' solo nella pazienza di Dio e nella sua capacita'
> di avere ancora pieta' di noi.
>
> 8. MAESTRE. ARUNDHATI ROY: L'ARGOMENTO DELL'AGO E DEL PAGLIAIO
> [Da Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002, p. 27. Arundhati

Roy
> e' una celebre scrittrice indiana, impegnata contro il riarmo, in difesa
> dell'ambiente e per i diritti dei popoli. Opere di Arundhati Roy: cfr. il
> romanzo Il Dio delle piccole cose, Guanda, Parma 1997; poi in edizione
> economica Superpocket, Milano 2000; e i due saggi di testimonianza e
> denuncia raccolti in La fine delle illusioni, Guanda, Parma 1999, poi in
> edizione economica Tea, Milano 2001, poi recuperati poi nella piu' ampia
> raccolta di saggi di intervento civile, Guerra e' pace, Guanda, Parma

2002]
> Bruciare il pagliaio puo' aiutarvi a trovare l'ago? O servira' soltanto a
> far montare la rabbia e a rendere il mondo un inferno vivente per tutti

noi?
>
> 9. RIFLESSIONE. ALI RASHID: L'OPPOSIZIONE ALLA GUERRA E' LA LEGITTIMA

DIFESA
> DELL'UMANITA' INTERA
> [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003. Ali Rashid e' il primo
> segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di
> profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici,
> economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di
> questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana.

E'
> figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e'

una
> delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica
> palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali
> quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica]
> E' un clima avvilente quello che diffondono i media, e' una Italia inedita
> quella che si vede in tv, fortunatamente non e' il paese reale, ma ci

lascia
> inquieti. E' uno dei tanti effetti non collaterali di questa guerra che ha
> come bersaglio principale la parte piu' avanzata della cultura di pace e

del
> diritto internazionale che molti, in Occidente, vogliono cancellare. E'

una
> colossale campagna di propaganda e incitamento all'odio razziale e

religioso
> costruita sulla menzogna che umilia milioni di donne e uomini vittime di
> circostanze politiche e storiche che hanno frenato il loro sviluppo
> economico, ma che non si sentono figli di una civilta' inferiore. Come si

fa
> a disprezzare interi popoli al punto di crederli incapaci di avere una
> propria memoria? Peggio ancora, di scambiare questa mattanza per il

dominio
> e la rapina, con un'operazione "chirurgica" per portare democrazia e
> liberta' mentre gli invasori vengono accolti con i fiori dagli assediati
> gia' messi alla fame? Solo le parole del papa e la fermezza della chiesa
> cattolica hanno impedito che questa guerra diventasse una guerra di
> religione come avrebbero voluto Bush e bin Laden, cosi' come la grande
> mobilitazione delle forze democratiche e progressiste in Occidente ha
> impedito di trasformarla in una guerra tra civilta' com'e' stata

teorizzata
> dagli ideologi dell'amministrazione americana.
> La settimana scorsa gli abitanti di Jenin, hanno visto girare per il loro
> campo profughi strani "turisti": era una delegazione di ufficiali Usa per
> apprendere la tecnica usata dagli israeliani nell'assedio e l'occupazione
> delle citta' palestinesi. E' uno degli aspetti di cooperazione tra Israele

e
> Stati Uniti che condividono un piano strategico teso a consolidare il loro
> dominio su tutto il Medio Oriente. Solo l'arroganza della forza ed il
> disprezzo d'ogni forma di diritto possono indurre una potenza ad agire con
> tanta superficialita', ma e' quello che Israele pratica da anni. Le nuove

e
> le vecchie minacce alla Siria ed all'Iran, il pieno sostegno alla politica
> di Sharon contro i palestinesi, dimostra che Bush ha adottato in pieno le
> tesi della destra israeliana e dei suoi sostenitore nei circoli reazionari
> degli Stati Uniti rispetto al futuro della regione.
> Se e' vero che L'America possiede la forza di demolire l'Iraq sul piano
> militare, e' altrettanto vero che non avra' la capacita' di gestire il

paese
> e la regione nella fase postbellica, sbagliando finora tutte le sue
> previsioni e incassando piu' d'una sconfitta politica. Perche'? Perche'

sta
> destabilizzando un quadro geopolitico che aveva permesso proprio agli Usa

di
> dominare l'area per quasi 50 anni. In Iraq ed in tutto il mondo arabo, ed

in
> parte in quello islamico, e' iniziata con questa guerra una fase di
> resistenza politica, culturale e militare contro il piano di dominio
> americano. Si rafforzano, e' vero, in Medio Oriente da una parte le
> organizzazioni piu' radicali di matrice religiosa, pero' in assenza di
> guerra di religioni o di una nuova crociata - e questo grazie alla chiesa,
> apprezzata per questo anche dagli ambienti islamici piu' integralisti. Ma,
> dall'altra, grazie alla straordinaria mobilitazione democratica e

pacifista,
> ecco che stanno emergendo nuove realta' e movimenti sociali e politici che
> si misurano con i contenuti della liberta', dell'emancipazione e del
> processo di liberazione nazionale incompiuto.
> A differenza del passato, ed a causa della divisione in Occidente tra la
> barbarie di chi vuole la guerra, e la civilta' di chi vuole la pace, oggi
> esistono le condizioni per una stagione di comunicazione che prima

sembrava
> impossibile. Oggi vanno concentrati tutti gli sforzi per fermare la guerra
> ed impedire agli americani di raccoglierne i vantaggi, sapendo fin d'ora

che
> raccoglieranno solo il disastro che hanno seminato: un paese balcanizzato

e
> ingovernabile, una grande Striscia di Gaza. Cosi', augurarsi una vittoria
> rapida degli americani significa soltanto volonta' di salire sul carro dei
> vincitori e porre fine ad una straordinaria mobilitazione popolare che sta
> cambiando il modo di concepire l'impegno politico, trasformato negli

ultimi
> anni (sia in Oriente che in Occidente) nel diritto esclusivo di una casta
> privilegiata.
> La tragedia che si consuma in Iraq coinvolgera' inevitabilmente altri

paesi
> e popoli, il punto di partenza per fermarla e' la continua mobilitazione

in
> Occidente contro la guerra, perche' si affermino i suoi valori piu' alti

ed
> il riprestino della legalita' internazionale. Abbiamo, da parte nostra, il
> dovere morale e politico di opporre tutte le forme di resistenza possibile

a
> questa guerra - tenendo possibilmente fuori la religione. E' una battaglia
> di difesa, ma legittima e doverosa, in attesa di restituire credibilita'
> alla politica ad al diritto internazionali umiliati da Bush e da Sharon.
>
> 10. APPELLI. YESH GVUL: FERMATE IL MASSACRO
> [Dagli amici della redazione di "Missione Oggi" (per contatti: e-mail:
> missioneoggi@???; sito: www.saveriani.bs.it/missioneoggi/)
> riceviamo e diffondiamo questo noto appello del gruppo pacifista

israeliano
> Yesh Gvul (per contatti: www.yesh-gvul.org). "Yesh Gvul ('C'e' un

limite!')
> e' un gruppo di pacifisti israeliani che si batte contro l'occupazione dei
> territori, appoggiando i refusenik: ovvero i soldati disponibili a far
> servizio nell'esercito, ma non nei territori. Dal 1982 - quando per la

prima
> volta, durante l'invasione israeliana del Libano, ci si comincio' a

chiedere
> che senso avesse quell'atto di aggressione - il numero dei refusenik ha
> continuato a salire: dai 168 soldati incarcerati ripetutamente vent'anni

fa,
> ai quasi 200 in occasione della prima Intifada nel 1987, ai mille di

oggi"]
> Fermate il massacro. Ponete fine all'occupazione. L'occupazione genera
> terrorismo. L'occupazione militare e' terrorismo.
> Quando ordinate o permettete esecuzioni extragiudiziali ("liquidazioni" in
> gergo militare), quando ordinate o permettete la demolizione di case
> abitate, quando fate fuoco sulla popolazione civile inerme o sulle sue
> abitazioni, quando sradicate frutteti, quando impedite gli
> approvvigionamenti di cibo o le cure mediche, state compiendo azioni
> definite dalle convenzioni internazionali (come la quarta Convenzione di
> Ginevra) e dalla stessa legge israeliana, crimini di guerra.
> Pensate che tali crimini siano giustificabili? Considerate giustificabile
> demolire case e distruggere le proprieta' di intere famiglie? E'
> giustificabile l'uccisione di bambini, donne, vecchi o, comunque, di

civili
> inermi?
> Cosa sono questi territori "di sicurezza" che giustificano il ridurre alla
> fame interi villaggi e privare i malati delle cure mediche? Che genere di
> "sicurezza" puo' nascere dal coprifuoco e dall'assedio, dalla confisca

delle
> terre, dall'impedire che la gente lavoro o studi, dall'umiliazione dei

posti
> di blocco, dalle perquisizioni violente nelle case palestinesi?
> Ponete fine all'occupazione! Interrompete la catena di sangue! Ogni
> "liquidazione" (assassinio) prepara un atto terroristico. Il bambino che
> ferite oggi, sara' il terrorista di domani. Ponete fine all'occupazione.
> Fermate il massacro. Il mondo vi guarda.
>
> 11. APPELLI. WAR RESISTERS' INTERNATIONAL: A SOSTEGNO DEGLI OBIETTORI DI
> COSCIENZA ISRAELIANI
> [Dal Movimento Nonviolento (per contatti: azionenonviolenta@???)
> riceviamo e diffondiamo questo appello della War Resisters' International
> (per contatti: e-mail: concodoc@???, o anche: info@wri_irg.org,

tel.
> 442072784040)]
> Il comitato esecutivo della War Resisters' International, il network
> ultraottantenne di associazioni pacifiste che collega 90 affiliati in 45
> paesi, ha espresso grave preoccupazione per la situazione degli obiettori

di
> coscienza israeliani. La posizione e' stata espressa durante l'incontro

che
> si e' tenuto a Londra nel week-end passato. Alla luce delle pene crescenti
> comminate agli obiettori israeliani, il comitato esecutivo fa appello al
> governo israeliano perche' riconosca il diritto umano all'obiezione di
> coscienza.
> Invita i movimenti pacifisti internazionali a sostenere gli obiettori
> israeliani, e a far conoscere la loro protesta contro le politiche di
> governo.
> Israele non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza, che deriva
> dall'art. 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e

politici,
> di cui Israele e' un firmatario. Nonostante questo, e in risposta al

numero
> crescente di obiettori che rifiutano di arruolarsi, le autorita'

israeliane
> stanno moltiplicando le condanne per i giovani refusenik. Ancora in
> violazione del diritto internazionale, gli obiettori di coscienza vengono
> incarcerati piu' e piu' volte - proprio di recente l'obiettore di

coscienza
> Jonathan Ben-Artzi ha ricevuto l'ottava condanna, e Dror Boimel ha

iniziato
> la settima. Allo scopo ulteriore di fiaccare la determinazione di questi
> giovani, le autorita' militari li stanno ora sottoponendo alla prova della
> Corte Marziale, nonostante abbiano gia' trascorso in cella oltre 150

giorni.
> Una corte marziale puo' condannarli per un periodo massimo di 3 anni.
> Jonathan Ben-Artzi e Dror Boimel saranno i primi.
> Un rapporto della War Resisters' International sull'obiezione di coscienza
> in Israele, recentemente sottoposto al Comitato sui diritti umani dell'Onu
> (e pubblicato in sintesi sul prossimo numero di "Azione nonviolenta" -

ndt),
> elenca oltre 180 obiettori di coscienza incarcerati tra il settembre 2001

e
> il gennaio 2003 - in tutto, piu' di 6.500 giorni di carcere.
> La War Resisters' International chiede al governo israeliano:
> - di riconoscere il diritto all'obiezione di coscienza, e di approvare una
> legge al riguardo secondo gli standard stabiliti dalla Commissione Onu sui
> diritti umani nelle risoluzioni 1998/77 e 2002/45;
> - di rilasciare immediatamente tutti gli obiettori in carcere, e di
> posticipare la chiamata alle armi di quanti dichiarano la loro obiezione

di
> coscienza al momento in cui ci sara' una legge in materia.
> La War Resisters' International invita con urgenza le organizzazioni
> affiliate, le altre organizzazioni pacifiste e ognuno di noi a:
> - esprimere la loro protesta contro l'incarcerazione di obiettori di
> coscienza scrivendo lettere alle ambasciate, ai militari e al governo di
> Israele;
> - sostenere gli obiettori di coscienza in carcere inviando loro lettere e
> messaggi;
> - prendere parte alla campagna della War Resisters' International a

sostegno
> degli obiettori, che culminera' il 15 maggio con la Giornata

Internazionale
> dell'obiezione di coscienza: organizzate azioni di protesta,

manifestazioni,
> seminari, dibattiti pubblici, per aumentare la consapevolezza al riguardo

e
> sostenere gli obiettori israeliani;
> - unirsi ad una delegazione della War Resisters' International come
> osservatori delle corti marziali che giudicheranno gli obiettori di
> coscienza.
> Il comitato esecutivo della War Resisters' International: Joanne Sheehan,
> Bart Horeman, Ellen Elster, Siva Ramamoorthy
>
> 12. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UNA CHIESA CATTOLICA PER GLI INDU'
> [Ringraziamo Augusto Cavadi per averci messo a disposizione questo suo
> articolo apparso nell'edizione palermitana de "La repubblica" il 26 marzo
> 2003. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica,
> impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
> Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
> problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
> Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
> consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili

a
> questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
> Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990;

trad.
> portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
> Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992,

trad.
> portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
> ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
> puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda
> ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll.,
> Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio,

criteri
> educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione
> "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione
> profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad.

spagnola
> 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998;
> Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore

sociale,
> Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998,
> seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni

di
> storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999;
> Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica,
> Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria
> Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
> antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
> http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]
> Domenica scorsa a Palermo, come in Sicilia (vedi manifestazione regionale

a
> Sigonella) e nel resto del mondo, e' stato tutto un fermento di iniziative

e
> incontri per contestare l'ipocrita guerra di Bush e per sollecitarne una
> chiusura piu' rapida possibile. In questo arcipelago di appuntamenti

rischia
> di passare inosservata una manifestazione che invece, per molti motivi,
> avrebbe meritato una maggiore attenzione pubblica. Dalle 12 alle 20 in via
> Liberta' si e' assistito a una serie di canti, danze e preghiere per la

pace
> realizzate da connazionali di varie provenienze etniche.
> Dai Tamil dello Sri Lanka a immigrati provenienti dal Bangladesh, dalle
> isole Mauritius, dall'India e dalla Persia.
> Che cosa accomuna uomini e donne cosi' diversi per il colore della pelle,
> per la lingua, per i gusti nell'abbigliamento? Il fatto di essere seguaci
> dell'induismo.
> So benissimo che nove lettori su dieci non hanno un'idea precisa di questa
> religione che pure per eta' e' la piu' antica del mondo e per diffusione

fra
> le prime cinque del pianeta (neppure io l'avrei se, dopo la laurea in
> filosofia, non mi fossi dedicato per mio conto allo studio delle

teologie):
> ma spero che, a differenza di tanti nostri compatrioti scalpitanti alla
> Bossi, concordino sul fatto che questa ignoranza non puo' addebitarsi agli
> induisti.
> Le persone di buon senso, infatti, indipendentemente dal proprio privato
> rapporto col Padreterno, auspicano da anni che l'insegnamento

confessionale
> della religione cattolica (affidato a docenti scelti arbitrariamente dalla
> curie vescovili) venga sostituito nelle scuole dall'insegnamento
> aconfessionale della storia delle religioni (affidato a docenti scelti

sulla
> base di graduatorie di merito culturale) in modo che atei e credenti
> occidentali guariscano dall'analfabetismo in proposito.
> Gia' il fatto che i membri di una religione politeista (che onora cioe'
> molti dei), con forti tinte panteistiche (che vede in tutti gli dei, ma
> anche nella natura e negli animali, la manifestazione di un'unica

divinita'
> onnipresente), uniscano la loro invocazione di pace a quella dei seguaci
> delle tre religioni del Libro (ebrei, cristiani e islamici) e' un evento
> originale e significativo.
> Ma la manifestazione di Palermo era stata programmata da tempo con un
> intento specifico: la richiesta alle autorita' civili e religiose di un
> tempio per le celebrazioni liturgiche induiste. E questa richiesta, che va
> ben oltre le drammatiche contingenze storiche, non puo' cadere nel vuoto.

Se
> aveva una qualche ragione il cardinal Martini, prima di lasciare la

diocesi
> di Milano, nel ritenere che la differenza fra chi pensa e chi non pensa e'
> piu' decisiva della differenza fra chi crede (o crede di credere) e chi

non
> crede (o crede di non credere), direi che i pensanti palermitani debbano
> ascoltare non solo la voce del cuore ma anche le indicazioni della

ragione.
> Dare una casa di silenzio e di preghiera a una sempre piu' consistente
> minoranza religiosa, infatti, non e' soltanto un gesto di solidarieta'
> umana: e' anche, e direi soprattutto, una scelta d'intelligenza politica

nel
> senso piu' alto e piu' lungimirante del termine.
> Non si tratta di esprimere "tolleranza" nei confronti di chi rivendica un
> diritto un po' bislacco: si tratta di capire che una metropoli puo'

vantarsi
> di svolgere un ruolo internazionale di mediazione solo se, effettivamente

e
> concretamente, sa ospitare le tradizioni religiose e culturali piu'

diverse.
> Gia' e' strano, e mutilante, che Palermo pretenda di giocare il ruolo di
> cuore del Mediterraneo senza una sinagoga ebraica e con una moschea

islamica
> soltanto (gestita per giunta da un'autorita' non unanimemente riconosciuta
> da tutti i cittadini islamici operanti in citta'): sarebbe un'aggravante

se
> dovesse continuare a non prevedere uno spazio ne' per gli induisti (che lo
> chiedono in questa occasione, anche con manifesti sparsi per le vie) ne'

per
> i buddisti (la quinta grande "filosofia religiosa" dell'umanita').
> La richiesta dei fratelli induisti (i correligionari, tanto per citare a
> caso due nomi, di Gandhi e di Tagore) e' rivolta agli amministratori di
> Palermo: ma, nell'attesa che essi decidano e che traducano in atto la loro
> decisione, sarebbe un gesto profetico e "pacifico" se intanto

l'arcivescovo
> della citta', cardinale Salvatore De Giorgi, affidasse agli induisti una
> delle tante chiese chiuse, o quasi, di cui ridonda il centro storico.

Forse
> la decisione di raccogliere il desiderio legittimo di tanti concittadini
> priverebbe, almeno provvisoriamente, la comunita' cattolica di un tempio

ma
> contribuirebbe, per il contraccolpo positivo, a ripopolare le altre cento
> chiese in progressivo abbandono da parte dei fedeli sempre meno

praticanti.
>
> 13. MAESTRE. CHARLOTTE BRONTE: ACHAB E MICHEA
> [Da Charlotte Bronte, Jane Eyre, Garzanti, Milano 1974, 1980, p. 4. E' un
> passo dalla prefazione alla seconda edizione, datata 21 dicembre 1847.
> Charlotte (1816-1855) e' con Emily ed Anne una delle tre sorelle Bronte

che
> hanno lasciato una cosi' forte impronta nella letteratura e nella cultura
> europea dell'Ottocento. Il suo capolavoro Jane Eyre e' ancora una preziosa
> lettura]
> Achab non amava Michea perche' gli prediceva non il bene ma il male; forse
> gli preferiva il sicofante figlio di Chenaana; e tuttavia Achab sarebbe
> forse sfuggito a una morte cruenta se avesse chiuso il suo orecchio
> all'adulazione e lo avesse aperto al consiglio sincero.
>
> 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
> Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza

individuale
> e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale,

nazionale
> e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
> alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue

lo
> scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova

il
> libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
> Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
> 1. l'opposizione integrale alla guerra;
> 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
> l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
> nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
> geografica, al sesso e alla religione;
> 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura,

e
> la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
> responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
> comunitario;
> 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che

sono
> patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione

e
> contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
> Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
> dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
> dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di

critica.
> Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,

l'educazione,
> la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
> noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
> di organi di governo paralleli.
>
> 15. PER SAPERNE DI PIU'
> * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
> contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@???
> * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
> Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in

Italia:
> www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@???;
> angelaebeppe@???; mir@???, sudest@???
> * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
> Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
> per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
> contatti: info@???
>
> LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
>
> Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
> Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
> Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,

01100
> Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@???
>
> Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un

messaggio
> con richiesta di rimozione a: nbawac@???
>
> Numero 561 del 9 aprile 2003


___________________________________


Da due giorni non riesco ad entrare in comunicazione con Baghdad. 48 ore
nelle quali sono accadute molte cose. Sono aumentati i feriti, salito il
numero delle vittime. Bombardato perfino l'hotel "Palestine".
E proprio di questo attacco all'hotel dei giornalisti dei network
televisivi parla nella sua corrispondenza di stasera Rosarita Catani.
Di come la tv araba ha trattato la notizia, dei colleghi morti,
dell'indignazione che questa azione provoca.

Non rinuncio nel provare a telefonare. Ci passassi pure tutta la notte.
robdinz




di Rosarita Catani
daShafa Badran
(Amman)
Giordania

La persona in questa foto e' un giornalista del REUTERS. Colpito al volto.
Quest'immagine si commenta da sola.

[Nota: la foto in questione e' visibile all'indirizzo
http://italy.indymedia.org/uploads/reuters.jpg ]

Oggi la televisione araba ha dedicato quasi interamente tutti i servizi
all'attacco ai giornalisti.

Questo che vedete nella foto e' il giornalista d'Al Jazeera, di
nazionalita' giordana, si chiamava Tarek Aiub. Era appena arrivato da
Amman, aveva 35 anni. Lascia la moglie e la figlia piccola di un anno e due
mesi. Indossava un giubbotto antiproiettile ed aveva sul capo un elmetto
per proteggere la testa da eventuali colpi. Era seduto a terra sul terrazzo
della sede di Al Jazeera in Bagdad, dietro di lui una pila di sacchi
all'uso militare. Stava commentando quando succedeva intorno a lui. Si
guarda intorno. Ad un certo punto dice al suo interlocutore: "Aspetta sento
i rombi degli aerei. Aspetta un attimo sento gli aerei che si avvicinano."
E' l'ultima frase che lui ha potuto dire.

Un aereo americano lancia le sue bombe proprio sulla sede della televisione
araba.

Vedo gli altri giornalisti correre verso il loro collega e raccogliere i
resti del suo corpo dentro un lenzuolo. E' morto cosi' Tarek Aiub.

Un cameraman della televisione araba ABUDABI riprende e registra queste
immagini. Sembra un film, un altro aereo vira e colpisce la sede della
televisione. 4 giornalisti sono stati feriti gravemente. Il problema che in
ospedale non hanno medicine per curarli. La tensione e' molto alta.

Un giornalista spagnolo, dall'alto dell'albergo Palestine registra e
fotografa le immagini dello scontro tra fedayn e carri armati americani sul
ponte di Bagdad. Forse ha visto qualcosa che non doveva vedere perche' un
carro armato lo avvista, gira il proprio cannone, prende la mira e spara in
direzione dell'Hotel. Il Palestine e' bombardato, contemporaneamente, anche
dagli aerei.

Il fotografo spagnolo e' colpito al viso. Gli manca una gamba. Morira'
subito dopo in ospedale. Una giornalista del Reuter e' colpita al ventre
morira' anch'essa poco dopo in ospedale. Un'altra sua collega la
trasportano in macchina e' gravemente ferita. Si copre il viso con le mani
insanguinate e piange.

L'inviato della televisione araba degli Emirati Arabi Uniti "ABUDABI " ha
lanciato una richiesta d'aiuto.Ha fatto un appello alle organizzazioni
umanitarie ed ai Mass Media per salvare un gruppo di giornalisti. Gli
stessi sono all'interno dell'Ufficio dell'emittente televisiva a Bagdad.

Il giornalista, il suo nome e' Sharek Hamed, che stava parlando in diretta
ha dichiarato che 25 persone appartenenti a detta televisione assieme ad
altri operatori d'Al Jazeera non possono muoversi e che sono accerchiati a
causa degli scontri vicini al loro ufficio.

Intanto, fuori l'hotel Palestine, i giornalisti si riuniscono. Accendono
delle candele per commemorare i loro colleghi. Lanciano un appello.
Chiedono esplicitamente di non far attaccare i mezzi d'informazione.

Ad Amman dinanzi la sede dell'emittente Al Jazeera c'e' stata una piccola
dimostrazione. Dimostrazione volontaria e spontanea di gente comune e di
giornalisti che gridavano: Fuori gli americani"

(fine)



[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su

http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php

Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto
dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie
persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai
telefoni di due alberghi della capitale, dove è ospitata la stampa
internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente,
free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora
con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte"
per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande
onestà intellettuale e capacità professionale nella attuale realtà
(drammatica) della città.]