[Cm-crew] Succede negli USA

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Autore: saigon saigon
Data:  
Oggetto: [Cm-crew] Succede negli USA
report from:
http://italy.indymedia.org/news/2003/04/250236.php

Succede negli USA. Direct Action.
by . Monday April 07, 2003 at 09:09 PM




dalla lista movimento di ecn.org

Il movimento pacifista americano passa all’azione
diretta. A due settimane
dall’inizio del conflitto in Irak, il movimento contro
la guerra negli Stati
Uniti, tutt’altro che ammutolito dall’ondata di
patriottismo che sta
investendo il paese, si “radicalizza” e dopo le
manifestazioni di San
Francisco e New York organizza per il 7 aprile la
giornata nazionale
dell’azione diretta e della disobbedienza civile
contro la guerra.
Se le truppe alleate non riescono a tenere sotto
controllo il territorio
“liberato” in Irak, negli Stati Uniti i maggiori mezzi
d’informazione, come
la Nbc, la Cnn e la FoxTv, per ora riescono ad avere
il controllo
incontrastato del homefront, tenendo alto il tasso di
ubriacatura
patriottica e oscurando ogni voce di dissenso interno.
Fallita la guerra
lampo del Pentagono, basta con le immagini dal fronte,
ma servizi dalle
retrovie, che suscitino sostegno e appoggio morale ai
soldati USA. Come
successe dopo l’attentato dell’11 settembre al World
Trade Center, in cui il
paese si strinse solidale intorno alle famiglie delle
vittime e ai pompieri,
adesso l’opinione pubblica deve essere nuovamente
unita e solidale con i
marines e le loro famiglie. Di fronte all’escalation
militare e alle
manifestazioni di patriottismo, sbandierate e mostrate
in ogni occasione dai
media, il movimento pacifista americano ha reagito
mutando decisamente
rotta. Non più solo grandi manifestazioni accordate
con le autorità, ma
azioni improvvise e imprevedibili di disobbedienza
civile non-violenta,
seguendo l’esempio della manifestazione di San
Francisco del 21 marzo, in
cui fu paralizzata l’intera città. Tuttavia, secondo
il New York Times la
scelta di passare alla disobbedienza civile, sta
mettendo a dura prova
l’unità del movimento tra i gruppi di orientamento
liberal, vicini al
Partito Democratico, e quelli radical, che da Seattle
in poi hanno
costituito l’ossatura del movimento anti-global.
Riguardo ai possibili
contrasti tra le diverse anime del pacifismo
americano, già alla vigilia
della giornata di protesta mondiale contro la guerra
del 15 febbraio, sul
numero speciale dell’Indypendent, il mensile
autogestito dal network di
Indymedia di New York, fu pubblicata un’intervista a
Barbara Epstein,
studiosa dei movimenti radicali e del femminismo
americano, in cui fu
affrontata tra le varie domande la questione della
diversità culturale e
politica interna al movimento pacifista di oggi.
Secondo Barbara Epstein “la
generazione che manifestò a Seattle contro il WTO sta
radicalizzando in
questi mesi il nuovo movimento pacifista. Ma non
bisogna dimenticare che la
forza del movimento pacifista deriva proprio dalla sua
diversità. Le ragioni
del pacifismo hanno raggiunto un forte consenso in
alcune aree del mondo
cattolico e protestante. E’ incredibile come le
correnti religiose
principali si siano schierate contro la guerra anche
negli Stati Uniti.
Riuscire a mantenere questa spinta radicale e a
mediare con le altre
correnti principali e minoritarie del pacifismo è un
problema che gli
attivisti anti-global devono essere in grado di
gestire nelle prossime
settimane”
La questione, che sollevò Barbara Epstein sulla
diversità politica e
culturale interna al movimento contro la guerra, fu
ripresa dal New York
Times nell’editoriale del 29 marzo (Antiwar effort
emphasizes Civilty over
Confrontation), firmato dai giornalisti Kate Zernike e
Dean E. Murphy.
Secondo gli editorialisti del NYT, le azioni di
disobbedienza civile come
quella praticata a San Francisco, organizzata dal
gruppo Direct Action to
Stop the War, in cui ci furono più di mille arresti
tra i manifestanti, ha
fatto esplodere le tensioni tra le diverse anime del
movimento pacifista
americano. Gruppi legati al mondo religioso cattolico
e protestante, come il
National Council of Churches e l’Evangelical Lutheran
Church e vicine
all’area del Partito Democratico, come Win Without War

(http://www.winwithoutwarus.org) e United for Peace
and Justice,
(http://www.unitedforpeace.org, nata il 25 ottobre a
Washington da una
scissione di alcuni gruppi moderati dalla coalizione
di sinistra
International Answer a causa del suo orientamento
anti-israeliano),
preoccupati di perdere l’appoggio dei cattolici, dei
protestanti e dei
gruppi moderati ebraici e di essere attaccati come
antipatriotti dai media,
hanno preso le distanze ufficialmente dalla
disobbedienza civile, cercando
nuove forme di visibilità e di protesta meno radicali.
Ad esempio la
coalizione Win Without War, guidata dal deputato
democratico Tom Andrews,
che si autodefinisce come la voce patriottica
ufficiale del pacifismo
americano, ha promosso diverse azioni di pressione sul
congresso e
sull’opinione pubblica: da una parte denunciando il
taglio di 844 milioni di
dollari, votato dai deputati repubblicani,
all’assistenza sanitaria per i
veterani e gli invalidi di guerra (mentre Bush ha
chiesto al Congresso ben
75 miliardi di dollari per finanziare la guerra),
dall’altra organizzando la
raccolta dei fondi per l’associazione umanitaria Iraqi
Emergency Relief
Fund, denunciando gli effetti provocati dalle bombe
“intelligenti” sui
civili irakeni. Attraverso queste forme di pressione
sul congresso e di
denuncia delle tragiche conseguenze umanitarie, Win
Without War si propone
di mantenere aperta la dialettica tra il movimento e
il resto della società
americana e di evitare l’isolamento sia politico che
mediatico, che subì il
movimento anti-global dopo l’11 settembre.
Questo quadro descritto nell’editoriale del New York
Times, di un movimento
pacifista diviso tra i gruppi radical e liberal sulla
questione della
disobbedienza civile, non riflette per nulla la realtà
della base del
movimento. La distinzione tra radical e liberal tende
a semplificare un
movimento complesso, i cui confini politici ed
ideologici non sono così
definiti e a volte appaiono sfumati, a causa del
carattere “leggero” delle
organizzazioni pacifiste e della fluidità degli
attivisti nel passare da
un’organizzazione all’altra. Non c’è da stupirsi ad
esempio, se
l’organizzazione moderata United for Peace and Justice
sostenga apertamente
la giornata nazionale dell’azione diretta e della
disobbedienza civile del 7
aprile, organizzata da vari gruppi di orientamento
anarchico, genericamente
chiamati Autonomous Direct Action Affinity Groups,
nonostante che alcuni
suoi dirigenti abbiano criticato la gestione della
manifestazione di San
Francisco. La giornata di protesta contro la guerra,
che si è svolta giovedì
27 marzo a New York, ha smentito nel modo più
clamoroso ogni ipotesi di
divisione interna al movimento sulla questione della
disobbedienza civile.
Arun Aguiar, coordinatore della protesta di New York e
membro del collettivo
di Indymedia di New York spiega la scelta della
disobbedienza civile: “Il
movimento pacifista ha organizzato manifestazioni di
massa per mesi ma non è
stato in grado di fermare la guerra. Adesso ricorriamo
alla disobbedienza
civile come scelta estrema per evitare che continui la
guerra e per il
ritiro delle truppe”. Bill Dobbs, portavoce di United
for Peace and Justice,
aggiunge: “Quando la gente è disposta ad usare il
proprio corpo per una
causa, significa che è avvenuta una svolta seria
all’interno del movimento”.
Una svolta che è avvenuta nei giorni scorsi dopo una
serie di confronti tra
gruppi di diverso orientamento all’interno della
chiesa United Methodist
Church, situata nel del Greenwich Village, dove
mercoledì sera è stata
battezzata la nuova coalizione pacifista di New York
la M27Coalition
(http://www.M27coalition.org). Ispirandosi al modello
organizzativo del
gruppo di San Francisco, Direct Action to Stop the
War, la M27 si propone di
organizzare azioni di disobbedienza civile
non-violenta a New York e a
livello nazionale, contro le istituzioni federali, le
corporations e i media
che appoggiano la guerra.
Giovedì 27 è stata la prima dimostrazione di
disobbedienza civile a New York
dallo scoppio della guerra e per la nuova coalizione è
stata la grande prova
generale per la mobilitazione del 7 aprile. La
protesta inizia al momento
giusto nel posto giusto: le otto venti del mattino in
piena “rush our” nel
cuore di Manhattan senza alcun preavviso più di
duemila pacifisti arrivano
davanti al Rockefeller Center e bloccano l’incrocio
tra la Fifth Avenue e la
50.ma strada. I manifestanti rappresentano una miscela
di tutte le tendenze
del movimento pacifista americano. Anche se la grande
maggioranza è formata
da studenti delle università di New York, sono
presenti sindacalisti, legati
US.Labor Agaisnt War (http://uslaboragainstwar.org,
un’organizzazione
pacifista che rappresenta più di due milioni di
lavoratori iscritti
all’AFL-CIO e ai sindacati di base) esponenti del
mondo cattolico ed
attivisti della United for Peace and Justice. Cento
manifestanti occupano
l’incrocio e si gettano per terra come morti in un
“die in”. Ai lati il
resto dei manifestanti blocca l’apertura dei centri
commerciali e degli
uffici della Nbc, una delle reti tv più schierate a
favore della guerra, e
della General Electric, la quale otterrà dalla guerra
un significativo
incremento d’affari. Dopo solo venti minuti il blocco
stradale è sciolto
dall’intervento della polizia che arresta duecento
manifestanti, ma ormai lo
scopo dell’azione è stato raggiunto: la Fifth Avenue
bloccata, il traffico
intasato e negozi ed uffici rimasti chiusi dai presidi
della polizia. I
manifestanti si spostano velocemente e si
riorganizzano in altre aree della
città, incrociandosi con altri gruppi di pacifisti che
stanno già attuando
altre azioni di “disturbo creativo” fuori degli uffici
di multinazionali,
società petrolifere e gruppi economici che fanno
affari con il Pentagono. Le
proteste sono andate avanti tutta la giornata senza
sosta, con la polizia
costretta a correre continuamente in questo o in quel
punto della città per
bloccare le proteste dei pacifisti: cinquanta ciclisti
di Critical Mass
(http://www.Critical-mass.org) che con bandiere della
pace e fischietti da
Time Square sono scesi fino a Washington Square,
rallentando tutto il
traffico di Manhattan. Le femministe del gruppo Code
Pink che “morivano”
dentro Tiffany, la più prestigiosa gioielleria di New
York sulla Fifth
Avenue, continuando davanti alla fontana del Plaza
Hotel senza subire
arresti. Infine gli studenti della New York
University, che dopo un sit-in a
Washington Square, hanno occupato lo Student Center
dell’università per
tutto il giorno. La guerra non sara' stata bloccata ma
di sicuro la vita
nelle citta' americane sara meno tranquilla.



"When I'm good, I'm very good, when I'm bad ..I'm
better!" B.B






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