Ecco il report 51 con due corrispondenze che mi arrivano dal mio contatto
> giordano:
> is http://italy.indymedia.org/news/2003/04/248878.php
> La jeep Hammer sporca di polvere e fango con le insegne "UsArmy"
> avanza lentamente proprio dietro l'Università. Dietro di lei un convoglio
> di almeno 15 altri mezzi militari "leggeri". Su ciascuna è montata una
> mitragliatrice pesante, quelle con il nastro dei proiettili grandi come un
> dito che esce dai due lati del caricatore. Tre uomini, tre soldati
> americani con elmetto con un copri-elmo mimetico, una giubba di cotone
> pesante beige dalla quale escono piccoli fili e cavi arrotolati che
> rimandano agli auricolari ed ai sistemi di comunicazione. Il soldato che
ha
> per le mani l'impugnatura della mitragliatrice sembra immobile,
concentrato
> sul mirino elettronico dell'arma.
> La colonna avanza in un silenzio irreale di tanto in tanto interrotto dai
> tonfi cupi e secchi che provengono dalle granate lanciate poche strade più
> in là dai carri armati dell'esercito invasore.
> Improvvisamente e senza nessun motivo la mitragliatrice gira la canna
> verso un'abitazione chiusa al primo piano di un piccolo edificio bianco e
> parte una raffica di colpi. Decine, centinaia di proiettili che vanno a
> sfondare le deboli protezioni in legno e lamiera di ferro delle finestre,
> facendo rimbalzare dappertutto schegge di intonaco e di legno. Frantumando
> i vasi di terracotta pieni di fiori che ancora ornavano in modo ordinato
il
> piccolo balcone. La ringhiera di ferro che proteggeva la porta della casa
> piomba a terra e viene calpestata dalle ruote dei grandi fuoristrada che
> continuano la loro avanzata.
> Sdraiato a terra dietro le finestre chiuse ed oscurate con carta di
> giornale, a soli cinquanta metri dalla pattuglia degli occupanti un
> reporter indipendente è testimone diretto dell'azione che mi descrive con
> grande emozione.
> Attualmente si trova in un frequentato albergo della capitale, decisamente
> più al sicuro, ma quello di cui è stato testimone oggi difficilmente lo
> potrà dimenticare.
>
> Fin dal mattino i colpi, le bombe, i missili hanno colpito le aree sud,
> nord ed ovest di Baghdad. Dalle 11.00 tutti sono stati informati
> attrraverso i megafoni dei soldati e della polizia del coprifuoco che
> sarebbe scattato alle 18.00 e proseguirà almeno fino all'alba.
> Il problema quindi per il mio contatto è spostarsi rapidamente, con
> prudenza, fino ad arrivare proprio nella zona dell'Università, la più
> martoriata della capitale dove è l'appuntamento con altri due colleghi.
> Il centro della città è completamente in mano dell'esercito iracheno e dei
> numerosi "feddayn" in borghese ed armati che camminano nervosamente su e
> giù per le strade. Il traffico è pari a zero, la circolazione delle auto
> ridotta al minimo. Solo un pizzico di fortuna fa incrociare le strade del
> reporter con un vecchio autobus diretto verso sud. Lo prende al volo,
molto
> attento alla strada percorsa dal bus per evitare di trovarsi in zone
> sconosciute della città.
> All'altezza del Ministero dell'Informazione, si rende conto che
> praticamente tutta l'area residenziale attorno alla piazza è stata
> bombardata, e sono ancora visibili a terra alcune vittime coperte di
> pietre. Come fosse una pietosa sepoltura.
> Pochi metri ancora poi decide di scendere dal bus. Meglio cercare di
> proseguire a piedi.
> Poco oltre il centro televisivo della IraqiTv, un capannello di persone
> smbra discutere animatamente. Un giovane alto e magro con una "kefiah"
> bianca e rossa arrotolata intorno al collo si esprime in inglese e mette
in
> guardia il reporter dal proseguire oltre quella piccola aiuola che
delimita
> un incrocio. Non meno di dieci o dodici automobili sono completamente
> carbonizzate. Alzando lo sguardo, l'intera facciata di un palazzo di 6
> piani è sventrata in ogni sua parte. Finestre divelte, mobili ed infissi
> sparsi ovunque. Il ragazzo iracheno con espressioni sincopate riesce a
> descrivere ciò che è accaduto neanche un'ora prima.
> Siamo nell'area immediatamente adiacente alla periferia sud di Baghdad.
> Oltre questi palazzi nessuno si avventura.
> Una colonna di blindati e jeep americane sono arrivate fino alla piazza,
> travolgendo le aiuole che la delimitavano e sparando sulle vecchie auto
> parcheggiate. Dopo un mezzo giro della rotonda si sono come schierate di
> fronte a quell'unico palazzo ed hanno aperto il fuoco. Con durezza,
mirando
> a tutto ed a niente, sventrando muri e penetrando negli appartamenti. Dopo
> pochi minuti almeno un gruppo di inquilini si sono precipitati fuori
> gridando e piangendo. I soldati sembrava come li aspettassero: inseguiti,
> strattonati e gettati a terra. Con dei lacci di plastica bianca venivano
> serrati i polsi dietro la schiena. Quindi presi per i capelli le teste
> ficcate di forza in cappucci neri. Poi i calci, gli sputi, i manici dei
> fucili usati come clave. Trascinati a terra per decine di metri e butatti
> dentro degli autoblindo.
> Questo trattamento è stato riservato ad almeno cinquanta civili disarmati,
> in gran parte donne, vecchi e bambini che abitavano nel palazzo senza più
> luce, acqua, medicine. Prigionieri della loro stessa casa da più di sei
> giorni. Sei giorni di paura e di angoscia. Terminati questa mattina con un
> autentico sequestro di persona multiplo a danni, mi ripete il mio
contatto,
> di civili disarmati.
> Finita l'"operazione militare", la colonna di mezzi americani ha
completato
> il giro della piazza ed è scomparsa nelle strade polverose che portano
> verso l'aeroporto.
> Il ragazzo iracheno capisce il disagio del reporter europeo. Uno straniero
> ma non un nemico, e lo invita ad andare poco più in là, fino ad un garage,
> quasi nascosto dalle rovine di un bombardamento dei giorni scorsi.
> Questa è la guerra? Chiede senza ottenere risposta, Questi sono gli
> americani che ci devono liberare? Gli uomini che dovremmo rispettare
perché
> sono venuti a tutelare i nostri diritti umani?
> Tu cosa faresti se fossero i membri della tua famiglia quelli presi a
> calci, incappucciati e portati via da soldati stranieri?
> Il reporter non sa cosa rispondere, pensa all'appuntamento che deve
> rispettare, al coprifuoco che si avvicina, a cosa troverà andando oltre
> quei palazzi. Ma il ragazzo iracheno lo incalza: dimmi tu che sei europeo
> cosa pensano i cittadini dell'Unione Europea di questa guerra?
> Vieni a vedere la mia casa, è proprio qui sopra. I due salgono in fretta
le
> scale ed arrivano di fronte ad una porta di legno dove Feisal, così si
> chiama il rgazzo, con due colpi dei piedi si fa aprire. Il reporter entra
e
> trova almeno dieci persone, la famiglia di Feisal, a terra, chi sdraiato
> chi seduto. Gli fanno cenno di non parlare, di sedersi, di non far rumore.
> Il terrore è stampato su quelle facce con la barba lunga, su quei visi
> femminili circondati da un velo.
> Poi di colpo, di nuovo, il rumore dei mezzi militari. Feisal sbircia
dietro
> i giornali che coprono i vetri delle finestre. Gli americani, gli
americani
> quasi grida, e tutti si abbassano a terra. Feisal porta il reporter nella
> sola altra stanza della casa e lo invitaa guardare fuori.
> La colonna di 15 jeep Hammer. Con le scritte "UsArmy". Quelli che hanno
> fatto fuoco contro quel balconcino del primo piano dove ancora c'erano i
> vasi di terracotta peini di fiori.
> Questa è la guerra? Chiede ancora Feisal.
> Già, questa è la guerra?
> Dopo circa mezzora Feisal, venuto a sapere il luogo dell'appuntamento del
> reporter con i suoi colleghi si offre di accompagnarlo lui. In auto. Ma
non
> fino all'hotel, sarebbe troppo pericoloso per Feisal tornare indietro.
> Scendono di nuovo in strada e dopo aver parlato fitto fitto in arabo con
> altri due ragazzi, Feisal viene raggiunto da una vecchia Renault con altri
> ragazzi a bordo. Il reporter entra, zaino sulle ginocchia. Gli occupanti
> per fargli posto sono costretti a spostare due mitra e due fucili e si
> tirano la "kefiah" sul viso.
> Dieci minuti di corsa per strade impensabili, fossi e prati, entrare ed
> uscire da magazzini abbandonati, poi l'auto si ferma. Il reporter scende,
> fa un cenno di saluto a Feisal ed agli altri. Vedi, gli dice Feisal, noi
> siamo "Feddayn", può darsi che tra un'ora, domani o tra qualche giorno
> saremo morti combattendo. Cosa diranno i giornali del tuo paese? Che siamo
> dei "kamikaze", che abbiamo ucciso a sangue freddo dei ragazzi del
> Colorado o della California che erano venuti a portarci la libertà, a
> difendere i nostri diritti?
> Tra quei civili incappucciati e brutalizzati che non sappiamo neppure dove
> siano finiti, e perché gli è stata distrutta la casa e loro fatti
> progionieri c'erano i genitori si Saul. Ed indica il ragazzo con i capelli
> neri lunghi alla guida dell'auto.
> Questa è la guerra? Chiede un'ultima volta Feisal prima di rimontare in
> macchina ed allontanarsi in una nuvola di pietre che schizzano lanciate
> dalle ruote della macchina.
> Che la notte sia leggera.
> r.
>
>
> Ecco le corrispondenze che mi arrivano da Amman, di Rosarita Catani, che
ha
> seguito i notiziari delle 19.00 e delle 23.30 (ora giordana)del canale
> satellitare "Al Jazeera" e della televisione giordana.
>
>
> di Rosarita Catani
> da Shafa Badran
> (Amman)
> Giordania
>
> 6.4.2003 h. 19.00.
> Il cielo di Bagdad è nero. Non c'è un cielo a Bagdad. E' pieno giorno ma
> sembra notte inoltrata.
> Fa caldo! L'aria è ancora più irrespirabile per il fumo e per il caldo.
> Sento i rombi degli aerei. I missili cadono come pioggia.
> Eccolo! Lo vedo. Ecco un altro colpire una casa. Si vedono i pezzi saltare
> in area.
> Il giornalista di Al Jazeera commenta le immagini.
> Mentre commenta si guarda intorno. Sussulta ad ogni scoppio.
> Guardo le immagini ed avverto la paura. Una paura che si trasmette oltre
il
> video.
> Me la sento addosso.
> Il giornalista volta la testa appena sente il rombo di un aereo. Lo fa
> vedere. Il suo sguardo è cupo.
> Sento lo scoppio delle bombe. Sembra d'averle qui in casa. Ho paura anche
> io adesso.
> La città è deserta.
> Si vede solo questa cortina di fumo nero ed il fuoco.
> Oggi i bombardamenti sono ancora più forti, più accaniti. Bombardano
> ovunque oramai. Non mirano più ad obiettivi precisi.
> Le immagini si spostano su Bassora.
> Ci sono stati violenti combattimenti fra le milizie irachene ed i soldati
> britannici.
> Una carovana di carri armati britannici si dirige verso Bassora. Sono
> arrivati alle porte della città.
> Sparano colpi di cannone. Colpite abitazioni civili.
> Entrano nella città con i loro dhabbah (carri armati).
> La città è già martoriata.
> La televisione araba comunica che molto probabilmente i feddayn
scenderanno
> in azione questa notte per colpire i soldati britannici.
>
> 6.4.03 Sono le 23.20 ora locale.
> Continuano i bombardamenti. Non si ha respiro.
> Gli ospedali sono pieni. Non c'è più posto.
> Non si conosce né l'entità dei danni ancora né l'entità delle vittime.
> Guardo il sangue scorrere negli ospedali. Sento l'odore della morte. Si
> sente l'odore della morte.
> Bambini. I bambini che pena.
> Portano un bambino ferito, che piccolo, avrà si o no due anni. E' colpito
> alla testa.
> Non c'è posto. Li mettono per terra i feriti.
> Vedo i medici correre da una parte all'altra.
> Una signora piange: "Bush non vuole la pace. Noi chiediamo la pace, lui
non
> sa neanche cosa significa la Pace. Uno dei miei figli non so neanche dove
> sia e l'altro è in ospedale con una gamba rotta". Urla! E' l'urlo
disperato
> di una madre.
> Si asciuga le lacrime con il suo ishar e va via.
> Un'altra madre grida tutto il suo dolore e dice: Lasciate crescere i
nostri
> figli. Lasciateli vivere e diventare grandi.
> Questa notte non c'è tregua. Le bombe continuano a cadere.
> Non so se riuscirò a dormire questa notte.
> Davanti a miei occhi vi è solo distruzione e morte.
>
> (fine)
> [NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su
http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>
http://italy.indymedia.or
g/news/2003/03/222502.php>
http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php
>
> Queste corrispondenze
> sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto dall'Italia , attraverso le
> linee telefoniche internazionali, con varie persone che sono a Baghdad e
> che fanno riferimento per i contatti ai telefoni di due alberghi della
> capitale, dove è ospitata la stampa internazionale. Si tratta di operatori
> dell'informazione indipendente, free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche
> cittadino di Baghdad che lavora con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma
> funziona come una sorta di "ponte" per far arrivare notizie ed
informazioni
> in tempo reale raccolte con grande onestà intellettuale e capacità
> professionale nella attuale realtà (drammatica) della città.]
______________________
Report di sabato 5 aprile 2003 dell'International Solidarity Movement
Oggi, 5 aprile, alle 18,30 circa, Brian Avery, di anni 24, del New Mexico,
è stato colpito al viso da una raffica di mitragliatrice di un mezzo
blindato israeliano, nella cornice delle seguenti circostanze:
oggi le truppe di occupazione israeliane operanti nella zona di Jenin hanno
imposto la seconda giornata di coprifuoco alla popolazione della città.
Gruppi di giovani e ragazzi hanno continuato la loro resistenza al
coprifuoco, avventurandosi nelle strade per lanciare pietre ai mezzi
corazzati e ad altri veicoli militari.
Alle 18,30 circa, Brian ed un altro attivista ISM erano nella sede ISM di
Jenin, quando hanno udito rumore di spari proveniente dal centro della
città, a circa due isolati di distanza. Hanno lasciato la sede per
documentarsi ed hanno percorso circa 100 metri arrivando ad un importante
incrocio stradale; hanno visto due mezzi blindati avanzare verso di loro a
bassa velocità. Non c'erano palestinesi nelle strade della zona.
Alla vista dei veicoli blindati, i due attivisti si sono fermati ed hanno
alzato le mani sopra la testa.
Quando il primo mezzo blindato è stato a 50 metri da loro, ha sparato una
raffica di mitragliatrice (di circa 15 colpi) sul terreno di fronte a loro,
cosicchè sono stati investiti da un nugolo di frammenti di pallottole e di
pietre. Tobias, il compagno di Brian, è corso di lato. Aveva fatto circa
tre passi quando ha guardato indietro ed ha visto Brian che giaceva nella
strada a faccia in giù, in una pozza di sangue.
Tobias e Brian sono stati allora raggiunti da altri quattro attivisti ISM
che erano giunti per un'altra via sulla scena della sparatoria. Tutti sono
accorsi in aiuto di Brian, quando i blindati sono passati oltre senza
fermarsi. Egli era cosciente ma, quando si è sollevato da terra, si è visto
che la sua guancia sinistra era stata quasi del tutto strappata via.
Gli attivisti gli hanno prestato i primi soccorsi ed hanno telefonato per
un autoambulanza che lo ha portato all' Ospedale "Dr.Khalil Suleiman,
Martire", di Jenin, dove sono state curate le sue ferite da proiettile a
frammentazione, lacerazioni della lingua e della guancia sinistra. E' stato
convocato uno specialista per esaminare queste ferite, ed ha
raccomandato che fosse trasferito immediatamente in un ospedale di Afula,
in Israele; ma la sua partenza è stata ritardata perchè i militari
israeliani hanno rifiutato di fornire un salvacondotto per più di un' ora
all' autoambulanza.
Da Afula, Brian è stato trasportato in elicottero in un ospedale di Haifa.
Secondo le regole d'ingaggio dell'esercito israeliano, i soldati non
possono sparare colpi d' avvertimento con le armi montate sugli automezzi.
Possono sparare colpi d'avvertimento con le armi leggere e portatili, e
devono mirare lontano dalle persone che stanno avvertendo.
Quando è stato colpito, Brian portava un indumento rosso fluorescente, con
croci bianche riflettenti davanti e dietro.
Per ulteriori informazioni contattare (a Jenin):
- TOBIAS, ai numeri 057 836 527 oppure 067 437 690,
- oppure LASSE, al numero 059 386 896.
_________________________
Iraq: scomparsi due volontari di Medici senza frontiere
di Gabriella Meroni (<
mailto:g.meroni@vita.it>g.meroni@???)
04/04/2003 Vita
I due si trovavano a Baghdad
Medici Senza Frontiere (MSF) afferma in una nota di non avere piu' notizie
dei due volontari del team presente a Baghdad, scomparsi la sera di
mercoledì 2 aprile. Gli altri quattro volontari sono tutti al sicuro. I due
volontari scomparsi fanno parte dell'equipe di sei persone presente a
Baghdad da diverse settimane. Il team di MSF forniva supporto
medico-chirurgico allo staff dell'ospedale al-Kindi, nel nord-est della
capitale irachena. Tutte le attività di MSF in Iraq sono state sospese. Al
momento, per motivi di sicurezza, Medici Senza Frontiere non e' in grado di
fornire altre informazioni.
----------------------
Queste erano le ultime informazioni inviate da Baghdad.
Fonte:
http://www.msf.it/msfinforma/news/03042003_2.shtml
Medici Senza Frontiere - Cronache da Baghdad
(03/04/2003)
Dalla settimana scorsa un'équipe dell'organizzazione umanitaria medica
internazionale Medici Senza Frontiere (MSF) lavora con i colleghi
dell'Al-Kindi General Hospital, un ospedale con 250 posti letto nella zona
nord-est di Baghdad, per supportare l'assistenza medica d'urgenza rivolta
per i feriti. Un chirurgo, un anestesista e un medico esperto in medicina
d'urgenza di MSF si sono uniti ad un'équipe di medici e chirurghi iracheni,
e lavorano a turni di 24 ore ogni due giorni.
Martedì 1 aprile uno dei medici, il Dott. Morten Rostrup, Presidente di MSF
International, ha parlato a MSF attraverso un giornalista presente a
Baghdad:
"Per due giorni, durante la tempesta di sabbia della scorsa settimana, non
si vedeva a più di 200 metri, e la sabbia entrava dappertutto: negli occhi,
nelle orecchie, in gola... E poi la città è circondata da un anello di fumo
proveniente dagli incendi dei pozzi. Per fortuna la pioggia ha liberato
l'aria, ma i bombardamenti continuano."
"L'atmosfera è cambiata. All'inizio della guerra, gli abitanti di Baghdad
cercavano di condurre una vita normale, di mantenere il loro ritmo in
questa situazione assurda. Ma le tensioni crescono e i bombardamenti
s'intensificano."
"Abbiamo visto feriti, vittime civili con lesioni leggere oppure con traumi
gravissimi che richiedono interventi chirurgici, e anche morti. Molte
ferite sono causate da frammenti metallici volanti. E' difficile capire,
mentre si esamina un paziente, se le ferite sono causate da bombe o da
fuoco antiaereo."
"Qualche giorno fa un muro è crollato su una donna, che ha riportato la
frattura di diverse ossa facciali. Per fortuna non c'è stata emorragia
cerebrale. Ieri (31 marzo) in ospedale sono arrivati 19 feriti, tra cui
alcuni bambini. Un bimbo è morto in sala operatoria, altri tre pazienti
subito dopo l'arrivo in ospedale. La maggior parte dei traumi era stata
causata da schegge. Due giorni prima avevamo assistito a due operazioni su
ragazzi che presentavano ferite da shrapnel all'addome. Fortunatamente
l'intestino non era stato perforato; ma fegato e reni presentavano alcune
ferite di livello non gravissimo. E' frustrante e angosciante per l'équipe
vedere queste ferite."
"Lo shock e il trauma psicologico dovuto alle esplosioni hanno causato
sindromi da shock e dolori al petto riferibili allo stress, problemi di
respirazione e apoplessie. Abbiamo anche rilevato un aumento dei casi
d'infarto. La situazione è molto tesa e la gente è preoccupata, ha paura,
se ne sta in casa. La maggior parte dei negozi resta chiusa. C'è ancora un
po' di traffico per le strade, e la nostra équipe riesce a spostarsi tra
l'ospedale e la nostra abitazione, situata in una zona periferica
tranquilla, per la maggior parte risparmiata dalla guerra. Ci sono case
danneggiate in centro, e, mentre ci muoviamo, sentiamo spesso delle
esplosioni."
"Fino ad ora, al-Kindi ha funzionato bene, grazie a medici locali
competenti e motivati, ma c'è bisogno di alcuni farmaci specifici, in
particolare di antidolorifici e anestetici. MSF provvederà ai rifornimenti.
Si continua a fornire il normale servizio d'assistenza sanitaria - la gente
ha ancora bisogno di cure per malattie croniche - e, dal momento che, a
causa della guerra, potrebbe diventare di colpo impossibile rifornirsi di
materiale medico di base, terremo sotto stretto controllo la situazione e
cercheremo di recuperare ulteriori scorte quando necessario."
"I medici hanno esperienza di chirurgia traumatica, e vogliono restare
nell'ospedale, continuare a lavorare. Siamo qui per aiutare i nostri
colleghi, se ne hanno bisogno. E, se ci sarà una battaglia intorno a
Baghdad, Al-Kindi potrebbe essere uno dei principali ospedali per
l'accoglienza dei feriti. Perciò la nostra presenza potrebbe essere
importante anche più avanti."
Dott. Morten Rostrup, Presidente, MSF International
------------------------- msf medici senza frontiere
MSF A BAGHDAD
MSF è presente a Baghdad con un'equipe medica composta da 6 persone: un
chirurgo (italiano), un anestesista, un medico esperto in medicina
d'urgenza, un logista, un traduttore e il capo-missione.
Il team è rimasto in città per determinare i bisogni medici della
popolazione e monitorare le possibilità di fornire assistenza medica
indipendente durante l'evolversi della crisi.
Dal 22 marzo il team di Medici Senza Frontiere (MSF) ha affiancato lo staff
dell'al-Kindi General Hospital, a nord-est di Baghdad, per offrire supporto
medico-chirurgico. Al-Kindi è uno dei maggiori ospedali del paese, con una
capacità di 250 posti letto specializzato nell'assistenza in caso di traumi
e ferite di guerra. Lo staff iracheno dell'ospedale è al completo e sta
affrontando i bisogni della popolazione civile con professionalità e
prontezza. Negli ultimi due giorni è tuttavia aumentato il numero di
vittime dei bombardamenti che arrivano in ospedale dove alcuni materiali
chirurgici e anestetici e analgesici cominciano a scarseggiare.
Il team di MSF ha donato del proprio materiale, comprese attrezzature
chirurgiche, come set per la stabilizzazione di fratture, antibiotici. 10
tonnellate di altro materiale, tra cui kit chirurgici, farmaci, anestetici
e cibo, è partito da Amman alla volta di Bagdad.
Dall'inizio dei bombardamenti, nonostante le difficoltà di movimento, lo
staff di MSF prosegue le attività di monitoraggio dei bisogni
medico-sanitari anche in altre aree della città. Il 20 marzo erano
arrivati, via taxi da Amman, i primi rifornimenti di materiale medico
(laringoscopi, tubi endotracheali, kit d'emergenza).
I volontari internazionali di MSF presenti a Bagdad provengono dall'Italia,
dall'Austria, dalla Norvegia, dal Sudan e dall'Algeria.
Team di MSF sono presenti anche in Giordania, Siria e Iran pronti per
offrire supporto all'equipe di Bagdad o a fronteggiare un'eventuale
emergenza profughi in questi paesi. Ad oggi, secondo la testimonianza dei
nostri volontari non ci sono importanti flussi di profughi verso questi
paesi.
SITUAZIONE PROFUGHI
Attualmente non si registrano flussi consistenti di popolazione in fuga
dall'Iraq. Alcune famiglie stanno abbandonando alcuni dei quartieri di
Baghdad più colpiti dai bombardamenti per dirigersi verso zone più sicure,
ma sempre all'interno dell'Iraq. Al momento ancora non si sa se le persone
sono sottoposte a pressioni che impediscono loro di fuggire.
In Iran sono presenti team di MSF al confine con l'Iraq per fornire
assistenza in caso di un eventuale afflusso di profughi nei campi allestiti
dalle autorità iraniane nei pressi di Qas-re-Sherin e Kermanshah.
In Siria MSF ha siglato un accordo con le autorità per fornire assistenza
medica e per rispondere all'eventuale bisogno di acqua potabile nel campo
di el Hol, nei pressi di Hassake, allestito per circa 20.000 persone. I
campi profughi sono stati allestiti nel mezzo del deserto e ciò desta molta
preoccupazione perché potrebbero sorgere problemi legati all'acqua, alla
possibilità di preparare del cibo, al tipo di rifugio, alle tempeste di
sabbia e al caldo estremo.
BASSORA
La disponibilità di acqua è il problema principale. Un essere umano ha
bisogno di almeno 5 litri al giorno. In situazioni di caldo torrido come
Bassora, il bisogno aumenta ad almeno 10 litri. Quando l'acqua non viene
trattata, la diarrea può sopraggiungere da un momento all'altro e la pelle
essere soggetta a desquamazione. I situazioni estreme potrebbe esplodere
un'epidemia di colera. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha
parzialmente ripristinato le forniture di acqua e la situazione sembra
essersi stabilizzata. Continueremo a monitorare la situazione di Bassora,
perché potrebbe rapidamente peggiorare.
Amman, martedì 26 marzo 2003. Medici Senza Frontiere (MSF) ha inviato due
camion con dieci tonnellate di materiale medico-sanitario (kit per 300
operazioni chirurgiche, farmaci post-operatori, apparecchiature per la
potabilizzazione e igienizzazione dell'acqua e kit per affrontare eventuali
casi di malnutrizione) a Baghdad.
Intanto un team di MSF sta offrendo il proprio supporto allo staff
dell'al-Kindi General Hospital (ospedale con 250 posti letto) nella zona
nord-est di Baghdad. Il chirurgo, l'anestesista e il medico specializzato
in medicina d'urgenza continueranno a supportare l'equipe medica
dell'ospedale.
Nei giorni scorsi MSF ha donato all'ospedale materiale medico-sanitario
(attrezzature chirurgiche, set per la stabilizzazione di fratture,
antibiotici, un kit d'emergenza con materiale sufficiente per curare 150
feriti e fasce per curare gravi ustioni).
"MSF ha comunicato l'invio di questi due camion sia alle autorità irachene
sia al commando militare anglo-americano. I due veicoli sono chiaramente
identificati come convogli umanitari," ha dichiarato Catrin Schulte-Hillen,
infermiera di MSF da Amman. "Attualmente, lo staff dell'al Kindi General
Hospital sta lavorando incessantemente per curare i propri pazienti e MSF è
pronta ad fornire il proprio supporto se necessario. Inviare materiale come
i kit chirurgici e di igienizzazione dell'acqua fa parte delle nostre
normali operazioni in situazioni di guerra."
A Baghdad è presente un team di MSF composto da 6 volontari internazionali
(un chirurgo, un anestesista, un medico specializzato in medicina
d'urgenza, un logista, il capo-missione e un traduttore) provenienti da
Italia, Francia, Austria, Norvegia, Sudan, e Algeria.
Baghdad, domenica 23 marzo 2003.
La notte scorsa, il team di Medici Senza Frontiere (MSF) ha raggiunto lo
staff dell'al-Kindi General Hospital (nord-est di Baghdad con circa 250
posti letto) per offrire il proprio supporto medico. Al-Kindi è stato
designato come uno degli ospedali in grado di assistere persone ferite, e,
fin'ora, l'ospedale è stato in grado di fronteggiare la situazione e di
rispondere ai bisogni della popolazione.
Il chirurgo di MSF, l'anestesista e il medico esperto in medicina d'urgenza
continueranno a fornire il proprio supporto durante i prossimi giorni
nell'eventualità che possa esserci bisogno di maggiore assistenza medica
Il team di MSF ha donato del proprio materiale, comprese attrezzature
chirurgiche, come set per la stabilizzazione di fratture, antibiotici. Un
kit d'emergenza con materiale sufficiente per curare 150 feriti e fasce per
curare gravi ustioni verranno fornite da MSF se necessario. MSF spera di
poter inviare altro materiale da Amman, Giordania.
A Baghdad è presente un team di MSF composto da 6 volontari internazionali
provenienti da Italia, Francia, Austria, Norvegia, Sudan, e Algeria.
Aggiornamento venerdì 21 marzo 2003
MSF mantiene a Baghdad un'equipe medica composta da 5 persone: un chirurgo,
un anestesista, un medico esperto in medicina d'urgenza, un logista e il
capo-missione.
Il team resterà nella città per determinare i bisogni medici della
popolazione e monitorare le possibilità di fornire assistenza medica
indipendente durante l'evolversi della crisi.
Dall'inizio dei bombardamenti, nonostante le difficoltà di movimento, lo
staff di MSF prosegue le attività di monitoraggio dei bisogni
medico-sanitari. Nella giornata di ieri sono arrivati, via taxi da Amman
(Giordania), i primi rifornimenti di materiale medico (laringoscopi, tubi
endotracheali, kit d'emergenza).
I volontari internazionali di MSF presenti a Baghdad provengono
dall'Italia, dall'Austria, dalla Norvegia, dal Sudan e dall'Algeria.
Team di MSF sono presenti anche in Giordania, Siria e Iran pronti per
offrire supporto all'equipe di Baghdad o a fronteggiare un'eventuale
emergenza profughi in questi paesi.
Medici Senza Frontiere ha potuto avviare le proprie attività in Iraq solo
dopo la firma, avvenuta dieci giorni fa, di un protocollo d'intesa con le
autorità irachene. L'accordo, necessario per poter lavorare in Iraq,
permette a MSF assistere la popolazione irachena in base ai principi
cardine dell'azione umanitaria: indipendenza, imparzialità e neutralità.
MSF in Iraq
Nel marzo del 1991 MSF è stata una delle prime organizzazioni umanitarie
internazionali a rientrare in Iraq dopo Desert Storm. Ma nel 1992 le
autorità irachene, rifiutandosi di rinnovare i visti ai volontari di MSF,
hanno costretto l'organizzazione a chiudere la missione di Baghdad. Da
allora MSF non ha più potuto avviare progetti di assistenza medica in Iraq.
http://www.msf.it/msfinforma/news/19032003.shtml
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Simona Torretta e Marinella Correggia, volontarie dell'ong italiana "Un
Ponte per Baghdad" (
http://www.unponteper.it/), con responsabilità di
coordinare gli interventi d'emergenza in Iraq per conto l'associazione, si
trovano a Baghdad, dove sono arrivate due giorni dopo lo scoppio della
guerra (
http://www.unponteper.it/nontagliolacorda/240303.htm). Qui cercano
di aiutare la popolazione civile coordinando e seguendo i diversi progetti
per la potabilizzazione dell'acqua e l'assistenza sanitaria che "Un ponte
per Baghdad" ha avviato nel Paese da una decina d'anni.
Questo è il loro diario di oggi.
Domenica 6 aprile 2003
Ali Ismail ha 13 anni ed è ricoverato allospedale dallaltro ieri, quando la
sua casa nel quartiere di Asvasarlia, alla periferia della città, è stata
colpita da un missile. Lesplosione ha sterminato la sua famiglia. Dodici
persone in tutto. Il dottor Osama Sales ci fa vedere al computer le foto
digitali prese sul luogo. Macerie, corpi anneriti, a pezzi.
Anche la madre di Ali è morta, e con lei il bambino che avrebbe dovuto dare
alla luce fra pochi mesi. Ali Ismail è rimasto solo al mondo. Ma non si sa
ancora se ce la farà: il suo corpo è piagato dalle ustioni e ha anche delle
lesioni interne. E' cosciente, ma non abbiamo avuto il coraggio di andare a
vederlo. Lui non sa ancora di avere perso i genitori e i fratelli. Abbiamo
guardato le sue foto al computer, subito dopo quelle dei suoi famigliari
morti.
Ali non ha più le braccia, non è stato possibile salvarle, hanno dovuto
amputarle. Se mai sopravviverà, si ritroverà solo e senza mani. Però, dice
il chirurgo che lo ha operato, gli è rimasta una zia. "Sarà lei ad
accudirlo, se si salva". Speriamo.
I medici dellospedale assicurano che per il momento non mancano né il
personale né le apparecchiature e che sono in grado di far fronte
all'emergenza. Certo, ammettono, se la guerra andrà avanti a lungo, le
difficoltà saranno inevitabili. Ma pensarci, adesso, non serve a nulla.
Quello che serve ora , proseguono, è che si faccia il possibile per fermare
questa guerra.
Altri diari sono qui:
http://www.lastampa.it/Speciali/guerra/news/ngblogbaghdad.asp