[NuovoLaboratorio] fate largo a Pietro!

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著者: Pierluigi Scotto
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題目: [NuovoLaboratorio] fate largo a Pietro!
domani 7 aprile alle ore 18 allo spazio del coordinamento Fermiamo la
guerra a palazzo Ducale (Genova) si svolgerà un incontro sulle
prospettive e gli interrogativi del movimento contro la guerra a partire
da una riflessione sulla recente intervista di Pietro Ingrao a
Repubblica (qui di seguito riportata), vi aspettiamo numerosi


"Il presidente Usa è l'aggressore, non deve passarla liscia
Non paragono Bush a Hitler, ma mi interrogo sulla superpotenza"
Ingrao sfida la coalizione
"Dobbiamo aiutare l'Iraq"
di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Cessate il fuoco, ripresa delle trattative? "Per carità, sono
tutte
iniziative meritevoli. Ma ormai c'è poco da fare". O meglio, qualcosa si
può
e si deve fare, spiega Pietro Ingrao, leader storico del pacifismo e
padre
nobile della sinistra. Lo ha scritto ieri sul Manifesto in un breve
corsivo:
"Mi auguro ardentemente che il popolo iracheno resista all'aggressore
fino
all'ultimo minuto. L'impunità per gli aggressori sarebbe proprio il
peggio.
E io sono un pacifista, non un calabrache".
Di fronte alla sua presa di posizione, lo slogan "né con Bush né con
Saddam"
impallidisce, è persino moderato. "Dobbiamo guardare in faccia le cose e

dirci la verità per amara e dolorosa che sia. A fermare la guerra
americana
bisognava riuscirci prima. Non ci siamo riusciti, anzi alcuni o parecchi
nel
mondo non l'hanno nemmeno voluto o tentato. Ora dubito fortemente che
gli
americani si fermino prima di entrare a Bagdad. E in ogni modo anche
questo
risultato assai difficile dipende prima di tutto, e in modo per me
lampante,
dalla resistenza irachena sul campo".
Questo significa che Saddam Hussein deve vincere la guerra?
"Io dico un'altra cosa. Chi vuole veramente fermare la guerra prima di
tutto
deve aiutare gli iracheni nella loro resistenza civile ed armata. E, per

quanto è possibile, far sentire che il mondo è vicino a loro nella
tragedia
e nella prova. Se gli iracheni si sfarinano, l'arroganza della
Superpotenza
americana diventerà ancora più grande. Bisogna fare in fretta perché non

stiamo parlando di anni ma di giorni, forse addirittura di ore. E me lo
lasci dire: resistere agli aggressori è da millenni la prima condizione
per
la pace. Questa verità io l'ho imparata duramente di fronte alle panzer
divisionen hitleriane".
Bush come Hitler. La pensa come Gino Strada?
"Io non paragono Bush a Hitler, non confondo i due personaggi. Hitler è
un'altra cosa. Dico che dobbiamo interrogarci su cosa è diventata
l'America,
questa Superpotenza economica, militare e politica".- Pubblicità -
E cosa è diventata: un regime, una dittatura?
"Ci vorrebbe un libro per dire cosa è diventata. E' un paese che ha
molto
contato nella storia e nella modernizzazione, un grande paese e un
grande
popolo, che oggi però è diretto da un gruppo che ha fatto della guerra
preventiva il suo dogma. Io sono anti-Bush, non anti-americano. Anche in

America c'è chi resiste a Bush in una maniera che ha sorpreso un po'
tutti.
Esiste il consenso al conflitto, ma accanto a questo c'è tutta una parte
di
americani che si esprime criticamente. Con toni anche più aspri di
quelli
che può usare un europeo come me. Basti pensare alle parole di Chomsky".

Ma la guerra non è stata dichiarata da qualcun altro l'11 settembre,
quel
giorno non sono stati gli Usa ad essere aggrediti?
"L'11 settembre è stato un evento gravissimo, ma le origini della
"guerra
preventiva" sono più profonde. Ci sono persino testi teorici che lo
confermano. E al tempo stesso c'è tutta la novità della gestione Bush:
la
guerra preventiva è proposta e dichiarata nei suoi scritti ufficiali,
per
chi li vuole leggere".
Si rende conto che con la resistenza irachena vince Saddam, il dittatore
che
ha sterminato il suo popolo, che ha gasato milioni di curdi.
"Il destino di Saddam è scritto, lui è già nella polvere. Il peso di
questa
guerra non cade su Saddam ma sul popolo che già dal '91 sta patendo. No,
io
non sono complice del dittatore di Bagdad e se qualcuno vuole divertirsi
con
questa ipotesi faccia pure, ma sono e restano delle fanciullaggini. Ho
fatto
tanti errori sulla guerra e sulla pace, ma questo non mi appartiene.
Saddam
non è della mia parrocchia: è della loro, di chi lo ha sostenuto
economicamente, di chi lo ha salvato ancora dopo la prima guerra del
Golfo".
L'impunità degli aggressori, scrive lei, sarebbe il peggio. Vuole che le

truppe anglomaericane siano castigate con il maggior numero di morti?
"Mi auguro che il martirio di tutti sia il più breve possibile. L'ho
scritto
sul Manifesto: c'è la grande pietà per le morti di tutte le parti e il
pensiero corre ad Antigone. Ma dev'esserci la resistenza. E la cosa che
temo
maggiormente è che chi ha aggredito la passi liscia. Bisogna resistere:
è un
verbo che non uso a caso. Resistere come abbiamo fatto noi, anche con
l'aiuto decisivo degli americani, aiuto che io non ho assolutamente
dimenticato".
Come vanno sostenuti gli iracheni? Andando a Bagdad, manifestando? Come?

"Innanzitutto con la solidarietà umana e politica, poi combattendo
contro la
guerra americana, schierandosi contro. Nei modi più diversi. Del resto
una
resistenza nel mondo c'è già. Penso all'Europa, anche a quella che non
piace
a me, quella di Chirac e di altri. In ogni modo, è sbagliata questa mia
convinzione? E sia. Cominciamo allora a discutere subito, da domani
mattina,
gli atti da compiere per far cessare la guerra. E mi dicano dove e
quando ci
riuniamo per avviare questo esito: a che ora, in quale luogo, fra chi. E

usando quali strumenti: alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo,
all'Onu. O nei mille comuni italiani o nelle venti regioni e ricorrendo
a
quali poteri di decisione. Perché in Iraq intanto si spara e laggiù la
politica parla ed agisce con le armi. E la parola "disarmo", l'ho detto
tante volte amaramente in questi anni, è parola defunta: non la
pronuncia
più nessuno".
(3 aprile 2003)