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Aihe: [Forumumbri] per fermare la guerra prima di tutto: aiutare gli iracheni nella loro resistenza
"Il presidente Usa è l'aggressore, non deve passarla liscia
Non paragono Bush a Hitler, ma mi interrogo sulla superpotenza"
Ingrao sfida la coalizione
"Dobbiamo aiutare l'Iraq"
di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Cessate il fuoco, ripresa delle trattative? "Per carità,

sono tutte iniziative meritevoli. Ma ormai c'è poco da fare". O meglio, qualcosa si
può e si deve fare, spiega Pietro Ingrao, leader storico del pacifismo e padre
nobile della sinistra. Lo ha scritto ieri sul Manifesto in un breve corsivo: "Mi
auguro ardentemente che il popolo iracheno resista all'aggressore fino all'ultimo
minuto. L'impunità per gli aggressori sarebbe proprio il peggio. E io sono un
pacifista, non un calabrache".

Di fronte alla sua presa di posizione, lo slogan "né con Bush né con Saddam"
impallidisce, è persino moderato. "Dobbiamo guardare in faccia le cose e dirci la
verità per amara e dolorosa che sia. A fermare la guerra americana bisognava
riuscirci prima. Non ci siamo riusciti, anzi alcuni o parecchi nel mondo non
l'hanno nemmeno voluto o tentato. Ora dubito fortemente che gli americani si
fermino prima di entrare a Bagdad. E in ogni modo anche questo risultato assai
difficile dipende prima di tutto, e in modo per me lampante, dalla resistenza
irachena sul campo".

Questo significa che Saddam Hussein deve vincere la guerra?
"Io dico un'altra cosa. Chi vuole veramente fermare la guerra prima di tutto deve
aiutare gli iracheni nella loro resistenza civile ed armata. E, per quanto è
possibile, far sentire che il mondo è vicino a loro nella tragedia e nella prova.
Se gli iracheni si sfarinano, l'arroganza della Superpotenza americana diventerà
ancora più grande. Bisogna fare in fretta perché non stiamo parlando di anni ma di
giorni, forse addirittura di ore. E me lo lasci dire: resistere agli aggressori è
da millenni la prima condizione per la pace. Questa verità io l'ho imparata
duramente di fronte alle panzer divisionen hitleriane".

Bush come Hitler. La pensa come Gino Strada?
"Io non paragono Bush a Hitler, non confondo i due personaggi. Hitler è un'altra
cosa. Dico che dobbiamo interrogarci su cosa è diventata l'America, questa
Superpotenza economica, militare e politica".

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E cosa è diventata: un

regime, una dittatura?
"Ci vorrebbe un libro per dire cosa è diventata. E' un paese che ha molto contato
nella storia e nella modernizzazione, un grande paese e un grande popolo, che oggi
però è diretto da un gruppo che ha fatto della guerra preventiva il suo dogma. Io
sono anti-Bush, non anti-americano. Anche in America c'è chi resiste a Bush in una
maniera che ha sorpreso un po' tutti. Esiste il consenso al conflitto, ma accanto a
questo c'è tutta una parte di americani che si esprime criticamente. Con toni anche
più aspri di quelli che può usare un europeo come me. Basti pensare alle parole di
Chomsky".

Ma la guerra non è stata dichiarata da qualcun altro l'11 settembre, quel giorno
non sono stati gli Usa ad essere aggrediti?
"L'11 settembre è stato un evento gravissimo, ma le origini della "guerra
preventiva" sono più profonde. Ci sono persino testi teorici che lo confermano. E
al tempo stesso c'è tutta la novità della gestione Bush: la guerra preventiva è
proposta e dichiarata nei suoi scritti ufficiali, per chi li vuole leggere".

Si rende conto che con la resistenza irachena vince Saddam, il dittatore che ha
sterminato il suo popolo, che ha gasato milioni di curdi.
"Il destino di Saddam è scritto, lui è già nella polvere. Il peso di questa guerra
non cade su Saddam ma sul popolo che già dal '91 sta patendo. No, io non sono
complice del dittatore di Bagdad e se qualcuno vuole divertirsi con questa ipotesi
faccia pure, ma sono e restano delle fanciullaggini. Ho fatto tanti errori sulla
guerra e sulla pace, ma questo non mi appartiene. Saddam non è della mia
parrocchia: è della loro, di chi lo ha sostenuto economicamente, di chi lo ha
salvato ancora dopo la prima guerra del Golfo".

L'impunità degli aggressori, scrive lei, sarebbe il peggio. Vuole che le truppe
anglomaericane siano castigate con il maggior numero di morti?
"Mi auguro che il martirio di tutti sia il più breve possibile. L'ho scritto sul
Manifesto: c'è la grande pietà per le morti di tutte le parti e il pensiero corre
ad Antigone. Ma dev'esserci la resistenza. E la cosa che temo maggiormente è che
chi ha aggredito la passi liscia. Bisogna resistere: è un verbo che non uso a caso.
Resistere come abbiamo fatto noi, anche con l'aiuto decisivo degli americani, aiuto
che io non ho assolutamente dimenticato".

Come vanno sostenuti gli iracheni? Andando a Bagdad, manifestando? Come?
"Innanzitutto con la solidarietà umana e politica, poi combattendo contro la guerra
americana, schierandosi contro. Nei modi più diversi. Del resto una resistenza nel
mondo c'è già. Penso all'Europa, anche a quella che non piace a me, quella di
Chirac e di altri. In ogni modo, è sbagliata questa mia convinzione? E sia.
Cominciamo allora a discutere subito, da domani mattina, gli atti da compiere per
far cessare la guerra. E mi dicano dove e quando ci riuniamo per avviare questo
esito: a che ora, in quale luogo, fra chi. E usando quali strumenti: alla Camera,
al Senato, al Parlamento europeo, all'Onu. O nei mille comuni italiani o nelle
venti regioni e ricorrendo a quali poteri di decisione. Perché in Iraq intanto si
spara e laggiù la politica parla ed agisce con le armi. E la parola "disarmo", l'ho
detto tante volte amaramente in questi anni, è parola defunta: non la pronuncia più
nessuno".

(3 aprile 2003)

http://www.repubblica.it/online/politica/italiairaqtredici/ingrao/ingrao.html