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La civiltà perduta a Babilonia
Antichi insediamenti mesopotamici, città storiche e mirabili come Ur, Uruk,
Ninive e Babilonia, un patrimonio archeologico immenso. Già strangolata da
un embargoche aveva portato allo smembramento del Dipartimento delle
Antichità, oggi la Terra dei due fiumi, l'Iraq, rischia di soccombere
definitivamente. Sotto una pioggia di missili e granate ma anche sotto
l'incombente minaccia di nuovi e indiscriminati saccheggi
CARLO ZACCAGNINI
L'odierna invasione e i bombardamenti in Iraq hanno riaperto scenari e
riproposto quesiti identici a quelli di tredici anni fa, all'epoca della
prima guerra del Golfo. Di nuovo, e con maggiore enfasi, il drammatico
contrasto tra la dichiarata ma in realtà insufficiente intelligenza di
missili, bombe, e altri sofisticati strumentari di distruzione, e la
effettiva o presumibile minaccia di danni o distruzioni dell'immenso
patrimonio archeologico e storico-artistico conservato in territorio
iracheno, ha stimolato una messe di interventi, commenti e pareri - a vario
livello di competenza e aggiornamento - da parte di esperti e meno esperti
del settore. La Terra dei due fiumi - con le sue antiche mirabili città (Ur,
Uruk, Ninive, Babilonia, Assur, Seleucia, Ctesifonte, e altre a scelta), con
i suoi tesori artistici ed epigrafici custoditi nel Museo di Baghdad e in
altri musei locali (primo tra i quali quello di Mossul) - si è dunque
ripresentata all'attenzione del grande pubblico, nel contesto di un convulso
panorama bellico in continua e drammatica evoluzione.
Siamo ormai abituati al macabro spettacolo di analoghi orizzonti di morti e
rovine, esito di strategie offensive che in tempi recenti hanno in varia
misura impegnato, con l'avallo e la copertura formale delle organizzazioni
sovranazionali, l'apparato militare statunitense e quello dei suoi alleati
europei. E tuttavia, l'eccezionale accumulo di testimonianze relative alle
antiche civiltà vicino-orientali, che dai palmeti di Bassora ai rilievi
pedemontani del Kurdistan trovano oggi in Iraq la loro più spettacolare
concentrazione, costituisce un elemento aggiuntivo di preoccupato interesse
per le sorti di un paese già strangolato da oltre dieci anni di embargo.
Piuttosto che fornire l'ennesimo raffazzonato elenco dei maggiori siti
archeologici e delle sedi museali potenzialmente a rischio, è preferibile
offrire alcuni spunti di riflessione basati su un'effettiva correlazione
geografico-ambientale tra lo scacchiere delle operazioni militari
presentemente in atto (ovvero pianificate a breve scadenza, salvo
sorprendenti e disdicevoli imprevisti) e la dislocazione sul terreno degli
antichi insediamenti mesopotamici.
L'odierna conformazione geo-morfologica del territorio iracheno è più o meno
la stessa di quella documentata già a partire dal periodo neolitico (7000
a.C.): le principali differenze concernono il percorso dell'Eufrate, che - a
partire dalla zona dove oggi sorge Baghdad - originariamente scorreva un
centinaio di chilometri più a est, non si univa al Tigri all'altezza di
Qurnah, dove oggi inizia il tratto comune (lo Shatt el Arab) e sfociava nel
Golfo Arabo-Persico nei pressi dell'odierna Nassiriya, lì dove arrivava
l'antica linea costiera, progressivamente arretrata in conseguenza dei
depositi alluvionali trasportati dai due grandi fiumi.
Un rapido sguardo al quadro delle ostilità in corso nel sud e in
preparazione nel nord del paese e, in particolare, la messa in pianta dei
vari percorsi delle truppe di terra con destinazione finale Baghdad, rivela
significative analogie con invasioni e conflitti che hanno caratterizzato
cinquemila anni di storia mesopotamica. Il problema cruciale per chi
proviene dall'area desertica meridionale (l'odierno Kuwait) è
l'attraversamento dell'Eufrate: gli americani sono da vari giorni impegnati
a conquistare Nassiriyah, vitale centro strategico sulla riva orientale del
fiume, da dove si può avanzare verso nord-ovest, percorrendo i trecento
chilometri di pianura che distano da Baghdad. In alternativa, si può
procedere lungo la riva destra dell'Eufrate scegliendo un punto di
attraversamento più vicino alla capitale: questo è il secondo itinerario
delle truppe anglo-americane, che sono giunte a Najaf, hanno proseguito fino
a Karbala e ora puntano verso Musayyib per varcare il fiume e posizionarsi a
soli 80 chilometri dalla periferia di Baghdad. La progettata invasione dal
fronte settentrionale prevede tre direttrici di marcia, i cui punti
iniziali - in sequenza est-ovest - sono le città di Sulamaniya, Erbil (e,
più a sud, Kirkuk) e Mossul - quest'ultima se e quando sarà conquistata o
comunque controllata dalle truppe americane. La via di Mossul procede a
ridosso della riva occidentale del Tigri; la via di Erbil e Kirkuk taglia in
direzione sud la pianura situata a est del Tigri stesso; la via di
Sulamaniya si dirige a sud-est e raggiunge la valle del Diyala, massimo
affluente del Tigri, di cui segue l'intero corso fino alla periferia
meridionale di Baghdad.
Questi itinerari, nodo cruciale delle opzioni strategiche connesse con le
odierne operazioni militari, hanno rappresentato il veicolo primario, e
sostanzialmente immutabile, dell'interscambio culturale, delle relazioni
commerciali e, non da ultimo, delle vicende belliche che, nell'arco di tre
millenni, hanno caratterizzato la storia mesopotamica. La valle
dell'Eufrate, nel suo lungo percorso dalla desolazione del deserto
siro-arabo sino alle fertili coltivazioni del meridione, è sempre stata una
precisa linea di confine, fisica e ideologica, tra il centro - sede di
civiltà - e il mondo esterno, incolto, alieno, ostile. La via centrale della
pianura delimitata dall'alveo dei due fiumi (e, un tempo, dalla fittissima
rete dei canali) è stata percorso di guerra sia nei conflitti interni tra le
varie città-stato dell'antico paese di Sumer sia nelle periodiche invasioni
da parte dei nemici stanziati nella regione a est del basso corso del Tigri
(l'odierna provincia di Ahvaz, nell'Iran sud-orientale). Le vie di Mossul e
di Erbil sono i percorsi obbligati per qualsiasi collegamento tra Assiria
(la regione compresa tra l'alto corso del Tigri e i suoi due affluenti
orientali, il Grande e Piccolo Zab) e Babilonia: è in questa zona che si è
concretizzata la millenaria conflittualità tra i due grandi poli della
civiltà mesopotamica, culminati con la distruzione totale di Babilonia da
parte di Sennacherib (689 a.C.) e quella di Ninive da parte di Caldei e Medi
(612 a.C.).
Veniamo al presente: quali sono i principali siti archeologici localizzati
lungo le direttrici dell'invasione anglo-americana e a quali rischi vanno
incontro?
Nelle immediate vicinanze di Nassiriya, a poca distanza dalla riva
occidentale dell'Eufrate, si trovano i grandi insediamenti protostorici di
Eridu e Ubeid - massimi centri dell'evoluzione tecnologica e culturale
successiva alla fase neolitica - e le rovine della città di Ur, capitale di
un vasto impero che alla fine del terzo millennio esercitò un saldo ed
efficientissimo dominio sull'intera Mesopotamia e regioni adiacenti,
dall'altopiano iranico sino alla Siria. I colossali resti della ziggurat,
edificata da Ur-nammu - primo sovrano della dinastia di Ur - si ergono in
suggestivo isolamento nell'immensità della pianura ormai completamente
desertificata. Poco più a ovest, sulla riva opposta dell'Eufrate, è situata
Uruk, la prima città della Mesopotamia e, in assoluto, del mondo antico: è
in questo sito che, alla fine del quarto millennio, giunse a compimento la
cosiddetta «rivoluzione urbana», che introdusse la specializzazione e la
divisione del lavoro, la segmentazione delle classi sociali ed economiche,
il perfezionamento delle tecniche - culminate con la fondamentale invenzione
della scrittura. Le direttrici di marcia che da Nassiriya puntano verso
Baghdad, seguendo un percorso mediamente situato 100 chilometri a est della
valle dell'Eufrate, incontrano una sequenza ininterrotta di antichi
insediamenti, riportati alla luce nel corso di oltre un secolo di attività
archeologiche, dalla fine dell'ottocento sino alla paralisi causata
dall'embargo del 1991.
Questi i siti di maggiore interesse, lungo la via che da Nassiriya si dirige
verso Diwaniya e poi Hilla: Larsa, Lagash, Fara, Umma, Isin, Adab, Drehem e
Nippur: sono i massimi centri della cultura sumerico-accadica le cui
fondamentali testimonianze architettoniche, artistiche ed epigrafiche si
collocano in un ampio e differenziato orizzonte cronologico che globalmente
si estende dalla prima metà del terzo millennio al VII-VI secolo a.C. Non
più di dieci chilometri separano Hilla dalle immense e tuttora largamente
inesplorate rovine di Babilonia: gli antichi scavi tedeschi e i moderni
restauri iracheni - cui vanno aggiunte alcune mostruosità edilizie a suo
tempo edificate, in piena area archeologica, per il personale diletto del
nuovo Nabucodonosor di Tikrit - offrono un'immagine solo parziale della più
celebre città del Vicino Oriente preclassico. Nella vasta e irregolare
distesa di pianori, colline e avvallamenti, di informi monticoli, sentieri e
fossati, è oggi pressoché impossibile identificare i resti decomposti e
livellati dell'antico insediamento. Il caso di Babilonia esemplifica al
meglio la natura e l'entità del rischio cui vanno incontro le antichità
conservate in territorio iracheno, di fronte alla massiccia avanzata di
truppe e mezzi pesanti al di fuori dei precari e insicuri moderni tracciati
viari, e cioè l'irriconoscibilità topografica di molti siti archeologici in
tutto o in parte ancora da scavare.
Lo scenario del fronte settentrionale presenta un ulteriore fattore di
rischio, derivante dalla localizzazione di alcuni antichi insediamenti
rispetto agli odierni centri urbani. Ninive, la mitica capitale dell'impero
assiro, si trova sulla riva orientale del Tigri, di fronte a Mossul, di cui
anzi rappresenta uno dei quartieri centrali, ormai estesamente edificato
proprio all'interno dell'immensa cerchia di mura che un tempo circondavano
l'antica città. Kirkuk ed Erbil sorgono direttamente sopra i resti di due
antiche città, ancora da scavare: Arraphe, la capitale di uno stato vassallo
del gran regno di Mittani (XV-XIV secolo a.C.), e Arbail, uno dei massimi
centri religiosi e culturali di epoca neo-assira. E' del tutto superfluo
esemplificare i presumibili danni che verrebbero causati da incursioni aeree
e combattimenti sul terreno: è quanto del resto si sta verificando a Mossul,
da vari giorni oggetto di pesanti bombardamenti.
Ma una diversa e ben più grave minaccia incombe su questo straordinario
patrimonio archeologico e storico-artistico: il saccheggio generalizzato e
l'esportazione clandestina delle antichità di ogni tipo disseminate per ogni
dove, sopra e sotto il suolo iracheno, ivi incluse le grandi e piccole
collezioni custodite nei vari musei regionali.
Sino al 1990 la capillare organizzazione del Dipartimento delle Antichità
aveva virtualmente impedito scavi clandestini e traffici illeciti. Non
sembra che le operazioni militari a suo tempo condotte durante la Guerra del
Golfo abbiano arrecato seri danni ai siti archeologici e ai monumenti
situati nella zona centro-meridionale del paese; al contrario, le
conseguenze di tredici anni d'embargo sono state devastanti: smembrata
l'organizzazione del Dipartimento delle Antichità, a corto di personale e
priva di risorse tecniche e finanziarie, perso quasi del tutto l'effettivo
controllo del territorio, si è scatenata una irresistibile caccia al tesoro
da parte di singoli individui costretti a procurarsi qualcosa da vendere per
ovviare alla miseria delle proprie famiglie.
Migliaia di tavolette cuneiformi, sigilli cilindrici e manufatti di ogni
tipo sono giunti a Londra o in altri grandi centri del mercato antiquario,
per essere poi ceduti - per via d'asta o a trattativa diretta - a
collezionisti privati. La pioggia di missili, bombe e granate ha ora
momentaneamente interrotto le attività dei clandestini, ma non c'è dubbio
che lo scempio riprenderà, più intenso e sistematico di prima, non appena il
nuovo ordine regnerà sulla Terra dei due fiumi.