Autor: Pkrainer Data: Asunto: [Cerchio] le cose davvero minime da dire
Possibile che sto vecchio babbione ci sia arrivato, e tanti siano ancora a
metà del guado?
Nelmomento in cui un paese diviene aggressore, non sta più a noi
distinguere, ma sta ai suoi cittadini distinguersi. Nella Germania nazista
gli oppositori c'erano, parlarono forte e chiaro, e molti dovettero riparare
all'estero. Gli americani bastardi devono smetterla di pretendere di giocare
su tutti i tavoli, presentandosi come quelli che fanno la guerra ma anche la
pace, la mano che punisce e che soccorre. Non parliamo poi degli inglesi.
Più che bruciare le loro bandiere, conviene principiare a distruggere le
loro proprietà. Qui da noi,non c'é che l'imbarazzo della scelta
----------------------------------------------------------------------------
----------------
"Il presidente Usa è l'aggressore, non deve passarla liscia
Non paragono Bush a Hitler, ma mi interrogo sulla superpotenza"
Ingrao sfida la coalizione
"Dobbiamo aiutare l'Iraq"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Cessate il fuoco, ripresa delle trattative? "Per carità, sono tutte
iniziative meritevoli. Ma ormai c'è poco da fare". O meglio, qualcosa si può
e si deve fare, spiega Pietro Ingrao, leader storico del pacifismo e padre
nobile della sinistra. Lo ha scritto ieri sul Manifesto in un breve corsivo:
"Mi auguro ardentemente che il popolo iracheno resista all'aggressore fino
all'ultimo minuto. L'impunità per gli aggressori sarebbe proprio il peggio.
E io sono un pacifista, non un calabrache".
Di fronte alla sua presa di posizione, lo slogan "né con Bush né con Saddam"
impallidisce, è persino moderato. "Dobbiamo guardare in faccia le cose e
dirci la verità per amara e dolorosa che sia. A fermare la guerra americana
bisognava riuscirci prima. Non ci siamo riusciti, anzi alcuni o parecchi nel
mondo non l'hanno nemmeno voluto o tentato. Ora dubito fortemente che gli
americani si fermino prima di entrare a Bagdad. E in ogni modo anche questo
risultato assai difficile dipende prima di tutto, e in modo per me lampante,
dalla resistenza irachena sul campo".
Questo significa che Saddam Hussein deve vincere la guerra?
"Io dico un'altra cosa. Chi vuole veramente fermare la guerra prima di tutto
deve aiutare gli iracheni nella loro resistenza civile ed armata. E, per
quanto è possibile, far sentire che il mondo è vicino a loro nella tragedia
e nella prova. Se gli iracheni si sfarinano, l'arroganza della Superpotenza
americana diventerà ancora più grande. Bisogna fare in fretta perché non
stiamo parlando di anni ma di giorni, forse addirittura di ore. E me lo
lasci dire: resistere agli aggressori è da millenni la prima condizione per
la pace. Questa verità io l'ho imparata duramente di fronte alle panzer
divisionen hitleriane".
Bush come Hitler. La pensa come Gino Strada?
"Io non paragono Bush a Hitler, non confondo i due personaggi. Hitler è
un'altra cosa. Dico che dobbiamo interrogarci su cosa è diventata l'America,
questa Superpotenza economica, militare e politica".
- Pubblicità -
E cosa è diventata: un regime, una dittatura?
"Ci vorrebbe un libro per dire cosa è diventata. E' un paese che ha molto
contato nella storia e nella modernizzazione, un grande paese e un grande
popolo, che oggi però è diretto da un gruppo che ha fatto della guerra
preventiva il suo dogma. Io sono anti-Bush, non anti-americano. Anche in
America c'è chi resiste a Bush in una maniera che ha sorpreso un po' tutti.
Esiste il consenso al conflitto, ma accanto a questo c'è tutta una parte di
americani che si esprime criticamente. Con toni anche più aspri di quelli
che può usare un europeo come me. Basti pensare alle parole di Chomsky".
Ma la guerra non è stata dichiarata da qualcun altro l'11 settembre, quel
giorno non sono stati gli Usa ad essere aggrediti?
"L'11 settembre è stato un evento gravissimo, ma le origini della "guerra
preventiva" sono più profonde. Ci sono persino testi teorici che lo
confermano. E al tempo stesso c'è tutta la novità della gestione Bush: la
guerra preventiva è proposta e dichiarata nei suoi scritti ufficiali, per
chi li vuole leggere".
Si rende conto che con la resistenza irachena vince Saddam, il dittatore che
ha sterminato il suo popolo, che ha gasato milioni di curdi.
"Il destino di Saddam è scritto, lui è già nella polvere. Il peso di questa
guerra non cade su Saddam ma sul popolo che già dal '91 sta patendo. No, io
non sono complice del dittatore di Bagdad e se qualcuno vuole divertirsi con
questa ipotesi faccia pure, ma sono e restano delle fanciullaggini. Ho fatto
tanti errori sulla guerra e sulla pace, ma questo non mi appartiene. Saddam
non è della mia parrocchia: è della loro, di chi lo ha sostenuto
economicamente, di chi lo ha salvato ancora dopo la prima guerra del Golfo".
L'impunità degli aggressori, scrive lei, sarebbe il peggio. Vuole che le
truppe anglomaericane siano castigate con il maggior numero di morti?
"Mi auguro che il martirio di tutti sia il più breve possibile. L'ho scritto
sul Manifesto: c'è la grande pietà per le morti di tutte le parti e il
pensiero corre ad Antigone. Ma dev'esserci la resistenza. E la cosa che temo
maggiormente è che chi ha aggredito la passi liscia. Bisogna resistere: è un
verbo che non uso a caso. Resistere come abbiamo fatto noi, anche con
l'aiuto decisivo degli americani, aiuto che io non ho assolutamente
dimenticato".
Come vanno sostenuti gli iracheni? Andando a Bagdad, manifestando? Come?
"Innanzitutto con la solidarietà umana e politica, poi combattendo contro la
guerra americana, schierandosi contro. Nei modi più diversi. Del resto una
resistenza nel mondo c'è già. Penso all'Europa, anche a quella che non piace
a me, quella di Chirac e di altri. In ogni modo, è sbagliata questa mia
convinzione? E sia. Cominciamo allora a discutere subito, da domani mattina,
gli atti da compiere per far cessare la guerra. E mi dicano dove e quando ci
riuniamo per avviare questo esito: a che ora, in quale luogo, fra chi. E
usando quali strumenti: alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo,
all'Onu. O nei mille comuni italiani o nelle venti regioni e ricorrendo a
quali poteri di decisione. Perché in Iraq intanto si spara e laggiù la
politica parla ed agisce con le armi. E la parola "disarmo", l'ho detto
tante volte amaramente in questi anni, è parola defunta: non la pronuncia
più nessuno".