[Lecce-sf] I primi affari...

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Gli interessi del conflitto
di Guido Fossati
http://www.clarence.com/contents/societa/wwwar/archives/001278.html

C'è ancora molto da distruggere, ma il primo contratto per la ricostruzione
dell'Iraq è già stato firmato: se lo è aggiudicato la multinazionale texana
Halliburton. Per conto del genio militare statunitense i tecnici della
compagnia dovranno spegnere i pozzi di petrolio incendiati e avviarne la
riparazione. Secondo un portavoce dell'Halliburton questa fase durerà 240
giorni e rappresenta solo l'inizio del lavori. In effetti leggendo il
"company profile" si capisce che per una società come come l'Halliburton l'
Iraq rappresenta una specie di capitalistico paese dei balocchi: "L'attività
principale del Gruppo consiste nel fornire una varietà servizi e prodotti di
manutenzione, progettazione e costruzione nel campo dell'energia per l'
industria privata e il governo". Il business è quello del petrolio, a ciclo
completo: trivellazione, oledotti e raffinazione. L'annuncio del contratto è
stato dato martedì 25 marzo e da allora il titolo della compagnia ha preso a
correre: da 20 dollari a 21,50 con un incremento di oltre il 7%.


Gli analisti attribuiscono alle azioni dell'Halliburton un rating variabile
che va da Strong Buy a Buy. I più prudenti non scendono sotto l'Hold. Chissà
quale di questi suggerimenti vorrà seguire il vice-presidente della Stati
Uniti Dick Cheney, ex presidente e CEO della Halliburton, che quando nell'
agosto 2000 tornò alla politica vendette azioni della società per un valore
di 35 milioni di dollari. Un bel gruzzolo ma non era mica tutto: gli restano
500 mila stock-options da incassare nei prossimi anni.

Cheney del resto questi soldi se li è guadagnati: nei cinque anni della sua
direzione la Halliburton ha ricevuto commesse e prestiti dal governo per una
valore di 3,8 miliardi di dollari. Forse vi interesserà sapere che l'
Appropriations Committee del Congresso, deputato a sorvegliare l'utilizzo di
denaro pubblico, era in quegli anni sotto il controllo del Partito
Repubblicano e che la compagnia texana con l'insediamento di Cheney
raddoppiò il suo contributo (negli Usa assolutamente legale) al Partito
Repubblicano stesso portandolo a 1.212.000 dollari.

Ma Cheney non è l'unico esponente dell'attuale amministrazione ad aver fatto
la staffetta tra politica e affari: il ministro dei trasporti Norman Mineta
è stato vicepresidente della Lockheed Martin, il colosso dell'aeronatica che
costruisce razzi e aerei da combattimento per la US Air Force. Tra le
competenze del ministero dei trasporti americano sapete cosa ci sono? 3.9
milioni di miglia di strade pubbliche e, guarda caso, 2 milioni di miglia di
oleodotti che trasportano petrolio e gas naturale.
È singolare il fatto che basti sfiorare un qualsiasi menbro dello staff
presidenziale per veder sgorgare petrolio.

Lo stesso Bush viene da una famiglia di petrolieri. George W. Junior fondò
la Arbusto Energy nel lontano 1978, poi divenne CEO della Henken che
abbandonò nel 1990 sull'orlo del fallimento. Il futuro presidente vendette
le sue azioni incassando 850 mila dollari con un profitto del 200% una
settimana prima che la Henken denunciasse perdite per 23 milioni di dollari
e perdesse il 60% del suo valore di borsa nei successivi sei mesi. Il
pendolare tra la Studio Ovale e l'ufficio di amministratore delegato di
qualche grossa impresa lo ha fatto anche Donald Rumsfeld: giovanissimo
segretario alla Difesa durante la presidenza Ford, dal 1977 al 1985 fu CEO
di una industria farmaceutica e dal 1990 al 1993 della General Instrument
(trasmissioni digitali e telecomuniazioni), prima di tornare al punto di
partenza come ministro della Difesa.

In questi giorni in cui sono in corso massicci bombardamenti sull'Iraq
circolano già le stime su quanto servirà per la ricostruzione: si parla di
decine di miliardi di dollari. Alan Larson, sottosegretario di stato, ha
tenuto a sottolineare che affidare questi lavori ad aziende americana "è la
cosa più responsabile da fare".
Chi, come noi, è portato a scandalizzarsi per i conflitti di interesse che
affliggono lo Stivale si può consolare: il nostro in fondo è un paese di
piccoli, innocui e tutto sommato folkloristici farabutti, incapaci di
pensare veramente in grande.

Inviato da Guido Fossati