La scomparsa di Luciano Della Mea, giornalista militante ed appartato
Socialista di sinistra Intellettuale "contro"
Rina Gagliardi
Si è spento la scorsa notte in una clinica di Firenze Luciano Della
Mea. Era gravemente ammalato da alcuni mesi. «Se ne è andato in serenità»,
ci dice al telefono Ivan Della Mea, suo fratello, notissimo musicista e
cantautore, oggi collaboratore di Liberazione. Luciano avrebbe compiuto nel
prossimo maggio 79 anni - era nato a Torre, nel territorio di Lucca, nel
1924.
«Se c'è un dio, se c'è un paradiso \Luciano tuo fratello lui ci andrà
\ Lui che non crede, che non va alla messa. \ E' socialista e questo cosa
fa? \ Il giusto e il vero, sai, non han colore». In questa ballata dedicata
alle elezioni del 7 giugno '53, Ivan Della Mea parlava per la prima volta di
suo fratello, maggiore di lui di diversi anni, da sempre impegnato sul
doppio fronte della politica e della cultura. Un uomo multiforme, attivo,
ricco di idee e di iniziative, ma anche dolcissimo. «Per me lui è stato il
mio vero padre, l'unica figura paterna di riferimento», dice ancora Ivan. In
un'altra delle sue prime canzoni, Luciano è ancora protagonista: parla del
suicidio di Cesare Pavese, poi va a una riunione della Ca' de la Cultura ma
prima l'ha mangià del grana e una pera. Immagini (e suoni) che tornano di
colpo alla mente, più vivide di molte del passato recente.
Ma chi era Luciano Della Mea? Un militante politico, un giornalista,
un organizzatore culturale. Aveva lavorato nel Psi fino alla fine degli anni
'60, poi aveva vissuto da protagonista - ancorché «extragenerazionale» - la
grande stagione del '68 e quella (assai meno grande) dei gruppi della nuova
sinistra, infine aveva continuato un intenso lavoro di "movimento"
culturale, sociale, editoriale. Da molti anni, aveva scelto - fino a
teorizzarne la necessità e forse la superiorità - la dimensione locale,
tornando a vivere nel paese in cui era nato, ma continuando a fare riviste
(«Il Grande Vetro»), a pubblicare libri, a promuovere ricerche e iniziative
territoriali. Ma il suo orizzonte - la sua figura, il ruolo svolto nell'arco
di molti decenni, la ricchezza della sua produzione scritta - a tutto
rinviano fuorchè a una dimensione "provinciale". Piuttosto, Luciano Della
Mea è stato davvero un intellettuale contro, consapevolmente estraneo ai
circuiti del presenzialismo, alle scorciatoie, alle facili illusioni.
Diamo ancora la parola a Ivan. «Poco tempo fa mio fratello mi ha quasi
dato una disposizione testamentaria. Mi ha detto: vorrei essere ricordato
come un socialista di sinistra. In fondo, questo sono sempre stato e questo
sono sostanzialmente rimasto». Aveva cominciato, Luciano, come redattore
dell'Avanti e una rubrica («Arrivi e partenze») di felice scrittura. Poi,
con Gianni Bosio, aveva promosso le edizioni del Gallo: preziosi volumetti
dalle copertine lucide, grigie o rosse, che raccoglievano documenti
politici, testimonianze inedite (come le Lettere dalle case chiuse raccolte
da Lina Merlin, o come Ascolta Mr. Bilbo. canti di protesta del popolo
americano), raccolte di poeti ancora in Italia misconosciuti (come il grande
poeta turco Nazim Hikmet). Nella stessa direzione, va l'esperienza - a
Milano - dei «Quaderni rossi», la fondazione di giornali come «L'Unione
operaia», poi «Il Potere operaio», e di riviste come «Nuovo Impegno». Siamo
a ridosso del '68, a Pisa - Luciano ha lasciato il Psi e «usa» il Psiup come
sede delle stesse idee, la costruzione dal basso di un nuovo protagonismo,
l'organizzazione di una soggettività davvero altra, la promozione di una
democrazia radicale. Proprio a Pisa Luciano diventa per i giovani del
movimento uno straordinario punto di riferimento. Racconta Lidia Marchiani,
sessantottina, poi insegnante e saggista: «Ho un ricordo molto intenso di
Luciano della Mea: per tanti di noi era un Mito. Un uomo sereno, mai
esagitato, che aveva trasformato la sua casa in laboratorio politico e di
idee. Con pochi tocchi, ci orientava, dirimeva i nostri dubbi, offriva uno
sbocco chiaro e nitido alle nostre istanze. E lo faceva senza mai
sovrapporsi a noi, ma praticando, in quel momento, un modo nuovo di fare
politica. Così fu anche per Nuovo Impegno, che nacque come rivista
letteraria, poi diventò un organo del '68». E poi? Non durò a lungo, quella
stagione. Dall'unità della protesta dei giovani nacquero i gruppi, e le
divisioni, e di nuovo il dibattito di sempre - spontaneità o organizzazione?
. Di nuovo Luciano si appartò, scelse altre strade, conobbe molti momenti di
crisi personale durissima. Dopo gli anni '70, I suoi interessi privilegiati
divennero sociali e politici in senso ampio - la droga, l'esclusione
manicomiale, la lotta alla mafia, a Erice, dove avevano ammazzato Mauro
Rostagno. E le riviste, appunto, come «Il Grande Vetro», con il tentativo di
contaminare, finalmente, politica e cultura, trasformazione sociale e
identità antagonista. E i libri: i suoi («Il fossile ignoto», «Proletari
senza rivoluzione», «I senza storia», le poesie, le pièce teatrali,
l'autobiografia «Una vita schedata», uscita nei Gettoni di Einaudi) ma anche
quelli pubblicati con la Jaca Book (l'ultimo, una biografia di don Lorenzo
Milani). Poi, l'ultima sfida, una malattia di quelle che non perdonano. Ma
li suoi ultimi mesi, ancora, sono stati di lavoro, ricerca, curiosità.
Chi vorrà salutare per l'ultima volta Luciano, potrà trovarsi
dopodomani, giovedì, alle 15, 30, al cimitero di Torre.
--------------------------------------------------------------------------