[CSSF] Fw: Il diritto alla resistenza

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Autor: Carlo Mileti
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Temat: [CSSF] Fw: Il diritto alla resistenza
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From: "Carlo Gubitosa" <c.gubitosa@???>
To: <news@???>
Sent: Tuesday, March 25, 2003 12:28 PM
Subject: Il diritto alla resistenza


> [Per gentile concessione di Giorgio Giannini, del Centro Studi Difesa
> Civile, pubblichiamo questo lavoro preliminare per uno studio approfondito
> sul diritto di Resistenza]
>
> Per contatti:
>
> Centro Studi Difesa Civile
> Segreteria operativa RM: Via Salaria 89, 00198 Roma - Tel. 06.84.19.672;
> pacedifesa-roma@???
> Segreteria operativa PG: c/o AUOC, Via della Viola 1, 06122 Perugia - Tel.
> 075.572.66.41; perugia@???
>
> -----
>
> IL DIRITTO DI RESISTENZA
> NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
> di Giorgio Giannini [1]
>
> IL DIRITTO DI RESISTENZA NELLA STORIA
>
> Nell'era moderna, il problema dell'obbedienza o meno all'Autorita' ed al
> potere costituito si pone con il Cristianesimo, per il quale l'obbedienza

a
> Dio viene prima di quella alle leggi dello Stato (Obedire oportet Deo,
> magis quam hominibus- Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini- Atti
> 5,9-). In base a questo principio, i cristiani dei primi due secoli
> disobbediscono alle leggi romane che essi considerano contrarie ai
> comandamenti divini, in primo luogo la legge che impone di prestare il
> servizio militare, perche' e' contrario al comandamento di "non uccidere",
> ed affrontano serenamente le pene, compreso il martirio, per rimanere
> fedeli alla propria religione ed alla propria coscienza (i cristiani sono
> infatti i primi obiettori di coscienza al servizio militare).
> Tutto cambia nel 313, quando l'imperatore Costantino riconosce come
> Religione il Cristianesimo, che successivamente diventera' addirittura
> l'unica e vera Religione dello Stato romano. Nel 380, con un provvedimento
> dell'imperatore Teodosio, solo i cristiani saranno considerati meritevoli
> di prestare il servizio militare nelle truppe imperiali.
> Dal Medio Evo, vari filosofi e teologi elaborano dottrine sul diritto di
> resistenza; ricordiamo S. Tommaso d'Aquino che afferma: "Chi uccide il
> tiranno e' lodato e merita un premio".
> Secondo autorevoli costituzionalisti, il riconoscimento giuridico del
> diritto di resistenza risale alla Bolla d'oro di Andre' II del 1222 ed al
> Capitolo 61 della Magna Charta inglese del 1225.
> Il diritto -dovere di resistenza e' riconosciuto espressamente nella
> Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America del 5 luglio
> 1776: "Noi riteniamo che ...tutti gli uomini sono stati creati uguali, che
> il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti....che
> ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini,
> sia diritto del popolo il modificarla o l'abolirla, istituendo un nuovo
> governo che ponga le basi su questi principi...Allorche' una lunga serie

di
> abusi e di torti...tradisce il disegno di ridurre l'umanita' ad uno stato
> di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo
> diritto, rovesciare un tale governo...".
> Il diritto -dovere di resistenza all'oppressione riceve la legittimazione
> giuridica anche nella Rivoluzione Francese. Infatti la Dichiarazione dei
> Diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 afferma all'art.2:"Lo scopo di
> ogni societa' e' la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili
> dell'uomo. Questi diritti sono la liberta' e la proprieta', la sicurezza e
> la resistenza all'oppressione".
> In modo piu' esplicito, la Costituzione francese del 1793 ( che pero' non
> e' mai entrata in vigore) afferma all'art.33 : "La resistenza
> all'oppressione e' la conseguenza degli altri diritti dell'uomo" ed
> all'art.35 :" Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione
> e' per il popolo il piu' sacro dei diritti ed il piu' indispensabile dei
> doveri".
> Negli anni seguenti, con l'affermarsi degli Ordinamenti
> democratico-liberali, si affievolisce l'interesse per il diritto-dovere di
> resistenza all'oppressione, che diventa l'extrema ratio per la difesa
> dell'Ordinamento democratico dello Stato [2]. Cosi', anche in Italia, dopo
> l'emanazione dello Statuto Albertino del 1848, la resistenza, soprattutto
> quella collettiva, finisce con l'essere legittimata solo entro i limiti

del
> rispetto della Costituzione vigente.
> Il problema del riconoscimento giuridico del diritto-dovere di Resistenza
> si ripropone alla fine della Seconda Guerra mondiale, dopo le tragiche
> vicende dello sterminio di milioni di esseri umani, soprattutto ebrei, nei
> Lager nazisti. Cosi', nello Statuto del Tribunale di Norimberga, definito
> nell'accordo di Londra dell'8.8.1945 da parte delle potenze alleate, viene
> stabilito il principio della responsabilita' penale personale di coloro

che
> hanno commesso "crimini di guerra" o "crimini contro l'umanita'", anche se
> in esecuzione di ordini emanati da un'autorita' superiore.
> Questo principio e' stato riconosciuto dall'Ordinamento Internazionale ed
> il diritto di resistenza e' stato inserito in numerose Costituzioni del
> secondo dopoguerra, soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca, che
> aveva dato origine all'orrore nazista. Cosi', la Costituzione del Lander
> dell'Assia del 1.12.1946, all'art.147 afferma: "La resistenza contro
> l'esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito e' diritto e
> dovere di ciascuno". La Costituzione del Lander di Brema del 21.10.1947
> ,all'art. 19 afferma:" Se i diritti dell'uomo stabiliti dalla Costituzione
> sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la
> resistenza di ciascuno e' diritto e dovere". La Costituzione del Lander di
> Brandeburgo del 31.1.1947, all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in
> contrasto con la morale e l'umanita' sussiste un diritto di resistenza".
> Anche la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ,all'art.20, 4°
> comma, afferma:" Tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro
> chiunque intraprenda a rimuovere l'ordinamento vigente, se non sia
> possibile alcun altro rimedio".
> Recentemente, una importante sentenza del Conseil Constitutionnel francese
> (equivalente alla nostra Corte Costituzionale) ha riaffermato la

resistenza
> "come diritto positivo di valore costituzionale" che "potra' servire da
> parametro di costituzionalita' per la valutazione di leggi repressive che
> tendano ad impedire al popolo sovrano alcune forme di esercizio".
>
> Il DIRITTO DI RESISTENZA NEL DIBATTITO PER L'APPROVAZIONE DELLA
> COSTITUZIONE ITALIANA
>
> Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all'interno della

Commissione
> dei 75 ( cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare la prima parte
> della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione, al 2° comma
> dell'art.50, la seguente disposizione, "Quando i pubblici poteri violino

le
> liberta' fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la
> resistenza all'oppressione e' diritto e dovere del cittadino".
> La norma e' proposta dall'On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall'On.
> demolaburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre Carte
> Costituzionali, in particolare all'art.21 della Costituzione francese del
> 1946, che stabilisce: "Qualora il governo violi la liberta' ed i diritti
> garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, e' il piu'
> sacro dei diritti ed il piu' imperioso dei doveri".
> Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione e' discusso nel plenum
> dell'Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al
> Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in

linea
> di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di
> resistenza, sollevano dei dubbi sull'opportunita' del suo inserimento

nella
> Costituzione. [3]
> Nel dicembre 1947, quando si esamina l'art.50 del Progetto di

Costituzione,
> anche i democristiani si oppongono all'inserimento del diritto di
> resistenza nel testo definitivo della Costituzione. [4] Cosi', quando si
> vota il testo dell'art.54, che ha sostituito l'art.50 del Progetto, il
> diritto di resistenza e' soppresso, nonostante il voto favorevole dei
> comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente
> sull'esito del voto influirono motivazioni di opportunita' politica ed
> anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di

resistenza
> e quello di rivoluzione. Invece tra i due termini c'e' una profonda
> differenza : la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico;
> invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico (purche'
> sia, naturalmente, democratico) e quindi e' uno strumento di garanzia per
> la sua esistenza.
>
> LA SOVRANITA' POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA
>
> Secondo autorevoli costituzionalisti, anche se non e' espressamente
> stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il "diritto di resistenza
> all'oppressione" e' implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie
> di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi
> fondamentali in essa stabiliti. [5] Infatti, il diritto di resistenza

trova
> la sua legittimazione nel principio della "sovranita' popolare" , sancito
> nell'art. 1 della nostra Costituzione [6] , che quindi rappresenta la
> legittimazione all'intero Ordinamento giuridico.
> La "sovranita'", peraltro, e' attribuita ad ogni singolo cittadino, come
> membro del popolo, e non solo al popolo nel suo insieme.
> Nel nostro Ordinamento giuridico, comunque, ci sono varie norme che
> stabiliscono la legittimita' della resistenza individuale ( cioe' del
> singolo individuo) di fronte al provvedimento illegittimo (anche se
> apparentemente legittimo) dell'Autorita' e/ o al comportamento arbitrario
> di un pubblico funzionario. Ricordiamo, l'art. 4 del DLL n. 288 del 1944 ,
> che legittima la resistenza attiva (non solo passiva) ad un pubblico
> ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora
> queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. Ricordiamo
> anche l'art.51 del Codice penale che esclude la punibilita' dei fatti
> compiuti nello "esercizio di un dovere" o nello "adempimento di un dovere,
> imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
> Autorita'" e l'art.650 del Codice Penale, che legittima la disobbedienza
> contro provvedimenti non "legalmente dati" dall'Autorita' ,cioe' emanati
> arbitrariamente e quindi illegittimi.
> Per i militari, inoltre, il dovere di disobbedire all'ordine

manifestamente
> illegittimo e' previsto dalla legge 11.7.1978 n. 382 (Norme di principio
> sulla disciplina militare), che all'art. 4 stabilisce: " Il militare al
> quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le
> istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque
> manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine e di informare
> al piu' presto i superiori". La norma e' ribadita nell'art.25 del
> Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con il DPR n. 545 del
> 1986.
> Questa norma e' una chiara esecuzione dell'art. 52 , 2 comma della
> Costituzione, che stabilisce che "l'ordinamento delle Forze Armate si
> informa allo spirito democratico della Repubblica".
> Allo stesso modo e' perfettamente legittima la resistenza collettiva

contro
> ordini, decisioni o comportamenti, in contrasto con i principi
> incostituzionali, adottati non solo da pubblici funzionari o dalle
> Autorita', ma anche da Organi Costituzionali, quali Governo e Parlamento,
> che rappresentano lo Stato-apparato.
> La resistenza collettiva si esercita attraverso l'esercizio dei diritti di
> liberta'
> , previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il
> diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero
> (art.40) , anche politico. [7]
> In verita', l'art. 54 della Costituzione sancisce: "Tutti i cittadini

hanno
> il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione
> e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il
> dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento".
> Non si deve pero' confondere il dovere di fedelta' con quello di
> obbedienza. Sono infatti due concetti diversi: la fedelta' alla Repubblica
> precede , logicamente e concettualmente, l'osservanza delle leggi dello
> Stato. Pertanto, il dovere di fedelta' alla Repubblica, e quindi alla
> Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti,
> prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il
> presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore
> con i principi fondamentali dell'Ordinamento Costituzionale, e' sempre
> l'obbedienza a questi ultimi che prevale sull'obbedienza alle leggi.
> Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l'obbligo di
> fedelta' alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in
> sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla Carta Costituzionale.
> Non a caso il diritto di resistenza e' stato concepito nel 1946 (quando
> viene inserito nell'art.50 del Progetto di Costituzione) come collegato al
> dovere di fedelta', stabilito dall'art. 54 ( gia' art. 50 del Progetto),
> anche se in un primo momento era stato collegato al principio della
> sovranita' popolare.
> Naturalmente, la resistenza non puo' essere esercitata in forma violenta,
> perche', per difendere un diritto fondamentale, leso dall'esercizio
> arbitrario di pubbliche funzioni, non si puo' ledere e sacrificare altri
> diritti fondamentali, di pari o maggiore rilevanza, quale quello alla vita
> ed alla sicurezza delle persone. [8]
>
> LA " PACE" PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLA COSTITUZIONE
>
> L'art.11 della Costituzione sancisce: "L'Italia ripudia la guerra come
> strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
> risoluzione delle controversie internazionali". Da questa disposizione,
> inserita nei "principi fondamentali", deriva una chiara connotazione
> "pacifista" del nostro Paese e quindi l'illegittimita' non solo della
> guerra "offensiva", ma anche di quella decisa al di fuori della decisione
> degli Organismi Internazionali di cui il nostro Paese fa parte, quali

l'ONU
> o la NATO.
> La nostra Costituzione, inoltre, all'art.2 "riconosce e garantisce i
> diritti inviolabili dell'uomo", tra i quali c'e' sicuramente anche il
> "diritto alla pace" ( cioe' dei cittadini a vivere in pace). Pero' questo
> diritto inviolabile non puo' essere tutelato con la violenza, sacrificando
> cosi' altri diritti inviolabili, come abbiamo gia' detto.
> Inoltre, la Costituzione, all'art.10 stabilisce espressamente che il

nostro
> Ordinamento giuridico "si conforma alle norme del diritto internazionale
> generalmente riconosciute", le quali recepiscono i principi fondamentali
> del cosidetto "diritto delle genti", ed alle quali pertanto nessuno puo'
> sottrarsi.
> La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 829 del 1988 ha chiarito che
> quando la Costituzione affida l'adempimento dei "compiti fondamentali",

tra
> i quali rientra anche quello della "convivenza pacifica tra i popoli" in
> base all'art.11, alla Repubblica o all'Italia, si riferisce anche agli

Enti
> Locali, nelle loro varie articolazioni (Regioni, Provincie, Comuni), i
> quali pertanto sono corresponsabili nell'adempimento di questi "compiti
> fondamentali". Ne deriva che gli Enti Locali hanno non solo il diritto, ma
> anche il dovere di "impegnarsi per la pace", ad esempio attivandosi per
> promuovere e diffondere tra i cittadini la "cultura della pace". Inoltre,
> possono anche attuare "atti di non collaborazione" con le iniziative
> belliche decise dal Governo in modo illegittimo, perche' in contrasto con

i
> principi costituzionali.
>
> CONCLUSIONI
>
> Il diritto di resistenza e' sostanzialmente (ed implicitamente) accolto
> dalla nostra Costituzione, in quanto rappresenta una estrinsecazione del
> principio della sovranita' popolare, sancita dall'art. 1 della

Costituzione
> e che quindi informa tutto il nostro Ordinamento giuridico.
> La sovranita' e' esercitata in modo diretto attraverso i fondamentali
> diritti di liberta', garantiti espressamente dalla Costituzione, ed in

modo
> indiretto attraverso lo Stato- apparato (la Pubblica Amministrazione), la
> cui attivita' non puo' comunque essere in contrasto con la sovranita'
> popolare. Pertanto, quando lo Stato non esprime una volonta' contraria a
> quella del popolo, spetta a questo ( e quindi ai cittadini, singolarmente

o
> collettivamente) riappropriarsi della sovranita' per ripristinare la
> legalita' ( ad esempio difendere le Istituzioni democratiche).
> In pratica, quando il Governo, pur instauratosi legalmente ( con le
> elezioni) agisce al di fuori della propria legittimazione (che deriva

dalla
> sovranita' popolare espressa con le elezioni), i cittadini, che sono gli
> effettivi titolari della sovranita' possono, anzi devono, attivarsi
> (appunto con la resistenza) per ripristinare la legalita' violata.
> Se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, quale
> estremo rimedio per ripristinare la legalita' violata, il principio della
> sovranita' popolare sarebbe di fatto privo di significato [9]. Pertanto,

la
> resistenza dei cittadini e' uno strumento fondamentale, seppure
> eccezionale, di garanzia dell'Ordinamento Costituzionale, anche se non e'
> espressamente stabilita.
> Inoltre, il dovere di fedelta' alla Costituzione, sancito dall'art.54,
> comporta il dovere di non obbedire alle leggi che sono in contrasto con
> essa. Pertanto, quando si compiono, da parte di qualunque Organo
> Costituzionale, anche il Governo o il Parlamento, atti di eversione
> dell'ordine costituzionale, c'e' non il diritto, ma il dovere di

resistenza
> ( individuale o collettiva ed anche "attiva", purche' attuata in modo
> nonviolento per non ledere i diritti fondamentali di altri individui), al
> fine di salvaguardare le Istituzioni democratiche.
> Cosi', quando lo Stato-apparato realizza materialmente un'attivita'
> contraria ai principi fondamentali della Costituzione, come ad esempio

fare
> una guerra "offensiva" o illegittima, quale e' quella decisa al di fuori
> degli Organismi Internazionali, nasce il dovere di resistenza, anche
> collettiva, quale "extrema ratio" per il ripristino della legalita'
> costituzionale, e che puo' essere praticata anche nella forma della
> disobbedienza civile, nonviolenta.
>
> NOTE
>
> [1] Ricercatore e storico, e' autore di numerose pubblicazioni
> sull'opposizione popolare al fascismo, sulla Resistenza e sull'obiezione

di
> coscienza, socio fondatore del Centro Studi Difesa Civile.
>
> [2] Vedasi al riguardo quando affermato dal giurista Romagnosi in La
> scienza della Costituzione nel 1849.
>
> [3] Al riguardo l'On. liberale Condorelli afferma: "Bisogna riconoscere

che
> questo diritto di resistenza, che si manifesta attraverso insurrezioni,
> colpi di Stato, rivoluzioni, non e' un diritto, ma la stessa realta'
> storica...Sono fatti logicamente anteriori al diritto".
>
> [4] L'On. democristiano Mortati, nella sua dichiarazione di voto afferma:
> "Non e' al principio che ci opponiamo ,ma all'inserzione nella

Costituzione
> di esso, e cio' perche' a nostro avviso il principio stesso riveste
> carattere metagiuridico e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le
> possibilita' di accertare quando il cittadino eserciti una legittima
> ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima"
>
> [5] Al riguardo, il prof. Paolo Barile scrive: "Anche qualora il diritto
> positivo vietasse espressamente al resistenza, essa sarebbe perfettamente
> legittima in quanto la violazione della costituzione materiale compiuta da
> un soggetto legittimerebbe la conseguente violazione delle norme che
> vietano la resistenza da parte di un altro soggetto interessato al
> mantenimento delle basi dell'ordinamento violato." Infatti, dai lavori
> preparatori si ha la sensazione che l'Assemblea Costituente non abbia
> voluto costituzionalizzare un tale principio, ma che non abbia neppure
> voluto prendere la esplicita posizione di vietarlo". (Il soggetto privato
> nella Costituzione italiana, Cedam, 1953).
>
> [6] Al riguardo, l'On. Costantino Mortati, anche lui eminente
> costituzionalista, nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell' art

50
> del Progetto di Costituzione, afferma: "La resistenza trae titolo di
> legittimazione dal principio della sovranita' popolare perche' questa,
> basata com'e' sull'adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati

nella
> Costituzione, non puo' non abilitare quanti siano piu' sensibili a essi ad
> assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando cio' si
> palesi necessario per l'insufficienza e la carenza degli organi ad essa
> preposti". Inoltre, nel suo commento all'art.1 della Costituzione, nel
> Commentario della Costituzione del 1975, afferma: "Per contestare
> l'ammissibilita' del diritto di resistenza non vale richiamarsi alla
> decisione della Costituente di eliminare la norma del progetto che lo
> prevedeva. In realta' dalla discussione non emergono chiaramente i motivi
> del rigetto, molto contestato, ma prevalente sembra essere stata

l'opinione
> dell'inutilita' di una norma che disciplini i modi di esercizio di un
> diritto che, per sua stessa natura, sfugge ad astratte predisposizioni"
>
> [7] Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un
> costituzionalista molto acuto (chiamato il "dottor sottile" ed in seguito
> diventato Presidente del Consiglio dei Ministri), commentando le due
> sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania

in
> seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell'On.
> Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano
> (peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961
> scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo " non fanno
> capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via
> permanente, dal popolo". Pertanto, "l'esercizio di quei poteri deve
> svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare
> una permanete conformita' dell'azione governativa agli interessi in senso
> lato della collettivita' popolare: si che, quando tale conformita' non sia
> perseguita da quell'azione, e' perfettamente conforme al sistema, cioe'
> legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla
> situazione costituzionalmente abnorme". Sostiene inoltre che " la
> resistenza collettiva puo' indirizzarsi anche contro il Parlamento"

qualora
> la sua azione sia illegittima. Pertanto, "potrebbe il popolo, nel mancato
> funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all'interno dello
> Stato-governo, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano
> volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione".
> Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranita' popolare
> nell'ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi

di
> controllo e di garanzia ,se cioe' lo stesso Stato-apparato fosse

"partecipe
> dell'azione eversiva", compiendo "atti difformi dai valori e dalle
> finalita' fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella
> Costituzione", allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza,
> individuale o collettiva. Afferma inoltre:" ove circostanze particolari lo
> impongano, come puo' disconoscersi al popolo, che della sovranita' e'
> titolare e che ne controlla l'esercizio....da parte dello Stato-governo,

il
> potere di ricondurre alla legittimita', con mezzi anche non previsti,
> questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti".
>
> [8] Peraltro il comportamento violento del singolo individuo e' ammesso
> solo in alcune ipotesi espressamente previste dal Codice penale, quali la
> legittima difesa e lo stato di necessita', che comunque sono valutati dal
> giudice con rigore.
>
> [9] Al riguardo il Prof. Vezio Crisafulli, eminente costituzionalista,
> scrive che ,negli ordinamenti nei quali e' accolto il principio della
> sovranita' popolare, il popolo "e' sempre in grado di far valere la

propria
> volonta', a tutela dei propri interessi, nei confronti di quella,
> eventualmente contrastante, manifestata dalla persona statale attraverso i
> suoi organi".
>
>