[CSSF] Fw: [MEDIA] - CARITAS: Conflitti Dimenticati

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Author: Carlo Mileti
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Subject: [CSSF] Fw: [MEDIA] - CARITAS: Conflitti Dimenticati
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From: "Carlo Gubitosa" <c.gubitosa@???>
To: <news@???>
Sent: Monday, March 10, 2003 5:22 PM
Subject: [MEDIA] - CARITAS: Conflitti Dimenticati


> Fonte:
> http://www.db.caritas.glauco.it/caritas/Evidenza_sn/Conflitti/Sintesi.htm
>
> Conflitti dimenticati
>
> Una ricerca della Caritas Italiana in collaborazione con "Famiglia
> Cristiana" e "Il Regno"
>
> Riportiamo di seguito alcuni passaggi del volume "I conflitti dimenticati"
> (ed. Feltrinelli, pp. 149), curato da Caritas Italiana in collaborazione
> con le riviste "Famiglia Cristiana" e "Il Regno". La ricerca si e' avvalsa
> del supporto di F. Strazzari e G. Giacomello dell'Istituto Universitario
> Europeo di Fiesole, e di altri autorevoli esperti (la SWG di Trieste,
> Canale Tre di Roma, il Centro Ferrari di Modena, P. Boda dell'Universita'
> di Roma e A. Brandani dell'Universita' di Bologna).
>
> Esistono conflitti?
>
> Negli anni '90 si sono registrate 57 guerre in 45 Paesi, in massima parte
> deflagrazioni civili combattute per il controllo del governo o del
> territorio. Il 90% delle guerre dopo il 1945 ha avuto luogo nei Paesi
> poveri. A pagarne il prezzo maggiore sono stati degli innocenti: 2 milioni
> di bambini morti dal '90 al 2000; circa 27 milioni di morti tra i civili
> dal dopoguerra ad oggi (il 90% del totale delle vittime); 35 milioni di
> rifugiati. A cio' si aggiungano i danni ambientali, economici, sociali,
> spesso cause di sottosviluppo di interi continenti.
>
> I conflitti sono dimenticati?
>
> Una risposta sintetica a tale domanda non puo' che essere affermativa,
> almeno se ci si riferisce all'Italia di oggi. Tv, radio, stampa,

Internet,
> Istituzioni (europee e italiane), la stessa popolazione in generale da'
> poca attenzione, talvolta semplifica o banalizza situazioni drammatiche.
> Anche la Chiesa cattolica, sebbene si metta in gioco in prima linea (si
> pensi all'audacia del Papa e ai 634 martiri degli ultimi 12 anni) non
> raggiunge in modo significativo l'obiettivo di informare i cattolici sui
> disastri causati dalle guerre. Un campione rappresentativo della
> popolazione italiana e' stato infatti raggiunto all'inizio di dicembre
> 2001, attraverso un sondaggio demoscopico. Che la guerra evochi
> nell'immaginario collettivo un'idea di morte e devastazione lo riconosce

il
> 78% degli intervistati. E tuttavia il 25% degli stessi non e' in grado di
> citare alcun paese coinvolto in guerre.
>
> I mass-media
>
> La maggioranza degli intervistati ritiene che l'opinione pubblica non sia
> sufficientemente informata sulle guerre in corso e sulle ragioni che le
> determinano. Questo implica un giudizio negativo sui media di cui essi
> prevalentemente si servono: Tv, radio e stampa. Questa considerazione e'
> confermata dalle altre parti della ricerca relative ai mass-media che ha
> preso in esame l'informazione su sette casi studio (Angola, Colombia,
> Guinea Bissau, Kosovo, Palestina, Sierra Leone, Sri Lanka) per un periodo
> di osservazione di 2 anni e mezzo (dal 1/1/99 al 30/6/01).
>
> Per quanto riguarda la stampa quotidiana italiana sono stati esaminati
> quattro quotidiani nazionali: "La Repubblica", "Il Corriere della Sera",
> "La Stampa" e "Avvenire", per dieci settimane estratte casualmente, due a
> semestre, dal gennaio 1999 al giugno 2001. Su 1087 articoli analizzati,
> Palestina e Kosovo si presentano al primo posto, con il 95,2% del totale
> degli articoli. I casi scelti tra le "guerre dimenticate" occupano
> solamente il 4,8% del totale degli articoli censiti, confermando cosi' che
> l'attenzione data a conflitti "vicini" (geograficamente, culturalmente,
> ecc., come ad esempio Kosovo e Palestina) e' assai superiore a quella data
> a situazioni meno note (grafico 1). La conclusione e' che nella stampa
> quotidiana italiana ci sono guerre di serie A e guerre di serie B.

Inoltre,
> la presenza sulla stampa di notizie sui conflitti e' episodica, legata
> spesso a singoli eventi, con una vitalita' che in genere non supera i due
> giorni consecutivi di presenza sui quotidiani. Nell'analisi dei conflitti
> da parte della stampa italiana prevale la cronaca diplomatica e quella
> militare a scapito dell'analisi delle cause e delle conseguenze sociali,
> economiche, culturali, ecc. La maggior parte delle fonti e' di origine
> internazionale, tra cui gli stessi governi nazionali e agenzie
> internazionali, spesso compromesse con interessi di governi e lobbies
> politico-economiche, la cui attendibilita' e' quantomeno discutibile.
>
> Per Internet, radio e televisione le considerazioni sono analoghe. Per la
> Tv in particolare, i dati confermano decisamente l'esistenza di conflitti
> dimenticati da parte dei media televisivi italiani, anche se bisogna
> rilevare una maggiore attenzione su questi temi da parte della Tv

pubblica.
> Sono stati analizzati 68.510 giornali radiotelevisivi, catalogando le
> notizie con criteri quanti-qualitativi (che tengono conto di orari,
> collocazioni, ecc.) che corrispondono all'offerta informativa di 8 antenne
> Tv nazionali [Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Rete 4, Italia 1, TMC 1 (oggi
> La 7), TMC 2 (oggi MTV)] e di 13 antenne radio [Radio 1, Radio 2, Radio 3,
> Italia Radio, Radio 24, Radio Capital, Italia Radio, Radio Vaticana, RDS,
> RTL, Radio Popolare, Radio 105, CNR], per 2 anni e mezzo e cioe' per
> l'intero periodo oggetto della ricerca (da 1/1/99 a 30/6/01). In generale
> la radio mostra un grado di copertura migliore e piu' equilibrato. Ad
> esempio, mentre nel caso delle emittenti televisive il conflitto con il
> maggior grado di copertura (Kosovo, 103.304) riscuote un punteggio 2792
> volte superiore rispetto al conflitto con il grado piu' basso di copertura
> (Guinea Bissau, 37), nel caso della radio la differenza tra i valori
> massimi/minimi e' piu' ridotta: il Kosovo fa registrare un valore di
> 34.053, punteggio 115 volte superiore al conflitto con il grado minore di
> copertura (Guinea Bissau, 296). Anche i conflitti che vedono il
> coinvolgimento di alleanze internazionali (ad es. quello che si e'
> combattuto in Kosovo nella primavera del '99) dopo gli eventi bellici,
> cadono rapidamente nell'oblio dei media, col rischio di dimenticare i
> drammi delle conseguenze lasciate sul campo di battaglia. E, come si sa,
> cio' che non si vede, "non esiste", o almeno cosi' puo' accadere.Tutto

cio'
> da' ragione al dato espresso dal sondaggio: il 71% degli intervistati
> avverte la necessita' di maggior conoscenza e approfondimento sulle grandi
> questioni mondiali.
>
> Sono stati esaminati anche i lanci di quattro agenzie stampa nazionali:
> Adn-Kronos, Agi, Ansa e Misna, per dieci settimane estratte casualmente,
> due a semestre, da gennaio 1999 a giugno 2001. Complessivamente i lanci
> sono stati 6.786, compresi quelli riguardanti il Kosovo e la Palestina,

che
> da soli sono 6.455. All'interno del monitoraggio non sono stati presi in
> considerazione tutti i lanci relativi ai sette paesi (Angola, Colombia,
> Guinea Bissau, Sierra Leone, Sri Lanka, Palestina e Kosovo), ma solo

quelli
> direttamente e indirettamente collegati agli eventi bellici e ai loro
> effetti sulla situazione generale del paese. Nell'analisi quantitativa

sono
> state rilevate per ogni lancio le seguenti voci: data del lancio, agenzia
> di stampa, argomento principale, chiave prevalente e tipo di fonte. È

stato
> verificato per ogni lancio di stampa l'avvenuta pubblicazione o meno nei
> quattro quotidiani presi in esame nel capitolo sulla stampa quotidiani. Va
> detto che in corrispondenza di piu' lanci per la stessa notizia,

l'articolo
> di stampa che riprendeva la notizia era solamente uno, per cui e'
> inevitabile un certo scarto tra il numero di lanci di agenzia e il numero
> di articoli pubblicati sul tema. Ci sembra infine doveroso precisare che
> l'analisi si e' concentrata sulle sole agenzie nazionali in quanto i

prezzi
> di accesso ai data-base delle principali agenzie internazionali sono
> esorbitanti.
>
> La Chiesa e le Istituzioni
>
> Il Papa, la Chiesa cattolica e l'Onu sono considerate dagli intervistati

le
> uniche voci autorevoli che si levano contro l'ingiustizia delle guerre e
> nei contesti di crisi. Residuale il peso attribuito alla Commissione
> europea e al governo italiano. È noto anche l'impegno per la giustizia di
> molti cattolici: per circa la meta' degli intervistati essi rappresentano
> delle voci di denuncia troppo scomode per le realta' in cui si trovano ad
> operare. Nonostante l'apparente successo di alcuni interventi armati, il
> 70% del campione ritiene che il ruolo della comunita' internazionale di
> fronte a situazioni di conflitto debba essere quello della mediazione
> politica preventiva e dell'adozione di soluzioni non-violente. Una scelta
> economica, oltre che etica e solidaristica, visto che e' dimostrato quanto
> sia costoso intervenire quando ormai le guerre sono devastanti. Solo il

10%
> condivide le tesi militariste. E un misero 2% ritiene che sia meglio non
> intervenire e lasciare che le crisi si risolvano da se'. Tutti questi dati
> devono far riflettere, soprattutto se confrontati col relativo silenzio e
> con la scarsa iniziativa delle nostre istituzioni (in special modo quelle
> italiane: governo e parlamento), confermata dalle altre sezioni della

ricerca.
>
> Non servono j'accuse, ma precise assunzioni di responsabilita'
>
> Dopo l'11 settembre abbiamo capito con chiarezza che ci sono situazioni
> complesse che rischiano di ritorcersi contro di noi. Le guerre remote non
> portano piu' in casa nostra solamente persone richiedenti asilo, o gli
> enormi costi di operazioni/guerre umanitarie, o il disagio (etico) di

dover
> aiutare popoli straziati dai conflitti o di usare beni "insanguinati"
> (diamanti, metalli, materie prime, droghe, petrolio ed altre risorse
> energetiche, ecc.). Le guerre lontane non sono piu' lontane. Gli Stati
> Uniti d'America sono entrati in una "nuova" guerra. E tutta l'Europa con
> loro. "In casa" abbiamo avuto vittime, case distrutte, aziende fallite o

in
> seria difficolta', stravolgimenti dei diritti civili... Abbiamo capito che
> occuparci di crisi lontane e un po' incomprensibili diventa una questione
> di sopravvivenza: personale, sociale, economica, politica.... Tuttavia,
> tale posizione non deve limitarsi ad azioni di conservazione del proprio
> benessere, senza interrogarsi sulle profonde radici che sono alla base di
> conflitti e di instabilita' a livello mondiale. In altre parole, non si
> tratta solamente di arroccarsi in una posizione di difesa dall'esterno, ma
> di una questione prima di tutto di carattere etico e solidaristico:

bisogna
> essere vicini a persone meno fortunate e difendere i diritti (umani) di
> milioni (miliardi) di esseri umani che nel mondo vedono violate le loro
> attese, le loro speranze, assumendo fino in fondo una posizione di etica
> della responsabilita', che riguarda anche la nostra stessa
> esistenza-sopravvivenza. È un compito che non riguarda solamente le
> Istituzioni, ma ciascuno di noi, nella vita di tutti i giorni.
>
> Che fare dunque?
>
> Informare
>
> Emerge con evidenza dalla nostra ricerca la richiesta della gente non solo
> di notizie, ma anche di strumenti di tipo interpretativo: serve

conoscenza,
> non solo informazione. Non sempre le notizie riportate dai media
> internazionali affrontano determinate questioni da un'ottica obiettiva e
> con un approfondimento qualitativo adeguato. Si corre pertanto un duplice
> rischio: sia di non essere informati affatto su determinati conflitti, sia
> di divenire bersaglio di una informazione distorta, banalizzante,
> approssimativa, che in un'ultima analisi diventa essa stessa causa di
> pregiudizi e stereotipi negativi. Un paradosso che il sondaggio mette in
> evidenza riguarda la necessita' di prevenire i conflitti, intervenendo
> quando sono ancora trattabili e relativamente meno costosi. Tuttavia,
> perche' maturi una decisa volonta' di intervenire e' sempre piu'

necessario
> un alto livello di attenzione pubblica. Perche' questa sia presente

occorre
> una buona informazione. Se questa attende che il potere comunicativo della
> violenza si manifesti, non si creano per tempo le condizioni perche'

maturi
> il livello di attenzione che spinge la volonta' politica a intervenire per
> prevenire.
>
> Educare
>
> Nel lungo periodo, il compito e' quello di educare, e questo spetta a
> tutti, in primo luogo alla scuola. Occorre educarci ed educare alla
> mondialita', all'interculturalita', alla pace, per comprendere che non e'
> piu' possibile chiudere fuori o blindare i problemi, dichiarandosi padroni
> a casa propria. Dimenticare e' anche un'offesa alla dignita' umana. E se

lo
> slogan "conoscere per amare" ha un senso, occorre proprio partire da una
> piu' capillare opera di formazione e rafforzare il lavoro ordinario alla
> base, come pure gli sforzi straordinari per sensibilizzare e promuovere

una
> cultura del rispetto, del dialogo, della pace.
>
> Avviare nuove politiche
>
> a. Riempire il vuoto politico: Istituzioni e responsabilita' collettive
>
> Le Istituzioni hanno la responsabilita' di cambiare rotta. La ricerca ha
> mostrato la loro sostanziale reattivita' e la loro scarsa attivita'
> (soprattutto preventiva) nei grandi (e piccoli) scenari di crisi a livello
> internazionale. Sia i cittadini, sia i fatti (documentati da questa
> ricerca) sembrano univocamente dimostrare come la latitanza della nostra
> classe dirigente sia grave. Occorre ribadire che il 70% del campione
> intervistato - oltre alla saggezza che contraddistingue ciascuno di noi -
> ritiene che il ruolo della comunita' internazionale di fronte a situazioni
> di guerra o di grave conflitto debba essere quello della mediazione
> politica preventiva e dell'adozione di soluzioni non-violente. Il
> tradizionale ruolo del governo italiano nella mediazione preventiva e
> numerose altre esperienze meno note, talvolta di diplomazia sommersa,
> dimostrano come ci sia un ruolo, uno spazio anche per i governi nazionali,
> ma che tale spazio vada ulteriormente riempito.
>
> Resta enorme anche il vuoto lasciato da dichiarazioni di imminenti "piani
> Marshall" che si ripetono davanti a molti conflitti armati e a cui ben
> poche iniziative fanno seguito. In questo senso, si avverte la necessita'
> di una politica comune europea, attenta alle istanze provenienti dai paesi
> piu' poveri, e non solamente ai grandi interessi dei gruppi di potere
> politico ed economico o delle singole nazioni.
>
> b. Lottare contro la poverta' e le disuguaglianze
>
> Non va sottaciuto il forte ruolo scatenante dei conflitti ricoperto dai
> meccanismi di ingiustizia sociale e asimmetria redistributiva. In effetti
> nessuno puo' ormai negare che tra le principali cause dei conflitti vi sia
> la poverta' economica. Basti pensare che circa il 90% dei conflitti armati
> dopo il 1945 ha avuto luogo nel Terzo Mondo. La disuguaglianza sociale,
> l'asimmetria nel possesso e nell'accesso alla ricchezza costituisce una
> minaccia concreta alla sicurezza della terra e rischia di produrre il
> combustibile per far esplodere nuove guerre. Il riequilibrio delle
> disuguaglianze sociali (unito alla lotta al cambiamento del clima e alla
> lotta alla proliferazione degli armamenti) diventa la base su cui fondare
> il processo di costruzione della pace.
>
>