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Argentina: fuori dell'ordinario di Naomi Klein
Negli ultimi mesi del 2001, la popolazione dell'Argentina si riversò nelle
strade spinta dalla disperazione per il caos economico in cui i suoi leaders
l'avevano trascinata. Tra di loro vi era Gustavo Benedetto, un ventitreenne
ucciso durante la sua prima manifestazione.
Come celebrare l'anniversario di qualcosa impossibile da definire? Questa era
la domanda che si ponevano decine di migliaia di Argentini il 20 dicembre 2002
mentre sfilavano da tutti gli angoli di Buenos Aires verso la storica Plaza de
Mayo. Era passato un anno dal giorno del primo "Argentinazo", parola
assolutamente intraducibile in inglese o, se è per questo, in spagnolo.
L'Argentinazo non fu proprio una sommossa, anche se tale apparve in
televisione, con gente che assaliva i supermercati e la polizia a cavallo che
caricava sulla folla; 33 furono le vittime in tutto il paese. Non fu nemmeno
una rivoluzione come un'altra, anche se un po' lo era sembrata, con folle
infuriate che assediavano la sede del governo obbligando il presidente a
rassegnare vergognose dimissioni.
Ma, a differenza di una comune rivoluzione, l'Argentinazo non fu organizzato da
una forza politica alternativa che rivendicava il potere. E, a differenza di
una sommossa, l'Argentinazo era animato da una richiesta unitaria e
inequivocabile: l'allontanamento immediato di tutti i politici corrotti che si
erano arricchiti mentre l'Argentina, un tempo l'invidia dei paesi in via di
sviluppo, precipitava nella povertà. In realtà l'Argentinazo fu esattamente
quello che il suono della parola suggerisce: un'esplosione caotica di
Argentinità, durante la quale centinaia di migliaia di persone improvvisamente
e spontaneamente lasciarono le loro case, si riversarono nelle strade della
capitale, si misero a suonare pentole e padelle, inveirono contro alle banche,
si scontrarono con la polizia, mandarono le motociclette su di giri, cantarono
inni da stadio e riuscirono a costringere il presidente a lasciare il suo
palazzo in elicottero. Nel corso dei 22 giorni a venire, il paese avrebbe
cambiato cinque presidenti. Il quinto 'guardiano', il presidente Eduardo
Duhalde, è ancora aggrappato al potere, e le elezioni sono previste per aprile.
Adesso, a un anno di distanza, mentre folle sterminate riempiono di nuovo Plaza
de Mayo, è chiaro che questo è un giorno importante - ma che cosa, con
esattezza, sta segnando? È la celebrazione di una rivolta nazionale contro la
globalizzazione di grandi imprese, un sentimento che sembra diffondersi in
tutta l'America Latina, con il Partito dei Lavoratori che va al potere in
Brasile, e il blocco dei programmi di privatizzazione nel loro cammino dal
Messico al Perù? È l'inizio dell'Argentinazo: il Sequel, un movimento
progressista che sostituirà le ricette fallite del Fondo Monetario
Internazionale (FMI) con qualcosa di meglio?
In fin dei conti, il 20 dicembre 2002 non è una giornata di esultanti
celebrazioni o di pugni agitati particolarmente convincenti. L'umore, al
contrario, è lugubre, in particolare all'angolo dell'Avenida de Mayo e
Chacabuco, davanti ai quartieri generali dell'HSBC argentina, un massiccio
edificio di 28 piani di vetro colorato alla Darth Vader. È su questo stesso
pezzo di asfalto che il ventitreenne Gustavo Benedetto è stato abbattuto
esattamente un anno fa, ucciso da una pallottola che proveniva dalla banca.
L'uomo accusato del delitto, che si trovava in un gruppo di poliziotti che,
come ha mostrato il video, spararono attraverso i vetri colorati della banca, è
il luogotenente Jorge Varando, capo della sicurezza dell'edificio della HSBC,
nonché ufficiale militare di élite in pensione attivo negli anni '70, quando
30.000 Argentini furono "spariti", molti dei quali rapiti dalle proprie case,
brutalmente torturati e poi lanciati dagli aeroplani nelle acque fangose del
Rio de la Plata.
Dalla metà degli anni '50 ai primi anni '70, l'Argentina è stato un paese
profondamente non democratico, governato da una successione di giunte che,
anche quando concedevano elezioni limitate, impedivano al partito populista di
Peron di presentare candidati. È in questo contesto che gli studenti e i
lavoratori di sinistra cominciarono a organizzarsi in eserciti di guerriglia.
Anche se queste cellule non hanno mai costituito una seria minaccia alla
sicurezza nazionale, l'esercito argentino usò la serie di attacchi di
guerriglia ai bersagli militari e alle grandi aziende come un pretesto per
dichiarare una campagna a oltranza contro la sinistra - i generali chiamarono
l'azione "guerra al terrore", ma il nome che le è rimasto da allora è "Guerra
Sporca".
Tra il 1976 e il 1983, l'Argentina fu governata da un perverso regime militare
che combinava una politica di controllo sociale improntata a un Cattolicesimo
fondamentalista con un'economia di libero mercato anch'essa fondamentalista; un
regime che aveva proibito la musica rock mentre rastrellava prestiti e
investimenti del valore di bilioni di dollari dalle banche straniere e dalle
grandi imprese multinazionali. I generali consideravano una loro missione
quella di ripulire ogni scuola, ogni posto di lavoro, le chiese e i quartieri
di ogni traccia di pensiero Marxista o similmente "sovversivo". Allo stesso
tempo, consideravano un loro proprio diritto quello di trarre personale
profitto da questa crociata, non soltanto depauperando le casse dello stato ma
anche derubando abitazioni private, sottraendo oggetti personali e persino
bambini e persone che essi torturavano e uccidevano (lo stato alla fine fu
costretto a risarcire molte delle famiglie delle vittime).
A tutt'oggi, i generali negano quasi tutto e, grazie a un indulto ufficiale di
stato, gli assassini di allora adesso sono liberi. Varando, l'uomo che la HSBC
aveva incaricato delle operazioni di sicurezza, era un membro del gruppo del
personale militare accusato dai parenti degli scomparsi dei crimini di guerra
durante un attacco alle caserme della Tablada nel 1989. Il presunto killer di
Benedetto lavorava per una banca estera, proprio una di quelle stesse banche
estere che hanno ingoiato i risparmi di milioni di Argentini quando il governo
decise di congelare i prelievi dalle banche all'inizio del dicembre 2001 [...]
Benedetto era solo una delle 33 vittime di morte violenta durante l'Argentinazo
del 2001 ma è divenuta il simbolo di un paese che adesso sta cercando di
comprendere la sua inesorabile crisi economica. Come è possibile che 27 bambini
muoiano ogni giorno di fame in un paese che ha risorse naturali talmente
abbondanti che un tempo dava da mangiare a gran parte dell'Europa e del Nord
America? Come è possibile che una nazione i cui operai compravano case e
macchine con salari che erano i più alti in sud America adesso abbia il più
alto tasso di disoccupazione del continente e uno stipendio medio più basso del
Messico? Benedetto pensava che il governo gli dovesse delle risposte a queste
domande, ed è per questo che scese in piazza quel giorno di dicembre.
"C'era una volta un paese chiamato Argentina," scrive il giornalista Sergio
Ciancaglini, "dove molte persone sparivano e dove, anni dopo, spariva anche il
denaro. Tra le due cose c'è un nesso." Ciancaglini sostiene che chiunque voglia
capire dov'è andata a finire la ricchezza dell'Argentina deve innanzitutto fare
un viaggio nel passato, per scoprire cos'è successo alle persone scomparse. C'è
un nesso tra gli interessi economici della dittatura dei generali con le
politiche che qualche anno dopo hanno portato l'economia alla rovina [...]
Stranamente, quando sulla carta l'Argentina era meno ricca, erano di meno gli
Argentini che soffrivano la fame. Molti e complessi fattori economici hanno
contribuito a questa trasformazione, dai cambiamenti nelle esportazioni
agricole dei raccolti agli stipendi in caduta nel settore industriale. Ma anche
alcuni piccoli cambiamenti fecero la loro parte, come il fatto che piccoli
mercati di quartiere vendevano cibo a credito durante periodi difficili, un
pizzico di grazia che scomparve quando l'Argentina divenne una vetrina della
globalizzazione e i piccoli negozi furono sostituiti da ipermercati di
proprietà di stranieri delle dimensioni di templi Aztechi, con nomi come
Carréfour, Wal-Mart, e Dia, la catena spagnola dove Gustavo era finalmente
riuscito a trovare lavoro.
Non fu pertanto una coincidenza che, nei giorni che portarono all'Argentinazo,
molti degli ipermercati si trovarono sotto assedio, saccheggiati da folle di
disoccupati, con le facce coperte da T-shirts diventate passamontagna di
fortuna. Quando Gustavo si presentò al lavoro il 19 dicembre, l'atmosfera era
insopportabilmente tesa: nessuno sapeva se questo castello di cemento sarebbe
stato assalito da folle affamate e furiose. A mezzogiorno, il direttore decise
di mettere fine alla suspense e decise per la chiusura anticipata.
Quando Gustavo arrivò a casa, accese la televisione. Quello che vide fu un
paese in aperta rivolta, con manifestazioni di protesta dovunque. Il Presidente
Fernando de la Rua, con il volto appiccicaticcio di sudore, che leggeva
freddamente un testo preparato. L'Argentina, disse, era attaccata di "gruppi
che sono nemici dell'ordine che cercano di seminare discordia e violenza." E
dichiarò lo stato d'assedio. Per molti argentini, la dichiarazione del
presidente suonò come un preludio a un colpo di stato militare - e quello fu un
errore fatale per il governo de la Rua. Gustavo guardò in diretta le immagini
della Plaza de Mayo riempirsi di gente che suonava pentole e padelle con
cucchiai e forchette, un ammonimento, tanto privo di parole quanto fragoroso,
alle istruzioni del presidente: gli argentini non avrebbero ceduto le loro
libertà fondamentali in nome dell' "ordine", dichiararono. Ci avevano provato
prima sotto la giunta, ed era finita male. E poi un singolo grido di rivolta si
levò dalla folla di nonne e di studenti delle scuole superiori, fattorini in
motocicletta e operai disoccupati, un grido diretto ai politici, ai banchieri,
al FMI e ad ogni altro "esperto" che sosteneva di avere la ricetta perfetta per
la prosperità e la stabilità dell'Argentina: "Que se vayan todos!" - che se ne
vadano tutti! - dicevano.
Gustavo sentì un impulso che non aveva mai avvertito prima: voleva partecipare
a una manifestazione politica. D'un tratto, Gustavo, un tipo bonario che non
aveva mai protestato contro niente in tutta la sua vita, si alzò dal divano,
spense la televisione e disse a sua madre che sarebbe andato in città. Mentre
andava alla fermata dell'autobus, Gustavo chiese a diversi amici del quartiere
della Tablada se volevano andare con lui, per essere parte della storia che
guardavano svolgersi sugli schermi televisivi. Ma non riuscì a trovare nessuno:
la maggior parte della gente alla Tablada ne aveva abbastanza della storia.
Durante gli anni '70 e '80 questo quartiere popolare si trovò letteralmente
preso tra i due fuochi dell'esercito e della guerriglia. Alla Tablada, la
Guerra Sporca era ancora più lurida di altrove, con genitori che si imbattevano
negli assassini dei loro figli al negozio all'angolo. E poiché qualsiasi
contatto con persone di sinistra bastava per essere marchiato come
collaboratore, la cosa più sicura da fare era ritirarsi in casa: si chiudevano
le porte in faccia agli amici che cercavano rifugio, se c'era un subbuglio
fuori si serravano in fretta le persiane, si alzava il volume della radio per
nascondere le urla provenienti dagli appartamenti vicini. Alla Tablada, come
dappertutto in Argentina, i residenti impararono a vivere seguendo fedelmente
la filosofia dei tempi del terrore: "No se meta" - non t'immischiare. È un
atteggiamento sopravvissuto ancora oggi. Ma Gustavo aveva deciso di rompere con
quella tradizione. Non poteva sapere che le tattiche della dittatura stavano
per tornare nelle strade di Buenos Aires. Nelle due ore che ci mise per
arrivare dai sobborghi al centro di Buenos Aires, il capo della polizia aveva
inviato l'ordine di "ripulire la Plaza de Mayo". All'inizio le squadre anti-
sommossa usarono pallottole di gomma e gas lacrimogeno; poi passarono a
munizioni non ancora esplose.
La polizia cercò inutilmente di respingere la folla sulla Avenida de Mayo.
Verso le 4 del pomeriggio, un gruppo di circa 20 poliziotti erano in cerca di
un posto sicuro dove rifugiarsi e ricaricare le armi. Scelsero l'atrio della
HSBC, uno degli edifici più sicuri della città, anche perché ospita
l'ambasciata israeliana. Un pugno di manifestanti, meno di cinque, secondo i
documenti del tribunale, si staccò dalla fiumana di gente che si dirigeva Plaza
de Mayo e cominciò a gettare sassi contro la banca. Un uomo mandò in pezzi un
vetro con una sbarra di metallo. La polizia e le guardie di sicurezza private
che erano dentro furono presi dal panico e aprirono il fuoco. Stando alle
testimonianze rese nel processo, in soli quattro secondi una pioggia di almeno
59 pallottole fu scaricata sulla strada affollata. Proprio allora, Gustavo
Benedetto, che camminava da solo in città da meno di un'ora, svoltava
nell'Avenida de Mayo. Era lontano parecchi metri dalla banca quando una
pallottola di piombo, sparata da un'arma di 9 mm, lo prese di spalle alla
testa. Cadde a terra e in un istante era morto.
Le telecamere di sorveglianza della HSBC, prodotte al processo come prova,
mostrano chiaramente la polizia e il personale di sorveglianza della banca che
puntano le armi e sparano attraverso i vetri. Questa prova ha provocato un
evento raro negli annali della giustizia argentina: l'arresto di un ex
officiale militare con l'accusa di omicidio. Jorge Varando è laureato alla
School of the Americas, un campo di addestramento "contro-guerriglia" nel sud
degli Stati Uniti. In una recente intervista radiofonica, si è detto che lui
stesso avrebbe ammesso di aver sparato, e di averlo fatto "in tutta
tranquillità" [...] Ogni mese dal giorno del delitto gli amici e la famiglia
mettono un memoriale di fortuna a Gustavo Benedetto davanti alla banca - e ogni
mese il memoriale viene misteriosamente tolto e il nome di Gustavo cancellato.
Questo è andato avanti fino allo scorso novembre, quando una troupe televisiva
che piantonava l'edificio della HSBC alle 3 del mattino ha ripreso due
poliziotti federali in un'auto civetta mentre si fermavano davanti alla banca e
distruggevano il monumento di cemento e ceramica con palanchini. Da allora i
poliziotti sono stati sospesi.
Fino a poco fa, l'Argentina seguiva una politica di amnesia ufficiale per i
crimini della Guerra Sporca. Certamente le organizzazioni non governative per i
diritti umani continuavano a pubblicare numerose e feroci relazioni, le Madri
della Plaza de Mayo continuavano a sfilare e i figli di genitori scomparsi si
facevano vedere, di tanto in tanto, a gettare vernice rossa fuori delle case
degli ex militari. Ma prima dell'Argentinazo, la maggior parte degli argentini
borghesi consideravano queste azioni come macabri rituali di altri tempi. Ma
questi facinorosi non avevano ricevuto il promemoria? Il paese era "andato
avanti" - almeno in teoria, secondo l'ex presidente Carlos Menem.
Menem, la versione argentina di Margaret Thatcher e John Gotti, un sostenitore
del libero mercato che andava in giro in Ferrari, fu eletto per la prima volta
nel 1989, mentre l'economia era in recessione e l'inflazione in rialzo.
Sostenendo che molti dei problemi economici dell'Argentina derivavano dai
maldestri tentativi dei suoi predecessori di giustiziare i generali della
Guerra Sporca, Menem offrì un approccio alternativo: anziché tornare indietro
nell'inferno delle tombe prive di lapidi e delle bugie del passato, disse, gli
Argentini dovevano dare un colpo di spugna al passato, lanciarsi nell'economia
globale e mettere tutte le loro energie nella crescita economica.
Dopo aver concesso la grazia ai generali, Menem lanciò un vigoroso programma di
quello che qui in America Latina si chiama "neo-liberalismo": ovvero,
privatizzazioni in massa, cassa integrazione nel settore pubblico,
"flessibilizzazaione" e incentivi aziendali nel mercato del lavoro. Ridusse
drasticamente i programmi alimentari federali, tagliò il fondo nazionale di
disoccupazione quasi dell'80%, licenziò centinaia di impiegati statali e
dichiarò illegali molti scioperi. Menem battezzò questa rapida trasformazione
liberista "intervento chirurgico senza anestesia" e assicurò gli elettori, una
volta superato il breve periodo di dolore, che l'Argentina sarebbe, come diceva
una delle sua campagne pubblicitarie, "rinata".
La borghesia di Buenos Aires, in parte pentita della sua complicità o
compiacenza nella Guerra Sporca, accolse con entusiasmo l'idea di vivere in un
paese nuovo e lustro, privo di passato. "Non ti immischiare," il mantra degli
anni del terrore, lasciò il posto a "Bada ai tuoi interessi," il mantra del
grande capitalismo, nella cui causa i vicini sono rivali e il mercato è al
primo posto sopra tutto, compresa la ricerca di giustizia e la ricostruzione
delle comunità devastate [...] Ma, così come gli azionisti della Enron non si
curarono di guardare i libri contabili finché i profitti salivano, gli
investitori e i creditori stranieri in Argentina in qualche modo non videro che
lo snello governo di Menem nel 1999 aveva un debito di 80 bilioni di dollari
superiore a quello del governo del 1989. O che, grazie soprattutto alle casse
integrazioni nelle aziende private, la disoccupazione era salita dal 6.5% nel
1989 al 20% nel 2000.
In breve, il "Miracolo Menem", come il Time entusiasticamente l'aveva chiamato,
era un miraggio. La ricchezza che affluì negli anni '90 in Argentina era una
combinazione di speculazione finanziaria e di vendite una tantum: la compagnia
telefonica, la compagnia petrolifera, le ferrovie, la compagnia aerea. Dopo
l'iniziale afflusso di contanti e di bustarelle, ciò che rimase fu un paese
svuotato, in cui i servizi di base erano rincarati e la classe lavoratrice era
senza lavoro. Rimase anche un settore finanziario deregolato in stile far west
che permise alle famiglie più ricche d'Argentina di trasferire 140 bilioni di
dollari di capitale privato in conti bancari esteri - più sia del PIL nazionale
che del debito pubblico.
Mentre la ricchezza dell'Argentina scompariva, destinata a conti bancari a
Miami o alla borsa di Milano, anche l'amnesia collettiva degli anni di Menem
venne meno. Oggi, quasi 20 anni dopo la fine della dittatura della giunta e con
i vecchi generali militari morti o in fin di vita, gli spettri dei 30.000
scomparsi sono improvvisamente ritornati e gravano su ogni aspetto dell'attuale
crisi del paese. Nei tribunali e nelle strade, esplose un dibattito nazionale
non solo su come così tante persone fossero uscite impuniti, ma anche sulle
stesse cause del terrore: perché quelle 30.000 persone erano morte? Negli
interessi di chi erano state uccise? E qual era il nesso tra quelle morti e le
politiche di libero mercato che avevano mandato in rovina il paese in maniera
così spettacolare?
In passato quando gli studenti e gli aderenti ai sindacati venivano gettati in
Ford Falcons verdi e portati in centri di tortura clandestini, c'era poco tempo
per simili domande sulle cause prime e sugli interessi economici. Durante gli
anni del terrore, gli attivisti argentini avevano una sola dominante
preoccupazione: rimanere vivi. C'erano però alcune eccezioni, individui che
riuscirono a capire che i generali avevano un piano economico aggressivo quanto
i loro piani politici. Nel 1976 e nel 1977, i primi due anni del governo della
giunta, quando il terrore era al culmine della barbarie, i generali
introdussero un programma di "ristrutturazione" economica che sarebbe stato un
assaggio dell'odierna globalizzazione spietata. Lo stipendio nazionale medio fu
dimezzato, la spesa sociale ridotta drasticamente e il controllo dei prezzi fu
abolito. Quando i generali restituirono il paese nel 1983, il debito nazionale
estero era aumentato da 7 a 43 bilioni di dollari.
Il 24 marzo del 1977, un anno dopo il colpo di stato, il giornalista
investigativo Rodolfo Walsh pubblicò una Lettera Aperta da uno Scrittore alla
Giunta Militare, destinata a diventare una delle più famose nella moderna
America Latina. In essa, Walsh spostava l'ottica dagli abusi dei diritti umani
da parte dei militari al loro programma economico. Walsh dichiarava, un po'
ereticamente, che il terrore non fu "la più grande sofferenza inflitta agli
argentini, né la peggiore violazione dei diritti umani mai commessa. È nella
politica economica di questo governo che si scopre non solo la spiegazione dei
crimini, ma una più grande atrocità che punisce milioni di esseri umani con una
miseria programmata." Ancora una volta Walsh offrì un catalogo di crimini:
"Stipendi congelati con l'impugnatura dei fucili mentre i prezzi salgono con la
punta delle baionette; abolizione di tutte le forme di contrattazione
collettiva; proibizione di assemblee e di commissioni interne; aumento dei
giorno lavorativi; aumento della disoccupazione ... una politica economica
dettata dal Fondo Monetario Internazionale secondo una ricetta applicata
indiscriminatamente in Zaire e in Cile, in Uruguay o in Indonesia." Pochi
minuti dopo avere spedito alcune copie di questa lettera, Walsh fu vittima di
un'imboscata della polizia e eliminato da una pallottola sulle strade di Buenos
Aires.
Walsh capì che i generali non avevano ingaggiato una guerra al "terrore" ma una
guerra a ogni barriera all'accumulo di ricchezza da parte degli investitori
stranieri e dei loro beneficiari locali. Di giorno in giorno Walsh ci dimostra
quanto fosse lungimirante. I processi civili continuano a dissotterrare nuove
prove che le grandi imprese straniere collaboravano da vicino con la giunta
nello sterminio dei movimenti sindacali degli anni '70. Ad esempio, il dicembre
scorso un pubblico ministero federale ha presentato un reclamo contro la Ford
Argentina (una società affiliata alla Ford), sostenendo che una degli
stabilimenti aveva all'interno un centro militare di detenzione dove venivano
portati gli responsabili dei sindacati. "La Ford [Argentina] e i suoi dirigenti
erano collusi nel rapimento dei suoi operai e penso che debbano ritenersi
responsabili," dice Pedro Troiani, ex operaio alla catena di montaggio che ha
testimoniato che i soldati lo rapirono e picchiarono dentro lo stabilimento. La
Mercedes-Benz (adesso affiliata alla Daimler Chrysler) è oggetto di simili
indagini sia in Germania che in Argentina, indagini che derivano dalle accuse
di aver collaborato con i militari negli anni '70 per epurare uno dei suoi
stabilimenti dai militanti del sindacato, dando nomi e indirizzi di 16 operai
in seguito "scomparsi", 14 dei quali mai più rivisti. Sia la Ford che la
Mercedes-Benz negano che i loro dirigenti abbiano svolto un ruolo in nessuna di
queste morti [...]
Oggi, la storia di quella transizione si riscrive per le strade. Non c'è un
netto "prima" e "dopo" la dittatura. Il progetto della dittatura invece sta
emergendo come processo: i generali hanno preparato il paziente, poi Menem ha
eseguito l' "operazione". La giunta fece ben più che far sparire gli
organizzatori dei sindacati che avrebbero potuto opporsi ai licenziamenti di
massa e i socialisti che avrebbero potuto rifiutarsi di attuare l'ultimo piano
di austerità del FMI. Il grande successo della Guerra Sporca fu la cultura
della paura e dell'individualismo che rimane ancora in quartieri come la
Tablada, dove era cresciuto Gustavo Benedetto.
I generali capirono che il vero ostacolo al completo controllo sociale non
erano i ribelli di sinistra, ma la stessa presenza di comunità compatte e
affiatate e della società civile. Il che spiega perché decisero di "far
sparire" la stessa sfera pubblica. Il primo giorno del colpo di stato del 1976,
i militari misero al bando tutti gli "spettacoli pubblici", dal carnevale al
teatro alle corse dei cavalli. Le piazze pubbliche erano strettamente riservate
per le esibizioni di forza militare e l'unica esperienza comune consentita era
il calcio. Allo stesso tempo, i militari lanciarono una campagna per
trasformare l'intera popolazione in delatori: i giornali di stato erano pieni
di annunci che ricordavano ai cittadini che era il loro dovere civico
denunciare chiunque sembrasse fare qualcosa di "sovversivo".
E quando la popolazione si fosse ritirata nelle proprie case, il progetto
economico della dittatura sarebbe proseguito e sarebbe stato ampliato dai
successivi governi civili senza nemmeno dover fare ricorso a caotiche
repressioni - almeno fino a poco fa.
Negli anni '70, quando le Madri della Plaza de Mayo cominciarono a cercare i
loro cari scomparsi, era tipico che queste donne coraggiose dicessero che i
loro figli erano innocenti, che non stavano "facendo niente" quando furono
presi. Oggi, le Madri guidano manifestazioni contro il FMI, parlano di
"terrorismo economico" e dichiarano orgogliose che i loro figli stavano facendo
qualcosa quando sono stati rapiti - erano attivisti politici che cercavano di
salvare il paese dalla miseria programmata cominciata sotto la dittatura e
acuitasi durante la democrazia.
Nelle macerie rimaste dell'Argentina dopo il dicembre 2001, qualcosa di
straordinario è cominciato a succedere: i vicini hanno tirato la testa fuori
dei loro appartamenti o case e, in assenza di una leadership politica o di un
partito che si faccia interprete della esplosione spontanea a cui avevano
partecipato, hanno cominciato a parlarsi. Hanno cominciato a pensare insieme.
Alla fine del gennaio 2002, c'erano già circa 250 "asambleas barriales"
(assemblee di quartiere) soltanto nella città di Buenos Aires. Le strade, i
parchi e le piazze erano piene di raduni, la gente rimaneva fuori fino a tarda
notte a progettare, a discutere, a testimoniare, a votare. Molte assemblee
cominciarono, a fronte di tanta programmata miseria, a programmare
qualcos'altro: gioia, solidarietà, un altro tipo di economia. Furono aperte
mense gratuite, create banche di lavoro e società di commercio. L'anno scorso,
tra 130 e 150 fabbriche fallite e abbandonate dai proprietari, sono state
rilevate dagli operai e trasformate in cooperative o imprese collettive. Negli
stabilimenti agricoli, nei supermercati, nelle tipografie, nelle fabbriche di
alluminio e nelle pizzerie, ora si prendono decisioni in assemblee aperte e i
profitti vengono divisi equamente tra gli operai.
Rodolfo Walsh calcolava che sarebbero occorsi 20 o 30 anni prima che gli
effetti della campagna di terrore si estinguessero e gli argentini fossero
davvero pronti a combattere ancora per una giustizia economica e sociale.
Questo è stato un po' più di 25 anni fa. Così non ho potuto fare a meno di
pensare a Walsh quando ho conosciuto Gabriela Mitidieri, una studentessa delle
superiori sicura di sé che, se non fosse per le sue idee politiche, andrebbe
benissimo in un provino per Saranno Famosi 2. Mitidieri è nata nel 1984, il
primo vero anno di un governo eletto in Argentina dopo la dittatura. "Sono la
figlia della democrazia," dice con una punta di sarcasmo da diciottenne.
"Significa che ho una responsabilità speciale."
Questa responsabilità, come la vede lei, è enorme - liberare finalmente il
paese dalle politiche economiche che sono sopravvissute alla transizione dal
governo militare a quello civile. Eppure non sembra scoraggiata dal compito,
almeno non impaurita. Gaby, come la chiamano gli amici e i familiari, si
precipita alle manifestazioni con pantaloni cargo calati e lo zaino Blink 182
di suo fratello; regge striscioni con le unghie dipinte di nero e guarda fissa
le file dei poliziotti con le palpebre cosparse di polvere blu. I suoi genitori
non condividono la sua audacia. Quando le strade di Buenos Aires esplosero
nell'Argentinazo del 2001, nella modesta casa della famiglia Mitidieri vi fu
un'altra esplosione. Il conflitto era sull'opportunità di permettere all'allora
diciassettenne Gaby di partecipare alle manifestazioni. Gaby era decisa ad
andare alla Plaza. "Non potevo proprio sopportare di essere una di quelle
persone che guarda il mondo attraverso uno schermo televisivo," dice oggi. Suo
padre, un sopravvissuto della Guerra Sporca, durante la quale fu rapito e
torturato, bloccò fisicamente Gaby davanti alla porta, mentre la ragazza
gridava che proprio lui doveva capire perché sentiva il bisogno di essere in
strada. Sergio Mitidieri era irremovibile - aveva l'età di Gaby quando cominciò
a partecipare ai movimenti di politica studenteschi e la sua gioventù non aveva
salvato né se stesso né i suoi amici, molti dei quali uccisi nei campi di
concentramento.
Come molti della sua generazione, Mitidieri non tornò all'attivismo politico
dopo la ritirata dei generali. Il terrore di quegli anni gli rimase addosso,
derubandolo della sicurezza schietta di quando era studente - per anni raccontò
a Gaby che le cicatrici sulla schiena e sulle spalle se le era procurate
facendo sport. Ancora oggi non ama parlare del passato; tiene la testa bassa e
lavora duro per mantenere sua moglie e i suoi quattro figli. Della paura di suo
padre Gaby dice: "Vive con l'idea della morte sospesa sulla testa" - vuol dire
che la dittatura, sia imposta da un terrore esterno o da una paura interiore,
attanaglia ancora il paese. "Quando ho scoperto cosa era successo davvero a mio
padre," dice Gaby, "continuavo a chiedermi 'Dove ha vissuto? Perché l'hanno
lasciato sopravvivere?' Poi ho letto 1984 di Orwell e ho capito che lui e gli
altri sono sopravvissuti per tenere viva la paura, e per ricordare la paura a
tutta la popolazione. Mio padre ne è una prova vivente."
Ma una volta a casa dei Mitidieri, il giorno del primo anniversario
dell'Argentinazo, mi ha colpito vedere che Gaby, l'autoproclamata figlia della
democrazia, probabilmente ne sottovaluta il potere contagioso. Nel 2002, quando
la mattina del diciannove dicembre annunciò che avrebbe partecipato alle
manifestazioni per l'anniversario, sua madre di nascosto l'aiutò a preparare lo
zaino: l'acqua, il cellulare, un limone (serve a mitigare gli effetti del gas
lacrimogeno). Le prestò perfino un foulard. E il padre di Gaby le guardò
prepararsi, preoccupato ma anche orgoglioso.
Quella sera, l'assemblea locale di quartiere invitò tutti a uscire fuori della
case con pentole e padelle per celebrare il giorno, un anno prima, in cui
successe qualcosa che ha cominciato a cambiare l'Argentina (anche se nessuno sa
spiegare esattamente che cosa è stato). Ed è accaduta una cosa strana: ci sono
andati anche i genitori di Gaby. Gironzolavano ai margini del raduno, non
parlavano con nessuno - ma c'erano. "Abbiamo ancora paura," mi ha detto Sergio
Mitidieri, "ma anche rabbia. È meglio combattere nelle strade che starsene
tranquilli a casa. Me l'ha insegnato Gaby."