[CSSF] Fw: Le lacrime del carabiniere alla stazione di Forno…

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著者: Carlo Mileti
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題目: [CSSF] Fw: Le lacrime del carabiniere alla stazione di Fornovo
----- Original Message -----
From: "kowalski (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa@???>)"
<kowalski@???>
To: <news@???>
Sent: Tuesday, February 25, 2003 11:01 AM
Subject: Le lacrime del carabiniere alla stazione di Fornovo


> Al tg di ieri (sabato), appena sveglio, all'ora di pranzo, vedo i

resoconti
> delle azioni fatte in mezza Italia per fermare i treni della morte. Noi

non
> c'eravamo, penso incazzato. Passa una mezz'ora e mi chiamano. "Stiamo
> andando a Pisa, che fai?", "Vengo". Così come sono raggiungo

l'appuntamento.
> In viaggio per Pisa, a quanto pare. Ma c'è da intercettare il treno di
> morte, passa da Fornovo e lì ci fermiamo, la decina che siamo, incontrando
> altrettanti della zona. I carabinieri, pochi e in tenuta da tutti i

giorni,
> già bloccano la stazione, ma nel frattempo raddoppiamo di numero con gli
> ultimi arrivi e ci dirigiamo sulla strada che costeggia i binari. Troviamo
> un punto valicabile (dai meno abili con supporti) e scavalchiamo invadendo

i
> binari. C'è gente fra noi che non ha la minima esperienza e viene

spaventata
> dai quattro spaventapasseri in divisa, ma siamo lì, siamo tanti, abbiamo
> ragione e ci facciamo valere. Un primo fuoco sui binari. Nel frattempo ci
> raggiunge gente dalla zona e, primo particolare significativo, gente sul
> ponte sopra di noi si ferma, solidarizza, o passa suonando i clacson. Man
> mano che passano i minuti e si capisce che il treno, dopo innumerevoli
> cambiamenti di percorso, passerà di qui, ci rinserriamo e facciamo partire

i
> primi cori e falò. Invitiamo i "simpatizzanti" ad aggregarsi e molti si
> uniscono a noi; un esempio fra tutti, un barista ci vede, chiude il bar e

ci
> raggiunge carico di bocce di vino. Dopo di lui molti ragazzi e adulti

della
> zona si aggregano. Diventiamo un centinaio buono sulle rotaie, credo, per
> tacere di chi resta fuori a guardare/partecipare a distanza. Questa è la
> prima cosa bella: in un paese, che probabilmente non è stato neanche mai
> nominato in tv, piccolo ma proprio piccolo, è tanta la gente che

simpatizza
> e partecipa, che afferma la propria umanità, davvero tanta. Sono molti
> quelli che rompono il muro (tutto di carta e carte) dell'insubordinazione

e
> ci appoggiano. Molti restano fuori a "rifornirci" e diversi compiono il
> salto, letteralmente, raggiungendoci sui binari e restando con noi in

attesa
> del treno.
>
> Treno che arriva, carico di armi, di morte, di ingiustizia. Noi, più o

meno
> convinti e tutti più e meno, armati solo di umanità, dei nostri corpi,

della
> nostra voce, lo accogliamo a suon di cori e di determinazione. Molti hanno
> paura, anzi tutti, credo, vedendo lo schieramento di sbirraglia; ma per il
> momento ci facciamo forza a furia di canti. A furia di grida. A furia di
> dignità. Il treno già si vede, fermo. Siamo qui per fermarlo. È fermo in
> stazione, 50 metri più in giù. Fra il treno e noi un reparto (plotone,

cos'
> altro?) di carabinieri in tenuta antisommossa e un altro di poliziotti,
> celerini. Sono più di noi, plausibilmente, e si dirigono veloci contro di
> noi; iniziano a caricare. Io sono fra gli ultimi e posso vedere le forze
> "dell'ordine" toccare i manifestanti più indecisi che si alzano subito

(fra
> loro un sindaco della zona) e manganellare e spostare a peso i più

risoluti.
> Vedo che le più coraggiose sono le ragazze, spesso. Una già spostata e
> cacciata scappa dietro i celerini e si riunisce a noi (la conosco, l'ho

già
> vista, so che è della zona e la faccio sedere a fianco a me (non si
> preoccupi la mia amata)). I simpaticoni, ovviamente, non hanno riguardo di
> niente e nessuno: donne e vecchi (relativamente, compà, non s'offenda
> nessuno se legge.) vengono strattonati e cacciati; di bambini, i più
> interessati, ovviamente non ce n'è. Arrivano a noi utlimi piuttosto in
> fretta, con manganellate ragionate e misurate, tutto sommato, senza troppe
> esagerazioni. Quello che è giusto secondo i binari in cui siamo tutti,
> quello che deve aspettarsi chiunque, umanamente ma non conta, si oppone a

un
> passaggio di merci, a un veicolo di distruzione quei diritti che umani non
> sono e che noi privilegiati ancora abbiamo, anche solo a metà. La gente
> presente probabilmente è già convinta, nella maggioranza, che il

bastimento
> carico carico di. morte passerà e molti non oppongono poi troppa

resistenza.
> Sembra l'avvicinarsi di un temporale, d'un tornado, d'un piccolo tifone,

non
> fossero esseri umani come noi, se si può dire che lo sono. Vedo già

piovermi
> addosso i primi manganelli, dapprima quasi incerti e poi sempre più decisi
> di fronte al mio chiaro rifiuto, urlato e praticato, di allontanarmi. Non
> sono troppo convinti, forse, ma picchiano. Sotto la gragnola di colpi sono
> solo, da un lato e dall'altro i compagni non ci sono più, solo manganelli.
> Non mi lascio sollevare però, sul momento è il minimo e il massimo che

possa
> fare, e vengo tirato via per i capelli e a calci, tanti calci. Tanti

capelli
> pure, che ancora adesso, passandoci, la mano, mi restano fra le dita. Mi
> portano via in tanti, sempre per i capelli e per le gambe, sollevato di

poco
> da terra e facendomi sbattere sui binari di ferro, non so quanto per caso
> quanto per miseria, a peso. Poi continuano a picchiarmi (sono sbirri,
> poliziotti, celerini). Sono a terra, picchiato e sanguinante (ma non

troppo,
> il tutto, trattandosi di un cittadino europeo, mica irakeno, resta nei
> limiti dell'umanamente sopportabile, eccome, tanto più che urlo più dello
> strettamente indispensabile sotto i colpi e forse li impietosisco). Sembro
> esanime, ormai inerte, suppongo, ho urlato tanto per il dolore e per
> manifestarlo, forse hanno pure paura di quel paio di telecamere, si sa,

dopo
> Genova, e lì mi lasciano per un attimo. So che di là, da dove mi hanno
> tolto, sta per passare un treno di morte, un treno carico di armi. E mi
> alzo. Corro basso schivando gli sbirri verso gli ultimissimi compagni sui
> binari e ne aggrappo uno che probabilmente conosco pure, ma nemmeno faccio
> in tempo a vedere. Di nuovo su di me i colpi di manganelli e anfibi e

scudi,
> dapprima gli sbirri, credo, più incazzati per il fatto che non sono stato

al
> gioco e poi, questa volta, pure i carabinieri ­ sarà lo spirito

bipartisan ­
> a mille. Non ho idea di cosa stia succedendo. Mi scaraventano via dai

binari
> di nuovo, di nuovo tirato per i capelli e a calci. Mi calpestano e
> schiacciano con anfibi e scudi, battuto in ogni senso, ormai buono solo a
> urlare sotto i colpi. So che non è niente rispetto a quello che farà il
> carico che sta per passare, un carico che volevo fermare davvero, pur
> sapendo che era impossibile, ed è questo quello che fa più male: il treno
> sta passando. Impossibile fermarlo, forse, ma necessario. Mi sento (e mi
> sentirò) di merda, schiacciato come sono in ogni senso. Arriva un grande
> compagno dei miei e urla "è ferito! È ferito!", arriva altra gente, i
> carabinieri (son rimasti loro e gli uni e gli altri palesemente con l'
> ordine, per mia grande fortuna, di tenere basso il livello del tutto) si
> scostano e vengo attorniato dai compagni (ma il peggio, sia chiaro, me

l'ha
> fatto la polizia; ne ho prese tante che una ragazza che mi ha visto ha

detto
> che al mio posto sarebbe svenuta subito.). A quel punto mi alzo, sconfitto
> al quadrato, lo so, ma meno dei carabinieri e dei poliziotti, umanamente,

lo
> so e lo sappiamo, loro compresi. Si schierano a difesa del binario da cui
> passa il treno carico di morte e stanno lì, fermi, senza infierire
> (potrebbero). Quando mi alzo, è questione di frazioni di secondo, mi rendo
> conto che le persone attorno a me li stanno già da un po' riempiendo di

cori
> e urla consapevoli, davvero giusti, davvero belli, cose che, si vede,
> sentono perfino questi ragazzi di provincia non abbastanza drogati dai

loro
> superiori o con un pelo sullo stomaco non ancora impenetrabile. Beh, nella
> sconfitta atroce, atroce davvero, non meno bruciante che scontata, questa

è
> la seconda cosa davvero bella: vedo i carabinieri piangere! Non "i
> carabinieri", a dire il vero, ma tre; anzi, di due vedo solo gli occhi
> lucidi e rossi. Solo di uno vedo le lacrime. Ma la faccia è dolente, per
> tutti, e chiaro il loro sentirsi delle merde quali sono. Non so con quale
> forza gli urlo in faccia, ma forse me ne danno loro, per una volta, coi

loro
> volti. Il primo, quello proprio di fronte a me, un ragazzo, soprattutto in
> due momenti: quando gli urlo che facendo quello che fa sta affermando che

la
> vita di una persona, compresa la sua, vale meno di qualche pezzo di carta,
> denaro, documenti; meno di qualche goccia di petrolio, nel momento in cui
> dico, "altro che Totò, manco uomini o caporali, manco caporali siete,

uomini
> o portafogli?". (si sa, in certi momenti la retorica ci sta pure). L'altro
> momento quando, fra i cori che invitano a disertare, urlo "mi avete appena
> ammazzato di botte [poi, rivolto a lui], ma se passi di qui ti

abbraccio!".
> L'ho visto piangere, lacrimare, ma non è passato. Nessuno di loro l'ha
> fatto. Ma anche gli altri due di fronte a me li ho visti soffrire e ne ho
> visto gli occhi arrossati e l'espressione triste davvero quando gli ho

detto
> che la notte, nonostante tutte le botte, sarei stato meglio di loro.
> Nonostante sia stato davvero male, continuo a pensarlo. Sarò stupido, ma
> credo che pure loro, per quel poco che m'hanno ascoltato, abbiano sentito

lo
> stesso. Non sono tanto illuso da sperare che cambino abbastanza, ma quella
> scintilla d'umanità che ho visto brillare è stata tanto, per me. Dopotutto
> sono cose di umanità minimale, che capirebbe anche un potente, se fosse

uno
> sgherro, e dovrebbero farci attenzione.
>
> Poi, subito, in marcia per Pisa, tutt'altra musica: molti di più e poca
> azione (al nostro arrivo, gli altri erano già stati caricati, uno forse
> aveva la mano rotta) e parecchia copertura mediatica. Ma lì non so, ero

già
> a pezzi e facevo fatica a reggermi in piedi, altri potrebbero riferire
> meglio. Fattostà che il treno è passato. Io lo volevo fermare davvero, non
> solo fare un'azione simbolica (dipende, dopotutto anche il denaro è solo

un
> simbolo, eppure è l'unica sostanza del mondo umano non più tale; dipende
> dall'intensità, dalla credenza etc.), quindi ho perso la battaglia. Ho

perso
> una battaglia fra potere e umanità, è un fatto, anche se forse, spero,
> questa volta al potere sia costata di più. Cosa mi resta? Tanti lividi

(uno
> particolarmente simpatico sulla schiena, ci si può studiare l'impronta

degli
> anfibi sbirreschi dalla sua forma precisa, ad alveare), qualche ferita e
> escoriazione, parecchi capelli in mano ogni volta che provo a toccarli e
> qualche problema deambulatorio più un'emicrania pazzesca. Ma mi restano
> anche i cittadini di Fornovo, solidali e convinti, tutti i compagni di

tutta
> Italia mobilitati, le lacrime dei carabinieri, i segnali di

insubordinazione
> diffusa. E restano questi treni e più in generale questa guerra. Mi resta

da
> fermarli, ci resta. Si tratta solo di rendergliela davvero sconveniente,
> anche economicamente, visto che il denaro è l'unica lingua che conoscono.
> Non da solo, piccolo peto macilento come sono, ma con tutti quelli che
> decidono di essere uomini, non portafogli.
>
> Efraim
>
> Fonte: http://www.rekombinant.org mailing list
>
>