[Lecce-sf] Fw: Medici italiani contro la guerra

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Autor: luisa rizzo
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Asunto: [Lecce-sf] Fw: Medici italiani contro la guerra
From: "Angelo Stefanini" <stefanin@???>
To: <pace@???>; <news@???>
Sent: Friday, February 21, 2003 7:11 PM
Subject: Lettera aperta a Berlusconi: Medici italiani contro la guerra


LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO,
SILVIO BERLUSCONI

Medici italiani contro la guerra

Alla vigilia di una guerra considerata inevitabile, perchè fortemente
voluta da alcuni governi, si sono sviluppati in tutto il mondo vasti
movimenti di opposizione, anche tra le organizzazioni mediche e sanitarie
[1]. Oltre 500 tra docenti e studenti della London School of Hygiene and
Tropical Medicine hanno sottoscritto una lettera aperta al Primo Ministro
Tony Blair, pubblicata sul British Medical Journal[2] e sul Lancet[3],
come contributo al dibattito tra il governo e l'opinione pubblica sulla
necessità di opporsi all'azione militare sul terreno etico ed umanitario,
al di là di ogni punto di vista politico o religioso. L'International
Physicians for the Prevention of Nuclear War, l'Australian Medical
Association for Prevention of War, il gruppo canadese Physicians for Global
Survival hanno preso iniziative autonome per sensibilizzare i propri
governi sulla necessità di prevenire la guerra in Irak. L'organizzazione
non governativa OXFAM, l'American Academy of Arts and Science, l'UNICEF e
la Yale University hanno elaborato le loro stime sul probabile impatto
della guerra sulla popolazione civile.

In queste ultime settimane sono stati inoltre pubblicati due rapporti di
particolare significato per chi come professione si occupa di salute. Il
primo, Collateral Damage, The health and environmental costs of war on
Iraq, prodotto da Medact, organizzazione non governativa di medici e
operatori sanitari britannici[4] , stima il numero totale di morti, durante
il conflitto e nei tre mesi seguenti ad un attacco all'Irak, nell'ordine di
grandezza compreso tra 48.000 e 260.000. Una guerra civile che si
scatenasse all'interno dell'Irak aggiungerebbe altri 20.000 morti. Gli
effetti più tardivi della guerra potrebbero aggiungere altre 200.000
vittime. Nel caso si facesse uso di armi nucleari il numero dei morti
potrebbe arrivare a 3.900.000. In tutti gli scenari considerati la maggior
parte delle vittime sarebbero civili. Il rapporto prevede inoltre come
estremamente probabili, a seguito dell'attacco, guerre civili, carestie ed
epidemie, considerevoli masse di rifugiati ed effetti catastrofici sulla
salute, soprattutto dei bambini. Come effetto collaterale viene inoltre
prevista la intensificazione dei conflitti internazionali, delle
disuguaglianze e delle divisioni tra gruppi di persone e popoli.

Un documento delle Nazioni Unite "strettamente confidenziale" datato 10
dicembre 2002 e intitolato Likely Humanitarian Scenarios[5] prevede un
elevato numero di morti tra i civili, una crisi delle condizioni
nutrizionali della popolazione e la esplosione di malattie "di proporzioni
epidemiche se non addirittura pandemiche". Questo documento, fatto
segretamente pervenire alla Università di Cambridge, riporta le stime OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) di 100.000 morti da effetti diretti
della guerra e 400.000 da impatto indiretto, oltre 2 milioni di bambini e 1
milione di donne in gravidanza grevemente malnutriti, e 2 milioni di
irakeni senzatetto. La previsione delle Nazioni Unite è che, in caso di
guerra, non saranno in grado di far fronte nemmeno ai 130.000 rifugiati che
attualmente già si trovano in Irak. Il rapporto sottolinea inoltre
l'assoluta inadeguatezza del sistema sanitario irakeno, vittima da diversi
anni dell'embargo imposto dalle Nazioni Unite, a rispondere alla
accresciuta domanda che una guerra imporrebbe, oltre alla assenza dei
servizi di base per la popolazione locale al termine dell'intervento armato.

Nell'anno 2002 è uscito il "Rapporto Mondiale su Violenza e Salute"[6]
della OMS. Indicando esplicitamente la violenza, sia individuale che
collettiva, come importante problema di salute pubblica, l'OMS ha voluto
sottolineare in tutta la sua rilevanza il ruolo attivo che l'operatore
sanitario deve assumere nel contrastare la guerra e nel promuovere la
cultura della pace. Secondo le Nazioni Unite uno degli effetti più
sconvolgenti dell'uso della forza militare in Iraq e a livello
internazionale potrebbe essere l'esplosione incontrollabile di violenza
collettiva, definita come "l'uso strumentale della violenza da parte di
stati o gruppi non governativi allo scopo di ottenere obiettivi politici,
economici o sociali".

E' indubbio che la guerra sia un problema di salute pubblica. In qualità di
medici abbiamo non soltanto il dovere di prenderci cura delle vittime
della violenza e dei conflitti armati, ma anche di cercare di prevenirli.
Come medici siamo inclini a pensare soprattutto in termini di mortalità e
morbosità. Ebbene, la guerra in Irak provocherà centinaia di migliaia di
morti, la maggior parte tra i civili e i bambini, la esplosione di
epidemie, carestie e distruzioni ambientali (...). Non dobbiamo inoltre
sottovalutare le conseguenze che potrebbero aversi tra la popolazione
civile dei paesi aggressori in caso di attacchi biologici, chimici o
addirittura nucleari, eventualità quest'ultima presa esplicitamente in
considerazione dal presidente Bush.

Per noi medici, impegnati nella missione di alleviare le sofferenze e
prevenire le malattie, queste morti e mutilazioni sono inaccettabili.
Convinti che la guerra avrebbe conseguenze disastrose per la salute umana
nel breve, medio e lungo termine e che si debba fare uso di mezzi politici
e diplomatici per evitarla, ci opponiamo all'intervento militare in Irak.
Poiché la nostra opposizione si fonda su argomenti esclusivamente etici,
umanitari e professionali, facciamo appello a tutte le forze politiche e
della società civile affinché venga impedito un conflitto armato che
avrebbe effetti catastrofici per la famiglia umana.

"La violenza si sviluppa in assenza di democrazia, di rispetto per i
diritti umani e di buon governo", scrive Nelson Mandela nella introduzione
al Rapporto OMS. Sosteniamo con forza, inoltre, la posizione della nostra
più alta organizzazione professionale, l'Organizzazione Mondiale della
Sanità, secondo cui i conflitti possono essere prevenuti soltanto
attraverso forme più eque di sviluppo e modelli internazionali e locali di
governo basati su etica e responsabilità.

3 febbraio 2003

Dr. Angelo Stefanini
Dipartimento di Medicina e Sanità pubblica
Università degli Studi di Bologna
Via S.Giacomo 12
40126 Bologna
Tel. 051 2094833, Fax. 051 2094839, E-Mail: stefanin@???



[1] BMJ 2003; 326: 184.
[2] BMJ 2003; 326: 220.
[3] The Lancet 2003; 361(9354): 345.
[4] www.medact.org
[5] www.casi.org.uk/pr/pr030107undoc.html
[6] www.who.int