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Sent: Tuesday, February 18, 2003 11:12 AM
Subject: ANNI NOVANTA: LA RESTAURAZIONE DI FINE SECOLO (di Raniero La Valle)
> IL FATTO E IL COMMENTO
>
>
> ANNI NOVANTA:
> LA RESTAURAZIONE
> DI FINE SECOLO
>
> RANIERO LA VALLE
>
>
>
> Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento che l'autore ha fatto al
> Tribunale permanente dei popoli (Roma, 14-16 dicembre). Giunto ormai alla
> sua 31ª sessione, quest'anno esso s'intitolava: il diritto internazionale
e
> "le nuove guerre".
>
> Avrebbe dovuto essere, come l'aveva proclamato l'Assemblea generale
> dell'Onu, il "decennio del diritto internazionale", ed è stato invece il
> decennio in cui è stata ripristinata la guerra come mezzo ordinario di
> governo del mondo.
>
> La novità è che l'America si pone come altro dall'Occidente. Non sta più
da
> una parte del mondo, ma sta sopra il mondo come sovrano universale di una
> geografia globale di cui lo stesso Occidente è solo una parte.
>
> Come spiegò Brzezinski, esponente dell'establishment americano, in un
> colloquio di fine millennio a Castelgandolfo alla presenza del Papa, non
> c'è altra alternativa che l'America all'anarchia globale.
>
> È difficile tenere accesa la speranza quando il diritto è sconfitto, e lo
> si viene a sapere. Il vecchio Papa ha parlato perfino di un "disgusto" di
> Dio. Però la speranza sta proprio nel fatto che il diritto c'è stato.
>
>
> Ci sono governanti che formulano pensieri apocalittici: la "passeggiata"
di
> Sharon sul Monte del Tempio, a cui i pii ebrei pensavano di tornare solo
> alla fine dei tempi, l'idea di Bush di liberare il mondo dal male.
>
>
> L'ultimo decennio del Novecento, che non è un secolo breve se non viene
> amputato dagli storici, è stato un decennio che si è posto in netta
> discontinuità con la storia del dopoguerra. È stato il decennio delle
> speranze frustrate, il decennio che avrebbe dovuto essere quello della
> distribuzione dei dividendi della pace e della costruzione di un ordine
> unitario del mondo dopo la rimozione del muro di Berlino e la fine dei
> blocchi, ed è stato invece un decennio di grande disordine e di nuove, più
> gravi divisioni. Avrebbe dovuto essere, come l'aveva proclamato
l'Assemblea
> generale dell'Onu, il "decennio del diritto internazionale", ed è stato
> invece il decennio in cui è stata ripristinata la guerra come mezzo
> ordinario di governo del mondo, tanto che dal 1991 al 2001 si sono
> addirittura celebrate tre guerre che, se viste nella continuità dei
> soggetti che le hanno intraprese e nella logica che le accomuna, sono in
> realtà un'unica guerra, probabilmente destinata a prolungarsi
> nell'annunciata guerra contro l'Iraq.
> Per capire come ciò sia potuto accadere, occorre ripensare la storia del
> Novecento come una storia segnata da due grandi discontinuità. Non si può
> capire la storia se la si immagina come un tempo continuo e omogeneo.
> Walter Benjamin, facendo appello alla sua comprensione ebraica, nelle
"Tesi
> di filosofia della storia" dice che ci sono degli "arresti", delle
> "irruzioni" messianiche che scuotono il tempo ordinario. Ci sono delle
> discontinuità. Ci sono dei potenti deposti dai troni e degli umili
> esaltati, dei castelli che cadono, altri si costruiscono, poi di nuovo
> cadono e quelli di prima risorgono. La storia è fatta di continuità, ma
> anche di rivoluzioni, di controrivoluzioni e di restaurazioni. Oggi, nel
> tempo della guerra globale e infinita, siamo nel pieno di una
> controrivoluzione e di una fosca restaurazione.
>
> L'ETÀ DELLA DISSOLUZIONE DEGLI IMPERI
> Il Novecento aveva già conosciuto la novità della rivoluzione d'Ottobre.
Ma
> la grande discontinuità che ha segnato nel Novecento un vero passaggio
> d'epoca, è stata nel 1945 quando, dopo la tragica esperienza della seconda
> guerra mondiale e della Shoah si è posto mano a costruire la grande
> comunità internazionale delle Nazioni. Questa discontinuità è consistita
> essenzialmente nell'aver posto il principio della dissoluzione dei grandi
> Imperi. Questo principio fu posto dall'Onu e in maniera specialissima
dagli
> Stati Uniti d'America che non volevano un mondo di Imperi, ma immaginando
> una specie di pantografia della democrazia americana, promossero nella
> grande assemblea costituente di San Francisco un modello universale di
> democrazia e di diritto saldamente controllato dalle Nazioni che si erano
> unite nella guerra antifascista (e perciò "Nazioni Unite") e in
particolare
> dalle cinque grandi Potenze vincitrici.
>
> L'OCCASIONE PERDUTA DELL'89
> Nel 1989 si produce la seconda grande discontinuità. Quando finisce
> l'Unione Sovietica, si chiude la fase della dissoluzione degli Imperi e si
> può ricominciare. Gli Stati Uniti sono pronti a raccogliere l'eredità di
> una sovranità universale. Il decennio successivo, dalla guerra del Golfo
> agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, è il periodo in cui
> questo progetto prende corpo, si perfeziona, si chiarisce agli stessi
> americani.
> La rimozione del muro di Berlino è la grande occasione perduta per la
> costruzione di un mondo diverso, di "quell'altro mondo possibile" che il
> movimento no-global comincerà ad invocare sulle soglie del nuovo
millennio.
> L'ipotesi che qui vorrei avanzare, è che l'Occidente ha sbagliato la
> lettura e la risposta agli eventi dell'89, prima favorendo la dissoluzione
> dell'Urss, poi concependo un mondo di cui esso fosse l'unico gendarme e
> padrone; l'Occidente non ha saputo uscire dal sistema di dominio e di
> guerra che era legato alla diarchia del terrore ma, venuta meno l'Unione
> Sovietica, ha proseguito quel medesimo sistema, mettendosi alla sua testa
> da solo; esso pertanto non ha saputo cogliere l'occasione di quella
> inaudita e pacifica discontinuità storica, non ha saputo concepire e
> gestire un progetto nuovo per il mondo che rappresentasse un vero
> superamento del vecchio sistema bipolare, e così facendo si è inserito
> nella traiettoria della sua caduta, giungendo oggi a una crisi che è
> speculare a quella che fu la crisi del comunismo e che può essere
> considerata come la fase finale della crisi di quell'ordine.
>
> NOI E LORO
> Ma che fare del mondo? Questo è il problema dei vincitori, ormai non più
> trattenuti da nessuno. Finalmente il capitalismo ha prevalso, il mercato è
> ormai universale, le più ardite speranze dei teorici del liberalismo che
> avevano profetato: col libero commercio, l'eterna pace, si possono
> realizzare. La storia è giunta al suo adempimento e noi ce l'abbiamo
> portata.
> Ma a questo punto, caduto il limite esterno, il capitalismo realizzato si
> accorge di non essere affatto universale. È il sistema migliore possibile,
> ma non è per tutti. Esso non può reggere la vita e lo sviluppo del mondo.
> Non può sfamare tutti, non può avere acqua e medicine per tutti, non può
> permettere la democrazia a tutti. I meccanismi economici non sono
> attrezzati per questo, perché sono fatti per incrementare il denaro e non
> per soddisfare i bisogni.
> Contro il mito del progresso illimitato, si fa strada la coscienza della
> scarsità. Gli anni 90, gli anni dopo la fine dell'Urss, sono gli anni in
> cui i grandi poteri rimasti sono posti di fronte a queste alternative, a
> queste scelte. Ci sono correnti che spingono verso una ristrutturazione
> equa di tutti i rapporti mondiali, che postulano la pace, la giustizia e
la
> salvaguardia del creato, ci sono i pacifisti, ci sono i rapporti delle
> Agenzie intergovernative sul clima che denunciano i pericoli e che
spingono
> verso quei primi risultati che saranno la conferenza di Rio e il Trattato
> di Kyoto.
> Ma il sistema fa un'altra scelta. Se il mondo non si può tenere in piedi
> tutto, allora se ne garantisce solo una parte, la propria. Un quinto
contro
> gli altri quattro quinti. Il capitalismo vincente non può certo ritrarsi e
> rientrare nei vecchi confini del Primo Mondo, non può ridursi a essere la
> forma economica e sociale della minoranza appagata, continuerà a inglobare
> tutto il mondo, ma con una stratificazione, una gerarchia, una grande
> selezione, una realistica diseguaglianza; c'è un mondo da salvare e un
> mondo a perdere; cioè noi e loro.
>
> PREPARAZIONE E FONDAZIONE DEL NUOVO IMPERO
> Ma naturalmente un mondo così non sta a posto da solo. Deve essere tenuto
a
> bada con scettro di ferro. La maggioranza scartata non accetta di essere
> votata all'esclusione. Il grande problema che si apre con la fine
> dell'ordine bipolare e la scomparsa dell'Urss, è perciò quello del governo
> del mondo. L'idea è che occorre stabilire un sovrano universale, e questo
> ruolo non può essere se non degli Stati Uniti perché, come spiegò
> Brzezinski, esponente dell'establishment americano, in un colloquio di
fine
> millennio a Castelgandolfo alla presenza del Papa, non c'è altra
> alternativa che l'America all'anarchia globale. Per far questo occorreva
al
> più presto possibile riappropriarsi dello strumento sovrano del governo
del
> mondo: la guerra.
> L'occasione la fornì l'Iraq con l'occupazione del Kuwait. Questo crimine
> gli fu fatale. Il muro di Berlino era stato rimosso da un anno, l'Urss non
> era più in grado di fermare l'Occidente. E Bush padre fece la guerra; la
> fece per due ragioni; la prima, come spiegò poi nelle sue memorie, perché
> non si poteva permettere che le riserve di petrolio del Medio Oriente
> cadessero sotto il controllo di una potenza ostile; e fu la prima guerra
> per il petrolio; e la seconda ragione, più importante, fu per ristabilire
> il diritto di guerra esercitandolo in nome di quelle stesse Nazioni Unite
> che l'avevano abrogato; ci vollero alcuni mesi non solo per preparare
> l'armata, ma per sviluppare un'imponente campagna di persuasione che
> riaccreditasse la guerra.
> Fu, quella, la prima guerra mai finita. La guerra contro l'Iraq è
> continuata infatti fino ad oggi, come guerra aerea e come embargo (e un
> milione e mezzo di morti, in gran parte bambini). Tuttavia la guerra del
> Golfo si fa ancora con la copertura dell'Onu, anche se con uno strappo al
> quadro di legittimità, di cui essa è garante. Ma ben presto questo quadro
> di legittimità viene esplicitamente abbandonato, e si innesca il processo
> volto a sostituire l'Onu prima con la Nato, sotto la guida degli Stati
> Uniti, poi con gli Stati Uniti da soli. Vengono elaborati i primi
documenti
> che dovranno consacrare e accompagnare la svolta.
> In Italia, nell'ottobre del 1991, il Nuovo Modello di Difesa già
> considerava la guerra come praticabile e normale, non solo nel caso
> deprecabile di un'aggressione, ma come mezzo ordinario per tutelare gli
> "interessi esterni" dell'Italia e dei suoi alleati.
> Nel 1999 toccò alla Iugoslavia. La guerra era stata ormai richiamata in
> servizio, era "libera all'esercizio". Anche per quella guerra si parlò di
> petrolio, della necessità di aprire un corridoio per gli oleodotti dal
> Caspio. Ma la vera ragione fu politica. La ragione fu di uscire
dall'ordine
> delle Nazioni Unite, dove la guerra era ancora formalmente bandita, ed
> entrare, ormai senza altre remore, nell'ordine della Nato; la Nato
> diventava essa la nuova comunità internazionale, la parte per il tutto,
> assumeva prerogative sovrane, si investiva in proprio del diritto e del
> potere sovrano di guerra.
> La metamorfosi della Nato occupò tutto il decennio. Nel novembre 1991, si
> decideva nel vertice atlantico di Roma che essa doveva continuare a
> sussistere. Ma era pur sempre la vecchia alleanza; essa entrava in un
> processo evolutivo, ma era ancora pensata nel quadro del suo trattato
> istitutivo.
> Nel 1999, l'evoluzione è compiuta. Con la guerra alla Serbia compare un
> nuovo soggetto che della vecchia alleanza mantiene ancora il nome, ma non
> più l'identità. Comincia la nuova alleanza (v. box).
> È evidente come questa concezione è alternativa a quella dell'Onu. Nel
> vertice di Washington la Nato riprende il principio dell'Onu della
> indivisibilità della pace e della sicurezza, ma esse non sono più
> indivisibili per tutti, bensì solo per sé e per i 19 Paesi membri; e dopo
> l'ultimo vertice di Praga del novembre scorso, l'ex ministro della Difesa
> americano Weinberger giungerà a postulare apertamente la sostituzione
della
> Nato all'Onu, come struttura più flessibile, più efficace e più sensibile
> agli interessi degli Stati Uniti.
> Tuttavia, anche la Nato finisce per essere un vestito troppo stretto.
Sulla
> fine del decennio gli Stati Uniti sono ormai pronti a giocare in proprio
il
> ruolo di Potenza globale ed esclusiva.
> Gli eventi dell'11 settembre 2001 innescano la reazione per la quale si
> completa la mutazione, cambia la figura dell'America, quella figura che il
> mondo amava, e gli Stati Uniti dichiarano apertamente la volontà di
> costituire un Impero mondiale.
> Il 14 settembre, Bush ne enuncia il principio fondativo dal pulpito della
> National Cathedral di Washington, nella "giornata nazionale di preghiera e
> commemorazione per le vittime" indetta dalla Casa Bianca; tale principio
> consiste nel raccogliere "l'impegno preso dai padri, diventato l'appello
> del tempo presente", rispondere agli attacchi con una guerra di cui solo
> gli Stati Uniti decideranno la fine, e "liberare il mondo dal Male". La
> preghiera del Pater noster sarà finalmente esaudita. A garanzia Bush, con
> una citazione aggiustata della Lettera ai Romani, assicura che nulla potrà
> separare l'America dall'amore di Dio.
>
> LA CARTA DELL'IMPERO
> Un anno dopo, il 17 settembre 2002, la dottrina dell'Impero viene
> formalmente enunciata nel documento sulla nuova strategia della sicurezza
> nazionale degli Stati Uniti, che in realtà è la Carta istitutiva
> dell'Impero.
> Essa proclama che c'è un unico modello accettabile per le nazioni, che è
> definito con tre termini: libertà, democrazia e libera impresa. Dunque è
un
> modello politico, che è quello dello Stato liberale, è un modello
> istituzionale, che è quello delle democrazie occidentali, ed è un modello
> economico che è quello del capitalismo; ogni alternativa, ogni pluralismo
> di dottrine e di sistemi sono negati. Poi il documento afferma l'unicità e
> insuperabilità degli Stati Uniti: gli Stati Uniti, dice il documento,
> "godono di una potenza militare senza eguali e di una grande influenza
> economica e politica". Questa unicità dovrà essere mantenuta per sempre.
> Mai più una potenza come l'Urss, ma anche mai una potenza come la Cina o
> come l'Unione Europea. In questo contesto, il documento enuncia la
dottrina
> della guerra preventiva - "la migliore difesa è una buona offesa" - e
> dichiara che gli Stati Uniti agiranno anche da soli. C'è una
rivendicazione
> della solitudine americana. E quando il documento cita le organizzazioni
> internazionali con le quali gli Stati Uniti intendono collaborare, cita
> l'Onu, l'Organizzazione mondiale del commercio, l'Organizzazione degli
> Stati Americani e la Nato, ma la Nato non è più al primo posto, è
> un'alleanza tra tante. E in un altro punto del documento si citano come
> distinti gli Stati Uniti e la comunità euro-atlantica.
> Dunque la novità è che l'America si pone come altro dall'Occidente. Non
sta
> più da una parte del mondo, ma sta sopra il mondo come sovrano universale
> di una geografia globale, di cui lo stesso Occidente è solo una parte.
>
> INIZIO O DECLINO DI UN IMPERO?
> È significativo che questa dottrina dell'Impero venga enunciata nell'atto
> stesso, in cui febbrilmente si prepara e si reclama la prima guerra di
> fondazione dell'Impero, che è quella contro l'Iraq; guerra che non si
> spiega né con le armi né con il petrolio di Saddam, ma solo perché non c'è
> Impero mondiale senza il controllo fisico e territoriale del Medio
Oriente,
> senza insediarsi in quella terra tra i due fiumi che è la culla e il
> crocevia dell'umanità, all'incrocio delle antiche rotte carovaniere che
> univano l'Asia, l'Europa e l'Africa, da dove si può guardare ad Est, fino
> all'India e alla Cina. E Israele non basta più a rappresentare lì gli
Stati
> Uniti.
> Ma la guerra è il solo prezzo da pagare a questa novità di un Impero
> nascente? C'è qualcuno che sostiene che, al di là della forma sgradevole,
> si tratta pur sempre di una figura politica di universalità, di un Impero
> inclusivo, dove certo ci sono ingiustizie da sanare e sfruttamenti iniqui
> da combattere, ma dove sarebbe pur sempre vigente la "koiné" dei diritti
> umani.
> Credo che invece debba essere scoperta la vera natura dell'Impero, nel
> quale viene a concludere e a trovare la sua forma politica e militare la
> globalizzazione. Come la globalizzazione, l'Impero non è inclusivo, ma
> seccamente selettivo. I limiti non sono fisici, territoriali; nella
> geografia dell'Impero potenzialmente sono tutti inclusi. Ma di fatto la
> maggior parte è esclusa, non cooptata, non assunta dentro gli stessi
> confini di una unità politica che se pure è estesa a comprendere tutto il
> mondo, tuttavia è disseminata di "apartheid", di muri di separazione, di
> isole di estraneità. Il rischio è proprio quello che il modello del
> rapporto tra Israele e palestinesi in Palestina, si riproduca e diventi il
> paradigma del nuovo ordine planetario.
> Ma allora non si tratta solo di un sovvertimento del diritto. Dietro
> quest'ipotesi di ordine del mondo si intravede, che sia conscia o
> inconscia, una cultura di tipo apocalittico. C'è il rischio di un
collasso,
> anzi di una catastrofe della speranza, e perciò di una crisi della
> condizione umana, nel cuore e nelle menti delle persone e soprattutto dei
> giovani, più grave delle stesse negazioni e degli scuotimenti della vita
> fisica e della crisi ecologica o alimentare.
> Ho vissuto questa crisi esistenziale nei giorni scorsi a Baghdad, dove
sono
> stato dal 1° al 6 dicembre con una delegazione italiana, quando andavo per
> le strade e vedevo le persone, ma già conoscevo la sentenza di morte che
> qualcuno aveva pronunciato lontano da lì, e non sapevo se quelle persone,
> quelle case, perfino l'albergo in cui stavamo sarebbero ancora esistiti
tra
> un mese. E tuttavia non si avvertiva tra la gente alcun presentimento
della
> fine. Però si vedeva camminare il dolore.
> È difficile tenere accesa la speranza quando il diritto è sconfitto, e lo
> si viene a sapere. Il vecchio Papa ha parlato perfino di un "disgusto" di
> Dio.
> Però la speranza sta proprio nel fatto che il diritto c'è stato. Che
> l'umanità lo ha saputo concepire, che essa ha nutrito dottrine e fedi e
> continuamente pone gesti che tolgono il pungiglione alla morte; che
perfino
> di fronte ad Auschwitz ha potuto risuonare la parola impossibile e potente
> che "la vita è bella", e milioni di persone l'hanno condivisa.
> Se squarciamo l'armatura rutilante di cui si riveste la cultura della
fine,
> e le cortine dietro cui essa si trincera per riservare agli altri la fine,
> noi troviamo il fondamento della nostra resistenza e la ragione della
> nostra speranza. Perché questa non è la cultura di un Impero nascente, ma
è
> la cultura di un Impero in declino, è una cultura analoga a quella delle
> sette gnostiche, manichee e apocalittiche che esprimevano l'angoscia della
> fine di un mondo, al tramonto dell'Impero antico. Ci sono per contro
> milioni di persone in tutto il mondo che vivono una cultura dell'inizio e
> della fecondità, milioni di persone che sanno l'arte del vivere insieme e
> diversi, milioni di persone che pensano in modo inclusivo, tali che
nessun
> terrorismo ha ragione di sfidare e di abbattere. C'è uno spirito europeo
> che è lontanissimo dall'idea di un'estrema lotta tra i mondi, e di uno
> "scontro di civiltà". C'è un Islam che non pensa affatto al paradiso come
> contropartita di un inferno sulla terra. E anche l'America non è solo
> quella delle sue minoranze settarie. Perciò è fondato fare affidamento
> sull'antidoto della ragione, sull'alternativa del diritto, e sulla
> sovranità in itinere della pace.
> Dio non si è pentito dell'uomo.
>
> RANIERO LA VALLE
>
>
>
>
> UNA CULTURA APOCALITTICA
>
>
>
>
> C'è un mondo a perdere e un mondo da salvare. Quella americana (ma anche
> quella israeliana) non è una cultura della speranza, una cultura del
> futuro, e dunque una cultura della pace, ma una cultura della disperazione
> e una cultura della fine.
> In effetti sia in Israele che negli Stati Uniti sembrano giunti al potere
> dei ceti politici esacerbati, che pensano a una salvezza da strappare
nelle
> condizioni della fine, ci sono governanti che pongono gesti e formulano
> pensieri apocalittici: la "passeggiata" di Sharon sul Monte del Tempio, a
> cui i pii ebrei pensavano di tornare solo alla fine dei tempi, l'idea di
> Bush di estirpare gli Stati "zizzania" e di liberare il mondo dal male,
> cosa che secondo la parabola evangelica non deve venire prima della
> mietitura, cioè prima della fine del mondo; e ancora la guerra definitiva
e
> infinita, l'atomica brandita come una spada, la divisione tra gli Stati
> Uniti e i loro nemici sentita come una divisione irrimediabile, come la
> divisione tra il mondo della luce e il mondo del terrore, tra l'ordine e
il
> caos.
>
> R.LV.
>
>
>
> LA VECCHIA E LA NUOVA NATO
>
>
>
>
> La vecchia Nato era un'alleanza di Stati sovrani. Essi non disponevano del
> diritto di guerra, perché ne avevano fatto, sottoscrivendo la Carta
> dell'Onu, solenne rinuncia. Di conseguenza, non potevano trasferire
> all'Alleanza poteri che essi stessi non avevano. Essi disponevano però del
> diritto di difesa contro l'aggressione, a norma dell'art. 51 della Carta.
> Perciò la Nato era nata come alleanza difensiva, senza rivendicare il
> potere di guerra.
> La nuova alleanza che irrompe sulla scena nel '99, è un'altra cosa. Non
> appare più come un'associazione, a scopi difensivi, di Stati sovrani. Essa
> stessa agisce come soggetto sovrano. Il suo centro, il suo movente, la sua
> ossessione, sta nell'idea che è cambiato il concetto di sicurezza, cioè è
> cambiata la percezione del pericolo.
> Prima il pericolo veniva dal mondo sovietico, era ben configurato, si
> poteva padroneggiare. Adesso viene da ogni parte, è imprendibile. Allora
ci
> vuole più di un'alleanza. Ci vuole qualcuno che prenda su di sé, più di
> quanto i vecchi Stati possano fare, l'intero fardello della sicurezza
> collettiva, qualcuno che decida sullo stato d'eccezione, un sovrano, un
> super-Stato, che ai singoli Stati dia protezione, ricevendo in cambio
> obbedienza.
>
> R.LV.
> DIDASCALIE DELLE FOTO
>
> FOTO N° 1, ORIZ, 1500
> Hyde Park (Londra), 28 settembre 2002. Protesta contro la guerra in Iraq.
>
> Credit: Ap/Sang Tan
>
> FOTO N° 2, ORIZ, 3600
> Manifestazione fuori dalla base Nato di Geilenkirchen, in Germania, lo
> scorso 25 gennaio. Il cartello dice: "Fermate la guerra contro l'Iraq".
>
> Credit: Ap/Frank Augstein
>
>