[Lecce-sf] DOPO IL 15 FEBBRAIO I MEDIA SIAMO NOI

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Szerző: csoa coppolarossa
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Régi témák: [Lecce-sf] Fw: [Info Guerrilla News] #46 - 15/02/03, LA STORIA SIAMO NOI
Tárgy: [Lecce-sf] DOPO IL 15 FEBBRAIO I MEDIA SIAMO NOI
DOPO IL 15 FEBBRAIO I MEDIA SIAMO NOI
..e siamo anche lo spazio pubblico, l'Europa, il mondo...

di Wu Ming 1



Qualche zelante scherano del vero "Asse del Male" (Bush, Blair, Aznar e
quell'altro, com'e' che si chiama?) cerca ancora di negare l'evidenza, di
sottostimare, pesare col bilancino, fare distinguo ai quali nessuno piu'
porge orecchio, ma - per dirla con trivialita' - "non ci sono cazzi": sabato
abbiamo *davvero* fatto la Storia.

Quel che e' avvenuto non ha precedenti, l'infinitamente rievocato carattere
"internazionale" del Sessantotto diventa poca cosa rispetto alla prima
manifestazione planetaria in simultanea della storia dell'umanita'.
Manifestazione lanciata dal Forum Sociale Europeo e rilanciata dal Forum
Sociale Mondiale: c'e' ancora qualcuno che ha il coraggio di definirli (o di
definirsi, ahime'!) "no global"?!

Se le cose andranno nel verso giusto (e bisogna lottare perche' cio'
avvenga), gli storici del futuro vedranno l'intero ciclo di lotte sociali
che noi chiamiamo "Sessantotto" come prodromo, preludio, *promessa* delle
ben piu' significative lotte del XXI° secolo.
Altro che "ultimo rigurgito delle ideologie ottocentesche", o idiozie del
genere: *anticipazione degli odierni movimenti globali*, scheggia di futuro
conficcata nell'epoca degli stati-nazione.

Noi che eravamo a Roma abbiamo fatto la Storia due volte, perche' Lorsignori
possono dire quel che vogliono, ma quella di sabato e' stata la
manifestazione piu' grande di tutti i tempi a livello mondiale.
Puo' darsi che il Partito Comunista Cinese abbia qualche volta radunato
folle piu' numerose, ma si trattava di eventi ben poco spontanei, a rigida
coreografia governativa, quindi non contano.

Dopo la giornata di sabato, acquista un nuovo, abbacinante significato lo
slogan dei mediattivisti di tutto il mondo, da Seattle in avanti: "Don't
hate the media, become the media".
Si', perche' da oggi e' ufficiale che i media siamo noi, e intendo *noi
tutti*: cosa puo' fare la meschina, petulante disinformazja di un regime
contro il passaparola di chi ha partecipato a uno dei piu' grandi eventi di
sempre? Il passaparola gioioso di tre milioni e mezzo di persone a Roma e
decine di milioni nel resto del mondo?

Negli ultimi tre anni di lotte si e' fatto sempre piu' evidente, ma oggi
salta agli occhi e alle orecchie: la nostra comunicazione puo' fare
tranquillamente a meno dell'informazione ufficiale, televisiva, piramidale.
Nel corso dei decenni, a volte lavorando nell'invisibilita', i movimenti si
sono dotati di reti e strumenti e linguaggi che permettono loro di
comunicare *sotto, intorno e al di sopra* dei media ufficiali, costeggiando
i bordi di quel buco nero del senso in cui affogano le "maggioranze
silenziose", che maggioranze non sono piu'.
Soprattutto, i movimenti si sono dotati di un immaginario che non paga piu'
debiti allo sconfittismo, che costruisce comunita' e sa di rappresentare il
punto di vista del pianeta.

I famosi "cento fiori" di cui ci si auspicava lo sbocciare sono gia' qui,
sul prato del mondo la Rete, le radio, le tv di strada, i canali
satellitari, le fanzines, la stampa indipendente ma soprattutto *i
racconti*, la mitopoiesi, il passaparola. La grande narrazione che ci
consegnano e' questa: i movimenti di movimenti sono la vera globalizzazione.
Questo messaggio spiazza completamente chi, anche a sinistra, pensa ancora
in termini di "piccole patrie" (letterali e/o metaforiche), o pensa che i
movimenti siano alleanze copia-e-incolla tra ceti politici.

Il nuovo significato dello slogan "Non odiare i media, diventa i media" e'
anche: non dedichiamoci troppo alle geremiadi sull'informazione ufficiale,
il conflitto di interessi, l'onnipervasivita' del b********ismo etc.
Smettiamola di stracciarci le vesti. Ce ne siamo accorti o no che i
movimenti europei e mondiali guardano all'Italia come alla postazione piu'
avanzata dello scontro tra le nuove comunita' operose e un potere che si
dibatte in una camera imbottita in attesa della thorazina?

Da quando questo governo si e' insediato abbiamo proiettato un'immagine
schizofrenica, riassunta nella domanda che mi e' stata fatta molte volte
durante viaggi all'estero: "Com'e' possibile che in Italia ci siano i
movimenti piu' forti, creativi e influenti se ho sentito dire che tutta
l'informazione e' in mano a B*********?".
Io ho sempre cercato di spiegare che B******** ha soltanto piantato una
bandierina sulla punta dell'iceberg dell'informazione, non ha alcun
controllo su cio' che sta sotto l'acqua, cio' che sta per speronare il suo
dominio (non vedete che i topi abbandonano la nave prima ancora dell'urto?).

E' il governo B********* a essere circondato, isolato, disorientato, non
certo noi. Questa situazione e' evidente da almeno un anno, ma i movimenti
stessi hanno faticato ad accorgersene, perche' spesso - pur essendo piu'
avanzati nelle pratiche della comunicazione, e maggiormente in grado di
*intuire* come stavano le cose - hanno introiettato la visione sconfittista
e arretrata dei loro ceti politici (DS, PRC, Disobbedienti, non fa nessuna
differenza).

Dopo il dibattito all'ONU di venerdì scorso e la manifestazione mondiale del
giorno dopo, lo stesso isolamento lo scontano George W. Bush, la sua
psicopatica amministrazione e i suoi servi sparsi per il mondo, anche se i
loro progetti di guerra sono lungi dall'essere bloccati.
Tre anni e piu' di rinascita dei movimenti hanno influenzato le pubbliche
opinioni d'Europa, hanno decretato che il liberismo e la guerra sono fuori
moda, hanno iniziato a costruire un nuovo *spazio pubblico europeo* che non
e' piu' l'Europa liberista e vassalla di Maastricht e delle guerre
umanitarie.

Ecco, questo e' cio' che ho visto sabato, testimone e protagonista di una
vera e propria festosa invasione: la costruzione di un nuovo spazio
pubblico, di una sfera pubblica non-statale, da parte della moltitudine.
Occorre continuare a muoversi, comunicare, alimentare il passaparola,
perche' sempre piu' persone se ne accorgano.


No (c) - Bologna, 16 febbraio 2003

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