[Badgirlz-list] Prospettive teoriche sul movimento GLBT

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Autore: Errata Errata
Data:  
Oggetto: [Badgirlz-list] Prospettive teoriche sul movimento GLBT
> Pierre Bourdieu -sociologo francese morto un anno
> fa-
> si è occupato, oltre che delle questioni del
> controllo
> mediatico, degli effetti deleteri del neoliberalismo
> sulla società, della "mondializzazione", anche delle
> radici storiche e culturali dell'oppressione
> patriarcale e del problema del sesso come rapporto
> di
> potere.
> Ha scritto un libro intitolato "Il dominio maschile"
> (Feltrinelli 1999, trad. Alessandro Serra) dove, in
> appendice, parla fra l'altro del ruolo del
> "movimento
> gay e lesbico" -si limita a parlare di gay e
> lesbiche
> e non include la componente transessuale- nel
> sovvertimento del patriarcato e nell'abolizione dei
> rigidi schemi e stereotipi legati all'identità
> sessuale ("combattere per un ordine sessuale nuovo
> in
> cui la distinzione tra i differenti statuti sessuali
> sia indifferente" p. 138). Ma Bourdieu mette in
> guardia dai pericoli del settarismo interno al
> movimento e dal rischio di "imborghesimento" come
> ostacoli all'azione di una categoria che possiede
> grandi potenzialità rivoluzionarie.
>
> Ho pensato di condividere queste osservazioni di
> Bourdieu anche leggendo un articolo di Helena
> apparso
> sull'ultimo numero della rivista lesbica towanda!,
> dove Helena ribadisce l'importanza del mondo GLBT
> nello sradicamento delle logiche patriarcali e delle
> divisioni binarie legate al sesso e al genere,
> sempre
> che non soccomba anch'esso alle seducenti,
> pericolose
> trappole della nuova borghesia "neoliberista" e
> della
> frammentazione e divisione interna, favorita anche
> dal
> rinchiudersi in etichette come "cyberfemminismo,
> lesbofemminismo, ecc.". Scrive Helena:
>
> "Quello su cui chi si definisce cyberfemminista (ma
> anche lesbica, queer, transgender, etc) dovrebbe
> quindi lavorare, è l’agevolazione e velocificazione
> del processo di integrazione, merging,
> contaminazione,
> fusione, interscambio tra il soggetto umano e
> l’utilizzo delle risorse tecnologiche, comunicative,
> conoscitive, che determinino la creazione di una
> società in cui concetti come razza, gender, classe,
> età, sesso biologico, siano assolutamente obsoleti a
> favore di una valorizzazione delle caratteristiche
> di
> univocità, individualità e percorso esperienziali
> personale. Solo in questo modo bisogni, pulsioni e
> desideri dell’essere umano potranno godere di una
> felicità e appagamento che non siano autoritari,
> costrittivi, classisti, criminalizzanti,
> marginalizzanti, o creanti nevrosi e malessere
> sociale
> (con relativo incremento dei “mercati neoliberisti”
> di
> terapia, repressione & finanche istituzioni totali).
> Per questo motivo concetti, per fortuna
> marginalissimi, come “separatismo”, sia esso
> cosiddetto lesbofemminista o addirittura
> cyberfemminista, risultano pericolosi piedi di porco
> del Vecchio Ordine che cercherebbero di scardinare,
> impossessandosi (a volte) di nuovi linguaggi e
> imbottendoli (oppure mantenendoli con sorda
> inamovibilità) di vecchi fondamentalismi, ciò che
> non
> può essere scardinato perché appunto fluido,
> primordialmente naturale nella sua liquida
> amnioticità
> di un divenire in costante trasformazione.
> È necessario quindi che la parola “transgender”
> venga
> restituita al suo significato metalinguistico
> originario di “percorso, transito tra i genders” e
> di
> negazione in termini politici (antipatriarcali,
> antiautoritari, laici e anticlericali) della fissità
> dualistica dell’identità di genere, in aperto
> contrasto col processo buonista di recupero
> disinnescante che la vorrebbe vedere come termine
> politicamente corretto (non contiene riferimenti a
> sesso e sessualità) per definire solamente le
> persone
> transessuali.
> E questo recupero ripotenziante dovrà essere fatto
> anche in superamento del femminismo della
> differenza,
> del dualismo gay-lesbico e del processo di
> rinormalizzazione binaria di ruolo e identità di una
> parte della componente post-op della comunità
> transessuale, sia MTF che FTM.
> [...]
> Il gender quindi non va cancellato (in una logica,
> pericolosamente maoista se fatta d’ufficio, del
> “post”) soprattutto finché sarà rappresentazione di
> un
> conflitto col Controllo Sociale Patriarcale Binario,
> ma decostruito e rimappato sulle nostre esigenze
> individuali e sui nostri bisogni, desideri, pulsioni
> personali. Attraverso questa prassi si potrà
> superare
> anche la pericolosa frammentazione neo-gruppettara
> del
> movimento GLBT, e soprattutto le recenti e
> pericolose
> tendenze a introiettare in termini sociopolitici la
> logica dell’imprenditoria neoliberista e pro-global
> che da quando lo Spettacolo della Globalizzazione ci
> rivende il nostro immaginario frocio dei “bei corpi
> curati & palestrati, logica del divertimento
> disimpegnato, rinuncia all’impegno politico e alla
> produzione di arte radicale, affluenza economica -
> relativa – e processo di accettazione sociale
> normalizzatoria”, sta rendendo troppe creature glbt
> più simili e vicine a chi tutt’ora ci opprime che a
> chi invece continua a lottare contro l’omologazione
> e
> la distruzione delle soggettività individuali. "
>
> Qui sotto riporto il capitolo di Bourdieu (pp.
> 137-143). La prima parte, più generale e scontata, è
> meno interessante della seconda, dove si parla delle
> questioni di cui sopra.
>
> "Alcune osservazioni sul movimento gay e lesbico"
>
> Il movimento gay e lesbico pone, tacitamente con la
> sua esistenza e le sue azioni simboliche, ed
> esplicitamente attraverso le teorie che produce o
> cui
> dà luogo, un certo numero di problemi di
> fondamentale
> importanza per le scienze sociali, nonché
> completamente nuovi per alcune di esse [NOTA 1: Nel
> seguente testo, di cui ho presentato una prima
> versione in un incontro dedicato alle ricerche sui
> gay
> e le lesbiche, parlerò soltanto del “movimento”,
> senza
> pronunciarmi sul rapporto, assai complesso, che i
> diversi gruppi, collettivi e associazioni che lo
> animano, stabiliscono e mantengono con la (o le)
> “collettività” o “categorie” –piuttosto che
> “comunità”- dei gay o delle lesbiche, collettività e
> categorie alquanto difficili da definire (come
> criterio devono essere prese le pratiche sessuali
> –dichiarate o nascoste, effettive o potenziali-, il
> frequentare certi luoghi, un certo stile di vita?)].
> Questo movimento di rivolta contro una forma
> particolare di violenza simbolica, oltre a far
> esistere oggetti d’analisi nuovi, mette assai
> profondamente in discussione l’ordine simbolico in
> vigore e pone in modo affatto radicale il problema
> dei
> fondamenti di tale ordine e delle condizioni di una
> mobilitazione riuscita al fine di sovvertirlo.
>     La forma particolare di dominio simbolico di cui
> sono
> vittime gli omosessuali, portatori di una stimmate
> che, a differenza del colore della pelle o della
> femminilità, può essere nascosta o dichiarata, si
> impone attraverso atti collettivi di
> categorizzazione
> che fanno esistere differenze significative,
> negativamente marcate, e al di là dei gruppi,
> categorie sociali stigmatizzate. Come in certe
> specie
> di razzismo, essa finisce allora per assumere
> l’aspetto di un diniego di esistenza pubblica,
> visibile. L’oppressione come “invisibilizzazione” si
> esprime in un rifiuto dell’esistenza legittima,
> pubblica, cioè conosciuta e riconosciuta, in
> particolare dal diritto, e in una stigmatizzazione
> che
> si manifesta nel modo più aperto quando il movimento
> rivendica la visibilità. In tal caso lo si invita
> esplicitamente alla “discrezione” o alla
> dissimulazione che è normalmente costretto a
> imporsi.
>     Parlare di dominio o di violenza simbolica equivale
> a
> dire che, eccettuati i casi di rivolta sovversiva,
> tale da portare all’inversione delle categorie di
> percezione e di valutazione, il dominato tende ad
> assumere su se stesso il punto di vista dominante:
> soprattutto attraverso l’effetto di destino prodotto
> dalla categorizzazione stigmatizzante e in
> particolare
> dall’insulto, reale o potenziale, il dominato può
> così
> essere condotto ad applicare a se stesso e ad
> accettare, contro la sua volontà, le categorie di
> percezione rette (straight, per opposizione a
> crooked,
> storto, come nella visione mediterranea) e a vivere
> nella vergogna l’esperienza sessuale che, dal punto
> di
> vista delle categorie dominanti, lo definisce,
> oscillando tra la paura di essere percepito,
> smascherato, e il desiderio di essere riconosciuto
> dagli altri omosessuali. La particolarità di questo
> rapporto di dominazione simbolica è di esser legata
> non a segni sessuali visibili ma alla pratica
> sessuale. La definizione dominante della forma
> legittima di questa pratica come rapporto di dominio
> del principio maschile (attivo, penetrante) sul
> principio femminile (passivo, penetrato) implica il
> tabù della femminilizzazione sacrilega del maschile,
> cioè del principio dominante, che è inscritta nel
> rapporto omosessuale. Attestazione dell’universalità
> del riconoscimento accordato alla mitologia
> androcentrica, gli omosessuali stessi, pur
> essendone,
> con le donne, le prime vittime, applicano spesso a
> se
> stessi i principi dominanti e, al pari delle
> lesbiche,
> gli omosessuali maschi riproducono spesso, nelle
> coppie che costituiscono, una divisione dei ruoli
> maschili e femminili poco indicata ad avvicinarli
> alle
> femministe o alle lesbiche (sempre pronte a
> sospettare
> una complicità con il genere maschile cui essi
> appartengono, anche se li opprime) e portano
> talvolta
> all’estremo l’affermazione della virilità nella
> forma
> più comune, probabilmente per reagire allo stile
> “effeminato” un tempo dominante.
>     Inscritti al contempo nell’oggettività, sotto forma
> di divisioni istituite, e nei corpi, sotto forma di
> un
> rapporto di dominio somatizzato (che trapela
> attraverso la vergogna), le opposizioni parallele
> costitutive di questa mitologia strutturano la
> percezione del proprio corpo e degli usi, in
> particolare sessuali, che ne vengono fatti, cioè
> nello
> stesso tempo la divisione sessuale del lavoro e la
> divisione del lavoro sessuale. Ed è forse perché
> ricorda in modo particolarmente acuto il nesso tra
> la
> sessualità e il potere, e quindi la politica
> (evocando, per esempio, il carattere mostruoso,
> perché
> doppiamente “contronatura” che assume, in numerose
> società, l’omosessualità passiva con un dominato)
> che
> l’analisi dell’omosessualità può condurre a una
> politica (o a un’utopia) della sessualità tesa a
> differenziare radicalmente il rapporto sessuale da
> un
> rapporto di potere.
>     Ma, non volendo o non potendo darsi come obiettivo
> una sovversione radicale delle strutture sociali e
> delle strutture cognitive, capace di mobilitare
> tutte
> le vittime di una discriminazione a base sessuale
> (e,
> più generalmente, tutti gli stigmatizzati), ci si
> condanna a chiudersi in una delle antinomie più
> tragiche del dominio simbolico: come ribellarsi
> contro
> una categorizzazione socialmente imposta, se non
> organizzandosi in una categoria costruita secondo
> tale
> categorizzazione, che fa così esistere le
> classificazioni e le restrizioni cui essa intende
> resistere (invece, per esempio, di combattere per un
> ordine sessuale nuovo in cui la distinzione tra i
> differenti statuti sessuali sia indifferente)? Il
> movimento che ha contribuito a ricordare che, come
> la
> famiglia, la regione, la nazione o qualsiasi altra
> entità collettiva, lo statuto di gay o di lesbica
> non
> è altro che una costruzione sociale, fondata sulla
> credenza, può accontentarsi della rivoluzione
> simbolica capace di rendere visibile, conosciuta e
> riconosciuta, questa costruzione, di conferirle
> l’esistenza piena e intera di una categoria
> realizzata
> invertendo il segno della stimmate per farne un
> emblema –penso al gay pride come manifestazione
> pubblica, puntuale e stra-ordinaria dell’esistenza
> collettiva del gruppo invisibile? Tanto più che,
> facendo apparire lo statuto di “gay” o di “lesbica”
> come una costruzione sociale, una finzione
> collettiva
> dell’ordine “eteronormativo” che si è peraltro
> costruita in parte contro l’omosessuale, e
> ricordando
> la diversità estrema di tutti i membri di questa
> categoria costruita, esso tende (un’altra antinomia)
> a
> dissolvere in qualche modo le proprie basi sociali,
> le
> stesse che deve costruire per esistere in quanto
> forza
> sociale capace di rovesciare l’ordine simbolico
> dominante e per dare forza alla rivendicazione di
> cui
> è portatore.
>     E deve spingere sino in fondo la sua azione
> rivendicativa (e la sua contraddizione) chiedendo
> allo
> stato di conferire al gruppo stigmatizzato il
> riconoscimento durevole e ordinario di uno statuto
> pubblico e pubblicato, attraverso un atto solenne di
> stato civile? È vero in effetti che l’azione di
> sovversione simbolica, se vuol essere realistica,
> non
> può limitarsi a rotture simboliche, anche se, come
> certe provocazioni estetizzanti, si mostrano
> efficaci
> nel mettere in discussione le evidenze. Per cambiare
> durevolmente le rappresentazioni, essa deve operare
> e
> imporre una trasformazione durevole delle categorie
> incorporate (degli schemi di pensiero) che,
> attraverso
> l’educazione, conferiscono lo statuto di realtà
> evidente, necessaria, indiscussa, naturale, nei
> limiti
> del loro ambito di validità, alle categorie sociali
> che esse producono. E deve chiedere al diritto (che,
> come dice la parola, è strettamente legato allo
> straight…) un riconoscimento della particolarità che
> implichi il suo annullamento: è come se gli
> omosessuali che hanno dovuto lottare per passare
> dall’invisibilità alla visibilità, per cessare di
> essere esclusi e invisibilizzati, mirassero a
> ridivenire invisibili, e in qualche modo neutri e
> neutralizzati dalla sottomissione alla norma
> dominante
> [NOTA 2: La contraddizione strutturale che è alla
> loro
> radice condanna i movimenti usciti da gruppi
> dominati
> e stigmatizzati a una tale oscillazione tra
> invisibilizzazione ed esibizione, tra annullamento e
> celebrazione della differenza che li spinge, come è
> capitato al movimento per i diritti civili o a
> quello
> femminista, a adottare secondo le circostanze l’una
> o
> l’altra strategia in funzione della struttura delle
> organizzazioni, dell’accesso alla politica e delle
> forme di opposizione incontrate (M. Bernstein,
> Celebration and Suppression: The Strategic Use of
> Identity by the Lesbian and Gay Movement, in
> “American
> Journal of Sociology”, 103, novembre 1997, pp.
> 531-565)]. E basta pensare a tutte le contraddizioni
> che implica la nozione di “assegno familiare” quando
> si applica a uno dei membri di una coppia
> omosessuale
> per capire come il realismo che porta a vedere nel
> contratto di unione civile il prezzo da pagare per
> “rientrare nell’ordine” e ottenere il diritto alla
> visibilità invisibile del buon soldato, del buon
> cittadino o del buon congiunto e,
> contemporaneamente,
> una parte minima dei diritti normalmente concessi a
> qualsiasi membro a pieno titolo della comunità (come
> i
> diritti di successione) stenti a giustificare
> pienamente, per molti omosessuali, le concessioni
> all’ordine simbolico che un contratto del genere
> implica, come il postulato dello statuto dipendente
> di
> uno dei membri della coppia. (Degno di nota è il
> fatto
> che, quasi a minimizzare l’incongruenza risultante
> dal
> mantenimento della differenza, se non della
> gerarchia,
> all’interno delle coppie prodotte dalla
> trasgressione
> scandalosa della frontiera sacra tra il maschile e
> il
> femminile, le associazioni di omosessuali dei paesi
> nordici che hanno ottenuto il riconoscimento
> dell’unione civile degli –delle- omosessuali,
> abbiano
> scelto, come osserva Annick Prieur [NOTA 3 A Prieur,
> R.S. Halvorsen, Le droit à la différence: le mariage
> homosexuel, in “Actes de la recherche en sciences
> sociales”, 113, 1996, pp. 6-15], di proporre coppie
> di
> quasi gemelli, prive di tutti quei segni che possono
> ricordare questa divisione, e l’opposizione
> attivo/passivo che la sottende.) 
>     È possibile trasformare l’antinomia in alternativa
> suscettibile di essere dominata da una scelta
> razionale? La forza dell’ortodossia, cioè la doxa
> retta [droite] e di destra [de droite] che ogni
> specie
> di dominio simbolico (bianco, maschile, borghese)
> impone è data dal fatto che essa costituisce le
> particolarità prodotte dalla discriminazione storica
> in disposizioni incorporate ammantate di tutti i
> segni
> del naturale; queste disposizioni, profondamente
> coerenti nella maggior parte dei casi ai vincoli
> oggettivi di cui sono il prodotto, al punto da
> implicare una forma di accettazione tacita di tali
> vincoli (con per esempio la ghettizzazione come
> “amore
> del ghetto”), sono votate ad apparire, quando sono
> legate ai dominanti, come attributi non marcati,
> neutri, universali, cioè al contempo visibili,
> distintivi, e invisibili, non marcate, “naturali”
> (la
> “distinzione naturale”) o, quando sono legate ai
> dominati, come “differenze”, cioè come marche
> negative, carenze, se non stimmate, tali da dover
> essere giustificate. Esse offrono così una base
> oggettiva, e una temibile efficacia, a tutte le
> strategie dell’ipocrisia universalistica che,
> invertendo le responsabilità, denuncia come rottura
> particolaristica o “comunitaristica” del contratto
> universalistico qualsiasi rivendicazione
> dell’accesso
> da parte dei dominati al diritto e alla sorte
> comune:
> in effetti, è paradossalmente quando si mobilitano
> per
> ivendicare i diritti universali da cui di fatto sono
> esclusi, che i membri delle minoranze simboliche
> vengono richiamati all’ordine dell’universale; il
> particolarismo e il “comunitarismo” del movimento
> gay
> e lesbico non vengono mai condannati con tanta
> violenza come quando, con il contratto di unione
> civile in particolare, si chiede che la legge comune
> sia applicata ai gay e alle lesbiche (queste ultime
> doppiamente dominate, anche all’interno di un
> movimento formato per il 90% da gay e per il 10% da
> lesbiche e caratterizzato da una forte tradizione
> machista).
>     Come opporsi all’universalismo ipocrita senza
> universalizzare un particolarismo? Come, in termini
> più realistici, cioè più direttamente politici,
> evitare che le conquiste del movimento non abbiano
> come esito una forma di ghettizzazione? Essendo
> fondato su una particolarità del comportamento che
> non
> implica e non comporta necessariamente handicap
> economici e sociali, il movimento gay e lesbico
> unisce
> individui che, per quanto stigmatizzati, godono di
> un
> relativo privilegio, soprattutto dal punto di vista
> del capitale culturale, che costituisce una carta
> notevole nelle lotte simboliche. Ora, l’obiettivo di
> qualsiasi movimento di sovversione simbolica è
> quello
> di operare un lavoro di distruzione e di costruzione
> simbolica teso a imporre nuove categorie di
> percezione
> e di valutazione in modo da costruire un gruppo o,
> più
> radicalmente, a distruggere il principio di
> divisione
> stesso secondo il quale vengono prodotti sia il
> gruppo
> stigmatizzante sia il gruppo stigmatizzato. Questo
> lavoro, gli omosessuali sono particolarmente
> attrezzati per realizzarlo e possono mettere al
> servizio dell’universalismo, soprattutto nelle lotte
> sovversive, i vantaggi legati al particolarismo. 
>     Detto questo, si profila un’ultima difficoltà:
> avendo, come il movimento femminista, la
> particolarità
> di raccogliere agenti dotati di un forte capitale
> culturale, il movimento gay e lesbico è destinato a
> confrontarsi, e in una forma particolarmente acuta,
> con il problema della delega a un portavoce, capace
> di
> fare il gruppo incarnandolo ed esprimendolo e, come
> certi movimenti di estrema sinistra, tende a
> frantumarsi in sette impegnate in lotte per il
> monopolio dell’espressione pubblica del gruppo. Al
> punto che ci si potrebbe chiedere se l’unico modo,
> per
> un movimento del genere, di sfuggire alla
> ghettizzazione e a un settarismo che si rafforzano a
> vicenda non sia quello di mettere le capacità
> specifiche che esso deve alla combinazione
> relativamente improbabile (la si ritrova quasi
> soltanto in certe categorie di ebrei borghesi del
> secolo XIX e della prima metà del XX) di una forte
> disposizione sovversiva, legata a uno statuto
> stigmatizzato, e di un forte capitale culturale al
> servizio del movimento sociale nel suo insieme; o,
> per
> sacrificare un istante all’utopismo, di porsi
> all’avanguardia, almeno sul piano del lavoro teorico
> e
> dell’azione simbolica (in cui certi gruppi
> omosessuali
> si sono confermati maestri), dei movimenti politici
> e
> scientifici sovversivi, mettendo così al servizio
> dell’universale i vantaggi particolari che
> distinguono
> gli omosessuali dagli altri gruppi stigmatizzati."  

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