[Cerchio] dove va Radio Popolare?

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Author: clochard
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Subject: [Cerchio] dove va Radio Popolare?
dal "barbiere della sera"



06.02.2003
RADIO POPOLARE CON BERNI, PIU' MAO E MENO ABBONATI


Pubblichiamo integralmente il "documento progettuale" del candidato alla
direzione dell'emittente milanese. La firma è di Ivan Berni, capo servizio
di Repubblica. Una lettura che la dice lunga sulla crisi d'identità vissuti
dalla radio dopo Scaramucci

A Radio Popolare arriva un nuovo direttore. E' Ivan Berni, attuale capo
servizio della redazione milanese di Repubblica. Un direttore editoriale
scelto "per risolvere i problemi di efficienza", dopo le dimissioni date (e
accettate quasi all'unanimità) da Piero Scaramucci. Dimissioni assai
discusse.

Il virgolettato è contenuto in un documento riservato steso dall'assemblea
dei soci e lavoratori della cooperativa Errepi: documento che la dice lunga
sulla crisi d'identità che sta vivendo l'emittente storica della sinistra.

Quattro paginette per delinearne un nuovo ruolo - quello di "medium" con la
piazza - e per tentare di superare la crisi provocata "dai meccanismi
relazionali ormai bloccati, dalle modalità di confronto troppo irrigidite e
pronte ad attivare, in automatico, quei pre-giudizi che portano a esautorare
i valori e l'efficacia del confronto". Come? Con "una Direzione Editoriale
esterna (.) un passo significativo per iniziare a risolvere i problemi di
"efficienza" - per dirla molto sinteticamente - del collettivo".

Ma le "resistenze" interne riguardanti soprattutto le "diverse" strategie di
un direttore "che viene da fuori" sono tante. Da qui la stesura di un
documento progettuale - è la prima volta che accade nella storia di Radio
Popolare - da parte del candidato direttore. Dove, tra l'altro, Berni
parafrasando Mao definisce la radio ex Scaramucci "pressappochista" e
annuncia "che non sarà più la radio degli abbonati".

Di seguito lo pubblichiamo, integralmente. Lettura che la dice lunga su
quale futuro attende Radio Popolare.




"Le patologie del sistema dell'informazione in Italia e, ancor di più, la
deriva politica, economica e istituzionale imposta al paese dal governo di
Silvio Berlusconi bastano e avanzano per spiegare la necessità che Radio
popolare e Popolare network esistano, godano di salute eccellente e
conquistino nuovo pubblico.

Tuttavia ci sono almeno tre altre buonissime e, oserei dire, fondamentali
ragioni che fanno considerare Rp un patrimonio da tutelare e da estendere e
persino un modello da rafforzare ed esportare.

La prima riguarda la capacità di fare informazione rifiutando l'omologazione
culturale, delle fonti e delle "visioni del mondo". In una parola,
rifiutando di essere "digeriti e normalizzati" nel sistema degli interessi
che governa il sistema dell'informazione. Senza una rigorosa, costante e
praticata indipendenza di giudizio e di orientamento Rp non sarebbe riuscita
a sopravvivere per 27 anni. Preservare questo codice genetico è un dovere
per chiunque si accosti all'esperienza di Rp, ma lo è ancor di più di fronte
a processi di globalizzazione e ad esercizi dei rapporti di forza che hanno
nella pervasività mediatica e nell'allineamento alle "ragioni" del più forte
il loro tratto dominante.

Mai avere paura delle notizie, anche le peggiori sono nostre alleate.
Spirano venti di guerra, di un conflitto spudoratamente immotivato sul piano
del diritto internazionale. Una guerra definita "preventiva" dietro la quale
c'è soltanto l'esercizio di potenza del complesso
petrolifero-militar-industriale che sostiene la presidenza Usa di Bush. Un'
arroganza che al resto di mondo chiede soltanto di mettersi in riga, e al
sistema dei media di avallare, celebrare o tacere. Radio popolare non
avalla, non celebra e non tace. E continuerà a farlo anche se -
sciaguratamente - Bush muoverà davvero guerra all'Iraq.

La seconda è lo stato di tumultuosa trasformazione che sta attraversando la
sinistra in Italia. Per la sinistra di questo paese Rp rappresenta un luogo
prezioso, una piazza unica, una zona franca di confronto, un laboratorio
straordinario. Questo è vero non da oggi, ma in queste settimane, in questi
mesi sta diventando di importanza capitale. Tenere aperto il circuito del
confronto fra partiti e movimenti, e farlo con l'autorevolezza di chi da
quasi trent'anni dà voce alle trasformazioni sociali e politiche del paese,
significa tenere il centro del campo. Nessuna tentazione di protagonismo o
di supplenza di partito: Rp sta dentro il processo di trasformazione della
sinistra prima di tutto da testimone critico. Ci sta anche da soggetto,
certo, per le implicazioni generali che l'esito di questo processo può
determinare, ma senza un'atteggiamento "tifoso". La "parzialità" di Rp,
semmai va letta nella scelta - che va riconfermata - di una grande
attenzione ai nuovi soggetti sociali, ai movimenti, alle istanze di
rivendicazione di diritti negati e di nuovi diritti. Mettere in rete e in
relazione domande, bisogni, piattaforme, linguaggi, comportamenti e fisicità
dei movimenti con le risposte del sistema politico e in particolare delle
forze della sinistra in crisi è stato e continuerà ad essere uno dei compiti
primari del fare informazione della radio.

La terza buona ragione è autoreferenziale ed è strettamente legata alle due
precedenti. Proprio perché Rp ha resistito a tempeste e terremoti; proprio
perché rappresenta un caso straordinario di impresa editoriale "partecipata"
con oltre 11mila soci e 15 mila abbonati; proprio perché se lo meritano
tutti quelli che ci hanno creduto e ci lavorano, Rp può scegliere di giocare
su un campo più grande. Rp può scommettere su se stessa. Questo significa
rafforzare e precisare il profilo di Rp come grande radio d'informazione,
locale e nazionale ma significa, anche, cercare di valorizzare di più e
meglio il "prodotto radiopopolare", garantendo come sempre una copertura
giornalistica a 360 gradi, migliorando la qualità dell'emissione, rinnovando
il palinsesto, inaugurando nuovi format, promuovendo anche iniziative
esterne alla radio che permettano il recupero di nuove risorse economiche. L
'obiettivo non è solo una Radio migliore, è anche migliorare le condizioni
di lavoro e di reddito di chi "produce" Rp. Poveri ma belli è un motto anni
Cinquanta che, trasformato in ideologia, finisce col diventare un principio
classista. Occorre costruire le condizioni perché chi lavora a Rp abbia un
reddito dignitoso, il più vicino possibile al mercato: la bellezza è anche
una questione di dignità.

L'informazione, fin dal suo primo giorno di trasmissioni, è sempre stata l'
atout fondamentale della radio e la griglia dei Giornali radio ha
rappresentato, negli anni, una sorta di sistema di boe intorno al quale è
stata costruita l'architettura del palinsesto. Un ruolo centrale che ha
assunto ulteriore rilievo con l'avvio del network. Nell'ultimo scorcio,
tuttavia hanno acquisito importanza crescente nella programmazione altri
appuntamenti informativi dedicati all'approfondimento - come Onda anomala -
o alla satira e all'intrattenimento - come Sansone - che a loro volta sono
divenuti elementi di traino nell'ascolto della radio. Credo che una parte
del successo di questi appuntamenti - nulla togliendo ai loro autori,
anzi! - sia dovuto da un lato alla quotidianità della messa in
onda -offrendo una buona abitudine si costruisce ascolto - ma che un'altra
parte di merito sia da attribuire alla formula utilizzata. Nei due casi si
tratta di una felice contaminazione fra programmi e news. Per Onda Anomala è
vincente il ritmo, la caratterizzazione da "format" del programma abbinata a
una scelta tematica spesso felice, la quantità del materiale proposto pur in
un arco di tempo limitato. Sansone funziona invece come un vero e proprio
show radiofonico, con un alto grado di coinvolgimento per l'uso da candid
camera dei fratelli Infantozzi, per le trovate tormentone ma anche per il
fatto che la trasmissione ficca il naso nell'attualità, se ne fa beffa e
gioca sul binomio informazione/disinformazione.

La direzione, in entrambi i casi, è giusta. La radio deve, il più possibile,
respirare come un corpo solo. I Gr rimangono imprescindibili appuntamenti
fissi del palinsesto, ma il collettivo deve lavorare con un alto grado di
integrazione per produrre punte di ascolto in fasce differenziate. In
particolare, si deve arrivare alla moltiplicazione degli spazi di
approfondimento delle news: complice l'elevato tasso di omologazione del
panorama informativo e la complessità degli eventi oggi il
lettore/ascoltatore chiede più chiavi interpretative, opinioni a confronto,
news analisys, scenari, commenti.

Ascoltare Radio popolare ininterrottamente per qualche ora è come finire su
un ottovolante con i bulloni svitati. Si passa dalle punte di eccellenza di
alcune trasmissioni - montaggi molto serrati, stacchi tempestivi e
avvincenti, contenuti di alto livello - ad altre dove la noia dichiarata del
conduttore diventa l'unica nota distintiva di un programma slabbrato,
confuso e spesso ripetitivo. Questa specie di doccia scozzese nell'ascolto
della radio fa sì che ancora oggi - a ventisette anni dalla fondazione - la
cifra distintiva di Radio popolare sia il pressappochismo. Per dirla con il
vecchio Mao: credo che la campagna di rettifica del pressappochismo sia uno
dei compiti" storici" della radio nel terzo millennio. Detto altrimenti, la
radio ha assoluto bisogno di un "suono" distintivo, che deve essere il
prodotto di una maggiore e continua cura dell'edizione radiofonica, dove l'
attenzione ai dettagli stabilisce il canone espressivo.

A scanso d'equivoci: non auspico l'omologazione di tutte le voci di
Radiopop, né propongo di mettere alla radio il corrispettivo della calza di
nylon sulla telecamera che riprende Berlusconi. Si tratta, invece, di
ripristinare alcuni semplici dettami "basic" del linguaggio e dello
specifico radiofonico. Da come va letto un annuncio radiofonico - prima il
"cosa", poi il quando e infine il dove - alla cura e rinnovamento delle
sigle, ai trailer di autopromozione dei programmi, all'obbligo del rispetto
degli ascoltatori anche quando chi va in onda si sente triste e depresso.
Penso che vada impostato un lavoro di recupero del "mestiere" di fare radio,
anche attraverso minicorsi di rialfabetizzazione all'uso del mezzo.
Naturalmente si tratta di autoformazione: abbiamo tutti, sempre, qualcosa da
imparare ancora. L'obiettivo è la riconquista dell'informalità, ma dentro un
quadro di assoluta padronanza del mezzo e non di dilettantismo dilatato a
forma espressiva prevalente.

Ovvero più narrazione. Più storie personali. costruire il Ritratto
radiofonico. Riproporre e lavorare meglio l'intervista come genere.
Ricostruire un modello di reportage radiofonico, definendo un'idea di
scrittura sceneggiata per la radio.

La radio è un "formato mentale" prima che un prodotto con una sua
confezione. Rp ha bisogno di rinnovare il prodotto, ridefinire la
confezione, "dinamizzare" il formato mentale che trasmette. Per innescare
questo processo credo occorra riattivare quella parte del corredo
cromosomico della radio che ha sempre individuato nell'innovazione, nella
sperimentazione, nell'incrocio fra linguaggi diversi, nell'ambizione a
dissestare certezze e luoghi comuni una delle "missioni" fondamentali di
Radio popolare.

La capacità di proporre "storie" può rappresentare un modo efficace di
affrontare problemi, contraddizioni, contesti attraverso il racconto del
vissuto e dell'esperienza. Può rappresentare, quindi, anche una modalità più
vicina, più calda, più coinvolgente di fare informazione. In parte questo
lavoro già viene fatto - penso a Muvi, ad alcuni microfoni aperti - ma credo
si debba andare ben oltre, creando nuovi appuntamenti, proponendo un'idea
nuova del "narrare" radiofonico.

Di questa idea nuova del narrare attraverso la radio, deve far parte anche
il reportage radiofonico: genere da reinventare ma anche da recuperare come
"metodo" di lavoro. Dobbiamo rimettere il microfono fuori dalle mura della
radio; dobbiamo valorizzare meglio talenti, sensibilità, capacità
descrittiva ed emozionalità dei giornalisti di Radio popolare.

Nei tempi brevi, lo studio e la sperimentazione di nuovi "format"
radiofonici dev'essere l'impegno principale della redazione programmi. Va da
sé che per quanto riguarda contenitori di tipo giornalistico l'integrazione
con la redazione news - almeno in fase di briefing e di prima formulazione -
dev'essere strettissima.

La Radio è in mezzo al guado. Senza Roma - e io aggiungo, senza Napoli e
senza una copertura degna di questo nome del sud - il concetto stesso di
network nazionale è una truffa. Tuttavia la scommessa non va data per
perduta a priori. Credo che si debba esperire almeno un altro serio
tentativo di estendere il network, ma penso ci si debba provare su basi
diverse. In altri termini, sono convinto che ci siano maggiori possibilità
di fondare, ex novo, due nuove "Radio popolari" a Roma e a Napoli piuttosto
che mettersi vanamente alla caccia di qualche piccola emittente disposta a
federarsi o di una frequenza sulla quale trasmettere il segnale emesso
attualmente da Milano. Penso che l'idea di fare Radio popolare Roma e Radio
popolare Napoli sia meno peregrina e irrealizzabile di quanto non appaia
nell'immediatezza. La proposta del modello editoriale e d'impresa
partecipativa di Radio popolare può potenzialmente trovare udienza e
sostegno in un'area d'opinione politico-culturale molto estesa. Penso a
sindacati, associazioni e gruppi spontanei protagonisti della stagione di
movimento appena trascorsa. Penso alle forze politiche del centro sinistra.
Ma soprattutto penso a personalità della cultura che potrebbero spendersi -
facendo da garanti, da testimonial e contribuendo al progetto - come Nanni
Moretti a Roma e Mario Martone a Napoli. Radio popolare è - dalla sua
nascita - il luogo d'elezione del confronto e del dibattito nella sinistra e
nei movimenti. Ma al tempo stesso è anche un modello di convivenza fra le
tante sinistre di questo paese. Nessuno può seriamente sostenere - prima di
una approfondita verifica sul campo - che di questo modello, di questa
impresa ci sia necessità soltanto a Milano e non a Roma e Napoli. O che si
tratti di una scommessa non esportabile. Credo che su questo punto vada
avviato un confronto aperto e approfondito, e che entro la fine del 2003 si
giunga alla definizione della prospettiva del network.

Abbiamo il dovere di parlare alla città, all'area metropolitana, alla
Lombardia e al nord. Ma non dobbiamo, per questo, fare un gazzettone
radiodiffuso. Non è un problema di mediazione, ma di modello editoriale. Rp
ha la fortuna di trasmettere da Milano, e sul resto del mondo può a buona
ragione offrire un punto di vista anche milanese. L'ascolto della radio si è
formato storicamente, e tuttora in prevalenza si mantiene, in quest'area del
paese "espugnata" manu militari dalla destra. Ricostruire una continuità nel
legame con il territorio significa dedicare più attenzione alla valenza
generale di quanto avviene nel bacino dell'audience di Radiopop, e
riorentare la valutazione delle notizie. Milano e, più in generale, il nord
sono un gigantesco laboratorio sociale in ebollizione perenne, dal quale
vanno colti umori, segnali di fumo, avvertimenti, moniti e anticipazioni.
Alcuni esempi: l'oscuro funzionario comunale che "per fondati motivi di
turbativa dell'ordine pubblico" vieta ai primi di dicembre l'uso di un
Centro sociale del Comune di Milano per la messa in scena di uno spettacolo
basato sull'autobiografia di Licia Pinelli non è, solo, lo zelante quanto
maldestro esecutore di un mandato censorio, è la spia di un drammatico
mutamento di clima culturale. E' un microcaso attraverso il quale si leggono
i danni permanenti già prodotti dal governo di questa destra. Quando un
burocrate qualsiasi si comporta come un questore al tempo del fascismo vanno
attivate le sirene d'allarme. Ma se è così. se la cronaca ci offre uno
spunto di questa importanza che senso ha confinare la notizia nel notiziario
locale? L'episodio può e deve diventare un caso. La radio può farlo. Può
incastrare il direttore generale del Comune, ovvero il responsabile diretto
del comportamento di quel funzionario. Può chiamare a risponderne il
sindaco. Può persino organizzare in proprio lo spettacolo.

Esempio numero due: i ticket sanitari introdotti dalla giunta Formigoni. Qui
non si tratta, solo, di sbugiardare il "governatore", che fino a qualche
settimana prima del varo del ticket spergiurava che mai e poi mai li avrebbe
applicati; si tratta di sottolineare, più a fondo, la contraddizione fra
Pirellone e governo proprio nel momento in cui è sul tavolo il problema
della devolution; si tratta di rimarcare il fatto che in Lombardia la sanità
di Formigoni viene pagata tre volte dai contribuenti: una prima con il
prelievo fiscale; una seconda con l'addizionale Irpef; una terza con i
ticket sui farmaci e sulle prestazioni ambulatoriali; si tratta, in
sostanza, di cogliere l'occasione per rovesciare il senso di quella che
presuntuosamente Formigoni chiama "liberta di scelta": l'apertura
indiscriminata ai privati con l'accreditamento di tutte, o quasi, le
strutture di ricovero e ambulatoriali ha aperto una voragine nei conti
regionali. Formigoni ne getta il costo sulle spalle dei cittadini. Chi si
sottrae all'informazione da piccolo regime che Formigoni ha messo in piedi
in Lombardia ha il dovere, come minimo, di documentare tutto questo e di non
metterlo in sordina, come se fosse un banale incidente di percorso. Ma
compiere questa operazione, per la radio, significa costruire qualcosa di
più di due o tre interviste fuori dalle farmacie il giorno dopo il varo del
ticket. Significa investire della vicenda più spazi informativi, da Onda
Anomala al Microfono aperto a Popline. Significa "fare campagna".

Radio popolare potrebbe avere molti ascoltatori in più, ma che prezzo
dovrebbe pagare per conquistare più pubblico? La domanda è insinuante, ma
prima di tutto è mal posta, perché presuppone il teorema che al crescere del
pubblico corrisponda lo snaturamento - o la diluizione - del messaggio e
dell'identità di chi lo trasmette. Il teorema, così posto, è infatti falso.
Lo testimoniano decine di esempi nel sistema dell'informazione, nella
cultura e nello spettacolo: da Totò ad Almodovar a Garcia Marquez al
National geographic. Se così non fosse dovremmo dedurne che qualsiasi
mass-media, per sua natura, è unicamente produttore di mediocrità. Ovvero
che il Bagaglino rappresenta il moloch della comunicazione di massa. Per
fortuna non è, ancora, vero. La conquista di nuovo pubblico è, dev'essere,
un pezzo fondamentale della missione della radio. Escludere questo fattore
dall'orizzonte significa condannarsi alla marginalità. L'obiettivo dell'
estensione dell'audience è anzi uno dei criteri fondanti della stessa idea
editoriale di Radio popolare. La radio non è uno strumento per parlarsi
addosso o comunicare con i soliti noti, bensì uno strumento che può
comunicare e interagire con milioni di persone. Questo non significa,
affatto, sottomissione o adorazione totemica dell'audience come unico
criterio di valutazione della bontà di un palinsesto radiofonico. Significa
considerare la necessità di leggere i dati d'ascolto come punti di partenza
dai quali sviluppare una strategia. Significa chiedersi, e verificare, se
alcuni presupposti sui quali si è costruita la programmazione stanno ancora
in piedi. Vuol dire avere un termine di paragone con la concorrenza e uno
stimolo forte a migliorare le proprie posizioni. Il fatto che - per ora -
Radio popolare e Popolare network non siano prodotti "da classifica"
Audiradio non può voler dire indifferenza o, peggio, avversione verso la
misura del pubblico che ascolta la radio. Dietro questo errore può essercene
un altro più grave: l'idea che si possa o si debba fare una radio per gli
abbonati.

Non siamo, non dobbiamo essere, non saremo la radio degli abbonati.O meglio
siamo anche la radio degli abbonati, perché grazie a loro andiamo in onda
tutti i giorni con un "prodotto" che è rivolto a un pubblico molto più
esteso di quello che, spesso con grandi sacrifici e con una dedizione
straordinaria, versa tutti mesi una cifra non simbolica essenziale alla
sopravvivenza di Radio pop. Ma se abbiamo 15 mila abbonati è perché abbiamo
200mila ascoltatori. Ma se anche avessimo 200mila abbonati su 200mila
ascoltatori dovremmo costruire una radio per catturare l'ascolto del
200milaunesimo ascoltatore. E fare di tutto per conservarlo e conquistarne
di nuovi.

Nello specifico credo sia indispensabile lavorare per conquistare nuovo
pubblico fra i giovani, per intervenire sul paradosso di un network.a
radiofonico che è sicuro punto di riferimento informativo del movimento
new-no global ma che non riesce a catturare i giovani protagonisti di quel
movimento come ascoltatori. Più in generale credo ci siano margini di
miglioramento su tutte le fasce d'eta e di composizione sociale dell'
ascolto: uno dei risultati di "restyling" dell'uscita radiofonica dovrebbe
essere, a breve e medio termine, un aumento dell'ascolto spalmato su tutte
le principali fasce di trasmissione".

Ivan Berni

Gennaio 2003