Johan Galtung: "Boicottiamo i prodotti made in Usa"
di Riccardo Michelucci
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=UMP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=23072
Per evitare un attacco in Iraq i pacifisti possono fare ancora di più. È il
parere del norvegese Johan Galtung, uno dei fondatori dei moderni studi
sulla pace e la nonviolenza e autore di decine di testi chiave
sull'argomento. Giunto in Italia nei giorni scorsi per partecipare
all'inaugurazione del corso di laurea per operatori di pace dell'università
di Firenze, Galtung ha lanciato le sue proposte per fronteggiare l'attuale
crisi.
Professor Galtung, le numerose mobilitazioni che hanno avuto luogo in Europa
in questo inizio di 2003 e la grande manifestazione prevista per il prossimo
15 febbraio dimostrano sempre più che la gente non vuole la guerra,
ciononostante un attacco all'Iraq sembra sempre più imminente, lei che da
anni lavora per trovare forme efficaci per la risoluzione dei conflitti cosa
suggerisce di fare?
- Credo che si possano fare due cose. La prima dovrebbero farla i governi,
convocando immediatamente una conferenza come quella che si svolse a
Helsinki nel luglio 1992, ma stavolta concentrata sulla sicurezza e la
cooperazione nel Medioriente. Analogamente ritengo sia necessario discutere
il problema del Kurdistan e dell'Iraq. In quest'ultimo caso non trascurerei
la possibilità di fare dell'Iraq una federazione e andrei avanti anche con
l'ispezione delle armi di distruzione di massa. Tuttavia questo dovrebbe
essere fatto anche nei confronti di Israele, dal momento che Tel Aviv
dispone sicuramente di questo tipo di armamenti. E se Israele non acconsente
è necessario farlo intanto nei confronti dell'Iraq tenendo comunque presente
che si tratta di un problema universale. Questo è quanto possono fare i
governi. Le persone e le organizzazioni non governative da parte loro
possono fare due cose, abbastanza drastiche. La prima consiste nel
promuovere un boicottaggio nei confronti di tutti i prodotti degli Stati
Uniti se Washington attacca l'Iraq senza avere alcuna buona ragione per
farlo. In secondo luogo penso che sarebbe molto importante che almeno
centomila europei formassero uno scudo umano a Bagdad per evitare questa
guerra. Io personalmente sono pronto per farlo ma ovviamente non posso farlo
da solo.
A suo avviso la posizione dell'Onu è determinante? Se il consiglio di
sicurezza votasse a favore dell'intervento lei lo riterrebbe giusto?
- Secondo me non c'è alcuna necessità di intervenire in Iraq, bisogna al
contrario dialogare e negoziare con l'Iraq, come dicono anche tutti gli
esperti iracheni. C'è solo un piccolo gruppo di persone alla guida degli
Stati Uniti che sono di un'opinione differente perché sono seriamente
interessati al petrolio iracheno e vogliono favorire anche l'espansione di
Israele. Ma questo non ha niente a che vedere con quanto viene attualmente
discusso alle Nazioni Unite.
Crede un attacco all'Iraq sia ormai inevitabile?
- Non lo so ma credo che la cosa più importante sia accrescere la
partecipazione a livello di società civile. Quando l'Italia prende una
decisione a livello di politica estera relativamente all'Iraq questa non
rientra nelle relazioni tra Italia e Iraq ma nei rapporti tra Italia e Usa.
Dunque non è altro che una relazione clientelare. Lo stesso vale per il mio
governo norvegese. Quando i governi non sanno cosa fare, perché loro non
sanno quasi niente dell'Iraq, allora un nuovo attore deve mobilitarsi: la
società civile internazionale. È necessaria un'alternativa ai governi,
qualcosa di simile è esistito anche durante la guerra fredda, che si è
conclusa infine in modo pacifico.