[Cerchio] sono rimasti senza una lacrima e senza un sospiro

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Il Messaggero
Entrarono di notte nella sua
abitazione. I ragazzini dovranno
scontare dai sei ai sette anni
Annunciato il ricorso in appello
di ALESSIO PORCU

SORA (Frosinone) - Senza una lacrima, senza un sospiro. Le mani nelle tasche
dei giubbotti, gli occhi fissi in basso: Daniel, Edoardo, Marco e Giuseppe
ascoltano il giudice dei Minori mentre legge il verdetto. Sui loro volti non
si muove un muscolo quando il magistrato dice "Colpevoli di omicidio
volontario a scopo di rapina". Messi insieme hanno poco più di sessant'anni
ma sono gli assassini che la notte del 10 maggio 2001 sono entrati in casa
di Maria Domenica Castellucci (92 anni) e l'hanno massacrata nel sonno a
colpi di pietra. Poi hanno spogliato il cadavere ancora caldo per strapparle
i sacchettini di stoffa cuciti nella biancheria intima, nei quali nascondeva
i risparmi di tutta la vita. Le hanno portato via 34 milioni e mezzo. Un
massacro compiuto nel silenzio di una casa isolata tra le campagne di Sora:
mezz'ora di macchina da Cassino con la sua abbazia e mezz'ora da Frosinone
il capoluogo di provincia di cui è la terza città più importante. Un centro
conosciuto fino a quel momento solo perché lì è nato l'attore Vittorio De
Sica. I giudici del tribunale dei minori ieri hanno pronunciato la loro
sentenza: tutti colpevoli. Daniel B. e ad Edoardo S. (diciassette anni
all'epoca dei fatti) sono stati condannati a 7 anni e 4 mesi, i cugini Marco
e Giuseppe D.S. (quindici anni il primo e quattordici il secondo) a 6 anni e
mezzo ciascuno. Con loro quella notte c'era anche un altro ragazzino X.B. ma
aveva poco più di tredici anni, troppo pochi per essere incriminato e per
questo era stato subito escluso dall'inchiesta. I giudici ieri hanno avuto
pochi dubbi: Daniel aveva confessato di avere colpito, gli interrogativi
erano sul ruolo degli altri. Alla fine sono stati ritenuti tutti coinvolti
nel massacro.
Assassini un po' per caso e un po' per scelta. Il pomeriggio prima del
delitto il branco passa davanti a casa di nonna Domenica. Lei grida nel
giardino: loro si fermano per vedere se ha bisogno di aiuto, non sanno che
la sua mente non è molto lucida, strilla che "stanno arrivando gli aerei per
sganciare le bombe". Dice che deve chiudere il portone "tanto tutti i soldi
li ho messi addosso". A quel punto la zittiscono con un ceffone, la
perquisiscono e trovano un sacchetto: lo strappano portando via un milione.
Poi i baby rapinatori vanno in pizzeria, un giro alla sala giochi e infine
una mezz'ora al pub: pagano con il bottino. All'una di notte tornano a casa
della vecchietta, entrano senza problemi: nel sacchetto c'era anche la
chiave del portone. Diventano degli assassini.
Dopo quel massacro la loro vita non è stata più la stessa. Daniel ed Edoardo
sono affidati a due case famiglia, il primo a Roma ed il secondo a Formia; i
due cugini ci sono rimasti per tre mesi e poi sono stati riaffidati alle
famiglie. Giuseppe si è rimesso a studiare ma per farlo tornare dietro ai
banchi c'è voluta una diffida inoltrata dai suoi avvocati al preside:
nessuna scuola lo voleva, nessuno se la sentiva di tenere in aula un
ragazzino coinvolto in un omicidio. Gli hanno aperto i cancelli della scuola
media solo dopo la minaccia di chiedere l'intervento della procura della
Repubblica. Marco si era iscritto ad un corso professionale ma quando si è
saputo che era tra gli alunni nessun altro si è aggiunto all'elenco: non è
stato raggiunto il numero minimo per allestire i corsi. Ora fa l'apprendista
in un'officina specializzata nella produzione e riparazione dei radiatori.
"Il nostro obiettivo è quello di recuperare questi ragazzi" dicono gli
avvocati Mariano Giuliano, Edoardo Rotondi, Marco Bartolomucci e Leonardo
Casciere. "Gli abbiamo spiegato che la condanna era inevitabile, anzi era la
giusta pena con cui pagare il loro debito con la collettività". E' solo per
questo che alla lettura della sentenza sono rimasti senza una lacrima e
senza un sospiro.