[Lecce-sf] sabato 8 feb. al cs. coppolarossa

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SABATO 8 FEBBRAIO 2003

dalle ore 18.00:
Presentazione del video: "Don Vitaliano, Nothing but a priest"

Utilizzeremo questo spazio per ribadire il nostro rifiuto all'imminente
guerra in Iraq, interverranno:

Don Vitaliano Della Sala

Papa J e Zulù (Al Mukawama di ritorno dall'Iraq)

interventi aperti.


Spazio informativo su "Bari Pride 2003" a cura dell'ArciGay


dalle ore 22.30 :
AL MUKAWAMA (Zulù-99 Posse; Papa J-Malastrada; Dj Perch-Zion Train) + "i
Ginosauri" dal vivo, in un concerto per il sostegno delle spese legali del
c.s.o.a. COPPOLAROSSA - Adelfia (Ba) in via casamassima s.p.42 (ora, via
coppolarossa(!))

La neocorporazione globale ammorba ormai tutto il pianeta. Dagli U.S.A. al
Medio Oriente passando per l'Europa è forte l'attacco contro diversi e non
allineati.

SABATO 8 FEBBRAIO 2003 al Coppolarossa: PAROLE DI FUOCO CONTRO IL FUOCO
DELLA VITA REALE!
Zulù (99 Posse), Neil Perch (Zion Train) & Papa J (Malastrada)
Due voci che si alternano, una musica potente a sostenere il messaggio, la
rabbia, lo scherno. L’unione di due realtà nate in contesti diversi ma unite
dallo stesso istinto di rivoluzione. Questo in sintesi il progetto reso
possibile dall’incontro fra Luca Zulù e Papa J, membri fondatori dei 99
POSSE, e Neil Perch, dubmaster e anima ritmica degli ZION TRAIN. Da una
parte la Posse che ha scritto una pagina indelebile nella musica
indipendente italiana, dall’altra una crew, un soundsystem che non è solo un
modo di espressione musicale e culturale ma è una filosofia di vita.
Accompagnati in concerto da Dave Hake, trombettista dei Crispy Horns, e da
Paolo Bantone Polcari, tastierista degli AlmaMegretta da qualche anno
produttore a Londra, e dalle proiezioni di immagini di vita e di lotta
curate dal regista Antonio Bocola, che con le sue costruzioni video
introduce visivamente gli spettatori nel mondo descritto dalla musica e
dalle parole del combo. Una nuova esperienza di condivisione musicale e
politica per questo collettivo già impegnato a sostenere molte realtà di
lotta in italia e nel mondo.
In un periodo storico in cui l’arabo e il musulmano vengono additati come
terroristi e sanguinari, abbiamo scelto un nome in arabo il cui significato,
la resistenza, rappresenta come un baluardo contro questo modello di
sviluppo fondato sulla discriminazione economica e sulla guerra, che in
alcune zone del mondo si combatte con armi reali e produce vittime reali,
tangibili, in larga parte innocenti (ammesso che un colpevole meriti di
essere ammazzato da un suo simile per le sue colpe), ma che si combatte e fa
danni anche in paesi dove ufficialmente c’è la pace.
Ogni giorno la vita di oramai due terzi abbondanti della popolazione
mondiale è una battaglia contro la disoccupazione, la precarietà, le
condizioni di lavoro, l’ invivibilità dei quartieri popolari, la cattiva e
scarsa alimentazione, la macrocriminalità e le leggi liberticide, i confini
e i permessi di soggiorno, gli interessi delle aziende e gli accordi
internazionali.
E’ paradossalmente dalle zone del pianeta in cui questa everyday war si
combatte in maniera più efferata e produce i danni più grossi (come la
Palestina ma anche il sud est messicano) che vengono gli stimoli più
poderosi ed i segnali più eclatanti di una resistenza che viene dal basso e
che sembra impossibile immaginare di fermare: dall’Intifada di una gioventù
palestinese priva di un esercito regolare e armata perlopiù del suo
coraggio, all’ esercito degli straccioni del subcomandante Marcos armato
solo di parole contro chi gli nega tutto a partire dall’esistenza, i segnali
dell’opportunità reale di pensare ad un altro mondo possibile, si fanno oggi
più che mai tangibili e trovano nelle molteplici anime del movimento no
global una platea attenta di spettatori e protagonisti di disagi e lotte:
dagli operai di melfi, termini imerese, arese e torino agli studenti che
occupano le scuole contro le privatizzazioni, dalle donne in nero in Israele
ai black block, da Don Vitaliano Della Sala al movimento dei disoccupati,
dalle moltitudini di migranti agli stranieri nella loro nazione, a mille
altri ancora. E’ questa la nostra gente, con alcuni andiamo più d’accordo e
con altri di meno, ma è con loro che camminiamo e camminando domandiamo, noi
che di questo movimento non siamo che tre delle milioni di voci.


www.almukawama.it                                  "resistencia global"
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AL MUKAWAMA IN IRAQ


Di Luca Zulù Persico e Giampiero “Papa J” Da Dalto

Quando siamo partiti per l’Iraq non pensavamo certo di recarci in un
pericoloso paese nemico dell’Occidente, ma quello che abbiamo visto è andato
al di là della nostra più fervida immaginazione. Lo scopo del nostro
viaggio, organizzato membri dell’associazione culturale napoletana “Libera
Informazione” – è stato quello di realizzare un dcumentario - basato sull’
incontro tra culture diverse - e verificare la situazione della popolazione
irakena, vittima dell’embargo.
Siamo partiti la mattina del 3 gennaio dall’aeroporto di Roma dove avevamo
appuntamento col nostro gruppo, composto da politici e tecnici del Consiglio
Regionale della Campania – responsabili dell’ONG “Un Ponte Per…” -, dallo
staff tecnico di ripresa video, da un profugo palestinese e un’immigrata
marocchina (i nostri interpreti). Il viaggio di andata è stato tranquillo:
il volo per Damasco in leggero ritardo, cena abbondante e subito la partenza
in bus alla volta dell’Iraq. Alla frontiera di Al Walud i controlli non sono
stati troppo puntigliosi: in Iraq la delegazione è attesa per cui riusciamo
a sbrigare le pratiche d’ammissione in meno di due ore, dopo aver dichiarato
le nostre generalità e i dettagli sul materiale tecnico in nostro possesso
(e fedeltà a Saddam Hussein…).
Sono circa le 12.30 del 4 gennaio quando arriviamo a Baghdad dopo un
trasferimento durato circa 14 ore attraverso lo splendido scenario del
deserto irakeno. Entriamo all’Hotel “Al-Rasheed”, dopo esserci puliti le
scarpe – come da usanza locale – su un magnifico mosaico posto sul pavimento
all’entrata dell’albergo, raffigurante la faccia di George Bush Senior, e
iniziamo una riunione per definire gli impegni della nostra delegazione nei
giorni a nostra disposizione. Il nostro soggiorno è trascorso tra visite
“ufficiali” con le organizzazioni coinvolte nella cooperazione italo-irakena
e momenti decisamente più drammatici e coinvolgenti. Tra questi ultimi
decisamente ci teniamo a ricordare la visita a due ospedali specializzati
nella terapia contro il cancro dei bambini dove abbiamo potuto toccare con
mano il dramma dell’embargo causato dalle politiche criminali delle Nazioni
Unite che avvallano la follia del governo Usa: la mancanza di medicinali, l’
impossibilità di accedere a cure più avanzate nonostante la presenta di
patologie gravissime – in stato terminale – in bambini di solo tre o quattro
anni di età. Uno di questi bambini, cono solo poche settimane rimaste da
vivere, ci ha raccontato, nel corso di un’intervista, di come gli sarebbe
piaciuto poter diventare un grande dottore per poter curare tutti i bambini
irakeni.
Sguinzagliati a piede libero tra i mercati della downtown cittadina - simili
ai suk popolari di una via di Palermo o di Napoli - e per locali più o meno
malfamati, la sera, tra venditori di ogni genere di beni e folle variopinte
che ci seguivano semplicemente incuriosite dal nostro aspetto e dalla
presenza delle telecamere, abbiamo avuto modo di conoscere la cortesia e l’
affabilità di un grande popolo, un popolo al quale 12 anni di embargo
criminale non ha tolto il sorriso, la dignità, la voglia di confrontarsi e
di capire.
L’ultimo giorno del viaggio l’abbiamo trascorso all’università di Mosul, di
fronte ad una folla di docenti e studenti, smaniosi di ascoltare il nostro
seminario sul movimento “No Global”. Nel corso dell’incontro abbiamo avuto
modo di mostrare alcuni filmati su Praga, Messico, Genova e Palestina,
spiegando a tutti i presenti che in Occidente esistono milioni di persone
pronte a combattere il modello di sviluppo che, tra gli altri, opprime anche
l’Iraq.
Ora che la situazione della crisi sembra precipitare verso l’intervento
armato, ci sembra doveroso prendere una posizione contro questa follia. Ora
che portiamo dentro di noi il profumo della shawuarma appena tagliata, i
suoni del suk di Al Walabi, i sorrisi dei bambini dell’ospedale che ci
salutavano con la mano, il calore di un bicchiere di chai offertoci da un
ragazzo al mercato, l’affetto degli abbracci degli studenti dell’università
che scoprono in noi insospettati fratelli, ora più che mai sappiamo da che
parte stare.

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