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La Stampa
Ritorna la sindrome dei Balcani «Morto il diciannovesimo soldato»
29/1/2003
ROMA
Diciannove rosso non è solo un numero dispari sul quale puntare alla
roulette: purtroppo indica anche quello delle morti sospette fra i militari
che hanno prestato servizio in Bosnia e Kosovo. Il caporale Campagna Valerio
è l´ultimo. Spirato l´altra notte nell´ospedale di Imperia, aveva 20 anni.
Alpino nel 7° reggimento della Brigata «Julia» di Feltre, era stato
congedato a giugno. Operato per un tumore, non ha avuto chance. Si era
ammalato a febbraio, mentre si trovava nella caserma Tito II, a Sarajevo.
Dice la madre, Marisa Ruggero, che «continuava a star male, pareva avere un
linfonodo al collo. Poche settimane fa era stato ancora operato, gli avevano
tolto dei linfonodi al peritoneo». Il ministero gli aveva riconosciuto la
causa di servizio: 400 euro per le spese mediche, il cui conto era risultato
più salato. Forse anche Campagna rientra nella regola dei grandi numeri,
delle fredde statistiche. Di certo rimane il sospetto che la causa della
morte sia sempre quella, negata, forse anche esorcizzata da ricerche ed
esami i cui risultati non hanno regalato certezze: insomma, l´assassino
seriale di questi ragazzi, se assassino esiste, è l´uranio impoverito,
quello che rendeva micidiali le bombe e i proiettili usati senza economia da
americani, britannici e francersi nell´ex-Jugoslavia e nei Balcani. Paure
ingiustificate? Davvero le scorie dell´uranio sono innocue e le morti dei
militari dovute alla natura matrigna? C´è stata una commissione ministeriale
che ha tentato di sciogliere questo nodo gordiano, ma le risposte non sono
riuscite a rasserenare non foss´altro perché, oltre a quei soldati morti, ce
ne sarebbero «circa 100 o 200 ammalati», sottolinea in un documento Falco
Accame, presidente dell´Associazione nazionale assistenza vittime arruolate
nelle Forze Armate e famiglie dei caduti. L´ultimo, dice, è «un tenente
della Folgore operato per un melanoma». Quanto ai risultati delle ricerche
della «commissione ministeriale Mandelli», secondo Accame non soddisfano:
«Le relazioni Mandelli si sono chiuse denunciando un altissimo tasso di
linfomi di Hodgkin, ma senza fornire spiegazioni e senza che, dopo la
denuncia, si procedesse a ulteriori ricerche. Grave anche la situazione per
quanto riguarda i risarcimenti e le cure. Si è assistito al caso di un
maresciallo sardo che aveva dovuto fare debiti per 20 milioni di lire per
curarsi e si è visto togliere lo stipendio».