[Cerchio] Il giorno della memoria:Ebrei -fascismo - delatori…

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Autor: clochard
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Temat: [Cerchio] Il giorno della memoria:Ebrei -fascismo - delatori- Legge Bossi-Fini
Magari lo avete già letto in molti. Ma penso ke molti altri (ank'io!) si
siano rotti del Manifesto.
Portelli, tuttavia, è ancora da salvare!!!





            MEMORIA
            Auschwitz, la mia vita nel lager
            SANDRO PORTELLI
            Il 27 gennaio è la «giornata della memoria», fissata
nell'anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da
parte delle truppe sovietiche. Per ricordarla, ho pensato di riascoltare una
parte del racconto di una delle più importanti voci della memoria, Piero
Terracina, deportato a quindici anni ad Auschwitz, dove è stata uccisa tutta
la sua famiglia. Piero Terracina dedica gran parte della sua vita a
raccontare questa vicenda nelle scuole, a Roma e non solo. Questa è una
parte del racconto che fece a me in un'intervista del 1998. «Poi, alla fine
del mese di giugno, cominciarono ad affluire ad Auschwitz i trasporti
provenienti dall'Ungheria. Perché in Ungheria non c'era stata fino allora
deportazione; del resto in Italia era cominciata nell'ottobre del `43, lì
era cominciata nel `44, nel mese di giugno, perché fino ad allora avevano
concentrato in ghetti. Quindi arrivavano i trasporti, si susseguivano, non
so quanti in una giornata, certamente erano tanti. E allora il posto per
quelli che dovevano entrare nel campo, doveva essere lasciato da quelli che
stavano già dentro al campo. E allora c'erano le... le selezioni,
principalmente la sera; qualche volta anche la mattina, prima di uscire per
il lavoro, ma più che altro la sera al rientro dal lavoro. C'erano due
sistemi. O tutti dentro la baracca, entrava dentro una squadra di, di SS - e
prendeva, un po' a caso, un po' dando un'occhiata per vedere quelli che
erano... che erano malati, che erano malfermi in salute, che erano più
deperiti, più dimagriti. Alzavano la manica del braccio sinistro; prendevano
nota del numero; dopo un po' rientravano nella baracca, chiamavano questi
numeri, li portavano fuori, li chiudevano in un'altra baracca... e quando
questa baracca poi si era riempita li facevano uscire in fila e li avviavano
alle camere a gas. E, si sapeva. Altre volte invece, venivamo completamente
denudati, fuori della baracca, e dovevamo passare quasi di corsa, o di
corsa, davanti al medico che con il bastone con una velocità impressionante
indicava chi andava da una parte e chi dall'altra. Più o meno era un
cinquanta per cento che continuava a vivere, un cinquanta per cento che
doveva andare a morire.


            E queste selezioni quando arrivavano questi trasporti, si
susseguivano continuamente; io credo di averne passate una ogni quindici
giorni dalla fine di giugno fino... fino al mese di settembre. Quindi per
tre mesi, è continuato questo stillicidio. E... mi ricordo che... quando uno
l'aveva scampata... lì per lì forse uno magari se ne rallegrava; ma poi
quando si rendeva conto che il proprio amico, il proprio vicino di
giaciglio, o anche quelli che conosceva della baracca non c'erano più, beh
insomma - lì subentrava una... direi un senso di colpa.
      E questo senso di colpa non è che è finito con la liberazione. Un
senso
di colpa che è durato per tanto tempo. Cioè, chi è andato a morire al posto
mio? Si diceva che i crematori di Auschwitz...che avessero la possibilità di
cremare circa diecimila persone al giorno. Però in quel periodo ne
arrivavano di più. E allora non ce la facevano a smaltire questo...questo
enorme quantitativo di corpi; di cadaveri. Allora ai margini del campo
avevano aperto delle enormi fosse. Dalle camere a gas venivano portati coi
camion, venivano ribaltati dentro queste fosse, e quando erano piene - gli
davano fuoco. Già il... l'odore, il lezzo dei forni crematori, che era
terribile. Poi queste fosse, lì, ripeto, ai margini del campo, alla distanza
forse di duecento metri, non di più; con il vento che portava questo odore
dentro al campo, che era una cosa terribile. E si vedeva, si vedeva il
movimento, si vedeva scaricare i corpi, si vedeva tutto. Pensi che cosa
significa vivere in un posto... dove si uccidono dieci o quindicimila
persone al giorno. Fu cose terribili. Mi ricordo un... una cosa, in
particolare, che a me m'ha colpito tanto. Noi nel campo di Auschwitz eravamo
nel campo D, separato dagli altri campi A, B, C, E, dal filo spinato dove
passava la corrente ad alta tensione. Nel campo E - un campo anomalo -
vivevano delle famiglie complete. Cioè, c'erano bambini; c'erano uomini e
donne che avevano conservato i loro capelli; che avevano conservato anche i
loro abiti; era un campo pieno di animazione: era il campo degli zingari. Un
campo pieno di animazione perché c'erano i bambini, i bambini che magari si
rincorrevano, le mamme che li chiamavano, i panni stesi ad asciugare...
Avevano conservato addirittura i loro strumenti quindi la sera facevano
musica, a noi ci sembrava un'oasi felice perché lì c'era vita; da noi c'era
soltanto morte. Una notte, era alla fine di luglio del 1944, sentimmo prima
delle grida, delle SS che davano degli ordini; poi sentimmo tutto una
confusione, un tramestio; e, sentivamo i bambini che piangevano perché erano
stati svegliati nel pieno della notte. Sentivamo tanta, tanta confusione;
poi all'improvviso silenzio. Quindi la mattina dopo la prima cosa che
facemmo quando ci svegliammo, andammo a vedere che cosa era successo - e
quel campo era deserto. Il campo era... era completamente deserto - c'era
solo silenzio, un silenzio direi agghiacciante. Lì dove c'era tanta vita,
tante cose... Bastò un'occhiata alle cose, alle ciminiere, per capire che
durante la notte erano state mandate a morire ottomila persone. Perché tanti
erano più o meno, gli zingari di quel campo. Racconto un altro episodio che
m'è rimasto molto, molto impresso. Nel mese di ottobre ci fu una rivolta nel
campo. Nel crematorio numero tre, un giorno ci fu una rivolta. Perché
siccome periodicamente, più o meno ogni tre mesi, i prigionieri che
lavoravano alle camere a gas, ai forni crematori, venivano a loro volta
fatti entrare nelle camere a gas. Questi avevano capito che era giunto il
loro, il loro turno. I Sonderkommando, così veniva chiamato il kommando dei
forni crematori, delle camere a gas. E questi qui sapendo che era arrivato
il loro momento, tra l'altro ricevendo anche un aiuto dall'esterno del
campo, non so come, però era stato introdotto addirittura nel crematorio,
dell'esplosivo, fecero saltare il crematorio numero tre. E presero delle
armi ai tedeschi; credo che hanno resistito sì e no mezza giornata, non di
più; e poi naturalmente sono stati uccisi tutti. Io mi ricordo, quando sono
stato liberato, che è stato il 27 gennaio, sono stato liberato dalle truppe
sovietiche; e mi ricordo che i soldati sovietici quando ci guardavano,
avevano come un senso di ribrezzo. Non si avvicinavano. D'altra parte
eravamo ridotti in condizioni tali che non eravamo più... non eravamo più
persone. Io mi ricordo quando sono stato liberato, che i tedeschi ci avevano
fatti uscire dal campo di Birkenau dove stavamo, ormai eravamo rimasti
pochissimi, ci fecero uscire tutti, dissero se c'è qualcuno che non è in
condizioni di camminare rimanga, si metta da una parte, proprio
all'ingresso: mi ricordo, uscendo dal campo, sulla sinistra, e noi invece
gli altri sulla destra. E, a un certo punto cominciarono questa colonna, di
larve umane, cominciò a muoversi, tra cui ero io; fatto qualche centinaio di
metri sentimmo delle scariche di mitra - quelli che erano rimasti da una
parte, ai quali avevano detto che sarebbero...sarebbero passati i camion per
prenderli, e invece... Comunque la nostra colonna cominciò a muoversi; stava
annottando. Quindi io con altri miei compagni rimanemmo indietro, i tedeschi
non erano molti che sorvegliavano la fila; e quindi rimanemmo indietro e gli
altri continuarono a andare avanti. Il freddo era terribile, perché era
gennaio, oltre tutto gennaio del `45 è stato un inverno tremendamente
freddo. E quindi uscimmo, camminammo non so per quanto, a me sembrarono ore,
probabilmente non erano ore, ma la fatica era tanta, con la neve, il freddo
terribile, coperti male. Alla fine vedemmo delle sagome di costruzioni e
decidemmo di entrare. E non era nient'altro che il campo di Auschwitz.
Arrivammo a questo campo di Auschwitz che dista tre chilometri da Birkenau;
ma, io non so, a me è sembrato di aver camminato per diverse ore.
Probabilmente o camminavamo in tondo, oppure la fatica era tale che quello
che normalmente si poteva fare forse in mezz'ora, tre quarti d'ora, ci
abbiamo messo delle ore per farlo. Comunque entrammo lì, i tedeschi non
c'erano, il campo era, anche lì era disseminato di corpi, di quelli che
erano...che erano morti. E, ricordo una mattina, nella tarda mattinata,
aprii la porta della baracca, per andare a raccogliere un po' di neve da
sciogliere, da poter bere. Vidi una figura di un soldato; era completamente
vestito di bianco: aveva un mantello bianco o una coperta per mimetizzarsi
con la neve. Sentì aprire la porta, istintivamente tirò fuori il mitra da
sotto questo mantello e però si rese conto subito che... non potevo
nuocergli, mi fece cenno con la mano di rientrare. Perché evidentemente era
pericoloso, c'erano ancora i tedeschi, si sentivano i colpi di fucile in
lontananza, si sentivano i colpi di cannone. Quindi mi fece rientrare e
comunicai ai miei compagni che erano arrivati i russi. Si può pensare che
chissà quali scene di giubilo. Niente, assolutamente niente. Niente; un
silenzio totale. Mi ricordo che c'era uno che aveva preso dell'acqua, della
neve che aveva sciolto, e stava facendo dell'abluzioni; quando glielo dissi
continuò senza dire neanche una parola. E così tutti gli altri. Poi qualcuno
cominciò a pregare, qualcuno cominciò a piangere, ma nessuna scena di
giubilo, nessuna scena d'entusiasmo. Poi ho rivisto dei filmati colla
liberazione di Auschwitz dove si vedono i prigionieri festanti, i russi che
tagliano la catena che chiudeva il cancello del campo: è stato girato una
settimana dopo, e io ho visto tutto da lontano. Perché in quel momento non
c'è stata assolutamente nessuna scena di entusiasmo, niente.