[Lecce-sf] ''Mai più Auschwitz''

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Aihe: [Lecce-sf] ''Mai più Auschwitz''
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From: "luisa rizzo" <lu-sa@???>
To: "didaweb generale" <didaweb@???>
Cc: "dw-intercultura" <dw-intercultura@???>;
"Rete_territoriale_scuolapubblica"
<Rete_territoriale_scuolapubblica@???>
Sent: Saturday, January 25, 2003 6:49 PM
Subject: [Rete_territoriale_scuolapubblica] ''Mai più Auschwitz''


> La lezione di Auschwitz e la sua bruciante attualità
>
> Anteprima di un articolo di Annamaria Rivera
> in uscita domani su Liberazione
> (www.liberazione.it )
>
> http://www.didaweb.net/risorse/scheda.php?id=4958
>
> Avevo dieci anni quando uno zio antifascista e socialista, tanto giovane
> quanto impegnato, mi mise in mano il Diario di Anna Frank, con poche
> decisive parole di commento. Fu la scoperta dell'orrore assoluto, incisiva

e
> penetrante per il fatto che mi veniva rivelata da una adolescente nella
> quale mi identificavo. Ho sempre pensato retrospettivamente che da quel
> gesto in apparenza così minuto siano discesi l'orientamento e l'impegno a
> sinistra, la partecipazione al '68 e al femminismo, l'inclinazione
> antirazzista della mia ricerca antropologica. Non so se oggi vi siano

ancora
> zii che trasmettono ai nipoti, in modo così sobrio ed efficace, l'eredità
> della memoria: viviamo un tempo di lacerazioni e fratture, ingarbugliato e
> opaco, in cui esile o reciso è il filo della comunicazione fra le
> generazioni, in cui sommovimenti epocali e dislocazioni degli schieramenti

e
> degli attori politici hanno reso più arduo orientarsi e scegliere. Ma
> proprio oggi si fa più urgente il lavoro della memoria e più necessario il
> tentativo di rintracciare le mappe che trascendono la contingenza per
> restituirle più nitide e leggibili. E' a questo che può servire il Giorno
> della memoria, opportunamente quanto tardivamente istituito dal Parlamento
> italiano, data di un calendario civile che, nella ricorrenza della
> liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ci ricorda che lo
> sterminio, prodotto tanto terrificante quanto coerente della modernità
> europea, non è una ferita rimarginata: come ha scritto fra gli altri

Zygmunt
> Bauman (Modernità e Olocausto) sulla scia di Horkheimer e Adorno

(Dialettica
> dell'illuminismo), oggi sappiamo di vivere in un tipo di società che lo

rese
> possibile "e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo
> verificarsi".
>
> E' questa la lezione di Auschwitz e la sua bruciante attualità: lo
> sterminio, "gigantesco esercizio di ingegneria sociale", per usare ancora

le
> parole di Bauman, è figlio della "civiltà" europea, un figlio partorito
> dalla razionalità strumentale e alimentato dai mezzi potenti, la

burocrazia
> e la scienza, messi a disposizione dalla modernità. In quanto tale, esso

non
> è archiviabile, non appartiene al passato ma al nostro presente. Esso ci
> dice che la lunga storia europea dell'antisemitismo e del razzismo non è
> chiusa una volta per sempre: ce lo ricorda ogni giorno non solo lo
> stillicidio "ordinario" e/o istituzionale di dichiarazioni,

discriminazioni
> e atti razzisti contro gli stranieri, ma anche l'allarmante ripresa a
> livello internazionale di una "destra plurale" (per usare la formula di
> Guido Caldiron, nel libro che ha lo stesso titolo), la quale ha come cifra
> comune il negazionismo e l'antisemitismo, impliciti oppure del tutto
> espliciti, rivendicati, addirittura propagandati rumorosamente e
> impunemente.
>
> Le leggi razziali, la persecuzione e lo sterminio delle popolazioni
> ebraiche, e con esse dei rom e dei sinti, mai sufficientemente ricordati,

la
> segregazione e l'annientamento degli omosessuali, degli oppositori

politici,
> dei soggetti sociali indocili, deboli o malati, compiuti dal nazismo con
> metodicità burocratica e serialità industriale, certo furono resi

possibili
> da una temperie e da circostanze storiche ben definite. E dunque opportuno

è
> il richiamo di chi ci invita a non fare della persecuzione e dello

sterminio
> un'essenza metafisica sottratta alla storia e all'interpretazione
> storiografica. Nondimeno, l'antisemitismo continua ad essere un modello
> paradigmatico che ci consente di comprendere non poche cose intorno al
> razzismo dei nostri giorni. Infatti, come ci ricorda Alberto Burgio nell'
> introduzione a un volume collettaneo (Nel nome della razza. Il razzismo
> nella storia d'Italia: 1870-1945), gli ebrei hanno costituito la

"perniciosa
> sintesi" di tutte le dimensioni che assume la razzializzazione dell'altro.

L
> 'antisemitismo è dunque il paradigma non solo del razzismo biologico, ma
> anche del "razzismo senza razze". La tendenza propria al razzismo dei

nostri
> giorni, non a caso definito differenzialista, ad abbandonare l'argomento
> della "razza" in favore di un culturalismo che in realtà naturalizza le
> stesse culture (come le "etnie", le "identità", le "differenze", le
> "civiltà".) ha il suo antecedente esemplare nella definizione degli ebrei
> come "razza storica" o "razza mentale", fatta propria da Hitler ed
> enfatizzata fra gli altri da Julius Evola, ideologo del razzismo fascista
> (vedi P.A. Taguieff, La forza del pregiudizio). L'odierna riduzione dell'
> immigrato musulmano a "estraneità radicale", a tipo "culturalmente ed
> etnicamente inintegrabile" (così lo definisce il politologo liberal

Giovanni
> Sartori, in un inquietante libretto, Pluralismo, multiculturalismo e
> estranei) ha il suo prototipo nella definizione dell'ebreo data dall'
> antisemitismo nazifascista. Infine, la stessa struttura mentale paranoica
> che vede l'altro come il nemico interno, annidato nelle pieghe della

nostra
> società, ove complotta e attenta all'ordine sociale -si pensi all'attuale
> ondata di islamofobia, esacerbatasi dopo l'11 settembre e la guerra
> permanente- è rappresentata esemplarmente nell'antisemitismo.
>
> Tutto ciò ci imporrebbe una seria riflessione sulle rotture e le

continuità,
> le analogie e le differenze fra i razzismi, una riflessione che purtroppo
> non fa ancora parte della coscienza civile italiana. Infatti, in Italia,
> come più volte ha rimarcato fra gli altri David Bidussa, la vicenda dell'
> antisemitismo e del razzismo è stata considerata come un corpo estraneo e
> analizzata come un evento non legato alla storia nazionale. Di qui, anche,
> discendono tanto la difficoltà e la riluttanza della società italiana a
> riconoscere, prendere coscienza e analizzare il "proprio" razzismo, quanto
> la sua debole reattività verso le forme, anche le più scoperte, di

xenofobia
> e di antisemitismo. L'una e l'altro sono oggi in allarmante crescita,

anche
> grazie a un governo che ha incorporato gli imprenditori politici del
> razzismo e alla polarizzazione che si è determinata dopo l'11 settembre e

la
> proclamazione della guerra illimitata e permanente.
>
> E a questo proposito, io ritengo che le polemiche, legittime anche quando
> massimamente aspre, sul ruolo del governo israeliano in carica dovrebbero
> attentamente guardarsi dal rischio di assumere l'ideologia e il lessico

che
> è alla base di ogni razzismo: interpretando le vicende storiche in termini
> di "scontro fra civiltà", assumendo il linguaggio della "razza" o dell'"
> etnia", leggendo gli eventi presenti in chiave di scontro fra essenze
> metafisiche immutabili, imputando indistintamente agli "ebrei" come ai
> "musulmani" responsabilità politiche che vanno attribuite a ben precisi
> soggetti e interessi storici che si scontrano nell'arena internazionale.
> Anche a questo dovrebbe essere utile il Giorno della memoria: non solo a
> rammemorare le vicende dello sterminio, ma anche a compiere un esercizio

di
> interpretazione critica del presente, sobria e rigorosa, attenta a
> decostruire le visioni, i linguaggi, le strutture simboliche che tendono a
> naturalizzare la storia e la società, e a fare dell'Altro - un altro
> mutevole che di volta in volta si incarna in questi o quegli

indesiderabili-
> l'indistinto capro espiatorio di tensioni e conflitti sociali, di

interessi
> e scontri geopolitici (vedi R. Gallissot, M. Kilani, A. Rivera,

L'imbroglio
> etnico). L'esercizio critico, insieme all'attenzione e alla reattività
> politiche, è condizione obbligatoria se si vuole che "mai più Auschwitz"

non
> resti retorico esorcismo, ma divenga quotidiano impegno intellettuale,
> civile e politico.
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