[Cm-crew] ...quanto è grande il dolore del mondo?

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著者: marinz.b
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題目: [Cm-crew] ...quanto è grande il dolore del mondo?
si lo so è un po' troppo lunga...
qualcuno dira' che non c'entra un cazzo...
che palle, che noia sta roba...
io la rigiro lo stesso... e scusatemi x i byte in eccesso
marinz

----- Original Message -----
From: "Marcello De Gregorio" <mar.degre@???>
To: <milanosocialforum@???>
Sent: Thursday, January 23, 2003 6:37 PM
Subject: [milanosocialforum] ...quanto è grande il dolore del mondo?


(Scusatemi l'off-topic, ma ho bisogno di socializzarlo...)

Oggi, in mensa con la mia classe, 20 ragazzini scalmanati, splendidi, alcuni
disperati, il mio animo forse ipersensibile in questo momento della mia vita
ha vacillato. Qualcosa di visto e di affrontato direttamente non so più
neanche quante volte nei miei anni di insegnamento mi ha profondamente
turbato. M'ha scoperto i nervi, m'ha commosso. Un ragazzo, un bel ragazzo
grande e grosso, di terza media ma sicuramente ripetente; un ragazzo
handicappato mentale, che mangia sempre con l'insegnante di sostegno nella
stessa aula che fa da refettorio alle primine elementari, con degli occhi
bellissimi, uno sguardo un po' sperso nel vuoto, silenziosissimo, di una
tranquillità imbarazzante, non so di quale tipo di h soffra... Beh insomma
ad un certo punto mi sono girato leggermente alla mia destra, verso il loro
tavolo. Ho visto che piangeva, aveva gli occhi rossi e pieni di lacrime che
colavano sulle guance. Diceva: "sì ma sono bravo io eh?? sono bravo? sono
buono??" Chiedeva e piangeva, chiedeva e la sua insegnante gli passava le
mani tra i capelli, mantenendo anche la condivisibile (la conosco bene)
distanza che in questi casi aiuta e sdrammatizza e smorza l'evento, di cui
poi io non conosco né l'origine né la misura.
Non sono riuscito a staccare gli occhi da quegli occhi fino a quando ha
smesso di mangiare, e terminato il pasto e calmato il pianto se ne sono
andati lui e l'insegnante, una brava insegnante. Non piangeva a dirotto, ma
piangeva di una sofferenza interiore inaudita. A piangere era la sua storia,
il suo romanzo, la sua vita bella o brutta sia stata. Il suo dolore. La sua
condizione. Un ragazzo con le prime evidenti ombre di peluria sulla faccia,
grande, di corporatura niente affatto esile, che chiedeva come avesse 5
anni, e soffriva come avesse 5 anni. E voleva conferme e rassicurazioni come
avesse 5 anni.
Quel dolore, che sta dietro l'angolo di ciascuno di noi, io l'ho letto nelle
sue pupille. Contemporaneamente diversi miei alunni mi chiamavano, chi
doveva andare in bagno, chi "... posso fare basta? non mi va più" ... Non li
sentivo. E mi sono accorto che dopo la stretta allo stomaco m'è venuto da
piangere. E stavo piangendo.
Ma quanti alunni pure messi peggio di lui ho avuto io? Mamma, tanti tanti.
Eppure, non so, l'ho visto grande. L'avevo sempre visto sereno e tranquillo.
E quanto è vero che la troppa tranquillità chissà quante ombre si porta
dietro e dentro! Ho visto tutt'un tratto uscire il suo dolore, e la sua
malattia. Che poi sarà la nostra, forse noi riusciamo solo a nasconderla
meglio. Chissà...
Un ritardo mentale e nello sviluppo cognitivo-affettivo per me non è cosa
nuova. E bambini che oltre a questo avevano anche casa coi topi, padri con
la cinghia e addirittura i bastoni e in un caso i martelli (evidentissime
le cicatrici che si portavano a scuola. Come me le ricordo!) in classe ne ho
avuti parecchi. Quasi tutti di classe sociale infima, figli di relitti
sociali, figli dell'emarginazione, figli di genitori morti entrambi di AIDS,
figli di genitori in carcere, figli dei viaggi sulle carrette della speranza
che dall'africa approdavano e approdano in quest'orrenda italia di merda.
Che poi è di merda esattamente come è di merda il resto del mondo. Di questi
piccoli cittadini ne ho avuti parecchi. E non è affatto facile lavorarci, ed
è invece fin troppo facile farci su scontata demagogia quando si dice che
bisogna sempre trattarli coi guanti. Sapete, quei bravi e parolai insegnanti
che hanno l'elogio facile, ma poi non danno nulla di sé, del loro proprio
sé, quello più intimo e vero. Perché i nervi ti saltano, e ti offri per
quello che sei: tutto te stesso: accogliente e comprensivo ma anche
direttivo ed autorevole, quando ci vuole. E quando ci vuole, se hai
esperienza, lo sai, lo sai...
Eppure la scena di oggi, non urlata, discreta e contenuta, m'ha stretto
tutto dentro. Sono stato male. Quel pianto senza singhiozzo di un ragazzo
ben vestito, pulito, grande nel corpo e piccino nella mente, piccolino, da
coccolare, da tenere in braccio, piccolo grande ragazzino... Così forse
perché il suo cuore non è stato a sufficienza riempito quando doveva
esserlo, o forse perché, molto più prosaicamente, la Santa Madre Natura
anche con lui è stata non madre ma matrigna. E la biologia, matrigna di
secondo grado, gli ha fatto un cervello e un cuore stretti e poco
capienti... Chissà, non conosco il caso. No so se è tutta Natura o tutta
Cultura ciò che lo ha fatto così com'è. So solo che m'ha stretto dentro
vederlo così... M'ha fatto piangere la costellazione di domande che sono
partite dentro me dopo averlo visto e mentre continuavo ad osservarlo, io
con la forchetta a mezz'aria che non riusciva a trovare la sua via. E allora
ho pensato davvero a quell'altro Nuovo Mondo in cui io credo. E ho pensato
ai rapporti sociali di questo attuale mondo - solo uno dei possibili - tutti
da rifare, ma dal basso, dal basso. Nessun politburo del cazzo potrà mai
farcela.... E ho pensato a come si spiegano questo e tanto altro di ancor
peggiore i cattolici, coloro che credono che la vita sia un dono, e comunque
arrivi sia obbligatorio un ringraziamento a Qualcuno lassù che l'ha donata,
in qualunque modo essa sia... Mi sono chiesto (per l'ennesima volta da
quando ho 15 anni...) quanto è grande il dolore che sta nelle pieghe più
prossime delle esistenze più prossime, più vicine. Un dolore invisibile
spesso; spesso accecante. Comunque sempre individuabile. Ma forse la vita
del cazzo che questo mondo inqualificabile ci obbliga a vivere non ci dà
questo tempo e questa qualità: il tempo e la qualità di chiedersi quanta
felicità o quanto dolore c'è in noi o in qualcuno che ci sta vicino o ci
passa accanto per caso... E ho pensato allora che davvero Platone forse
aveva ragione: si può conoscere solo ciò che già si conosce, perché se non
lo conoscessi già, quando lo incontro non lo riconoscerei.... E ho pensato
che certe cose le conosce solo chi le ha passate, chi le ha intercettate o
le ha vissute seppur non identiche ma genericamente simili.... E ho pensato
anche a quanto sia condizionata la nostra capacità gnoseologica (passatemi
la reminescenza universitaria). Gnoseologica, ossia conoscitiva o
ri-conoscitiva. A quanto sia condizionata dal nostro stato d'animo, dalla
fase della vita che ci troviamo ad attraversare. E dalla nostra personale e
più profonda storia.
Quel pianto del ragazzo "diversamente abile" (come li chiamano ora gli
stronzi ipocriti di merda che chiamano gli spazzini operatori ecologici e i
ciechi non vedenti) e il mio di seguito, m'hanno fatto pensare ma cazzo
perché? perché capita che ci siano cose così? Che risposta dà chi ha sempre
risposte pronte? E ancora: quanto grado di dolore siamo capaci di
sopportare? Dolore nostro e dolore altrui, intendo. Dolore osservato e
percepito. Che poi, ripeto, a volte "nulla è" (virgolette d'obbligo)
rispetto a tanto altro ben peggiore... Beh, ne sappiamo sopportare forse
poco, ed è per questo che lo scansiamo. Non sappiamo contenerlo, non
accettiamo lo specchio che in quel dolore mostra il nostro dolore, e le
nostre incapacità. Il dolore di chi continua a creder che i no facciano
crescere. Che il destino dell'uomo e della donna, e del mondo che li ospita,
non è scritto una volta per tutte e non è una variabile dipendente dei
forzieri del capitale globale... Sono questi soggetti marziani,
meravigliosi, che forse soffrono più di altri ma spesso sono avari di
calore, anche fra di loro....
Mi sono poi anche reso conto, ancora una volta, di quanto conti e faccia
l'evidenza empirica. Tante cose noi sappiamo, di tanto parliamo e su tanto
cerchiamo o crediamo di fare... Ma l'evidenza empirica, il fatto bruto, ti
caccia nello stomaco tutto il reale che non sta nelle righe del libro che
ricordi meglio o nelle parole che più frequentemente la tua ars loquendi di
permette di pronunciare. Ma poi ho anche detto ancora: perché un effetto
tale una cosa simile? E ho pensato a come ci corazziamo per sopravvivere. A
come ci dimentichiamo di chiedere "come stai ma cazzo dimmi davvero come
cazzo stai" all'altro, e fra noi innanzitutto... Io non nascondo che amerei
sentirmelo dire. Epperò quelle corazze di sopravvivenza che puzzano di
sangue e di capitale e di vita soggettiva ogni tanto si lacerano. E allora
ritorna ad emergere il male di vivere che affligge molti, i quali poi hanno
tutto da insegnarci perché ne fanno una virtù di sopravvivenza, nelle
baraccopoli, nelle favelas, nelle fogne brasiliane... E ne fanno, lì ai
margini dell'impero, una sorgente di resistenza e di costituzione etica. E
torniamo sempre lì: tutto sta solo in un'ansa del moto dialettico:
l'individuo - la specie, la natura - la cultura, il soggetto - l'oggetto, il
desiderio - la realtà, l'acquiescenza - la rivolta...

Forse le migliori qualità dell'essere umano sono combattere e piangere... E
il buonismo da tempo sta attentando alla loro vita...

Per tutti gli sfortunati del mondo, per tutti i ragazzi che grandi e grossi
chiedono piangendo se sono stati bravi, e per tutti coloro che piangono
senza lacrime e senza singhiozzo (come faccio io proprio ora...): hasta la
victoria, siempre e siempre.... E a nulla di partitico o di idolatrico mi
riferisco...

Grazie a tutti/e e state bene

(scusatemi l'off-topic, ma avevo bisogno di socializzare)

Marcello