[Cerchio] Re: [Cerchio] Solidarietà ai/lle compagni/e dei Co…

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Autor: Tuula Haapiainen
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Nowe tematy: [Cerchio] Re:_[Cerchio]_Solidarietà_ai/lle_compagni/e_dei_Cobas._Fermiamo_la_controrivoluzione_preventiva
Temat: [Cerchio] Re: [Cerchio] Solidarietà ai/lle compagni/e dei Cobas. Fermiamo la controrivoluzione preventiva
Sono d'accordissima sul discorso di fondo, con voi, e non solo perché cobas
anche io.
Ma non so cosa volete dire con: " dobbiamo evitare di elidere/eludere la
pagina
> scritta da migliaia di giovani spesso provenienti dal
> proletariato metropolitano, che -nell'esprimere in
> modo immediato la propria rabbia- hanno riproposto una
> prassi che fa parte del nostro "patrimonio genetico".


In pratica, cosa comporta?
e due,
questo: " Rispetto al quale va
> precisato che è sbagliato pensare di salvarsi
> ammorbidendo i toni ogni qualvolta il movimento si
> ritrovi sotto tiro.
> L'eventuale spinta a "riposizionarsi" dando di sè
> un'immagine più rassicurante può ottenere come
> risultato solo la spaccatura verticale del movimento,
> l'isolamento di coloro che scelgono di non mitigare i
> propri contenuti. " ???????


In che modo pensate di agire ciò? Stando al gioco della violenza di fronte a
chi ne ha il monopolio vero e proprio??

Io credo che occorra parlare di questo..dal nostro punto di vista..che a
genova e a napoli o a Goteborg ci sono stati/e...io nelle prime due
città..ma senza bastoni..ché pure se l'avessi avuto un bastone non avrei
saputo usarlo...
tuula



----- Original Message -----
From: "corrispondenze metropolitane" <cmetropolitane@???>
To: <cerchio@???>; <forum.ldc@???>
Sent: Friday, January 17, 2003 9:31 AM
Subject: [Cerchio] Solidarietà ai/lle compagni/e dei Cobas. Fermiamo la
controrivoluzione preventiva


> SOLIDARIETA' AI/LLE COMPAGNI/E DEI COBAS. FERMIAMO LA
> CONTRORIVOLUZIONE PREVENTIVA.
>
> Ancora un attacco contro il movimento.
> Un attacco portato avanti nelle forme singolari che
> tutti conosciamo, con l'annuncio su un quotidiano
> della ricerca dell'identità di due militanti romani
> immortalati in una foto. Due militanti dei Cobas.
> Già, i Cobas. Negli ultimi mesi, la spinta a stroncare
> il movimento nato a Seattle si è tradotta -in Italia-
> anche e soprattutto nell'accanimento persecutorio nei
> confronti di questa realtà del sindacalismo
> autorganizzato.
> Sicuramente la magistratura ne registra il sempre
> maggior peso sia nel social forum che nel movimento
> nel suo complesso.
> Ma basta questo dato ad indirizzare verso i Cobas
> l'attenzione degli apparati repressivi?
> Evidentemente no.
> Si può dire, anzi, che i Cobas non vengono colpiti
> solo per quello che rappresentano, ma anche per quello
> che potrebbero rappresentare in un futuro prossimo.
> Quel che si teme è la definitiva assunzione, da parte
> del movimento, della centralità della contraddizione
> capitale/lavoro, l'ancorarsi del rifiuto dello stato
> delle cose al concreto dispiegarsi della lotta di
> classe.
> In sostanza, ci si preoccupa del possibile passaggio
> del movimento o di una cospicua parte di esso, da una
> posizione genericamente antiliberista ad un'altra
> legata alla prospettiva del superamento del
> capitalismo. Certo, si tratta di un esito non scontato
> per un movimento che a Firenze, almeno nelle sue
> componenti organizzate, discuteva del destino del
> "Vecchio continente" in un'ottica prettamente
> riformista, auspicandone l'evolversi nella direzione
> di un'Europa sociale e dei diritti.
> Ma al di là degli obiettivi perseguiti dai "dirigenti"
> del Social Forum, vi è anche la dinamica reale del
> conflitto che, qualora andasse a radicalizzarsi,
> sospingerebbe il movimento verso posizioni più
> avanzate. Il rischio c'è e si lega alla presenza nel
> movimento stesso di componenti classiste. Lorsignori
> lo sanno, d'altra parte. Per questo ricorrono alla
> forza di cui dispongono gli organi repressivi dello
> Stato. Lo hanno già fatto a Genova nel 2001. In quel
> contesto la ferocia inusitata delle forze dell'ordine
> non fu nè il portato di un governo dalla vocazione
> fortemente autoritaria nè la conseguenza diretta delle
> cosiddette provocazioni di Black Bloc.
> Essa, anticipata dalle efferatezze del marzo
> napoletano e dagli spari nella socialdemocratica
> Goteborg, fu l'espressione di una precisa strategia.
> Quella della controrivoluzione preventiva. Da parte
> dello Stato, in sostanza, si trattava e si tratta di
> impedire qualsiasi avanzamento del conflitto, di
> prevenire l'ipotesi di una ricomposizione tra settori
> sociali sfruttati. Un'ipotesi già prefigurata nelle
> stesse piazze gremite, primo momento di incontro tra
> soggetti che -spersi nel territorio metropolitano o
> nei mille rivoli in cui si svolge la produzione delle
> merci- poche occasioni hanno per comunicare tra di
> loro.
> E' di fronte al configurarsi di tale possibilità che
> lo Stato esercita quello che Max Weber definisce il
> "monopolio dell'uso legittimo della forza". Proprio il
> sociologo tedesco, osservando lo svolgersi della prima
> guerra mondiale e il connesso fenomeno della
> coscrizione obbligatoria, arrivò a vedere nel potere
> di disporre totalmente della vita dei propri cittadini
> -al di là di qualsiasi habeas corpus e tutela
> individuale- un tratto saliente dello Stato
> capitalistico contemporaneo.
> Il normale funzionamento del diritto, infatti, è
> tipico di fasi a bassa intensità conflittuale, fasi
> nelle quali predomina il tentativo di coptare e di
> istituzionalizzare i movimenti sociali; laddove
> subentra lo scontro sociale aperto,o vi è la
> possibilità che esso si profili all'orizzonte, subito
> si ricorre a quella che, sulla scia di Johannes
> Agnoli, può esser considerata per lo Stato l'ultima
> ratio, cioè alla repressione.
> Una repressione che -nell'interesse del sistema nel
> suo complesso- può anche spingersi sino alla
> sospensione temporanea del cosiddetto Stato di
> diritto.
> Così è stato con l'omicidio di Carlo Giuliani. Così è
> stato alla Diaz.
> Così, ancora, è per tutte le montature e le
> persecuzioni giudiziarie che segnano il cammino del
> movimento.
> Questo bisogna ribadire, oggi, di fronte allo
> scatenarsi di una autentica recrudescenza repressiva
> nei confronti di chi non si riconosce nell'esistente.
> Altro che prendersela con i Black Bloc! Su questo
> fenomeno, da parte nostra, ci limitiamo a sottolineare
> che esso è coessenziale all'attuale movimento sin
> dalla sua genesi. Seattle, primo manifestarsi
> dell'ondata contestativa che stiamo vivendo, non ha
> forse visto i Black Bloc colpire di continuo obiettivi
> simbolici del capitale?
> Ma, a parte i Black Bloc, che sono -per così dire- un
> "fenomeno d'esportazione", nato in altri contesti
> culturali, rispetto a quanto avvenuto a Genova nel
> 2001 c'è un'altra cosa da annotare. E cioè il fatto
> che in migliaia, con determinazione, hanno risposto
> alla violenza delle forze dell'ordine. Non stiamo
> certo parlando della maggioranza dei manifestanti, ma
> di una loro componente rilevante e significativa. Una
> componente che, nel sostenere lo scontro, nel porsi il
> problema non solo dell'autodifesa ma anche dell'uso
> della forza nel suo complesso, ha fatto rivivere una
> precisa tradizione, che ha segnato la storia dei
> movimenti in Italia.
> Si pensi alla stessa Genova del luglio '60, laddove
> molti giovani espressero con forza il proprio rifiuto
> non solo del fascismo, ma anche -istintivamente- del
> riformismo che di lì a poco si sarebbe fatto soluzione
> di governo.
> E si pensi ancora a quanto la prassi dell'azione
> diretta sia stata elemento fondativo, in questo paese,
> della stessa idea di antagonismo. Ora, se davvero
> vogliamo impedire che avanzi il revisionismo su Genova
> 2001, dobbiamo evitare di elidere/eludere la pagina
> scritta da migliaia di giovani spesso provenienti dal
> proletariato metropolitano, che -nell'esprimere in
> modo immediato la propria rabbia- hanno riproposto una
> prassi che fa parte del nostro "patrimonio genetico".
> La scadenza di Genova del 2001, quindi, ha
> implicazioni enormi, che spiegano il costante
> tentativo di modificarne il senso da parte della
> magistratura e della stampa ufficiale. Implicazioni
> che attengono alla identità collettiva di chi lotta
> contro lo Status Quo.
> Certo, le nostre tradizioni possono e debbono essere
> messe in discussione senza reticenza alcuna, ma ciò
> non si può tradurre nella loro liquidazione, al fine
> di costruirsi un'immagine più consona ai tempi
> attuali.
> E qui ci leghiamo alla questione centrale, concernente
> il comportamento da tenere di fronte alla
> controrivoluzione preventiva. Rispetto al quale va
> precisato che è sbagliato pensare di salvarsi
> ammorbidendo i toni ogni qualvolta il movimento si
> ritrovi sotto tiro.
> L'eventuale spinta a "riposizionarsi" dando di sè
> un'immagine più rassicurante può ottenere come
> risultato solo la spaccatura verticale del movimento,
> l'isolamento di coloro che scelgono di non mitigare i
> propri contenuti. Ma non porta ad essere risparmiati
> da successive tornate repressive. Decide lo Stato,
> d'altronde, cosa è compatibile e cosa no e la sua
> richiesta di lealtà alle istituzioni può tradursi in
> continue prove cui sottoporre il movimento. "Gli esami
> non finiscono mai" e nemmeno, in una fase come
> l'attuale, la spinta a sopprimere qualsiasi istanza
> conflittuale.
> Perciò, di fronte agli accadimenti repressivi, bisogna
> stare attenti. Noi adesso siamo vicini ai Cobas,
> destinatari di un attacco forsennato da parte della
> magistratura e potenziali portatori di un'istanza di
> classe in seno al movimento. Ma dobbiamo esserlo nei
> confronti di chiunque in questa fase sia colpito da
> provvedimenti giudiziari, si tratti -per citare
> esperienze lontanissime tra di loro- dei
> disobbedienti, di Iniziativa Comunista o degli
> anarco-insurrezionalisti.
> Ovviamente, la controrivoluzione preventiva si ferma
> qualora si abbiano i rapporti di forza in proprio
> favore nella società, col radicamento territoriale e
> nei luoghi di lavoro. Ma già approcciarsi ad essa nel
> modo sin qui delineato può renderci meno deboli.
>
>
> "Corrispondenze Metropolitane" - Roma
>
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