[Cerchio] Tute Bianche e Polizia unite nella lotta!

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著者: Ivan Settantasette
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題目: [Cerchio] Tute Bianche e Polizia unite nella lotta!
Dopo le deposizioni dei funzionari delle forze dell'ordine e le ammissioni
dei "disobbedienti" finalmente trapela, nero su bianco, il reale ruolo delle
Tute Bianche in quel di Genova. L'area della disobbedienza era in stretto
contatto con le forze dell'ordine, sia prima che durante lo svolgimento del
G8.
Oggi il Secolo XIX pubblica in 1° e in 4° pagina un articolo in cui si
ricostruisce attentamente i rapporti tra Tutine e Sbirri e da cui trapela
un'inquietante inedito retroscena: la notte prima degli scontri alcuni
responsabili delle tute bianche hanno telefonato alle forze dell'ordine
denunciando i contatti all'insegna della "violenza" tra l'area antagonista
(Network per i diritti globali-Cobas) e i Black Block.

Ivan Settantasette.

Ecco l'articolo:

La notte prima del caos Le Tute bianche danno l'Sos «C'è un patto tra i
violenti»

Genova. «La cosa sta prendendo una brutta piega. C'è stato un accordo tra
gruppi che vogliono scatenare incidenti, ci è arrivato alle orecchie. Noi
non c'entriamo, cercheremo di ritardare l'arrivo del nostro corteo». Al
telefono c'è un esponente delle Tute bianche. È tra coloro che, sin dal
primo momento, hanno sostenuto la scelta del dialogo con la polizia. O,
quantomeno, di un atteggiamento non ostile alle forze dell'ordine. La
chiamata giunge in questura. È la sera del 19 luglio 2001, la vigilia della
giornata che sarà segnata dai gravissimi scontri del G8 e dalla morte di
Carlo Giuliani.
In quel momento, nel quartier generale della polizia, è in corso una
riunione operativa per decidere come affrontare le manifestazioni del giorno
successivo. La notizia di un accordo tra i gruppi di violenti, di una
pianificazione degli scontri, di un summit tra i black bloc e frange
violente dei manifestanti, non è un fulmine a ciel sereno. Ma in quel
momento si affaccia una consapevolezza: gli accordi, per quanto verbali, non
valgono più. I "referenti" della galassia no global non sono in grado di
governare tutto il movimento. C'è chi si è sfilato, chi ha deciso di
trasformare la protesta contro i Grandi in una manifestazione costellata da
episodi di violenza.
In quel momento si decide di prendere la situazione di petto. Tutto il
perimetro della zona rossa viene rinforzato con decine di container,
sistemati di traverso in mezzo alle strade della Foce.
Ricordiamo il clima: si era appena concluso il corteo dei migranti. Avevano
partecipato cinquantamila persone, molte più del previsto. E' ricordato come
un corteo pacifico. In realtà i black bloc avevano già scatenato uno scontro
davanti alla questura. Aveva avuto la peggio il numero due della digos di
Genova Alessandro Perugini. Finirà poi sotto inchiesta per aver tentato, il
giorno successivo, di colpire con un calcio al volto un manifestante di
quindici anni.
C'era anche il precedente di Tebio, la fiera delle biotecnologie che si era
svolta l'anno precedente. Anche in quell'occasione gli scontri tra polizia e
Tute bianche dovevano rappresentare un evento mediatico, ad uso delle
telecamere. Già allora, però, la situazione era degenerata e qualcuno aveva
picchiato a sangue una poliziotta.
E dire che le avvisaglie di episodi violenti c'erano, e corpose, nelle
settimane precedenti. Già il 28 giugno il vicecapo della polizia Antonio
Manganelli aveva scritto al capo dello Sco Francesco Gratteri, segnalando
«gli scenari di ordine pubblico che si verranno inevitabilmente a creare».
E' la comunicazione in cui si parla della "sterilizzazione" della zona
rossa. Risponde lo Sco, il servizio centrale operativo della polizia, con
un'altra nota, questa spedita il 30 giugno: «Sono state sensibilizzate le
fonti confidenziali al fine di acquisire informazioni sul clima
delinquenziale in occasione dell'evento».
Ma l'attenzione di tutti è puntata esclusivamente, per l'appunto, sulla zona
rossa. Il resto della città? Il 7 luglio parte dal dipartimento di pubblica
sicurezza la disposizione: «Il coordinamento dei reparti mobili, dei reparti
volo, delle squadre nautiche, e delle unità speciali è affidato al dirigente
superiore Valerio Donnini». Alle sue dipendenze anche, nella nota firmata
dal direttore centrale Pietro Longo, il vicequestore Pietro Troiani: l'uomo
che ha ammesso di aver portato le due false molotov nella scuola Diaz.
Insomma. Le avvisaglie di possibili incidenti c'erano tutte. Ma c'era in
piedi una sorta di accordo tra polizia e Tute bianche e questo sembrava
sufficiente. Lo confermò l'allora questore di Genova Francesco Colucci
davanti al comitato parlamentare di indagine sui fatti del G8, parlando di
«una sceneggiata». Lo negò, va registrato, il leader del movimento Luca
Casarini, che raccontò solo di come il corteo fosse stato regolarmente
autorizzato.
La sera del 19 luglio arriva la telefonata in questura da parte
dell'esponente delle Tute bianche e subito scatta l'allarme rosso. Tutta la
Foce si trasforma in un fortilizio di container. Vengono anche rinforzati i
contingenti delle forze dell'ordine presenti sulle strade. L'accordo tra le
frange violente del movimento è già stato stipulato; l'ultima svolta
dell'inchiesta della magistratura sembra evidenziarlo.
E' una sorta di patto di sangue, nato nelle strutture che la Provincia aveva
messo a disposizione per l'ospitalità dei manifestanti. E' il plesso
scolastico di Quarto, vicino a via Redipuglia. Ne parla anche F. C.,
esponente del Sud ribelle, in un'intercettazione con una microspia
anticipata nei giorni scorsi dal Secolo XIX: «Quando sono arrivati i black
bloc siamo andati tutti verso di loro, li conoscevamo perché avevamo dormito
insieme nel campeggio Redipuglia».
Le Tute bianche sono in realtà sistemate nel vicino stadio Carlini. Ma c'è
chi fa la spola, chi si muove tra i vari punti dell'accoglienza. C'è chi ha
capito che qualcosa stava maturando in quell'ambiente che non si sentiva
rappresentato dall'area più dialogante del movimento.
Le Tute bianche, rileggendo gli eventi di quei giorni alla luce di queste
circostanze, furono di parola. Il corteo partì con un ritardo di almeno tre
ore per dirigersi verso la zona rossa percorrendo corso Europa e via
Tolemaide. Ma quando giunse in vista di Brignole, fu caricato. La situazione
era ormai sfuggita di mano, perché le devastazioni dei black bloc si erano
ormai estese in diversi quartieri della città.
Marco Menduni






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