[Lecce-sf] Fw: [info-unponteper] notizie dal fronte iracheno

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giro queste info dell'Ass.ne un Ponte per Baghdad

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From: "un ponte per ... (by way of Carlo Gubitosa
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Sent: Tuesday, January 07, 2003 11:05 PM
Subject: [info-unponteper] notizie dal ponte n.1-2003


> Subject: [info-unponteper] notizie dal ponte n.1-2003
>
>
> Numero 1 Anno 2
>
> gennaio 2003
>
> PRONTI PER LA GUERRA, FRA PREPARATIVI ONU E CONTRADDIZIONI USA
>
>
>
>
> Guerra per il petrolio? No, grazie di Michael Renner
> Media con l'elmetto: la ITN e la guerra all'Iraq
> Iraq: il punto sulle ispezioni
>
>
>
> Ex-ministro esteri GB: guerra a Iraq aumenterà il terrorismo
> Annan: attacco a Iraq adesso ingiustificato
> Warren Cristopher: Corea del Nord e terrorismo minacce più gravi dell'Iraq
> Ong inglesi: guerra colpirà i civili
>
>
>
> Oil for Food: più controlli sulle importazioni
>
>
>
> Lettera a un guerriero di Elias Amidon
> Al Cairo Conferenza internazionale contro la guerra
> Bambini iracheni: cartoline di Natale a Blair contro la guerra
> Delegazioni religiose Usa in Iraq contro la guerra
> Lettera a Bush e altri leader mondiali contro una guerra all'Iraq
> ____________________
>
>
>
>
>
> Se avete difficoltà di visualizzazione (segnalata in alcune versioni di
> Internet Explorer) o volete avere una copia del notiziario comodamente
> leggibile sul vostro PC senza essere connessi ad Internet selezionate il
> link segnalato, a download terminato decomprimete il contenuto in una
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>     PRONTI PER LA GUERRA, FRA PREPARATIVI ONU E CONTRADDIZIONI USA

>
> di Ornella Sangiovanni
>
> L'allarme per le conseguenze umanitarie di una guerra contro l'Iraq è

stato
> lanciato da tempo da varie agenzie e organizzazioni umanitarie
> internazionali, ma adesso tocca alle Nazioni Unite.
>
> L'organismo internazionale esce finalmente allo scoperto e - un po'
> ufficialmente, un po' attraverso le immancabili "fughe di notizie" -

rivela
> di stare mettendo a punto piani di emergenza e dà le cifre del possibile
> disastro.
>
> In caso di guerra, sarebbero milioni di iracheni che rischierebbero di
> morire di fame a meno di non ricevere immediatamente aiuti alimentari.
> Secondo i piani approntati dall'Onu, il loro numero sarebbe compreso fra i
> 4 milioni e mezzo e i 9 milioni e mezzo su una popolazione di circa 22
> milioni di abitanti.
>
> I piani - confidenziali ma rivelati in parte dalla Reuters e in parte dal
> quotidiano londinese Times il 23 dicembre scorso - ipotizzano un collasso
> del programma Oil for Food, il blocco della produzione di petrolio, che
> priverebbe l'Iraq dei fondi per acquistare cibo e generi umanitari, e la
> paralisi dei trasporti, che ne renderebbe estremamente difficile la
> distribuzione.
>
> A questo si aggiungerebbe un enorme problema di rifugiati: sarebbero
> 900.000, secondo le stime dell'Onu, gli iracheni che verrebbero spinti
> verso i paesi vicini, 100.000 circa dei quali avrebbero bisogno di
> assistenza immediata.
>
> Altre centinaia di migliaia rimarrebbero in Iraq come sfollati. L'accesso

a
> questi potrebbe essere reso particolarmente difficile a causa dei
> combattimenti.
>
> Piani di emergenza segreti ma non troppo
>
> L'Onu è al lavoro da diverse settimane per preparare piani di emergenza

per
> una eventuale guerra, su richiesta del Segretario Generale, Kofi Annan.
> Finora però la notizia non era stata diffusa per timore che i preparativi
> potessero essere interpretati come un segnale di sfiducia nei confronti
> della possibilità che le ispezioni in corso riescano a evitare la guerra.
>
> Il suo portavoce, Fred Eckhard, ha ammesso ufficialmente l'esistenza di
> tali preparativi il 23 dicembre, senza però fornire cifre, a cominciare
> dall'ammontare dei fondi richiesti.
>
> Qualcosa però è iniziato a trapelare dopo una riunione fra un gruppo di
> agenzie dell'Onu e i rappresentanti dei paesi "ricchi" , che si è svolta
> verso metà dicembre a Ginevra. Nell'occasione sarebbero stati chiesti 37,4
> milioni di dollari per finanziare la fase iniziale dell'emergenza.
>
> Eckhard ha detto soltanto che la maggior parte del denaro andrebbe per la
> pianificazione e l'approntamento delle forniture di emergenza (cibo,

tende,
> coperte e medicinali) nei paesi vicini all'Iraq: una fase che è già

iniziata.
>
> Uno scenario più dettagliato, e perciò ancora più drammatico, è quello che
> emerge dalle "rivelazioni" del quotidiano londinese Times, che avrebbe
> avuto accesso a "documenti interni" e a documenti di pianificazione
> "confidenziali° delle Nazioni Unite. In essi si prevede che una guerra
> bloccherebbe tutta la produzione petrolifera irachena, "danneggerebbe
> gravemente" la rete elettrica del paese, con ripercussioni sulla capacità
> di tutti i settori, in particolare il trattamento delle acque e il sistema
> di smaltimento dei rifiuti e la sanità. Previsto il collasso anche per
> trasporti e comunicazioni, con il blocco del porto di Umm Qasr, e
> l'interruzione dei trasporti sia stradali che ferroviari a causa del
> bombardamento dei ponti. La distruzione dei ponti, inoltre, renderebbe
> particolarmente difficili gli spostamenti fra l'est e l'ovest del paese.
>
> Inoltre, secondo i documenti visti dal Times, e a cui anche noi siamo
> riusciti ad avere accesso, i combattimenti più intensi si verificherebbero
> nelle tre provincie centrali e attorno alla capitale Baghdad.
> Particolarmente grave sarebbe la situazione dell'acqua, con la necessità
> immediata di fornire acqua potabile a circa 4 milioni di persone, solo
> nelle provincie meridionali (senza contare gli sfollati e i potenziali
> rifugiati ancora in Iraq) secondo stime fatte dall'UNICEF.
>
> Si prevede inoltre che la mancanza di acqua potabile causerà un aumento di
> malattie - con possibilità che si verifichino epidemie se non addirittura
> pandemie - che renderà inadeguati gli stock di medicinali esistenti (che

al
> momento hanno in teoria una autonomia di quattro mesi, però in condizioni
> normali).
>
> Le agenzie dell'Onu si stanno comunque preparando all'emergenza. Il World
> Food Programme ha detto di aver approntato cibo sufficiente per 900.000
> persone per un mese, mentre l'UNICEF ha iniziato a spostare in Iraq e in
> quattro paesi vicini, dai suoi depositi in Danimarca, rifornimenti per
> 550.000 persone all'interno dell'Iraq e per altre 160.000 che si prevede

si
> riverseranno nei paesi confinanti.
>
> Il malcontento delle ong americane
>
> Nel frattempo si è fatta paradossale la situazione delle organizzazioni
> umanitarie americane, fra le quali si registra un malcontento diffuso per
> l'impossibilità di pianificare interventi di assistenza a causa delle
> sanzioni Usa contro l'Iraq, che impediscono qualunque attività, anche
> quella di ricognizione.
>
> Secondo le leggi vigenti, i cittadini americani che vogliono recarsi in
> Iraq devono ottenere il permesso dall'Office of Foreign Assets Control
> (OFAC), l'ufficio del Dipartimento del Tesoro che amministra le sanzioni.
>
> Da mesi - la denuncia è di Kenneth Bacon, presidente di Refugees
> International (RI), una ong con sede a Washington che dal 1979 si occupa

di
> assistenza a rifugiati e sfollati - l'OFAC ha reso impossibile a tutti,
> fatta eccezione per un numero assai ridotto di agenzie, l'invio di
> personale in Iraq per verificare la situazione umanitaria. Una
> impossibilità di accesso che finora ha impedito qualunque pianificazione.
>
> Il divieto riguarda tutto l'Iraq - compreso il nord sotto controllo

kurdo -
> e anche il vicino Iran.
>
> E una esenzione immediata dalle sanzioni per le agenzie umanitarie perché
> possano iniziare i preparativi per una emergenza in Iran e nel nord
> dell'Iraq è quanto chiede al governo americano George Rupp, presidente
> dell'International Rescue Committee (IRC), una delle maggiori
> organizzazioni mondiali di assistenza ai rifugiati.
>
> Il paradosso sta nel fatto che il Dipartimento di Stato ha recentemente
> concesso fondi per un ammontare di 6 milioni di dollari a diverse ong per
> progetti di assistenza umanitaria in Iraq (vedi Notizie dal Ponte

no.13-14).
>
> Solo che il Dipartimento del Tesoro, che amministra le sanzioni, rifiuta

di
> consentire loro l'ingresso nel paese per poter iniziare a lavorare,

secondo
> quanto ha dichiarato Jim Bishop, direttore degli interventi umanitari di
> InterAction.
>
> Fatta la legge, trovato l'inganno .
>
> Ecco quindi che le organizzazioni umanitarie americane hanno deciso di
> appoggiarsi ad agenzie straniere minori che hanno accesso in Iraq. Fra gli
> esempi, CARE, con sede ad Atlanta, che lavora attraverso la sua sezione
> australiana, e Mercy Corps, di Portland, Oregon, che si affida a
> Peacewinds, il suo partner giapponese.
>
> Ma le polemiche sembrano destinate a continuare. "Non crediamo che lo

scopo
> delle sanzioni economiche fosse quello di impedire la pianificazione di
> interventi umanitari", protesta Sandra Mitchell, vice presidente dell'IRC,
> sottolineando che il divieto del governo agli operatori umanitari di
> entrare in Iraq peggiora la situazione.
>
> Al Dipartimento del Tesoro però non si scompongono, e dicono che i

permessi
> alle agenzie umanitarie vengono rilasciati in modo tempestivo dopo un

esame
> approfondito.
>
> "Non è l'OFAC che stabilisce la politica di sanzioni Usa, è il Congresso",
> ha dichiarato il vice assistente del Segretario al Tesoro, Rob Nichols.

Con
> buona pace delle ong.
>
> GUERRA PER IL PETROLIO? NO, GRAZIE
>
> di Michael Renner
>
> Il controllo delle fonti energetiche in generale e delle risorse
> petrolifere della regione del Golfo in particolare sono da tempo un asse
> portante della politica estera Usa. Questa strategia ha ricevuto una
> accelerazione con l'Amministrazione Bush, ed è alla base dei suoi piani

per
> una guerra all'Iraq che porti al cosiddetto "cambiamento di regime".
>
> Questo articolo, tratto dal sito Usa The Globalist, che pubblichiamo nella
> traduzione italiana, lo chiarisce in modo esemplare. Il suo autore -
> Michael Renner - è senior researcher al Wordwatch Institute.
>
> Ci sono molti segnali che i giacimenti di petrolio nel mondo si stanno
> esaurendo - e che si stanno facendo progressi nello sviluppo di fonti di
> energia alternative. E tuttavia la politica energetica di Bush
> ciononostante rimane tenacemente dedicata al consumo di petrolio.
>
> Questo desiderio di mantenere una economia basata sul petrolio può far
> intuire il motivo che è alla base dell'attuale interesse degli Stati Uniti
> per l'Iraq.
>
> Le vere questioni coinvolte in questo sforzo vanno molto al di là di
> qualunque affermazione semplicistica secondo la quale l'Amministrazione
> Bush starebbe solo cercando di rendere il mondo sicuro per le società
> petrolifere.
>
> La situazione reale è più complessa. Ma il petrolio, sembra, è sempre
> all'origine di tutto.
>
> Non che una occupazione vittoriosa dell'Iraq non creerebbe un clima
> migliore per gli affari per l'industria petrolifera statunitense. Dopo

anni
> di sanzioni, l'industria petrolifera irachena è solo l'ombra di quello che

era.
>
> Mentre le società russe, francesi e cinesi si sono posizionate per trarre
> profitto dal petrolio iracheno una volta finite le sanzioni, sono le
> società americane, finora lasciate da parte, che potrebbero trarre il
> maggior vantaggio da un cambiamento di regime a Baghdad.
>
> Riabilitare questi impianti sarebbe un lavoro redditizio per l'industria
> dei servizi petroliferi, compresa l'ex-società del vice-presidente Cheney,
> la Halliburton.
>
> Ma coloro che prendono le decisioni politiche in America hanno altro per

la
> testa. Una invasione vittoriosa dell'Iraq potrebbe dare a Washington una
> enorme influenza sul mercato petrolifero mondiale. Essa indebolirebbe
> inevitabilmente l'OPEC, e limiterebbe l'influenza di altri produttori,

come
> la Russia, il Messico e il Venezuela.
>
> Il controllo del petrolio iracheno permetterebbe, fra l'altro, agli Stati
> Uniti di ridurre l'influenza dell'Arabia Saudita sulla politica

petrolifera.
>
> Dall'11 settembre 2001, sono comparse spaccature fra Washington e Ryadh, e
> queste possono ben allargarsi, dato che la popolazione sempre più restia
> dell'Arabia Saudita è scossa dalla crisi economica.
>
> Ecco perché, sia nel Medio Oriente che in altre regioni, il garantirsi
> l'accesso al petrolio va sempre più di pari passo con una presenza

militare
> degli Usa in veloce espansione.
>
> Dal Pakistan all'Asia Centrale al Caucaso, e dal Mediterraneo orientale al
> Corno d'Africa, è emersa una /fitta rete di strutture militari americane.
> Sono state create molte basi in nome della "guerra al terrorismo". Ma ciò
> che esse hanno davvero in comune è la vicinanza a importanti impianti di
> produzione del petrolio o oleodotti di importanza strategica.
>
> In Colombia, nel frattempo, si sono create le condizioni perché gli Stati
> Uniti vengano coinvolti anche più profondamente nella guerra civile del
> paese. L'Amministrazione Bush ha deciso di fornire addestramento ed
> equipaggiamento a truppe colombiane.
>
> Perché? Non è, come si potrebbe pensare, solo a causa dell'esportazione di
> droga dal paese verso gli Stati Uniti. In realtà, queste truppe sostenute
> dagli Usa stanno anche proteggendo un oleodotto per l'esportazione del
> petrolio contro frequenti bombardamenti da parte delle forze ribelli.
>
> Questo, allora, è anche il modo in cui la politica irachena
> dell'Amministrazione Bush si inserisce nello schema più ampio della sua
> politica estera. Certo, esistono preoccupazioni legittime sulle capacità

di
> armamenti di Saddam come sulle droghe prodotte in Colombia. Ma, in

entrambi
> i casi, nel coinvolgimento americano c'è di più di quanto

l'Amministrazione
> Bush non dica.
>
> E non si tratta solo di Saddam Hussein. In un senso più ampio, la politica
> Usa mira a rafforzare l'affidarsi dell'economia mondiale al petrolio - e a
> un sistema energetico il cui garante sono gli Stati Uniti.
>
> Naturalmente, la disponibilità di petrolio a buon mercato indebolisce gli
> sforzi per sviluppare fonti di energia rinnovabile, aumentare l'efficienza
> energetica e controllare le emissioni di gas serra.
>
> Fin dal principio, queste sono state ragioni impellenti in sé e per sé per
> porre fine all'epoca del petrolio.
>
> E c'è un'altra ragione impellente: dalla fine del XIX° secolo, sono state
> combattute troppe guerre, troppi milioni di persone sono morte e troppe
> regioni del mondo sono state militarizzate e destabilizzate - tutto alla
> ricerca dell' "oro nero".
>
> L'enfasi dell'Amministrazione Bush sul petrolio tiene la politica estera
> Usa in ostaggio di una fonte energetica che è, molto semplicemente, quella
> sbagliata.
>
> Nessuna guerra è davvero buona. Ma una guerra combattuta per il petrolio -
> che è il motivo essenziale dell'avventura irachena - è peggio, perché
> rafforza una politica energetica che porterà a più guerre e problemi
> ambientali. Adesso è il momento di dire "no" al petrolio - e alla guerra
> per il petrolio.
>
> MEDIA CON L'ELMETTO - LA ITN E LA GUERRA ALL'IRAQ
>
> Non si può mai sottolineare abbastanza il ruolo cruciale che giocano i
> mass-media nel preparare l'opinione pubblica ad accettare se non
> addirittura a sostenere la guerra.
>
> Anche la Gran Bretagna, patria presunta del giornalismo "obiettivo", non

fa
> eccezione, anzi. Solo che qui i meccanismi sono assai sofisticati e
> destrutturarli non è facile.
>
> E' il servizio - davvero impagabile - che svolge Media Lens: un Media

Watch
> - ovvero un osservatorio sui media - on line, gestito con grande passione,
> e soprattutto competenza, da volontari, che tiene sotto tiro soprattutto i
> media cosiddetti "liberal", o presunti tali - come i quotidiani Guardian e
> Independent, il settimanale Observer, e persino la tanto celebrata BBC -
> smontandone appunto i sofisticati meccanismi di manipolazione.
>
> Da quando i tamburi della guerra all'Iraq hanno iniziato a rullare, il

sito
> ha dedicato numerosi Media Alert al ruolo dei media e alla loro
> responsabilità - nella manipolazione dell'opinione pubblica.
>
> Il contributo che segue - che pubblichiamo nella traduzione italiana - è
> uscito il 19 dicembre 2002.
>
> Messaggio dall'America - La ITN dichiara guerra all'Iraq
>
> Qualunque idea residua secondo la quale abbiamo un sistema dei media

libero
> e indipendente si sta certamente volatilizzando sotto il gran peso delle
> prove che emergono mentre Stati Uniti e Gran Bretagna manipolano e
> ingannano il loro cammino verso una guerra per il controllo del petrolio
> iracheno.
>
> Prendiamo il servizio incredibile di stasera nelle news delle 18.30

sull'ITN.
>
> La conduttrice - Katie Derham - ha aperto il servizio sull'Iraq,

dichiarando:
>
> "Saddam Hussein ha mentito alle Nazioni Unite e il mondo è un passo più
> vicino a una guerra con l'Iraq. Questo è il messaggio stasera

dall'America,
> mentre il capo degli ispettori dell'Onu ha ammesso che nel dossier di
> Saddam sugli armamenti non c'è nulla di nuovo. La Casa Bianca ha

confermato
> poco fa che il presidente Bush sta ora andando velocemente verso un
> attacco." (19 dicembre 2002)
>
> Ancora una volta, il ruolo dei media è semplicemente quello di riferire il
> punto di vista del potere.
>
> Dato che le cose stanno così, il potere è libero di fare esattamente ciò
> che vuole: al pubblico verrà detto ciò che il potere ritiene giusto,
> sbagliato, buono e cattivo. Senza nessuna contestazione razionale,
> ignorando tutti gli altri punti di vista come non pertinenti, il pubblico
> non sarà in grado di contraddire il "messaggio dall'America".
>
> La Derham ha passato la parola al caposervizio esteri, Bill Neely, che ha
> chiesto: "Che cosa manca?" nel dossier iracheno sugli armamenti. Questa la
> risposta:
>
> "L'Iraq non dà conto delle centinaia di granate di artiglieria riempite di
> iprite che gli ispettori sanno che possedeva. L'Iraq in passato ha detto

di
> averle perdute!".
>
> Non c'è bisogno di mettere in discussione se queste granate mancanti
> vengono proposte in tutta serietà come motivo per lanciare una guerra
> imponente. Non c'è bisogno di mettere in discussione se l'uso di queste
> armi terrificanti - descritte dagli ispettori come armi di importanza
> minima sul campo di battaglia - potrebbe venire scoraggiato dalle 6.144
> testate nucleari degli Stati Uniti. Non c'è bisogno di mettere in
> discussione perché, se queste armi sono una minaccia così spaventosa, agli
> ispettori è stato permesso di andare e venire a loro piacimento in Iraq.
>
> Parlando sotto un grafico intitolato "Verso la guerra", il conduttore

della
> ITN, Nicholas Owen, ha detto:
>
> "Sembra che la questione non sia più se attaccheremo l'Iraq, ma quando e
> come. Quindi, che cosa succederà adesso? Qual è il percorso verso la

guerra?"
>
> Tutte le domande che potrebbero essere fatte da qualunque individuo
> ragionevole in questo momento critico possono essere allora lasciate
> tranquillamente cadere, con il giudizio che una guerra imminente è ora
> semplicemente un fatto concreto che deve essere accettato. Se i potenti
> hanno deciso una linea di azione, chi siamo noi per mettere in discussione
> o contestare ciò che hanno deciso di fare?
>
> Owen ha continuato:
>
> "A differenza dell'ultima guerra del Golfo, non esiste l'opzione di
> lasciare l'Iraq con Saddam Hussein ancora al potere. Questa guerra ci sarà
> e ci si sbarazzerà di Saddam, e questo messaggio arriva dall'alto."
> (Nicholas Owen)
>
> Ancora una volta, il "messaggio dall'America", questa volta dal presidente
> stesso, è: guerra!
>
> E così Owen dichiara la guerra una certezza e preannuncia la caduta di
> Saddam Hussein.
>
> Il lavoro dei media è semplicemente quello di trasmettere il messaggio:
> preoccupazioni razionali e morali non hanno interesse per la nostra libera
> stampa.
>
> Owen è passato poi a discutere "i rischi", sotto un titolo con le stesse
> parole, che indicavano la possibile necessità di combattimenti corpo a
> corpo nelle strade di Baghdad:
>
> "Un incubo di guerra urbana nel quale potrebbero esserci molte vittime .
> Una strategia rischiosa per qualunque presidente Usa in un paese che non è
> pronto ad accettare che i suoi soldati tornino a casa dentro sacchi di
> plastica."
>
> Immaginate se una grande superpotenza straniera stesse prendendo in
> considerazione combattimenti corpo a corpo nelle strade di Londra. Ben
> altri i rischi che potrebbero venire in mente.
>
> Ma, come in Afghanistan, gli orrori che ha di fronte una popolazione
> prigioniera schiava di un dittatore e nel mirino delle nostre bombe non
> sono una nostra preoccupazione.
>
> Quindi, l'inviato John Irvine, da Baghdad:
>
> "Stasera in News at Ten, parlerò dei problemi che qualunque forza di
> invasione potrebbe trovarsi di fronte in questo paese. Dopo la guerra del
> Golfo, gli americani hanno esperienza di combattimenti nel deserto. Ma
> questa volta il premio finale sarà diverso: la conquista di questa città,
> Baghdad."
>
> Si noti che Irvine, che si trova nella capitale bersaglio, in mezzo a una
> popolazione civile completamente schiacciata da guerre precedenti (ad
> esempio, dalle 88.500 tonnellate di bombe sganciate durante la guerra del
> Golfo: l'equivalente di sette bombe del tipo di Hiroshima) e da un

decennio
> di sanzioni genocide, può riferirsi a problemi solo ai problemi cui si
> troverà a far fronte una "forza di invasione".
>
> I problemi cui si troveranno a far fronte centinaia di migliaia di persone
> attorno a lui - come quello di restare mutilati, inceneriti e uccisi - non
> sono ora e non sono mai stati un tema per i nostri media.
>
> Sotto un grafico intitolato "Guerra contro Saddam", Owen ha proseguito:
>
> "Come ha detto, John ci dirà di più su una Guerra contro Saddam stasera
> nelle News at Ten."
>
> A poche ore dall'annuncio degli Usa di una "violazione sostanziale", anche
> mentre il ministro degli Esteri, Jack Straw, insiste ingannevolmente che
> ciò non significa automaticamente guerra, la ITN ha deciso, nella sua
> infinita sapienza, e servilità, che questa è adesso una "Guerra contro

Saddam".
>
> Infine, Robert Moore da Washington ha dichiarato:
>
> "La conclusione qui alla Casa Bianca, certamente, è che il presidente Bush
> ritiene che Saddam Hussein abbia perduto la sua ultima opportunità di
> salvare il suo regime."
>
> Perciò, con perfetta simmetria, il servizio è finito come era cominciato,
> con un "messaggio dall'America", dai potenti: l'unico messaggio che conta
> in un mondo dei media totalmente perduto nell'ignoranza, brutalità
> indifferente e servilità.
>
> IRAQ: IL PUNTO SULLE ISPEZIONI
>
>
> Le ispezioni sugli armamenti non convenzionali in Iraq sono iniziate il 27
> novembre 2002, dopo una interruzione di circa 4 anni. Gli ispettori

vennero
> infatti ritirati nel dicembre 1998, alla vigilia dell'operazione militare
> Desert Fox e da allora non erano più rientrati nel paese.
> Il 7 dicembre 2002 (con un giorno di anticipo sulla scadenza prevista

dalla
> risoluzione Onu 1441 (2002)) l'Iraq ha consegnato la dichiarazione sui

suoi
> programmi di armamenti: un dossier imponente, composto da oltre 12.000
> pagine, suddiviso in quattro parti: nucleare, chimico, biologico e

balistico
> Il 9 dicembre 2002 è stato reso pubblico un indice di 9 pagine
> Hans Blix, Direttore Esecutivo dell'UNMOVIC, e Mohammed El Baradei,
> Direttore Generale dell'IAEA, hanno fatto un rapporto preliminare al
> Consiglio di Sicurezza il 19 dicembre 2002.
> Il 28 dicembre 2002 l'Iraq ha consegnato una lista con i nomi di oltre 500
> scienziati che hanno lavorato ai suoi programmi di armamenti. La lista è
> attualmente all'esame di Blix e El Baradei che decideranno tempi, luoghi e
> modalità con cui essi dovranno essere intervistati.
> L'Iraq ha inviato una lettera a Hans Blix, invitandolo a recarsi a Baghdad
> "per fare un esame degli aspetti della cooperazione avuta sinora e delle
> prospettive per migliorarla nei mesi a venire".
> Blix ha accettato l'invito, dichiarando che approfitterà dell'occasione

per
> discutere alcune questioni che derivano dalla lettura del dossier

iracheno.
> La visita di Blix e El Baradei in Iraq potrebbe svolgersi fra il 18 e il

20
> gennaio.
> Attualmente (al 29 dicembre 2002) sono 110 gli ispettori dell'Onu presenti
> in Iraq: 100 dell'UNMOVIC e 10 dell'IAEA. Essi sinora hanno ispezionato
> circa 230 siti. Di recente è stato aperto un ufficio a Mosul, nel nord del
> paese.
> Prossime scadenze:
> 9 gennaio 2003: Data prevista per il rapporto finale di Hans Blix e
> Mohammed El Baradei al Consiglio di Sicurezza sul dossier iracheno.
>
> 27 gennaio 2003: Primo rapporto ufficiale al Consiglio di Sicurezza sui
> risultati delle ispezioni, secondo quanto previsto dalla risoluzione 1441
> (2002)
>
> (a cura di Ornella Sangiovanni)
>
> EX-MINISTRO ESTERI GB: GUERRA A IRAQ AUMENTERA' IL TERRORISMO
>
> Londra, 3 gennaio 2003 - La politica degli Stati Uniti in Medio Oriente è
> un esempio sbalorditivo di illusione, e una guerra contro l'Iraq potrebbe
> aumentare il terrorismo contro l'Occidente.
>
> E' quanto scrive l'ex ministro degli esteri britannico Douglas Hurd in un
> articolo pubblicato sul quotidiano Financial Times.
>
> Secondo Hurd, che è stato ministro degli esteri dei premier conservatori
> Margaret Thatcher e John Major dal 1989 al 1995, è necessario valutare

"gli
> indubbi benefici di un rovesciamento di Saddam Hussein contro il rischio

di
> trasformare il Medio Oriente in un serbatoio inesauribile di reclutamento
> per il terrorismo anti-occidentale".
>
> "Certo" - prosegue - "in una guerra Hussein verrebbe rovesciato e il suo
> programma di armamenti smantellato. Ma dopo di questo una analisi diffusa

a
> Tel Aviv e Washington predice che gli Arabi in tutta la regione sarebbero
> incoraggiati a sbarazzarsi dei loro leader non democratici , ad

abbracciare
> una democrazia di tipo occidentale e a fare la pace con Israele. Questa
> previsione mi colpisce come un esempio sbalorditivo della capacità umana

di
> illudersi".
>
> ANNAN: ATTACCO A IRAQ ADESSO INGIUSTIFICATO
>
> New York, 31 dicembre 2002 - Una azione militare contro l'Iraq prima che
> gli ispettori presentino il loro rapporto al Consiglio di Sicurezza

sarebbe
> ingiustificata. Lo ha dichiarato il Segretario Generale dell'Onu, Kofi
> Annan, in una intervista alla radio militare israeliana.
>
> "L'Iraq sta cooperando e gli ispettori sono in grado di svolgere il loro
> lavoro senza impedimenti, perciò non vedo argomenti a sostegno di una
> azione militare adesso", ha dichiarato.
>
> Fonti: Reuters, Associated Press
>
> WARREN CHRISTOPHER: COREA DEL NORD E TERRORISMO MINACCE PIU' GRAVI

DELL'IRAQ
>
> New York, 30 dicembre 2002 - La ripresa del programma nucleare da parte
> della Corea del Nord, assieme alla minaccia incessante del terrorismo
> internazionale, rappresentano una minaccia di gran lunga più grave di
> quella posta dall'Iraq. E' quanto afferma l'ex Segretario di Stato
> americano Warren Christopher in un articolo scritto per il New York Times.
>
> Secondo Christopher, che è stato Segretario di Stato dal 1993 al 1997 -
> l'esperienza dimostra che, contrariamente a quanto affermato di recente,

in
> politica estera gli Stati Uniti sono "cronicamente incapaci" di gestire

più
> di una crisi alla volta. Ne deriva che non potrebbero fare una guerra
> contro l'Iraq e mantenere il focus necessario sulla Corea del Nord e il
> terrorismo mondiale. Un attacco all'Iraq - scrive Christopher - farà
> passare in secondo piano tutti gli altri problemi di politica estera per


> almeno un anno.
>
> Certamente - prosegue - il mondo starebbe meglio senza Saddam Hussein, "ma
> dobbiamo riconoscere che lo sforzo per rimuoverlo adesso può distrarci
> dall'affrontare minacce più gravi". Quelle rappresentate dalla Corea del
> Nord e dal terrorismo internazionale sono più imminenti di quella posta
> dall'Iraq e presentano ragioni impellenti perché il presidente Bush

arretri
> dalla sua "fissazione" di attaccare l'Iraq.
>
> ONG INGLESI: GUERRA COLPIRA' I CIVILI
>
> Londra, 21dicembre 2002 - "E' difficile immaginare come si potrebbe fare
> una guerra contro l'Iraq senza violare il diritto internazionale

umanitario
> e aumentare le sofferenze fra la popolazione civile".
>
> E' quanto scrivono i direttori del British Overseas Aid Group, una
> coalizione di cinque ong britanniche che lavorano nel campo

dell'assistenza
> umanitaria, in una lettera pubblicata sul quotidiano Financial Times.
>
> Ricordando che l'articolo 54 del Protocollo Addizionale 1 alle Convenzioni
> di Ginevra proibisce gli attacchi a "oggetti indispensabili alla
> sopravvivenza della popolazione civile", e che nel caso dell'Iraq, per la
> sua particolare situazione provocata da 12 anni di sanzioni, questi
> comprendono porti, strade, ferrovie e linee elettriche, essenziali per la
> distribuzione per la distribuzione dei viveri da cui dipende una gran

parte
> della popolazione, essi invitano a considerare "le conseguenze di

qualsiasi
> azione militare" dal punto di vista delle vite dei civili.
>
> Fanno parte del British Overseas Aid Group Action Aid, CAFOD, Christian
> Aid, Oxfam, e Save the Children.
>
> OIL FOR FOOD: PIU' CONTROLLI SULLE IMPORTAZIONI
>
> Inasprite le sanzioni all'Iraq. Il 30 dicembre 2002 il Consiglio di
> Sicurezza ha approvato una risoluzione che amplia la lista delle merci
> (GRL) la cui importazione da parte dell'Iraq richiede l'approvazione

dell'Onu.
>
> La risoluzione 1454 (2002) è stata approvata con 13 voti a favore e due
> astensioni: quelle della Russia e della Siria.
>
> L' ampliamento della GRL entro 30 giorni era la condizione che aveva
> convinto Stati Uniti e Gran Bretagna a votare la proroga di sei mesi del
> programma Oil for Food il 4 dicembre scorso (vedi Notizie dal Ponte

23-24).
>
> Gli Usa, appoggiati dalla Gran Bretagna, avevano chiesto di aggiungere

alla
> GRL (che già comprende oltre 400 pagine) una cinquantina di articoli fra
> cui diversi medicinali come l'atropina, e attrezzature che potrebbero

avere
> "duplice uso" (civile e militare).
>
> La GRL è stata introdotta come parte delle nuove procedure entrate in
> vigore in base alla risoluzione 1409 (2002), approvata dal Consiglio di
> Sicurezza il 14 maggio 2002.
>
> Nota: Dal 1 gennaio 2003 sono entrati a far parte del Consiglio di
> Sicurezza 5 nuovi membri non permanenti: Germania, Spagna, Pakistan, Cile

e
> Angola.
>
> Questi paesi sostituiscono i cinque membri uscenti - Colombia, Irlanda,
> Mauritius, Norvegia e Singapore - che hanno terminato il loro mandato

biennale.
>
> LETTERA A UN GUERRIERO
>
> di Elias Amidon
>
> Baghdad, 22 dicembre 2002
>
> Elias Amidon è un pacifista di Boulder (Colorado), che si trova

attualmente
> a Baghdad assieme all'Iraq Peace Team.
>
> La lettera che segue - di cui pubblichiamo la traduzione italiana - è

stata
> scritta in risposta al messaggio inviatogli da un militare della US Navy,
> Terrence Graves, che diceva testualmente:
>
> "Sarei felice di unirmi alla vostra delegazione di pace in Iraq, appena
> riporteremo quella dittatura brutale all'età della pietra a furia di
> bombardamenti".
>
>
>
> Caro Terrence,
>
> sono lieto di apprendere che prenderesti in considerazione di partecipare
> alla nostra delegazione di pace: sei più che benvenuto. Tuttavia, le
> condizioni che poni mi sconcertano: non capisco come possiamo far tornare
> questa dittatura all'età della pietra a furia di bombardamenti senza
> colpire un gran numero di persone innocenti qui, e causare ferite che
> provocheranno ancora più violenza in futuro, avvelenando proprio quella
> speranza che vorresti portare alla delegazione di pace.
>
> So che la tua è la speranza di tante guerre: determinare le condizioni
> della pace, uccidendo coloro che, a nostro giudizio, la ostacolano. Lo hai
> espresso in modo molto conciso nella tua lettera di una sola frase. E se

io
> potessi essere convinto che questa tattica porterebbe davvero la pace e
> libererebbe il mondo da brutali dittatori, allora direi assieme a te: "Via
> con le bombe!".
>
> Ma non porta la pace. Porta sofferenza, rabbia, e morte, e semina le
> condizioni di più dittature, più guerre, più bombe.
>
> Tu sei in Marina. Forse sei su una di queste portaerei che sono nel Golfo
> pronte a lanciare attacchi aerei su questo paese. Immagina cosa accade
> quando quelle bombe e quei missili lucenti che vedi fissati sul fondo dei
> jet vengono sganciati sui cieli dell'Iraq, cosa accade quando colpiscono -
> diciamo anche quando colpiscono i loro bersagli designati, non quando

vanno
> a colpire aree civili come succede a molti di essi.
>
> Immagina che tu abbia dipinto a spray su uno dei missili: "Saddam, torna
> all'età della pietra!" e questo colpisca l'edificio del Ministero
> dell'Informazione qui a Baghdad, certamente un bastione della dittatura
> brutale.
>
> Immagina quel momento. Fuori, vicino all'ingresso, c'è un bambino di otto
> anni: si chiama Ahmed. Lucida le scarpe per aiutare la famiglia a tirare
> avanti in questi tempi difficili. Potrebbe essere tuo figlio.
>
> Ha questi occhi profondi: li hai visti. Il missile si schianta contro il
> lato nord dell'edificio - è il momento in cui l'immagine sulla CNN dal
> mirino del missile scompare, e milioni di telespettatori negli Usa
> avvertono un piccolo sussulto di orgoglio nazionale per la nostra
> sorprendente mira esatta, la nostra tecnologia chirurgicamente accurata.
>
> Ahmed, che è seduto vicino all'ingresso est sulla sua latta di pittura
> vuota, guarda in su, giusto in tempo per ricevere in faccia una raffica di
> detriti. Viene gettato all'indietro e misericordiosamente perde i sensi
> battendo la testa sul selciato. Lo trovano sotto le macerie circa un'ora
> più tardi e lo portano in un ospedale sommerso di vittime. E' cieco, un
> lato del volto bruciato dall'esplosione, e gli manca un piede. Ma è vivo,
> in un modo o nell'altro, in un modo mozzato, molto più indietro dell'età
> della pietra. Potresti vederlo fra qualche anno nelle strade di Baghdad,
> quando verrai qui per quella delegazione di pace. Metti dei dinari nel suo
> bicchiere di carta.
>
> Terrence, come senti sono aspro, e per questo ti chiedo pazienza. Ho
> vissuto quasi 60 anni, e in questo periodo il mio paese, il mio grande

caro
> paese i cui principi fondatori io sottoscrivo con tutto il cuore, ha
> perseguito politiche estere fondate più sul sospetto, sulla dominazione, e
> sulla violenza che sull'intelligenza o sulla benevolenza.
>
> La nostra nazione è sommamente potente tramite la sua forza militare, ma è
> potente dal punto di vista morale?
>
> Sono cresciuto credendo che il nostro paese sostenesse "libertà e

giustizia
> per tutti".
>
> Chiedi in giro: è questa l'impressione che la maggioranza della gente nel
> mondo ha oggi degli Stati Uniti d'America?
>
> So che la risposta comune alle storie degli "Ahmed" è che essi sono i

danni
> collaterali sfortunati di una guerra necessaria che alla fine salverà più
> vite.
>
> Quando le venne chiesto dei 500.000 bambini che, secondo stime dell'Onu,
> erano morti come diretta conseguenza delle sanzioni all'Iraq, l'ex-
> Segretario di Stato Madeleine Albright rispose in modo famoso: "Ne vale la
> pena".
>
> Che strano calcolo è questo? Cinquecentomila Ahmed! Non può essere
> descritto come genocidio?
>
> Ci meravigliamo che qui la gente consideri che gli Stati Uniti dettano
> legge brutalmente sulle loro vite?
>
> Ieri notte abbiamo fatto una veglia a lume di candela in una centrale
> elettrica qui a Baghdad. Eravamo circa 60, tutti con le candele in mano, i
> nostri volti belli nella luce tremula. Sembrava una rappresentazione
> natalizia.
>
> Con noi c'erano i nostri tassisti e i lavoratori della centrale: questi
> uomini coi baffi che tenevano davanti a sé le candele come bambini,
> guardando nel buio.
>
> In piedi vicino a me c'era una madre irachena con tre bambini. Si chiamava
> Amara. Ha partorito il maggiore dei suoi figli durante i bombardamenti di
> Baghdad nel 1991.
>
> I giornalisti là radunati le spingevano di fronte quasi una dozzina di
> microfoni mentre lei balbettava in inglese sgrammaticato: "Per favore,

dite
> al governo americano, per favore, basta bombe. Basta bombe. Vogliamo

vivere
> in pace."
>
> Terrence, non mi aspetto di cambiare il tuo punto di vista con queste

poche
> parole, ma sono grato per l'opportunità che il tuo messaggio mi dà di
> esprimere ciò che ho nel cuore.
>
> Sono qui in Iraq per dar voce agli Ahmed e alle Amare, almeno per evocare
> le loro immagini nelle nostre menti così che riconosciamo che queste sono
> persone reali le cui vite sono preziose come le nostre.
>
> Credo che tu, come guerriero, e tutti i tuoi colleghi nell'esercito, e
> tutti i nostri concittadini e concittadine, dobbiate costantemente tenere
> questo fatto nella mente e nel cuore, sia che vogliamo fare la pace che la
> guerra.
>
> Tu puoi dire che questo è un bel sentimento e che sei perfino d'accordo,

ma
> che non è pratico per affrontare il male. Penso che qui è il nostro punto
> di maggior disaccordo: non nel nostro comune desiderio di pace, ma su come
> seminare i semi reali di una vera pace.
>
> Tu dici che questi semi sono le bombe. Io dico che abbiamo provato a
> seminarle e il raccolto non c'è mai.
>
> E se, invece di finanziare più bombe, i bravi cittadini del nostro ricco
> paese decidessero di destinare, diciamo un terzo (circa 120 miliardi di
> dollari) del nostro enorme bilancio militare ogni anno per aiutare a
> contenere l'AIDS in Africa, fornire acqua pulita e cibo adeguato ai

bambini
> del mondo, e creare scuole, università e ospedali in tutto il mondo?

Questo
> non creerebbe una base più stabile per la nostra sicurezza come nazione?
>
> Se offrissimo di finanziare le Nazioni Unite al livello necessario? Se
> promuovessimo scambi di studenti e cittadini fra tutti i paesi, in modo

che
> attraverso i contatti diretti fra le persone la paura di coloro che sono
> diversi da noi svanisse? Se smettessimo di inondare il mondo di armi
> pericolose, e lavorassimo attraverso le Nazioni Unite e altri organismi
> internazionali per sradicare le armi di distruzione di massa dagli

arsenali
> di tutte le nazioni?
>
> Se sostenessimo in ogni modo possibile la Dichiarazione Universale dei
> Diritti Umani, la Carta della Terra, e tutte le risoluzioni dell'Onu? Se,
> invece di dominare il mondo con la paura, lo guidassimo con l'ispirazione?
>
> Azioni come queste farebbero di più per garantire la nostra sicurezza di
> tutte le guerre che potremmo tentare. Naturalmente, ci sarebbero ancora
> prepotenti e dittatori da contenere e armi da smantellare.
>
> Noi, assieme alla grande maggioranza delle nazioni del mondo,

affronteremmo
> questi problemi con tutti gli strumenti diplomatici e non violenti a

nostra
> disposizione. Nel far questo avremo aiutato a trasformare tutto il

contesto
> in cui la comunità delle nazioni lavora assieme per il bene comune.
>
> Diventeremmo l'amico, il buon vicino, dei popoli del mondo. Sicuramente ne
> vale la pena.
>
> Coi i migliori saluti, e in pace
>
> Elias Amidon
>
>
>
> AL CAIRO CONFERENZA INTERNAZIONALE CONTRO LA GUERRA
>
> Si è svolta al Cairo il 18 e 19 dicembre 2002 una conferenza

internazionale
> contro la guerra all'Iraq.
>
> Alla Conferenza, dal titolo "Campagna Internazionale del Cairo contro
> l'aggressione all'Iraq", hanno partecipato varie personalità

internazionali
> fra i quali l'ex-ministro della giustizia Usa, Ramsey Clark, gli
> ex-coordinatori umanitari in Iraq, Denis J. Halliday e Han von Sponeck, e
> il parlamentare laburista britannico George Galloway. Molte le personalità
> anche dall'Egitto e dal mondo arabo, fra cui l'analista politico Mohammed
> Hassan Heikal, l'economista Samir Amin, il parlamentare arabo-israeliano
> Azmi Bishara e il leader algerino Ahmed Ben Bella, che ha presieduto i

lavori.
>
> La conferenza è stata organizzata dalla Egyptian Popular Campaign to
> Confront US Aggression (EPCCUA) e finanziata interamente con contributi

non
> governativi, provenienti da uomini d'affari egiziani.
>
> La Egyptian Popular Campaign to Confront US Aggression (EPCCUA) è una

vasta
> coalizione di attivisti e intellettuali egiziani creata alcuni mesi fa.

Fra
> i suoi fondatori l'ex-funzionario delle Nazioni Unite e oggi docente
> universitario Ashraf El Bayoumi.
>
> BAMBINI IRACHENI: CARTOLINE DI NATALE A BLAIR CONTRO LA GUERRA
>
> Londra, 24 dicembre 2002 - Sette bambini iracheni hanno consegnato al

Primo
> ministro britannico Tony Blair delle cartoline di Natale giganti
> chiedendogli di non fare una guerra all'Iraq.
>
> Le cartoline - sulle quali erano una foto di un bambino iracheno ferito e
> le frasi "Non attaccate l'Iraq" e "Date una possibilità alla pace" -
> contenevano migliaia di messaggi e firme di cittadini britannici contrari

a
> un sostegno del loro paese alla posizione di Bush contro l'Iraq.
>
> Ai bambini iracheni, di età compresa fra gli 8 e i 15 anni, si sono uniti
> due fratelli egiziani e un ragazzo palestinese.
>
> L'iniziativa è stata organizzata dalla Stop the War Coalition.
>
> DELEGAZIONI RELIGIOSE USA IN IRAQ CONTRO LA GUERRA
>
> Una delegazione di leader religiosi cattolici americani è stata in Iraq
> nella seconda metà di dicembre per portare un messaggio di pace e fare
> appello ai propri concittadini perché non permettano che venga fatta una
> guerra.
>
> La delegazione, composta da 11 membri, fra cui il direttore nazionale di
> Pax Christi Usa - David Robinson - ha celebrato una messa nella Chiesa
> Caldea di S. Giuseppe a Baghdad, alla quale hanno assistito circa 200

iracheni.
>
> In un messaggio letto durante la funzione, e rivolto "a tutte le persone

di
> buona volontà negli Stati Uniti", i leader religiosi hanno implorato i

loro
> compatrioti " di guardare negli occhi gli iracheni ... gente che condivide
> le nostre speranze e i nostri sogni per un mondo di pace [che] ... ha
> sofferto negli ultimi dodici anni sotto le sanzioni più totali della

storia
> moderna [e] che il nostro governo si prepara a sacrificare come 'danni
> collaterali' in una guerra irragionevole", invitando "le persone di buona
> volontà" a insistere perché "il nostro governo ponga fine a questa pazzia

e
> si impegni in un percorso di risoluzione attiva non violenta."
>
> A questa delegazione ne è seguita un'altra, organizzata dal National
> Council of Churches (Usa) e guidata dal suo Segretario Generale Bob Edgar.
> La delegazione, arrivata a Baghdad il 30 dicembre e composta da 12 membri
> fra leader religiosi ed esperti, ha avuto numerosi incontri e ha visitato
> scuole e ospedali per avere informazioni di prima mano sugli effetti delle
> sanzioni. "La guerra può essere evitata": questo il messaggio al

presidente
> Bush lanciato in una conferenza stampa prima della partenza.
>
> Il National Council of Churches è l'organo che guida la cooperazione
> ecumenica fra i cristiani negli Stati Uniti.
>
> Fonti: Agence France Press, Reuters
>
> LETTERA A BUSH E ALTRI LEADER MONDIALI CONTRO UNA GUERRA ALL'IRAQ
>
> Più di 300 singoli e organizzazioni hanno inviato una lettera indirizzata
> al presidente americano Bush e ad altri leader mondiali - fra i quali il
> presidente russo Putin, il Primo Ministro britannico Blair, il Presidente
> francese Chirac, e il Cancelliere tedesco Schroeder - esortandolo a

evitare
> una guerra contro l'Iraq.
>
> La lettera - firmata da pacifisti, ambientalisti, militanti anti-nucleari

e
> politici da circa 40 paesi e dai cinque continenti - chiede a Washington

di
> non lanciare un attacco preventivo contro l'Iraq, che sarebbe privo di

basi
> nel diritto internazionale, e di cercare una soluzione pacifica al suo
> scontro con l'Iraq attraverso le Nazioni Unite.
>
> Essa afferma inoltre che gli stati che possiedono armi nucleari, in
> particolare gli Stati Uniti, devono smantellare i propri arsenali prima di
> affrontare le armi di distruzione di massa di altri paesi.
>
> Il documento, inviato il 25 novembre 2002, due giorni prima della ripresa
> delle ispezioni sugli armamenti in Iraq, è stato firmato fra gli altri
> dalle organizzazioni internazionali International Physicians for the
> Prevention of Nuclear War (IPPNW), Women's International League for Peace
> and Freedom (WILPF), International Association of Lawyers Against Nuclear
> Arms (IALANA), World Conference of Religions for Peace (WCRP).
>
> Fra i firmatari anche diversi parlamentari, fra cui 4 deputati laburisti
> britannici e gli italiani Luisa Morgantini (europarlamentare) e Mauro
> Bulgarelli (deputato dei Verdi).
>
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