Autore: Gaetano Bucci (by way of luca ruberti) Data: Oggetto: [Lecce-sf] da "il manifesto"
Giustizia, il coraggio delle riforme
Le aggressioni del governo hanno costretto Magistratura democratica sulla
difensiva. Nel congresso che si aprirà a fine mese occorre recuperare la
capacità di critica alle sentenze e alla gestione degli uffici.
E migliorare i rapporti con quanto si muove a sinistra
GIOVANNI PALOMBARINI
Il congresso nazionale di Md che si terrà a Roma dal 23 al 26 gennaio dovrà
misurarsi ancora una volta con la questione del rapporto politica-giustizia,
rilanciato in particolare, in occasione della sentenza di condanna del
senatore Giulio Andreotti, dalle dichiarazioni del presidente del consiglio
Silvio Berlusconi e da quelle di Piero Fassino. Il maggior partito di
opposizione ha poi presentato un pacchetto di ben 19 disegni di legge in
materia di giustizia, iniziativa che ha trovato ampi consensi in Forza
Italia. Il tema delle riforme è dunque attuale e delicato, anche perché
dietro tanti discorsi sulla loro necessità, accanto a discorsi pienamente
condivisibili (temporaneità degli incarichi direttivi, peraltro già
contraddetta dall'innalzamento senza correzioni dell'età pensionabile dei
magistrati a 75 anni; regolamentazione rigida degli incarichi
extragiudiziari; definizione di un nuovo sistema disciplinare con la
tipizzazione degli illeciti), affiorano proposte di contenuto generico o che
di riformista non hanno nulla. Per questo sarà necessario per Md un lavoro a
più facce: denunciare con fermezza i tentativi di restaurazione, sostenere
gli interventi legislativi di segno positivo, riproporre con pazienza altre
riforme vere, di efficienza e garanzia. Va però evitato che la questione
diventi assorbente, in quanto costituisce solo uno degli aspetti della più
ampia crisi, del diritto e dei diritti, che caratterizza la situazione. Per
quel che concerne appunto lo stato dei diritti e le relative prospettive non
vi è necessità di fare molti esempi: la vicenda dell'articolo 18 e del
"libro bianco" da un lato, la legge Bossi-Fini dall'altro, sono infatti
paradigmatiche in proposito. E con la devolution alle porte le prospettive
si fanno ancora più incerte.
Conviene allora partire da un'affermazione. La forma di stato più avanzata
che le lotte democratiche hanno fin qui prodotto è quella di una
costituzione, quella vigente, che stabilisce delle regole e pone dei fini -
di libertà, di realizzazione dei diritti, di superamento delle
diseguaglianze - all'insieme delle istituzioni. E' in quest'ambito che Md ha
potuto fare già negli anni sessanta la sua scelta di campo, proporre e
praticare la giurisprudenza alternativa, indire un referendum per
l'abrogazione dei reati di opinione, condurre grandi battaglie come quelle
per lo statuto dei diritti dei lavoratori, contro la legislazione
dell'emergenza, in favore del divorzio e dell'aborto, eccetera.
Ciò che è avvenuto nell'ultimo ventennio (dalla teorizzazione della nuova
governabilità all'abolizione della scala mobile, dall'introduzione del
maggioritario alla bicamerale, dall'aggressione all'indipendenza e alla
stessa legittimazione della magistratura fino al dilagare di logiche
liberiste) ha costituito un arretramento sostanzioso rispetto a quel livello
di conquiste. Non si tratta di un effetto inevitabile della modernità, come
qualcuno sembra pensare, ma di una conseguenza di una sconfitta storica del
movimento operaio e democratico, che tra l'altro ha determinato la scomparsa
di una sinistra politica capace di rappresentare quanto di sinistra c'è
nella società e nella cultura (a tal fine oggi non è evidentemente
sufficiente Rc, che infatti, consapevole di ciò, tenta di dare vita con il
movimento dei movimenti a un nuovo soggetto politico). In tale contesto sono
riaffiorate concezioni della democrazia formali, autoritarie e
centralizzanti. E' inevitabile prendere atto di ciò. Ma questo non vuol dire
che si debba arretrare rispetto al punto più avanzato delle conquiste (anche
di quelle che riguardano i diritti, ad esempio adeguandosi alla tesi
dell'eccessiva rigidità delle garanzie del lavoro); né che non esista più
una sinistra. Il problema è quello - detto in estrema sintesi - del come,
dove e con chi Md possa continuare a svolgere un ruolo coerente alla sua
storica scelta di campo, per la difesa della democrazia, per la
riaffermazione e l'estensione dei diritti, in una prospettiva di cambiamento
e di tendenziale realizzazione dell'uguaglianza. Allora, alcune
osservazioni. La prima. A fronte della crisi dello stato sociale di diritto
e del fallimento del più grande tentativo che sia mai stato fatto di
eliminazione dello sfruttamento e di organizzazione della società sulla base
del principio di uguaglianza, l'orientamento prevalente è quello di
rifugiarsi dentro mura più collaudate, di riferirsi a un concetto di
democrazia strettamente procedimentale essenzialmente basato sulla delega.
Un atteggiamento, questo, che contempla anche il principio che chi vince
ogni cinque anni le elezioni politiche decide tutto, con una necessaria
coerenza di tutte le istituzioni (compresa la magistratura). Questo
atteggiamento dev'essere rifiutato con fermezza.
La seconda. La destra non è al governo per caso, anche se non è vero che
abbia coagulato a proprio sostegno un blocco sociale (e prima o poi se ne
vedranno le conseguenze). Il fatto è che un atteggiamento culturale basato
sull'adesione a un liberismo senza regole mescolato a un populismo di stampo
peronista ha potuto affermarsi perché, anziché trovare contrasti a livello
di orientamenti ideali e di proposte adeguate ai problemi di una società in
profonda trasformazione, ha raccolto ampie adesioni anche in un fronte che
se una volta poteva definirsi di sinistra, ha poi progressivamente cambiato
natura. A ben vedere, i due poli che oggi si confrontano nel pubblico
dibattito, con non poche tentazioni neo consociative, non rappresentano come
comunemente si dice uno schieramento di centro-destra e uno di
centro-sinistra, con tutto quello che simili formule dovrebbero significare
in termini di valori espressi e interessi rappresentati (ma anche di
soluzioni istituzionali), bensì una destra e un aggregato neocentrista che
hanno in comune una concezione formale della democrazia. Tutto questo,
ovviamente, non può non avere riflessi importanti non solo sul futuro di una
serie di diritti vecchi e nuovi, ma anche sugli equilibri istituzionali e
sul ruolo del giudice. Un esempio? Se l'attuale maggioranza al tempo del
caso Taormina ha preteso di dettare ai giudici l'interpretazione corretta di
leggi e sentenze della corte costituzionale, quella precedente è andata
fuori dai gangheri quando alcuni tribunali hanno proposto questioni di
costituzionalità della legge Turco-Napolitano. E intanto i processi di
privatizzazione, in atto da tempo, vanno avanti nei settori più diversi:
anche il processo civile ne verrà probabilmente toccato, con una riduzione
del ruolo del giudice e delle possibilità di tutela delle posizioni più
deboli. Per non parlare del tema della pace. A parte ciò che già è avvenuto
nel decennio trascorso, appena a metà ottobre Massimo D'Alema, presidente
dei Ds, parlando nella riunione della direzione del suo partito, ha messo
apertamente in discussione la validità dell'articolo 11 della costituzione,
un pilastro della concezione della democrazia che ha sempre animato Md.
Di tutto questo Md deve prendere atto per poter definire i contenuti della
sua iniziativa. In realtà, le tematiche fin qui proposte non sono stati
assenti dalla riflessione interna a Md, e però non ne hanno coerentemente
ispirato la concreta iniziativa politica. Una serie di fatti certamente
gravi (dall'aggressione delle forze di governo all'autonomia, ma anche al
regolare funzionamento dei processi penali, dalla legge elettorale
maggioritaria per il rinnovo del Csm ai disegni di modifica all'indietro
dell'ordinamento giudiziario) hanno semiparalizzato le potenzialità di Md,
costringendone l'intervento nell'ambito di questi fatti. Anzi, per quanto
attiene più strettamente alla magistratura, si è fatta prudente anche la
critica alla giurisprudenza e alla gestione degli uffici. Evidentemente
c'erano e ci sono tutte le ragioni di unità interna per meglio difendere
l'indipendenza come momento essenziale di una democrazia basata sulla
diffusione del potere. Tutto ciò è stato però vissuto in modo esasperato.
Infatti. Su un versante, pur avendo prodotto analisi e teorizzazioni
importanti in tanti settori (si pensi ad esempio ai temi delle relazioni
industriali, del processo penale e dell'immigrazione), Md non è stata
presente con la sua forza nel vivo del conflitto politico-sociale. Da un
lato non ha saputo proporre all'esterno per la difesa e l'estensione dei
diritti progetti che favorissero significative convergenze, dall'altro a
tante iniziative che hanno giustamente avuto risonanza pubblica anche forte,
che hanno prodotto risveglio e mobilitazione, Md non è stata capace di
affiancarsi. Su un altro versante. Per effetto su scelte giurisprudenziali e
su prassi discutibili, il complessivo atteggiamento fin qui assunto - anche
la difesa dell'indipendenza - ha finito spesso per assumere agli occhi dei
cittadini i caratteri di una chiusura corporativa. Eppure, il punto più
avanzato raggiunto in materia di interpretazione è quello secondo cui la
costituzione, e in particolare il capoverso dell'articolo 3, costituisce la
stella polare per il magistrato; e non è possibile accettare l'idea che
l'interprete possa prescindere da tale indicazione, con il ritorno alla
concezione del giudice bocca della legge, né tantomeno adeguarsi ad
arretramenti, magari giustificati dall'esigenza di apparire imparziali.
Invece, nonostante quanto è avvenuto negli ultimi anni, da tempo mancano una
riflessione sullo stato della magistratura, sui suoi orientamenti culturali,
e una continuità nella critica di sentenze e prassi. Se la pur sorprendente
indagine aperta a Modica nei confronti di pescatori che avevano aiutato una
barca di migranti a prendere terra in Sicilia (con tanto di sequestro del
motopeschereccio) non ha sollecitato una particolare attenzione né ha
suscitato troppi commenti critici (ma qualcuno si è indignato), la clamorosa
inchiesta di Cosenza di metà novembre nei confronti di una delle componenti
del movimento dei movimenti, con l'utilizzazione di vecchi reati politici
del codice Rocco dei quali molti avevano dimenticato l'esistenza (e con il
ricorso a un'ingiustificata custodia cautelare), ha costretto tutti a
interrogarsi sugli orientamenti di pubblici ministeri e giudici, sui loro
criteri di interpretazione delle norme ordinarie, sul loro approccio al
rapporto ordine pubblico dato/libertà politiche. Le reazioni di Md sono
state prudenti e tardive. Allora, dove e con chi si può lavorare per la
critica dell'esistente e per la difesa e l'estensione dei diritti? C'è un
intero mondo, variegato ma di segno inequivocabilmente progressista (dal
punto di vista di Md), che si muove credendo che un'altra democrazia è
possibile, che un altro mondo è possibile. E' l'espressione di quanto c'è di
sinistra nella società e nella cultura.
Da Paolo Flores d'Arcais a Luca Casarini, passando per Lilliput e i Beati
costruttori di pace, Agnoletto e Rifondazione, Cgil e Cobas, Arci e Gino
Strada, Giulietto Chiesa e il manifesto, questa è l'area nella quale si
parla di pace, di difesa e rilancio di un diritto internazionale di
formazione e natura democratiche, di rifiuto della globalizzazione
neoliberista, di tutela dei diritti (compresi quelli dei migranti), di
libertà d'informazione, di tutela delle forme tradizionali e di quelle nuove
apparentemente autonome del lavoro subordinato. E' un'area con divisioni
profonde (basti pensare a quella fra chi ancora punta sul rilancio
dell'Ulivo e chi pensa a un nuovo soggetto politico); ma che, sia pure
faticosamente, tende a trovare momenti unitari di iniziativa(è avvenuto in
occasione delle lotte degli operai della Fiat), se non ancora di
coordinamento. Contatti più frequenti con questi soggetti consentirebbero a
Md di ragionare meglio sulla linea da adottare, sulle cose da fare. E poi di
instaurare finalmente rapporti più consistenti con un mondo al quale Md può
dare contributi importanti e dal quale può trarre linfa per le proprie
iniziative.