L'ADDIO A CAPONNETTO
Tanta gente in chiesa. Solo il governo era assente
di Simona Poli
Al funerale di Antonino Caponnetto non ci sono gli uomini del governo.
Nessuno, neppure un sottosegretario, porta il saluto dello Stato al giudice
che mise in piedi il pool antimafia dopo l´assassinio di Rocco Chinnici, nel
periodo più buio della storia di Palermo. «Dietro le nostre spalle allora
non c´era niente», ricorda Giuseppe Ayala entrando in chiesa, «noi eravamo
solo eredi dello sfascio più totale. Caponnetto seppe organizzare il lavoro,
dare fiducia, raggiungere risultati importanti. Adesso noi, anche se io con
minor merito degli altri, abbiamo degli eredi, ora le cose possono andare
avanti». Solo una corona di fiori da Roma, quella del presidente della
Camera Casini, appoggiata a una parete accanto a quella mandata dalla città
di Palermo. Il rispetto dei colleghi magistrati è grande nel giorno
dell´ultimo saluto. «Il suo insegnamento lascerà dei semi molto forti», dice
Gherardo Colombo, «e non andrà perduto. Non so se sarà più o meno difficile
affrontare la mafia ma di certo chi lo vorrà avrà un grande punto di
riferimento». Sono in migliaia intorno alla bara arrivati da ogni parte
d´Italia, Firenze è calorosa con il suo giudice-simbolo che da anni la gente
era abituata a veder partecipare, sempre più debole e affaticato, alle
manifestazioni pubbliche sulla giustizia.
Di fronte alla basilica della Santissima Annunziata dove don Luigi Ciotti e
altri sacerdoti celebrano la messa per Caponnetto qualcuno stende un lungo
striscione con la scritta "grazie Nino", perché lui si faceva chiamare così,
per i più giovani e per i ragazzi delle scorte che lo accompagnavano nei
viaggi più lunghi era "nonno Nino". Una scorza tenera piena di una forza di
volontà granitica, capace di affondare il coltello della parola quando ce
n´era bisogno. «Non le mandavi a dire le cose tu - ricorda don Ciotti nella
lunga omelia - tenevi sempre gli occhi aperti per combattere l´ingiustizia
anche tra i "tuoi", in mezzo alla tua gente, e ti schieravi sempre dalla
parte dei più deboli». Da quale parte lo spiega quando dice «la giustizia
che ci lascia Gesù non è a buon mercato, non è una giustizia di facciata,
non un gioco di equilibrismo per sembrare giusti e invece sguazzare
nell´ingiustizia».
Prima di lui un prete di Rovigo, don Giuliano, scalda l´aria ricordando
«l´esempio di coerenza e di onestà che Caponnetto ha dato con la sua vita a
tutti noi, che ne avremo bisogno adesso che ci aspettano tempi cupi e prove
difficili». Il governo non c´è e non ascolta. Nelle prime file siedono il
capo della polizia De Gennaro, i diessini Chiti, Passigli, Ventura, Spini e
Massimo Brutti, il prefetto Serra, il sindaco Domenici, il presidente della
Regione Martini, il vicepresidente del Csm Virginio Rognoni, i magistrati
Silvia Della Monica, Ubaldo Nannucci, Margherita Cassano, Giovanni Salvi e
altri ancora (non Vigna, che preferisce far visita alla famiglia prima della
cerimonia, mentre il procuratore di Palermo Grasso è bloccato per motivi
familiari).
Per tutti loro parlano Ingroia, forse l´allievo prediletto, che prende
l´impegno «di non tradire la memoria di Caponnetto negli anni futuri come
lui disse che altri avevano fatto con la memoria di Falcone e Borsellino» e
il procuratore di Torino Giancarlo Caselli, in forma di preghiera: «Signore
concedi a noi di essere almeno un poco simili a Nino Caponnetto, miti nel
sorriso ma intransigenti nella volontà, rispettosi con tutti e mai disposti
ai compromessi, pronti a mettersi in gioco ma senza privilegiare nessuno.
Grazie Nino, grazie davvero».
da la Repubblica
http://itaca.netfirms.com/article_529.shtml