IMMIGRAZIONE - Frontiere in entrata, frontiere in uscita.
Intervista ad Antonella Patete, vincitrice del ''Premio Paola Biocca'' 2002.
''Nella gente ho notato indifferenza''
http://www.roma-intercultura.it/recensioni/comunicato68.htm
ROMA - Vedere con i propri occhi, per raccontarle, le frontiere in entrata e
in uscita dove gli stranieri di diverse etnie arrivano, per raggiungere
altre mete, spesso per non restare in Italia ma ripartire verso altri paesi
europei. Antonella Patete, autrice insieme a Stefano Galieni di "Frontiera
Italia" (Città Aperta edizioni), spiega così il suo desiderio di toccare con
mano il fenomeno migratorio nei suoi luoghi di snodo, nei varchi di
passaggio noti e quelli più nascosti, quasi invisibili. Uno dei reportage
contenuti nel volume, quello sul Salento, ha vinto il Premio Paola Biocca
2002.
Com'è nata l'idea di questo libro?
"Avevamo scritto un reportage a quattro mani, io e Stefano, per partecipare
al Premio Biocca 2001 (ma non vinse), dopo aver visto i primi esperimenti di
integrazione con i curdi a Badolato: si parlava addirittura del centro
storico ripopolato da loro. Una sera, in una chat, un ragazzo mi segnalò che
a Ventimiglia i curdi dormivano nel giardino comunale, per poi lasciare di
nuovo l'Italia, terra di passaggio verso il sogno dell'Europa: Francia,
Germania, Danimarca. Così abbiamo deciso di andare a Ventimiglia per vedere
questa 'frontiera in uscita'. È stato un lavoro dal basso, compiuto
scontrandoci con la materialità dell'esperienza. Abbiamo scoperto luoghi di
passaggio poco conosciuti: si sa cosa accade agli stranieri dopo e prima del
loro arrivo, ma delle frontiere si conosce poco, oppure se ne ha un'idea
enfatica; qualche anno fa, ad esempio, si parlava addirittura di premiare il
Salento per la sua accoglienza. Comunque il nostro lavoro non ha un taglio
scientifico: non siamo né giuristi, né tecnici, né sociologi; non abbiamo
voluto scrivere un'inchiesta ad ampio spettro, ma metterci in un punto per
guardare l'orizzonte. Gli spaccati non hanno la pretesa di essere esaustivi:
è come se avessimo affondato una spada nella terra".
Frontiere in entrata, frontiere in uscita: quali differenze hai notato?
"Le frontiere in uscita erano una novità per me: pensavo - come tanti - che
gli stranieri volessero consumare la loro presunta 'invasione' in Italia. Ma
non ho visto eserciti di immigrati: piuttosto, ho sperimentato che la
burocrazia incide nella carne di chi la vive. Non è affatto una zona grigia,
come noi pensiamo. Un esempio? Chi arriva in Italia chiedendo lo status di
rifugiato politico non può andare dove vuole, ma chiedere asilo solo nel
paese in cui approda. Se ne sceglie un altro, andarsene significa fuggire di
nascosto, nuovamente. Nelle frontiere in entrata, come Otranto, ho visto
carrette del mare e gommoni, pescherecci malridotti. Ad Otranto - frontiera
più visibile e nota - i pescatori mi dissero che solo un terzo degli
stranieri che si imbarcano arrivano a destinazione: esiste la realtà dei
cimiteri marini, di cui poco si parla. Dopo naufragi tragici, come quello di
Porto Palo di Capopassero (dove nel '96 morirono 283 persone), sono avvenuti
tanti micronaufragi. Gorizia è un'altra frontiera in entrata ma più grigia,
nascosta, dove si attraversa camminando a piedi un confine terrestre, quello
con la Slovenia. Tra il 2000 e il 2001 ogni mese un migliaio di persone
hanno compiuto questo percorso: è come se una carretta del mare fosse
sbarcata lì ogni 30 giorni".
Chi arriva si sente accolto?
"Dipende da cosa gli capita e da chi incontra: a Gorizia lo straniero in
entrata riceve un cambio di abiti, un altro può passare inosservato per l'
Italia e poi incontra la polizia che lo classifica come clandestino e gli
consegna il foglio di via entro 5 giorni; un altro chiede lo status di
rifugiato, oppure può essere rimpatriato immediatamente, tornando al punto
di partenza. La fiducia nel mondo occidentale spesso viene tradita e delusa,
così le aspettative che si nutrivano al momento della partenza".
La popolazione locale: puoi descrivere le loro reazioni agli arrivi degli
stranieri? Sono preparati a questa realtà?
"Nella gente dei luoghi di frontiera ho notato soprattutto indifferenza: le
persone non si sentono particolarmente minacciate. Se negli anni '90 i
turisti disertavano il Salento, dopo i ripetuti sbarchi di albanesi, ora non
è più così. Il Centro di permanenza temporanea (Cpt) gestito da don Cesare
Lodeserto a Otranto si trova sul mare: una struttura poliziesca a pochi
metri dalla spiaggia con tanto di cancelli, blindati e polizia, e di fronte
a loro i bagnanti. Ormai è normale per la popolazione, che non sente la
fobia degli sbarchi; questa compresenza non è ritenuta stridente o
contraddittoria. Comunque il Salento ha alle spalle una storia di
accoglienza, dopo lo storico sbarco, nel '91, di 20mila albanesi nel porto
di Bari: la popolazione ha aperto le case e li ha accolti, ma poi si è
passati dall'afflato a una fortissima sfiducia reciproca; gli albanesi si
sono sentiti sfruttati dal lavoro nero, gli italiani si aspettavano da loro
un maggiore impegno".
E le persone chiamate ad accogliere per legge o per scelta?
"Bisogna anzitutto chiarire la differenza tra i centri di accoglienza e i
Cpt, dove vige la detenzione degli stranieri. La Caritas diocesana di
Otranto, ad esempio, si è rifiutata di gestire un Cpt, affermando:
accoglienza sì, carcerieri dello Stato no. Diversa la posizione di
Lodeserto, che dichiara di poter condurre i Cpt - come il 'Regina Pacis' a
San Foca, vicino Lecce - in modo più umano, con una visione meno
burocratica. Tuttavia l'accoglienza è una questione di 'specialisti': forze
dell'ordine, politici (spesso di sinistra), gruppi ecclesiali e
volontariato. A Ventimiglia l'accoglienza è poco strutturata e la situazione
degli stranieri che attraversano la frontiera poco nota: loro cercano di
restare più invisibili possibile, per attraversare di nuovo il confine con
il treno o con le automobili. Nel Salento, definita 'terra di accoglienza',
al contrario sono stati aperti molti centri e la Chiesa è molto attiva su
questo fronte, anche se la realtà degli sbarchi è abbastanza mutevole".
Frammentazione e tensioni, quindi, nei centri di accoglienza?
"Non bisogna dimenticare che immigrazione significa anche business: la
gestione dei flussi e degli arrivi è anche economica, sia nei Cpt che nei
centri di accoglienza. Ma la situazione varia da un centro all'altro; a
Gorizia, ad esempio, c'è più accordo. Molte sono le Caritas impegnate, anche
i social forum. Tuttavia in generale non esiste un'accoglienza a braccia
aperte: ci sono persone che cercano di renderla più umana".(lab)