[CSSF] azioni positive

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Autor: Stefania Ventura
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Assunto: [CSSF] azioni positive
da Il Manifesto di oggi (normalmente non leggo il manifesto...)
Stefania Ventura


Azioni positive
SERGIO COFFERATI
Non penso che i contrasti o i conflitti tra i paesi si debbano risolvere mai
con la guerra. Credo nell'efficacia della politica e della diplomazia.
Ritengo decisiva la capacità degli stati e delle loro organizzazioni di
cercare pazientemente gli equilibri necessari e, ancor di più, di operare
per tempo per prevenire contrasti e conflitti. Non penso che la politica del
terrorismo si debba combattere con la guerra. Il terrorismo è follia perché
uccide gli inermi, a questa atrocità non si può rispondere con un'altra
atrocità che distrugge altre vite inermi. Il terrorismo non ha
giustificazioni, mai. Il terrorismo nuoce storicamente alle cause dietro le
quali vorrebbe nascondersi. Il terrorismo va combattuto senza tregua, con
gli strumenti della polizia, per prevenirlo e reprimerlo consegnando alla
giustizia i terroristi. Il terrorismo va combattuto con la politica, dando
prova concreta di volere e sapere combattere la povertà, le ingiustizie e le
diseguaglianze. Il terrorismo non ha giustificazioni ma il degrado, la
negazione della dignità delle persone, la povertà che uccide, possono
fornire terreno di coltura alla sua follia.

Tutti dovrebbero sentirsi impegnati nella costruzione della pace, di una
cultura per la pace. E' un impegno quotidiano che non può vivere solo quando
incombe la guerra, ma deve vivere sempre. Sono tante le azioni positive
necessarie e possibili, possono essere fatte da persone con responsabilità
istituzionali, politiche, economiche o da semplici cittadini. Possono
riguardare la creazione di un nuovo ordine nel mondo basato
sull'affermazione dei principi democratici, sulla lotta all'esclusione e
alla povertà, sull'affermazione dei diritti umani. Oppure, più modestamente,
possono essere atti di solidarietà verso i più deboli o scelte di
partecipazione alla costruzione di una forte e visibile cultura della pace e
di avversione alla guerra. Il 10 dicembre del 1948, l'Assemblea generale
delle Nazioni unite approvò e proclamò la Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo. E' forte e voluto il richiamo simbolico ai diritti nelle
manifestazioni che si terranno oggi in tantissime città italiane per la pace
per impedire che il nostro paese partecipi alla guerra annunciata contro
l'Iraq. Non bisogna rassegnarsi a considerare «inevitabile» questa assurda
ipotesi di guerra e nel contempo bisogna dare visibilità al sentimento di
repulsione verso la guerra che è proprio di milioni di cittadini. Nella
grandissima maggioranza degli italiani il rifiuto alla guerra, come
letteralmente previsto dalla Costituzione, è considerato un diritto
fondamentale. Quello di poter vivere in pace. Oggi, nella difesa di questo
diritto, si troveranno insieme tantissime persone diverse per cultura,
appartenenza, ceto, ed è questa diversità la forza maggiore del popolo
pacifista. Sergio Cofferati




Senza ritorno
ALEX ZANOTELLI
E'un momento grave questo per l'umanità. Forse uno dei suoi momenti più
gravi. Si tratta di vita e di morte per il pianeta, per la razza umana.
Questa assurda guerra all'Iraq diventa il simbolo di una scelta radicale di
fondo. Dobbiamo scegliere da che parte stiamo, se dalla parte della vita o
della morte. Non si può più barare. Il 20% del mondo è ormai deciso a
continuare a papparsi l'83% delle risorse del mondo. Anzi può assicurarsi
con le armi di continuare a farlo. Le armi servono oggi a garantire che
pochi possano continuare a papparsi quasi tutto a spese di molto morti di
fame. Solo lo strapotere delle armi può permetterci questo. Infatti
utilizzando l'11 settembre il complesso industriale militare americano ha
forzato il governo americano ad investire 500 miliardi di dollari in armi.
Bush ha già firmato giorni fa un bilancio della difesa di 378 miliardi di
dollari e l'Europa dovrebbe investire 250 miliardi di dollari. E' un'altra
maniera, questa, per rilanciare l'economia mondiale in recessione.
Secondo, gli Usa stanno rinnovando tutto l'armamentario atomico (60 miliardi
di dollari). Gli Usa affermano che useranno l'atomica ovunque i loro
interessi militari saranno minacciati. Terzo gli Usa hanno già stanziato 70
miliardi di dollari per la costruzione dello scudo spaziale. Quarto gli Usa
hanno già messo a parte 100 miliardi di dollari per la guerra contro l'Iraq
(gli esperti dicono che ci costerà circa 200 miliardi di dollari). Questa è
una macchina da guerra infernale per lottare contro il «terrorismo
internazionale». Ma dobbiamo pur chiederci: chi sono i terroristi? Non siamo
forse noi che costruiamo un folle arsenale per proteggere lo stile di vita
del 20% del mondo? E' stato lo stesso ministro della difesa americana
Rumsfeld a dirlo. Quando gli è stato chiesto cosa ritenesse vittoria nella
nuova guerra contro il terrorismo ha risposto che per lui sarebbe vittoria
se tutto il mondo accettasse che gli americani siano liberi di continuare
con il loro stile di vita. E gli americani sono disposti ad usare anche
l'arma atomica se i loro interessi vitali saranno minacciati.

Questa è follia collettiva ! Per questo dobbiamo dire un no categorico a
questa guerra. E' un momento di non ritorno. Altrimenti sarà la guerra
infinita. E' una questione morale ed etica per tutti (credenti e non). Non
può esistere una «guerra preventiva» (è importante l'editoriale dell'ultima
Civiltà Cattolica che bolla senza mezzi termini questa guerra).

Gli ingenti investimenti in armi tolgono risorse alla vita: con 13 miliardi
di dollari potremmo risolvere fame e sanità per un anno e per tutto il
mondo. Ma questo sistema uccide poi lo stesso pianeta il cui stato di salute
è già così precario! Questa guerra sarà un'altra botta ecologica
incredibile.

E la guerra nucleare resta una reale possibilità in questa guerra all'Iraq
(è il monito che ci viene rivolto da tanti scienziati!).

Insieme a tanti pensatori (René Girard, Bailey, ecc) ritengo che stiamo
attraversando la più grave crisi che l'homo sapiens abbia mai vissuto: il
genio della violenza è fuggito dalla bottiglia e non esiste più nessun
potere che potrà rimettervelo dentro. All'umanità rimane solo una scelta:
rendere tabù la violenza e la guerra. L'umanità ha fatto una simile
operazione con l'incesto che era praticato nelle antiche società. Quando
l'uomo vide che l'incesto faceva male alla razza umana lo ha reso tabù.
Penso che non ci resta che questo: rendere tabù la guerra e la violenza. E'
questo il salto di qualità che l'umanità è chiamata a fare. E' la scelta
della non violenza attiva come praticata da Gesù, Ghandi, Martin Luther
King.... È una scelta di civiltà. E' l'unica strada che ci rimane. Alex
Zanotelli





Il nostro diritto
GINO STRADA
Due mesi fa avevamo chiesto ai cittadini di dare un segno di pace per il 10
dicembre, nell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo. Avevamo chiesto di portare stracci bianchi, candele e bandiere di
pace nelle piazze delle nostre città, dei nostri comuni, per dire che non
vogliamo guerre nel futuro dei nostri figli.

Per tenere l'Italia fuori dalla guerra. E la guerra fuori dall'Italia.

Oggi, in Italia, sta succedendo qualche cosa di nuovo. L'iniziativa «Fuori
l'Italia dalla guerra», lanciata da Emergency, Libera, Rete Lilliput e
Tavola della Pace, è stata rigorosamente, scientificamente ignorata dai
grandi mezzi di comunicazione televisivi e della carta stampata. A volte,
quando frettolosamente ne è stata data notizia, se ne è travisato il
significato presentandola come una «manifestazione di protesta».

Eppure la censura, in questo caso, non ha funzionato. Né hanno funzionato le
stupidaggini dei vari «opinionisti» guerrafondai, pagati per trasformare
l'informazione in spot pubblicitario della guerra.

E' successo che le persone, i cittadini, hanno ripreso a parlarsi, a
interrogarsi sulla guerra e sulla pace, a comunicare gli uni agli altri il
disagio, l'angoscia - o più semplicemente la perplessità - per un mondo che
anziché progredire si ritrova, un'altra volta, sull'orlo di un conflitto che
sarà devastante per tutti.
Un mondo sul quale si proietta come un'ombra lo spettro di un conflitto -
l'attacco all'Iraq - che potrebbe allargarsi, e nel quale potrebbero essere
usati anche ordigni nucleari. Così, nonostante la censura, o forse proprio a
causa della censura, è scattato il passaparola: oggi in centinaia di città
si svolgeranno iniziative contro la guerra. Milioni di cittadini saranno
coinvolti, in questa gigantesca dimostrazione nonviolenta, esprimeranno la
loro voglia pace. Regioni, Province, Comuni, centinaia di scuole, centinaia
di associazioni di volontariato cattoliche e laiche, sindacali, centinaia di
migliaia di famiglie diranno oggi con noi no alla guerra.

Negli ultimi decenni, decine di conflitti hanno insanguinato il pianeta
producendo milioni di vittime e un enorme carico di disperazione e di
povertà. Nel terzo millennio ancora non riusciamo a mettere al bando la
guerra come mezzo di risoluzione dei nostri problemi. Perché? Perché non
siamo capaci di trovare strategie alternative?

Il mondo in cui viviamo non è un quel «villaggio globale» che molti si
ostinano a farci credere. Di villaggi, infatti, ce ne sono almeno due: il
primo, di medie dimensioni - conta solo un miliardo e duecentomila persone -
consuma l'83% delle risorse del pianeta. Di fronte a questo dato statistico
si passa oltre frettolosamente, si prosegue nella lettura. Invece
occorrerebbe rileggere la frase fino ad impararla a memoria, e a capirne il
senso, perché lì dentro c'è tutta la cattiva coscienza - e soprattutto il
crimine - del mondo sviluppato, civilizzato, democratico, libero.

Noi di Emergency, da cittadini di quel villaggio, crediamo sia un dovere
morale riconoscere che ai quattro aggettivi di cui sopra dovremmo mettere le
virgolette, per toglierle solo quando avremo risarcito e restituito il
maltolto. Perché noi consumiamo l'83% delle risorse di tutti, e siamo solo
il 20 percento della popolazione mondiale. E allora la nostra libertà e i
nostri lussi, il potere e il danaro che ostentiamo ogni momento, tutto
quello che abbiamo, insomma, è nostro, in buona parte, perché lo abbiamo
sottratto ad altri. Certo non siamo andati noi personalmente a rubare di
notte, ma è un fatto che nei Paesi dai quali importiamo frutti esotici per i
nostri party gli esseri umani muoiono a milioni.

Loro, abitanti del secondo villaggio - di dimensioni enormi, in cui vivono
quattro miliardi e settecento milioni di persone - sono nella situazione di
doversi spartire quel 17% delle risorse rimasto disponibile. Lì, in quel
villaggio, gli esseri umani nel terzo millennio muoiono di fame e di
malattie, di povertà e di guerre.

Riusciamo ancora, noi democratici, donne e uomini liberi, a capire che cosa
voglia dire morire di fame? Riusciamo a immaginare i mesi, i giorni, le ore
che precedono la morte di un uomo, quando la sua vita si spegne
semplicemente perché non ha nulla da mangiare? In quello sterminato
villaggio si muore di povertà, perché chi deve tirare avanti con un dollaro
al giorno spesso mangia poco e male, e vive in immondezzai, dove abitano
anche malaria e tubercolosi, e alla fine, per una ragione o per l'altra o
per tutte insieme, muore.

E si muore per le guerre. Conflitti tribali, sentenziano in molti, con il
disprezzo tipico degli ignoranti, «si ammazzano da sempre, sono dei
selvaggi».

Non ci meraviglia che ci sia tanta violenza dove la vita è misera, squallida
e umiliante per tutti. Stupisce, piuttosto, che i grandi media liberi e
indipendenti non facciano sapere ai cittadini che l'85% delle armi che
massacrano donne e bambini in quei conflitti provengono dai
rispettabilissimi paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell'Onu, che le vendono ai dittatori e ai macellai di turno.

La maggior parte dei conflitti oggi in corso, e di quelli cui abbiamo
assistito negli ultimi quarant'anni, sono stati incoraggiati, finanziati,
armati, e in qualche caso pianificati dall'uno o dall'altro di quei paesi
che insieme dovrebbero garantire «la sicurezza del pianeta».

Perché lo hanno fatto, e lo stanno facendo: libertà e democrazia, giustizia
e diritti umani? Non prendiamoci in giro, sappiamo tutti benissimo che lo
fanno per interessi economici, cioè perché in quei paesi c'è chi sulle
guerre guadagna enormi quantità di danaro.

Loro, le grandi lobby che decidono le scelte politiche, sono una
piccolissima parte del nostro villaggio, una specie di quartiere
residenziale molto esclusivo: famiglie potenti, padroni del petrolio e delle
armi, della finanza e dell'informazione, tanto per incominciare.

Hanno preso il potere in moltissimi paesi, a volte, dove sono riusciti,
perfino in modo «democratico», imbottendo i cittadini di false informazioni
per carpirne il consenso e il voto.

«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti»
afferma l'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del
1948. E' stata sottoscritta anche dall'Italia. E' davvero così, per gli
esseri umani che nascono nel 2003 sul pianeta Terra?

C'è giustizia nel mondo in cui viviamo, c'è solidarietà tra gli esseri
umani? Agiscono, come dovrebbero in base all'articolo 1 della Dichiarazione
universale, «gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza?»

Il 10 dicembre del 1948, poco dopo la fine di una guerra devastante, è stata
scritta la Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel preambolo,
l'assemblea generale dell'Onu considera il riconoscimento dei diritti umani,
uguali e inalienabili per tutti gli uomini, come «il fondamento della
libertà, della giustizia e della pace nel mondo».

La Dichiarazione universale è stato il tentativo di definire le regole del
nostro stare insieme, i diritti di ciascuno di noi, i valori da promuovere
perché l'orrendo massacro non avesse a ripetersi, mai più. Per cancellare
l'incubo dell'olocausto e di Hiroshima.

A 54 anni da quella Dichiarazione, non uno dei paesi firmatari può affermare
di averla rispettata.

Siamo convinti che le vittime civili siano la prima e forse l'unica verità
della guerra, e che l'alternarsi di governi e dittatori ne siano soltanto,
questi sì, effetti collaterali.

A cinquantaquattro anni da quella solenne Dichiarazione firmata e poi
calpestata, siamo arrivati a un punto critico. Dobbiamo ricostruire i
rapporti tra gli uomini sulla giustizia e sulla solidarietà. Altrimenti
saremo condannati alla autodistruzione, non ci saranno vincitori né vinti,
l'«esperimento umano» sarà fallito.

Praticare la Dichiarazione universale dei diritti umani è l'unico antidoto
per vincere il cancro della guerra che sta divorando il pianeta. E' il primo
dei compiti da scrivere nella nostra agenda, riuscirci è davvero nelle
nostre mani. Per questo stasera si riempiranno le piazze italiane. Basta
guerre, basta morti, basta vittime. Gino Strada



[Sono state eliminare la parti non di testo del messaggio]


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