[Cm-milano] sentenza integrale (il primo post non è riuscito…

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PRETURA DI MILANO; sentenza, 23-03-1989
Fatto e diritto. – Con rapporto datato 25 giugno 1988,
il primo distretto della polizia di Stato riferiva «ad
ogni effetto di legge» che il giorno 22 dello stesso
mese, verso le ore 16,45 personale dell’ufficio,
portandosi in c. Europa n. 12, nei pressi della sede
del consolato generale di Israele, constatava che una
ventina di giovani aderenti al «Fronte della gioventù»
avevano inscenato una manifestazione in favore del
«popolo palestinese», sedendosi per terra, in
prossimità dell’ingresso dello stabile, esponendo uno
striscione e distribuendo ai passanti un loro
volantino ciclostilato, a firma «Fronte della
gioventù».
Poiché la manifestazione non era stata preavvisata, i
manifestanti aderivano all’invito di sciogliersi, loro
rivolto dagli operanti, che tra coloro che avevano
manifestato individuavano, tra gli altri, il
segretario provinciale del «Fronte della gioventù»,
Valle Marco.
Esperite le indagini di p.g., il Valle era tratto a
giudizio con rito direttissimo ai sensi dell’art. 17
l. 152/75, per rispondere del reato di cui all’art. 18
t.u.l.p.s., quale promotore di riunione non
preavvisata in luogo pubblico. Nel corso del
dibattimento il Valle contestava ogni addebito,
assumendo che si era trattato non di manifestazione
collettiva, ma solo di volantinaggio, iniziativa,
quest’ultima, nemmeno decisa dal Valle stesso, in quei
giorni fisicamente impedito, causa la frattura di un
braccio. Venivano sentiti come testi il deputato del
Msi Staiti Di Cuddia e il funzionario della polizia di
Stato Pantaleo; terminata l’istruttoria
dibattimentale, le parti concludevano come da verbale.

In fatto, non pare al giudicante esservi dubbio alcuno
che venne tenuta, in corso Europa, davanti al
consolato israeliano, una sia pur piccola
manifestazione, con la partecipazione di non più di
quindici-venti giovani, che, mentre venivano
distribuiti i volantini ai passanti, utilizzavano un
megafono e – stando sui marciapiedi, senza
pregiudicare il flusso pedonale – esponevano uno
striscione di protesta nei confronti della politica
israeliana nei territori occupati (cfr. le
dichiarazioni, sostanzialmente collimanti, del teste
Pantaleo e dell’imputato).
Inoltre, nel manifestino che veniva distribuito (di
cui una copia è in atti), a firma, come si è premesso,
del Fronte della gioventù, si legge tra l’altro che la
politica israeliana non poteva essere accettata «...da
chi come noi ha sempre lottato perché fosse garantito
ad ogni popolo il diritto all’autodeterminazione...
Per questo ci siamo mobilitati nelle settimane scorse,
per questo siamo qui a manifestare oggi
pomeriggio...»: da ciò si desume inequivocamente che
la compresenza dei giovani manifestanti non è stata
affatto occasionale, ma programmata ed organizzata in
anticipo; che l’iniziativa è stata, appunto, del
Fronte della gioventù, unico firmatario del volantino,
ed è stata presentata come naturale proseguimento
della «mobilitazione» delle settimane prcedenti.
L’iniziativa di questa manifestazione non può che
essere attribuita al massimo esponente provinciale del
«fronte», cioè all’attuale imputato, che ha
presenziato personalmente alla riunione, cosa che
certo non sarebbe avvenuta ove avesse, per avventura,
dissentito sull’opportunità e sui contenuti
dell’iniziativa. È d’altra parte proprio la versione
data dal Valle, che ha creduto di dover attribuire ad
un estraneo alla sua organizzazione la promozione, in
via esclusiva, della riunione, ad essere chiaramente
inattendibile, ed a convincere ulteriormente del ruolo
attivo dell’imputato come promotore (eventualmente in
concorso con altri: ma questo è problema che resta
assorbito dalle conclusioni in diritto di cui infra).
Chiarito che vi fu riunione, che essendo in luogo
pubblico avrebbe dovuto essere preavvisata a mente
dell’art. 18 t.u.l.p.s. e dell’art. 17 Cost., che il
previo avviso non fu dato, neppure tardivamente (il
che, purtroppo, per difetto di rilevanza impedisce di
sollevare la questione di costituzionalità del termine
di tre giorni, prescritto dall’art. 18, eccessivo e
tale da limitare irragionevolmente l’esercizio di un
diritto costituzionale, irragionevolezza che emerge
evidente dal conronto della previgente disciplina
dettata dal t.u. del 1889, che fissava per l’avviso il
termine di un solo giorno prima della riunione), va
anche sottolineato che la manifestazione fu
assolutamente «pacifica», certamente non di «massa»
date le ridottissime dimensioni numeriche, ed anche di
breve durata. Peraltro, contrariamente a quanto opina
la difesa, l’avvenuto immediato scioglimento, a
seguito dell’ordine ricevuto, non ha carattere
assorbente in ordine alla punibilità del Valle,
perché, per chiare ragioni letterali, storiche e
sistematiche, la speciale esimente in tal senso
prevista dall’art. 18, 6° comma, l. p.s. si applica a
coloro che partecipino alla riunione che si tenga
nonostante il divieto del 5° comma, non ai promotori,
che in caso di omesso avviso sono punibili, come nella
fattispecie, con le sanzioni del 3° comma. Si impone,
quindi, per valutare correttamente il caso di specie,
una riflessione più ampia sulla ratio e sulla funzione
del preavviso.
Occorre premettere che coloro che prendono parte ad
una riunione possono essere idealmente suddivisi in
due categorie, i semplici partecipanti e i promotori.
Soltanto su questi ultimi grava l’obbligo di dare
preventivo avviso all’autorità di polizia, e la
relativa sanzione penale in caso di omissione. I
semplici partecipanti, invece, non sono mai punibili
se l’avviso è stato omesso, nemmeno se nella riunione
non preavvisata essi prendono la parola, consapevoli
dell’omissione (cfr. Corte cost. n. 90 del 1970 (Foro
it., 1970, I, 1858) e n. 11 del 1979 (id., 1979, I,
1105). La semplice partecipazione non è dunque in sè
illecita, diventando reato solo nell’ipotesi di
inottemperanza all’ordine di scioglimento; se tale
ordine non interviene, o non è dato nelle debite
forme, nessun reato è commesso dal partecipante.
A tali elementi, agevolmente ricavabili dalla
legislazione ordinaria, altri se ne sono aggiunti in
seguito ad un’attenta valutazione della portata e del
significato dell’art. 17 Cost. Indubbiamente, la
conseguenza più appariscente di tale norma
costituzionale è stata quella di aver cancellato
l’obbligo del preavviso per le riunioni in luogo
aperto al pubblico, lasciandolo sussistere solo per
quelle che si svolgono in luogo pubblico. Ma la netta
proclamazione del diritto di «riunirsi pacificamente e
senz’armi» ha condotto altresì a ritenere che la
libertà di riunione rilevi tanto nel diritto di
organizzare l’adunanza, che nel diritto di
parteciparvi, sicché una mancanza da parte dei
promotori non può ridondare in danno dei partecipanti,
titolari di eguale diritto costituzionale che essi
devono poter esercitare alle sole condizioni loro
richieste: «pacificamente e senz’armi». Ne deriva una
netta distinzione della figura della riunione in sé da
quella dei promotori, quali distinti centri di
imputazione giuridica. Ne consegue che l’eventuale
inadempienza dei promotori non può ripercuotersi
negativamente sui partecipanti incolpevoli, proibendo
l’esercizio di un loro diritto. In tal modo, la
discrezionalità del legislatore ordinario incontra
limiti ben precisi, dovendo la pena per l’omesso
avviso applicarsi esclusivamente a chi abbia in
qualche modo preso l’iniziativa della riunione. Ogni
diversa scelta legislativa sarebbe incostituzionale,
come risulta anche dalle citate sentenze della Corte
costituzionale n. 90 del 1970 e n. 11 del 1979.
Risulterà ora più chiara l’importanza della nozione di
«promotore»: se la stessa legge ordinaria non può
adottare qualsivoglia criterio per determinare il
soggetto che deve rispondere dell’omissione del
preavviso, a fortiori l’applicazione delle norme
positivamente determinate dalla legge deve essere in
armonia con i principî costituzionali e non può
comportare soluzioni estensive che con quelli
sarebbero antitetici, portando all’indebita
compressione di un diritto costituzionale. Ciò non
significa che la legge e l’interprete non si debbano
curare dell’effettivo rispetto della norma.
Indubbiamente, il promotore, dando preavviso, adempie
ad un preciso obligo imposto dalla stessa
Costituzione, e facilita l’attività di prevenzione
dell’autorità di polizia; ma, se il preavviso viene
omesso, non per questo l’autorità resta sprovvista di
mezzi per la tutela della sicurezza pubblica. Chi
esagera l’importanza del preavviso, dimentica che
sorge pericolo per l’ordine pubblico solo se la
riunione cessa di essere pacifica, tant’è che anche
secondo il tuttora vigente t.u. di epoca fascista, i
partecipanti alla riunione sono penalmente
perseguibili solo se rifiutino di sciogliersi.
La giurisprudenza, dopo meno recenti pronunce di segno
diverso (cfr. ad es. Cass. 20 marzo 1961, Zilianti,
secondo cui promotori sono coloro che per le loro
qualità personali o sociali «più intensamente sentono
i problemi che formano oggetto della riunione»), si è
da tempo attestata su posizioni più rispettose del
favor libertatis espresso dall’art. 17 Cost.,
affermando che promotore è colui che «provoca, fa
nascere, determina, ovvero dà inizio od impulso ad una
determinata azione», mediante una concreta «attività»
(così da ultimo Cass. 30 novembre 1977, Valcic, id.,
1978, voce Sicurezza pubblica, n. 11), anche se
tuttora non mancano indebiti ampliamenti della nozione
di promotore, non sempre adeguatamente distinta dalla
prova indiretta del già svolto ruolo di promotore.
Così, ad es., quando alcune decisioni definiscono
promotore anche chi «si attivi per la sua riuscita
ponendo in essere una concreta attività» (Cass. 7
luglio 1975, Mura, id., Rep. 1976, voce cit., n. 15),
in realtà, ad avviso del giudicante, sconfinano nel
campo della prova dell’avvenuta promozione, il
significato di quest’ultima parola essendo più
ristretto ed «indicando abbastanza chiaramente – come
si esprimeva Cass. 30 maggio 1903 (Shvelz, id., 1903,
II, 368) – chi dà moto, incominciamento, spinta,
vigore, eccitamento alla riunione, chi ne prepara e
predispone l’attuazione, e non già chi partecipa in
altro modo alla stessa o che contribuisce, in qualche
maniera, perché raggiunga il predisposto risultato:
costui non è promotore, potrà essere, al più,
cooperatore alla riuscita, ma questa parte non è dalla
legge considerata...».
È invece appena il caso di precisare che in materia di
riunioni in senso stretto, regolate dall’art. 18 t.u.,
nessuna rilevanza penale ha la figura del «direttore»,
equiparato invece al primo dall’art. 25 t.u. che
riguarda i soli cortei ed altre riunioni in movimento
(equiparazione, questa, alquanto dubbia sul piano
della costituzionalità, trattandosi comunque sempre di
riunioni costituzionalmente protette ex art. 17 Cost.,
ma che sul piano esegetico è ulteriore argomentazione
per escludere a contrario estensioni del concetto di
«promotore» ai comportamenti posti in essere dopo che
la riunione abbia avuto inizio).
Tornando alla fattispecie, alla stregua delle
risultanze di questa breve ricognizione dell’istituto
del preavviso, la cui importanza pratica (affermava il
Crispi al parlamento chiamato ad approvare l’omologa
norma poi trasfusa nelle leggi di p.s. del 1889:
«Certo che l’autorità pubblica non ha bisogno, per
tutto quello che si riferisce alla pubblica vigilanza,
al mantenimento della pubblica pace, di sapere
legalmente che una riunione debba tenersi.
L’ordinamento dei pubblici servizi è tale, e anche se
non fosse qual è, tale è lo stato attuale delle cose,
che sarebbe impossibile nascondere che in un dato
giorno si debba tenere una riunione...») e teorica (ad
es. per le riunioni elettorali, che sono riunioni
politiche per eccellenza, non vi è obbligo alcuno di
preavviso) è spesso fraintesa ed esagerata, viene da
chiedersi se veramente debba trovare sanzione penale
l’omissione del preavviso anche di «microriunioni»
(s’intende, pacifiche e senz’armi, secondo il precetto
costituzionale) come quella tenuta su iniziativa
dell’imputato.
Pare al giudicante che nell’attuale ordinamento la
pratica dei diritti, individuali e collettivi, vada
favorita il più possibile (fino al limite in cui non
vengamo compromessi interessi costituzionali di pari
rilevanza) se del caso con un’interpretazione
«adeguatrice» della normativa precostituzionale, che
nel caso particolare, come si è già accennato,
subordina l’indizione di riunioni al rispetto di un
termine eccessivamente gravoso, avuto riguardo anche a
leggi di epoca liberale; inoltre, sotto un profilo più
strettamente penalistico, occorre osservare che
l’obbligo del preavviso è posto dall’art. 18 a tutela
dell’interesse dell’ordine e della sicurezza pubblici.
Nei casi quindi in cui non vi sia e non vi possa
essere neppure in astratto, per ridottissime
dimensioni della riunione, alcuna lesione di tali
interessi, non pare giustificato punire chi promuove,
a scopo di lecita manifestazione del pensiero, una
riunione, che comunque, ove preavvisata, non potrebbe
per le sue caratteristiche e finalità, essere
proibita: in questo senso, del resto, si è già
espressa in passato, qualche decisione di merito (cfr.
ad es. Trib. Bergano 22 marzo 1967, id., Rep. 1967,
voce cit., n. 25) ed è da registrare anche una sia pur
antichissima sentenza di legittimità, vigente lo
statuto albertino (Cass. 13 dicembre 1894, Candela,
id., Rep. 1895, voce cit., n. 4, secondo cui la norma
che prescrive il preventivo avviso per le riunioni
pubbliche, contenendo una restrizione al diritto di
riunirsi garantito dallo statuto, non deve essere
interpretata rigorosamente).
Per le ragioni suesposte, il Valle va assolto con
formula ampia come al dispositivo.

E' sicuramente interessante il penultoimo capoverso
!!!!!

......... Partcolare, no? ;-))

Saigon




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