Auteur: Tuula Haapiainen Date: Sujet: [Cerchio] Da Libero Pensiero
La virtù dell'ipocrita
Don Chisciotte a Milano
Cantico del gallo silvestre
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IL FATTO
Sentenza di condanna per Andreotti. I media insorgono
contro una giustizia "ideologica".
La virtù dell'ipocrita
Nell'accezione marxiana "ideologia" non significa
soltanto falsa coscienza. Non è solo un velo di Maja
che impedisce di cogliere la struttura oppressiva
della realtà sociale. L'ideologia è l'equivalente
sul piano dell'immaginario collettivo di ciò che
a livello individuale è l'ipocrisia. Nascondendo
di fatto le dinamiche reali dello sfruttamento essa
infatti rende indirettamente omaggio alla virtù.
L'ideologo non dice insomma che le cose vanno bene
così come sono, ma argomenta in favore della realtà
effettivamente esistente dimostrando che questa realtà
è buona. Le ragioni che adduce sono delle buone ragioni
e pretendono, in quanto ragioni, un riconoscimento
universale da parte di tutti gli esseri razionali.
L'uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, la
terzietà dello stato di fronte al conflitto sociale,
l'autonomia della magistratura dall'esecutivo sono, ad
esempio, nell'ideologia liberale dello stato di diritto,
delle ottime e indiscutibili ragioni, quasi il disegno
dell'utopia di una convivenza pacifica tra uomini adulti
e responsabili. Se sono, appunto, "ideologiche" ciò
avviene, secondo Marx, perché queste buone ragioni
rendono irriconoscibile la disuguaglianza reale,
l'asservimento degli apparati istituzionali agli
interessi di una classe e la dipendenza della legge dai
rapporti di forza. Criticare l'ideologia non significa
allora rinnegare lo stato di diritto e tutti i valori
"borghesi" della libertà individuale, ma mostrare la
differenza che passa tra ciò che è enunciato e ciò che
quelle enunciazioni di principio mascherano. Se così non
fosse non si capirebbe perché mai Marx ed Engels
avrebbero potuto eleggere il proletariato rivoluzionario
ad "erede" della cultura borghese. Il comunismo aveva
dopotutto per loro il valore di una "r ealizzazione" di
ciò che la grande ideologia borghese affermava in modo
ipocrita.
Don Chisciotte a Milano
Ingenuo è chi crede alle favole. Le favole sono belle.
Ciò che l'ideologia liberale racconta dello stato di
diritto è straordinariamente bello: la maestà della
legge che protegge il debole e fa da insuperabile argine
alla tracotanza dei potenti, l'uguaglianza razionale
degli uomini e infine la giustizia, che è la più bella
tra le favole che gli uomini si siano mai raccontati.
L'ingenuità generosa dei magistrati che, in una breve
stagione, hanno messo a soqquadro l'Italia semifeudale
dei privilegi è consistita tutta nell'aver creduto che
questa favola potesse diventare realtà. Li si è chiamati
"toghe rosse" ma non c'è stato nulla di meno marxista
del loro atteggiamento. Prendevano infatti sul serio
l'ideologia, pensando che, appunto, non si trattasse
affatto di ideologia. Ritenevano il principio
dell'uguaglianza un principio effettivo, l'autonomia
dell'istanza giudic ante una vera indipendenza di
giudizio e si comportavano di conseguenza. Dalla sua
tomba, il vecchio Marx, al quale non difettava un certo
spirito cinico, deve essersi fatto matte risate. Ai suoi
occhi tutta questa agitazione in favore del principio
della legalità doveva apparire simile alla comica
frenesia con cui il vecchio Alonzo Chisciano, in arte
Don Chisciotte, imbevuto fino al midollo delle favole
narrate nei libri di cavalleria, si getta lancia in
resta contro i mulini a vento. Sappiamo tutti come si
conclude la vicenda umana del povero cavaliere della
Mancia. La realtà effettiva avrà la meglio sui suoi
nobili slanci e, alla fine di tante avventure, brucerà
i suoi libri cavallereschi morendo da buon cristiano
rassegnato.
Cantico del gallo silvestre
Risvegliarsi vuol dire fare i conti con la realtà.
I risvegli sono amari. Destarsi, per Leopardi, voleva
dire ripigliarsi "la soma della vita": "Il dì rinasce:
torna la verità in su la terra, e partonsene le immagini
vane". E infatti la questione all'ordine del giorno,
oggi, in un paese più che mai feudale, non è la
fantastica "legalità", ma, molto più realisticamente,
il suo limite. Si tratta di definire con precisione
i confini del suo dominio, identificando i soggetti ai
quali è consentito, a causa della loro potenza, del loro
prestigio e della loro ricchezza, una qualche forma di
aprioristica immunità, e quelli invece, che non avendo
voce in capitolo, devono rassegnarsi a subirne le
conseguenze. Soggetti sovrani (che fanno eccezione alla
legge) da un lato e soggetti "normati" (sulla cui carne
cioè la legge può imprimere il suo marchio) dall'a ltro.
Processabili e non processabili. La legalità torna ad
essere quello che sempre è stata: una ideologia che
maschera rapporti di forza. Marx, dalla sua tomba, oggi
non ride più. Non si può ridere, infatti, dell'ordinario
orrore dell'ingiustizia.