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La consulente di Clinton per l'Iraq, ora collaboratrice di Rumsfeld
«Vuole guadagnare tempo per produrre più armi»
Laurie Mylroie: lItalia stia attenta, è davvero nel mirino di Osama e del dittatore
14 novembre 2002
di Maurizio Molinari
corrispondente da NEW YORK
NEW YORK. Nel 1992 il presidente Bill Clinton la volle al suo fianco come consulente sull'Iraq e oggi svolge la stessa funzione per il capo del Pentagono Donald Rumsfeld: da dieci anni Laurie Mylroie scruta le mosse di Saddam Hussein per conto dei governi degli Stati Uniti. Di fronte all'annuncio dell'accettazione degli ispettori dell'Onu non si mostra sorpresa.
Come legge la decisione irachena di aprire le porte agli ispettori di Hans Blix?
«E' una decisione tattica da parte di Saddam Hussein per guadagnare più tempo possibile e quindi prolungare il programma iracheno di riarmo non convenzionale al fine di dotarsi di ordigni più efficienti e terribili, e quindi aumentare la propria capacità di ricatto».
Non crede che forse Saddam vuole collaborare con l'Onu?
«Saddam è molto abile. Forse farà trovare delle armi agli ispettori per nasconderne altre. Forse farà scoprire quelle che è in grado di ricostruire in fretta nei suoi laboratori segreti. Non credo che collaborerà fino in fondo, che consegnerà i suoi arsenali non convenzionali».
Quale accoglienza crede che riceveranno gli ispettori?
«Gli ispettori delle Nazioni Unite partiranno lunedì. Si troveranno di fronte un muro di gomma. Saddam dirà prima sì, poi no, poi ancora ni alternando aperture a rifiuti nel tentativo di imbrigliare la procedura delle ispezioni e quindi di impedire l'attacco da parte degli Stati Uniti».
Perché il Parlamento iracheno ha espresso rifiuto per la risoluzione e poi Baghdad l'ha accettata?
«Saddam alterna le mosse. Prima il Parlamento critica e respinge la risoluzione dell'Onu, poi l'ambasciatore all'Onu dice che sarà accettata. Si tratta di messaggi privi di alcun significato reale, non c'è alcuna sostanza, è solo melina. E' così che Saddam Hussein opera».
Con quale obiettivo?
«Quello immediato è di evitare l'intervento. Quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato all'unanimità e gli Usa hanno minacciato di lanciare l'attacco le sue opzioni si sono ridotte al minimo. Dunque adesso dice di accettare gli ispettori, ma questo non significa affatto che coopererà. Anzi, è l'inizio di una nuova fase nella quale farà resistenza all'infinito. Saddam Hussein non è un personaggio che sceglie chiaramente fra il bianco e il nero, vive in una zona perennemente grigia, basata su una strategia di inganno dell'avversario. Fra le poche cose certe ci sono la sua volontà di accumulare armi non convenzionali e i suoi legami con Osama bin Laden».
Eppure finora non sono emerse prove certe dei contatti fra Saddam e Osama...
«L'Iraq dal 1993 ha legami con Al Qaeda che sono culminati nell'attacco dell'11 settembre 2001. Anche se Bush e Cheney non lo dicono è questo il motivo per cui gli Stati Uniti hanno deciso di attaccarlo. Il nastro diffuso da Al Jazira è stata la prima dichiarazione fatta da Bin Laden da un anno a questa parte e contiene una minaccia diretta verso quei Paesi, compresa l'Italia, alleati degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo e disposti a partecipare alla campagna irachena. Il problema di fondo è che nessuno nell'amministrazione Bush ha voluto finora il coraggio di dire chiaramente quali sono i pericoli che incombono sui nostri Paesi, ovvero perché stiamo andando in guerra contro l'Iraq di Saddam».
Quali sono a suo avviso queste ragioni top secret?
«Il pericolo è che vengano condotti attacchi terroristici con armi batteriologiche. E' una minaccia molto, molto reale. La rete terroristica di Al Qaeda esiste ed è operativa, le armi batteriologiche esistono e sono nella mani di Saddam. La possibilità di azioni senza precedenti è alta. Non solo nei confronti degli Stati Uniti. Come ha detto Bin Laden, anche l'Italia potrebbe essere colpita».
Qual è a suo avviso l'obiettivo strategico di Saddam?
«Saddam seguirà senza fine il metodo del gioco del gatto con topo. Il suo scopo strategico però non è soltanto la sopravvivenza, ma la gloria. Non ha invaso il Kuwait per sopravvivere come leader ma per avere la gloria. E' un errore enorme ignorarlo. Il suo scenario è la Storia, vuole diventare l'uomo che risolleva l'onore dei popoli arabi dopo un millennio di declino. Per centrare l'obiettivo è disposto a distruggere come mai nessuno ha fatto prima di lui».