Bitter Fruits.
La futura guerra in Iraq monopolizza il dibattito. Se
ne parla sui media, sulla scia delle dichiarazioni di
Bush. Se ne discute in sede ONU, dove le potenze non
sembrano aver trovato un accordo. Certo, non è per
amore della pace se Francia e Russia cercano di
frenare le spinte belliciste yankee. La prima seguendo
la tradizione di De Gaulle, vorrebbe un'Europa
imperialista per proprio conto; la seconda -che non
esita a massacrare migliaia di ceceni- ha rapporti
economici molto stretti con l'Iraq.
Su queste basi, non è escluso che si trovi un accordo
per l'operazione militare, magari fondato su una
futura spartizione del bottino di guerra.
Ma anche se l'attacco all'Iraq fosse in prospettiva
lontano, ciò non cambierebbe i termini della
questione. Siamo in guerra, anzi dentro una guerra
permanente a difesa dell'occidente, del suo benessere
e dei suoi valori. Con la scusa della prevenzione del
terrorismo gli obiettivi si ridefiniscono di continuo.
E così pure le alleanze, gli equilibri tra le potenze.
Ogni singolo Stato, a seconda del momento, può
indossare i panni della "forza di pace" o quelli della
potenza guerrafondaia.
E' bene, quindi, che chi si oppone alla guerra non dia
credito a nessuno. Bisogna contrastare, ad esempio, la
retorica sull'Europa che deve essere autonoma dagli
americani, pesando di più a livello planetario. In
qualsiasi forma si presenti, tale discorso va
respinto. Va rifiutato se coincide con l'idea di una
cogestione dell'ordine mondiale tra USA e UE. Va
rifiutato, ancora, se muove dall'ipotesi di un'Europa
che risolva da sè le crisi internazionali.
Non solo. Nel lanciare una campagna contro la guerra e
contro quell'aumento delle spese militari che è il
portato della creazione di un esercito europeo,
occorre non farsi illusioni. C'è chi vuole un'Europa
sociale e dei diritti, che pratichi il disarmo
unilaterale. Tale prospettiva è irrealizzabile. Se la
costruzione europea si rafforza, diventando un
soggetto politico di prim'ordine, non può rinunciare
nè a dotarsi di cannoniere nè a portare avanti una
politica liberista.
Proprio l'illusione europeista diffusa in vari settori
del movimento, ci dice che dobbiamo compiere
un'autentica rivoluzione culturale. Abbandonando
quell'antiamericanismo che non solo non spiega la
situazione internazionale, ma ci spinge ad avere uno
sguardo superficiale sulla società americana,
impedendoci di apprezzare il movimento contro la
guerra statunitense, il più coraggioso, tacciato com'è
di essere un nemico interno. Di più, ci impedisce di
combattere l'imperialismo di casa nostra. Non ci fa
contrastare, quindi, gli storici che -seguendo quel
Montanelli che negava l'uso di gas tossici durante
l'aggressione all'Etiopia- rileggono in chiave
assolutoria il colonialismo italiano; nè ci spinge
all'indignazione quando i giornali invocano il
protettorato italiano sull'Albania o a combattere la
rimozione delle recenti gesta (stupri, torture) dei
soldati nostrani in Somalia.
Diciamolo chiaramente: anche l'Italia -con la sua
oscillazione tra europeismo e americanismo-
contribuisce a far assaporare ai dannati della terra,
agli/le sfruttati/e di tutto il pianeta, gli amari
frutti della "superiore civiltà occidentale".
DALLA PARTE DEI NEMICI INTERNI IN OGNI PAESE
CONTRO L'ESERCITO EUROPEO E LE SPESE MILITARI
Corrispondenze metropolitane
Firenze, 9 novembre 2002
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