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INCHIESTA
PARLA IL PRESIDENTE DELLA RAI, ANTONIO BALDASSARRE
«È TUTTO DA RIFARE,
MA CI VORRANNO 10 ANNI»
«Si indulge troppo sui fatti criminali. Vale per tutti. A cominciare da
Vespa. Rimpiango "La zingara"».
«Non sono soddisfatto della Rai, non mi piace Mediaset, e neppure le altre
televisioni europee. Ma, in confronto al resto, la Rai offre un prodotto
migliore. Non è la tivù che piace a me, ma è la migliore». Non ha peli sulla
lingua il presidente della Rai. Dimentica il suo aplomb di ex presidente
della Consulta, Antonio Baldassarre. Ed elenca i sassolini che ha nella
scarpa.
Presidente, cosa non va?
«Pensare che ogni trasmissione debba fare il massimo di ascolti».
Lei abolirebbe l'Auditel?
«Sì, ma serve ai pubblicitari».
Pensa a una Rai finanziata da soldi pubblici e basta?
«Rilevo che nei Paesi europei il servizio pubblico è pagato con soldi
pubblici. Solo in Italia, per qualcosa meno della metà, ricava denaro dalla
pubblicità. Ecco perché l'Auditel diventa un tiranno».
Perché, se non le piace questa televisione, non avete cambiato programmi?
«Lo faremo. Per questi primi otto mesi non abbiamo cambiato perché questo
palinsesto era stato deciso dal Consiglio precedente e c'erano contratti da
rispettare. Ma dal 2003 cambieremo».
Che cosa, per esempio?
«Tv dei ragazzi. Cominciamo su Raitre al pomeriggio e poi su Raidue fino
alle 19 con programmi per giovani».
Cambierete Cocuzza e la Vita in diretta, che indulge troppo al
sensazionalismo e alla morbosità?
«Il programma rimane, anche se non è tra i miei favoriti. Ma andrà corretto:
meno sensazionalismo, meno cronaca nera e superficialità, basta con certe
immagini, anche un po' morbose».
Quindi ha ragione Ciampi sul rischio di emulazione?
«Sì, si indulge troppo in televisione sui fatti criminali».
Vale anche per Bruno Vespa?
«Vale per tutti, a cominciare da Vespa. Alcune sue trasmissioni sono finite
nel mirino dell'Authority e nel nostro. I processi non si fanno in Tv. Il
Consiglio di amministrazione ha posto dei limiti. Le trasmissioni vanno
fatte con maggior rispetto delle persone».
Ma lei che poteri reali ha?
«Posso indicare princìpi, regole e limiti. Da solo e insieme al Consiglio».
E li esercita?
«Il 29 ottobre scorso ho preso carta e penna e ho scritto al direttore
generale una lettera perché intervenga sui vari direttori per evitare
espressioni di becero anticlericalismo in televisione».
Censura la satira?
«Macché satira. Solo in un caso si trattava di scenette comiche».
Beh, adesso però dovrebbe fare nomi e programmi.
«Senz'altro. Trasmissione di Morandi: scenetta dei tre comici di tre
settimane fa. Novecento su Pio XII: giudizi negativi non documentati sulla
collaborazione del Pontefice con i nazisti; Report su Raitre: valutazioni
denigratorie su attività caritatevoli svolte nel mondo da organizzazioni
cattoliche; Bruno Vespa sulla coppia omosessuale sposata al consolato
francese di Roma. Ha scelto il confronto tra posizioni estreme: gli
omosessuali e il vescovo Maggiolini. Credo che sia mancata l'attenzione alla
complessità del mondo. Non si è ottemperato nel modo dovuto ai princìpi del
pluralismo sociale e all'imparzialità dell'informazione».
Ha parlato della Tv dei ragazzi. Ci dica ora della figura femminile, che in
Tv o si sveste o fa la giuliva.
«Porterò il problema in Consiglio di amministrazione. Le trasmissioni della
Rai sono poco rispettose della donna. La si presenta come una sciocchina che
deve mostrarsi o come un'appendice dell'uomo. Ho detto singolarmente ai
direttori: l'immagine che si propone della donna è avvilente, anche nei
programmi di informazione».
Lei ha più volte detto che vuole fare una televisione intelligente. Cosa
vuol dire?
«Intanto non confondiamo la televisione intelligente con la Tv per gli
intellettuali. Una fiction ben fatta, giocata attorno ai valori di
solidarietà, è televisione intelligente. La Tv deve insegnare a riflettere
sulle cose. Lo può fare Report e anche la fiction. Ma a livello di massa lo
fa di più la fiction».
Avete abolito Enzo Biagi, ma le comiche di Max&Tux al suo posto sono state
un fallimento.
«È vero».
Cosa farete?
«La Rai quando c'era la Zingara vinceva su Striscia. Io non so perché è
stato tolto quel programma sette anni fa. Con Biagi l'ascolto passava dal
33-34 per cento del Tg1 al 22-23 per cento. E Striscia è andata alle stelle.
Capisco che un direttore di Rete abbia provato a cambiare la situazione.
Però, il programma di Lopez e Solenghi non va bene, e da dicembre lo
cambieremo con una formula simile a quella della Zingara».
Il successo di Striscia è legato all'insuccesso dei Tg?
«I telegiornali sono in crisi in tutte le televisioni del mondo. Da noi si è
tentato di superare la crisi rendendo più frivoli i telegiornali, e qualche
ascolto in più si è registrato. Striscia ha grande successo perché
demistifica il notiziario serio e ironizza sui politici trattati con
eccessiva seriosità nei telegiornali. Poi fa inchieste concrete. Mi
piacerebbe che queste inchieste le facesse il servizio pubblico».
La Rai viene accusata di spendere poco per l'innovazione: la Tv e Internet,
per esempio.
«La redditività delle nuove forme di comunicazione legate a Internet è scesa
allo zero assoluto. Tutti hanno disinvestito nel settore della Tv legata ai
nuovi media, anche la Bbc. Noi facciamo ancora qualcosa perché siamo il
servizio pubblico. Ma senza redditività niente investimenti».
È vero che avete un buco di diversi miliardi di vecchie lire?
«A luglio eravamo sotto di 200 miliardi rispetto al bilancio di previsione».
Perché?
«Non l'ho fatto io il bilancio di previsione. Posso dire che il precedente
Consiglio aveva dimenticato, per esempio, di inserire in bilancio i diritti
del calcio per farlo risultare in pareggio».
Forse non voleva più comperare i diritti del calcio.
«Follia. C'è un contratto di servizio che ritiene il calcio un servizio
pubblico. Noi non possiamo decidere di non trasmetterlo. Possiamo decidere
di risparmiare. Cosa che abbiamo fatto».
E poi?
«Molte spese sottovalutate».
Faccia i numeri, altrimenti nessuno le crede.
«Mondiali di calcio: costi di produzione sottostimati per 3 milioni e 600
mila euro; prevista vendita di diritti per 10 milioni di euro non
realizzata; sempre per i Mondiali, un milione e 200 mila euro di spese di
promozione per l'evento non preventivate. Per la programmazione tv generale
la sottostima è di 65 milioni di euro. Quindi dobbiamo risparmiare. E
abbiamo fatto tagli consistenti, tra cui il 40 per cento delle retribuzioni
artistiche».
Ma perché continuate a realizzare i programmi all'esterno?
«In Rai la capacità produttiva interna negli ultimi 30 anni è stata
praticamente azzerata. Non è in grado di proporre innovazioni di prodotto. L
'ultimo corso di specializzazione interna risale al 1968. La selezione è
stata fatta sul precariato, che veniva assorbito. L'allievo imparava dal
maestro, lo imitava. Ma non si studiava nulla di nuovo. Noi abbiamo
istituito un master per autori e via via altri per registi, scenografi,
costumisti. Ma è un investimento che darà frutti tra dieci anni».
Smetterete di comperare format dall'estero?
«Sicuramente quando avremo noi le capacità di produrre idee. Ho intenzione
di fare concorsi per progetti: chi ha idee le presenti. Quest'azienda ha
guardato per anni solo al suo interno. Ci sono trasmissioni che vanno avanti
da vent'anni. È diventata ripetitiva. Non siamo neppure capaci di
organizzare un programma di varietà per il sabato sera, se non ci fosse
Ballandi. Ebbene: è ora di cambiare. Ma ci vorranno anni. La gente è stata
troppo abituata a questa, a volte cattiva, televisione».
Alberto Bobbio
LA RICETTA? PASSARE ALL'ATTACCO
«Bisogna essere prudenti. Non è facile dire cosa sia la televisione di
qualità. Oggi il palato del telespettatore è abituato a questa Tv e
imboccare una strada nuova senza perdere quote di spettatori richiede
coraggio». Emmanuele Milano è oggi il direttore di Sat 2000, ma la Tv e la
Rai in particolare le conosce bene: è stato direttore di Raiuno e
vicedirettore generale dell'azienda di viale Mazzini. E la difende: «Non è
un mondo sordido e bieco: quelli che fanno la Tv attendono solo un segnale
per impegnarsi su un progetto nuovo». Quale? Milano spiega che la Tv
pubblica dovrebbe «elaborare un progetto generale che non sia una semplice
difesa dall'attacco delle Tv commerciali. La Rai deve stare su un altro
piano, non badare solo agli ascolti immediati, ma investire in creatività e
convincersi che i frutti verranno dopo qualche anno. Ma occorre chiarezza:
se un programma ben fatto perde due punti di ascolto non si può minacciare
di sospenderlo».
Ecco il punto: gli ascolti. Milano nel 1988, quando era vicedirettore
generale, aveva proposto di non pubblicare più i risultati degli ascolti: «L
'avrebbero fatto altri, ma non la Rai. Invece anche la Rai ha deciso di
inseguire solo i gusti del pubblico, contribuendo a far esplodere la tivù.
Quando i direttori dei Tg hanno cominciato a farsi la guerra a colpi di
Auditel, per dire chi era il primo della classe, la Rai ha toccato il
fondo». Anche sui format Milano vede la mancanza di un progetto: «È meno
rischioso fare programmi già sperimentati in 15 Paesi. La sicurezza
economica blocca quindi qualsiasi creatività».
E il futuro? Sarà la tecnologia a scacciare la cattiva Tv: «Con il digitale
potremo scegliere sul satellite cosa vedere. Per metà degli italiani andrà
meglio. Ma resterà una parte consistente del Paese che avrà una Tv ancora
peggiore: quelli che non hanno soldi per pagare i programmi e quelli che non
hanno la cultura per sceglierli. E c'è il rischio che questa televisione la
faccia il servizio pubblico. Invece un'azienda pubblica è lì per evitare
ingiustizie, anche culturali».
A.Bo.