[Cerchio] italia romania

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Autor: Emiliano Bussolo
Data:  
Asunto: [Cerchio] italia romania
LE BRUTTE SORPRESE DEGLI OVETTI KINDER

AGGIORNAMENTO


PANKOTA (Romania) - Nell’ovetto colorato di Joana e
Mariana e Krina, il Sol dell’Avvenire turbo-liberista
ha messo una bella sorpresa: la proroga quotidiana del
lavoro se arrivano ciascuna a montare mille pezzi al
giorno. Minimo minimo: 900. Cosa vuol dire, che se non
arrivano alla soglia vengono licenziate in tronco? "Ma
no", risponde amabile la kapò: "Chi non ce la fa non
viene mai buttata fuori: se ne va da sola".

Dovreste vederlo, il laboratorio da cui escono gli
ovuli di plastica della Kinder Ferrero coi pinguini,
le farfalline e le macchinine che piacciono tanto ai
nostri piccini. Immaginatevi una grande fabbrica
sgangherata e pericolante sulla strada che solca
Pankota, un paese agricolo vicino a Timisoara
ammazzato da piani quinquennali capaci di far morire
le vigne e rendere sterili i conigli.

Immaginate: scrostate i muri, incrinate le piastrelle,
spaccate un po’ di vetrate, buttate un mucchio di
rifiuti nel cortile e salite al primo piano. Aprite
una porta e sarete in una stanza dove decine di Joana,
Mariana e Krina (i nomi sono inventati: non vorrei si
licenziassero da sole) preparano gomito a gomito
scatoloni di sfere da mettere negli ovetti di
cioccolata. Nel loculo accanto, di due metri per due,
riscaldate da una vetusta stufa a legna, lavorano in
quattro, a cottimo, a ritmi da far spavento,
manovrando certe macchinette punzonatrici che se ci
lasci sotto un dito, addio. Contente? Ridono: "Tutto
bene, paga buona, padroni gentili".

È questo il modello suggerito dagli industriali
trevisani che verranno giù a celebrare l’inizio
dell’anno produttivo a Timisoara? Per carità:
competitività raggiunta. Alla grande. Non c’è Cina,
India o Gabon che ti offrano come la Romania gli
spazi, le lusinghe fiscali, le operaie disposte a
lavorare a cottimo in topaie come quella di Pankota
per 170 mila lire italiane a un’ora di volo dal
Nordest.

È bene però che gli italiani conoscano il prezzo che
tutti noi paghiamo, in immagine, facendo la parte dei
colonizzatori. Certo, centinaia di imprenditori
straordinari veneti, lombardi ed emiliani, costretti a
portare qui una parte della produzione per mancanza da
noi di terreni ed operai, rinunciano tutti i giorni ad
approfittare fino in fondo della libertà totale di
fissare stipendi e stabilire orari e licenziare gente.

E non c’è dubbio che, piuttosto che la fame o
l’emigrazione sui gommoni, le campagne e le periferie
romene vorrebbero dieci, cento, mille ruderi
produttori di ovetti con sorpresa. In cambio, però,
stiamo spesso chiedendo troppo. Cominciano a esser
troppi, per ambientalisti quali Dan Jonescu della
facoltà di silvicoltura di Brasow, i cacciatori che
vengono a togliersi sfizi in Italia proibitissimi
quali la battuta all’oca (60 mila lire a capo: niente)
o all’orso bruno dei Carpazi (da dieci a venti
milioni: niente).

Troppi gli industriali che rilevano o fanno lavorare
quali contoterzisti laboratori o stabilimenti conciari
impegnati in lavorazioni che in Europa sono vietate.
Troppi i nostri mediatori che rifilano bidoni sia agli
italiani sia ai romeni. Troppi i pezzi d’arte
"palesemente rubati nelle chiese o perfino nei
cimiteri", come spiega un commerciante lombardo, che
finiscono nelle vetrine dei nostri antiquari. Troppi
gli alberi dello straordinario patrimonio boschivo, il
polmone verde più ricco e vitale dell’Europa
meridionale, abbattuti per rifornire le nostre
gigantesche segherie e i nostri mobilifici.

Quattrocento mila ettari di bosco "privato" stanno via
via finendo in trucioli e comò mentre le nostre
segherie, come spiega Mario Moretti Polegato, "si
lamentano perché anzi si taglia troppo poco". E altri
due milioni di ettari stanno per essere distribuiti
con la privatizzazione prossima ventura. Auguri. Chi
glielo fa fare, agli imprenditori più aggressivi, di
tornare in Italia? Troppe tasse, troppi verdi, troppe
regole.