[Lecce-sf] per il "gruppo di lavoro migranti"

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Autor: Alessandro Presicce
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Assumpte: [Lecce-sf] per il "gruppo di lavoro migranti"
Salve,
mi ha scritto Federica Sossi, del Tavolo-Immigrazione del Milano Social
forum.

Mi dice che stanno cercando di costituire una rete di persone (almeno una
per ogni città che abbia un Centro di permanenza), per coordinare un
monitoraggio dei Centri in Italia, in vista della preparazione della
manifestazione del 30 novembre a Torino, ma con l'intenzione di continuare
anche oltre questa data.

Federica ci chiede se vogliamo fare parte di questo gruppo (per ora
virtuale) e se posso/possiamo mandarle le notizie che abbiamo sul Regina
Pacis.

Ci invia le sue idee per la costituzione di questo gruppo di monitoraggio,
invitandoci ad interloquire con delle nostre osservazioni.

Ho dato una disponibilità di massima a collaborare, riservandomi di
sostanziare questo riscontro con i materiali e i contributi che
eventualmente le potremo inviare.

Il testo delle osservazioni di Federica è in calce.
Attendo un vostro riscontro.

Alessandro


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Come saprete, in vista della manifestazione di Torino contro i Cpt, il 30
novembre, si è costituito un gruppo di persone che dovrebbero coordinarsi
sui monitoraggi dei Centri di Permanenza. L'idea sarebbe innanzitutto quella
di creare un gruppo di persone, con almeno un referente per ogni realtà in
cui esiste un Centro, che inizino a scambiarsi informazioni e a discutere
delle possibilità di azioni con modalità coordinate. Ma il 30 novembre non
dovrebbe essere la data conclusiva di questo lavoro, che dovrebbe solo
prendere inizio in prospettiva di quella data per poi continuare.

E' ovvio, e lo dico solo perché qualcuno fra coloro che ho contattato in
questi giorni alla parola monitoraggio ha pensato corrispondesse l'idea di
un'accettazione dell'esistenza dei Centri, che il presupposto di partenza è
che questi posti non dovrebbero esistere e andrebbero chiusi. Ma dal momento
che è altrettanto ovvio che non saranno chiusi né dall'attuale governo, né
dalle nostre azioni, né dalle nostre manifestazioni, il fatto di riflettere
su che cosa vogliamo fare di fronte a questi luoghi diventa indispensabile.

Rifiutare qualsiasi forma di monitoraggio, inteso contemporaneamente come
controllo e denuncia, oltre che come documentazione, rischia, infatti, di
essere, per quanto non-detto e indiretto, un'accettazione molto più forte
della loro esistenza. Questi luoghi sono ermetici e costruiti sul
presupposto di un'ermeticità, non entrarci, non controllarli, non cercare di
farne emergere le contraddizioni e limitarci soltanto a dire che non li
vogliamo rischia di fare il gioco dell'ermeticità. Lo si è visto, a mio
avviso, nel corso di questi anni. Alle prime manifestazioni, sino a quelle
del gennaio del 2000, avevamo ancora un linguaggio per denunciarli, poi, con
il passare del tempo, ci siamo soltanto limitati a dirci in quasi tutte le
riunioni che i CPT erano una delle nostre priorità, senza mai specificare
come. In questo modo, almeno nella mia percezione, è diminuito qualsiasi
spazio di azione, e il nostro essere contro è diventato sempre più
minoritario. Per fare un unico esempio: all'ultimo presidio davanti a Via
Corelli, a Milano, nel maggio del 2002, eravamo 15 persone.

Nel frattempo, inoltre, nuovi Centri sono stati costruiti, la Bossi-Fini
prevede la costruzioni di altri e la costruzione di luoghi simili anche per
i richiedenti asilo, tanti Centri chiamati di accoglienza sono potuti
diventare qualcosa di peggio dei Centri di permanenza.

Credo che, in parte, per arrivare alla manifestazione del 30, bisognerebbe
ricominciare dal movimento che si era costruito in varie città contro i
Lager, e a Milano contro il Lager di via Corelli, tra il 1999-2000.
Ricominciare non significa rifare le stesse e identiche cose.

Comunque, quello che in quell'anno si era riuscito a fare, con le
delegazioni di parlamentari, avvocati, artisti e "noi" che entravano ogni
tanto e che poi denunciavano il luogo sulla stampa, è a mio avviso un
momento indispensabile, ma solo un primo momento. Mentre negli anni scorsi,
infatti, sembrava che il momento della denuncia pubblica desse avvio, quasi
spontaneamente, a un aumento della protesta anche da parte di persone non
abituate alle manifestazioni, credo che adesso, in un momento in cui molti
prendono quasi "abitualmente" un treno per trovarsi a una delle tante
manifestazioni, e in cui, però, contemporaneamente, la possibilità di una
serie zeta dell'umanità costituita dagli immigrati è diventata molto più
pervasivamente senso comune, questo non possa bastare. In un certo senso,
qualcosa che è costituito sull'invisibilità non basta che sia reso visibile
per diventare intollerabile. Del resto, dal momento che li abbiamo chiamati
e li continuiamo a chiamare Lager, questa è proprio la storia dei Lager. Non
è assolutamente vero che fossero solo luoghi periferici, stavano nel
paesaggio e nella vita ordinaria delle persone, le quali hanno cominciato a
costruire soglie sempre più grandi di non-visibilità e di non-sapere per
poterli continuare a pensare e per dirli poi come luoghi invisibili.

Inoltre, quella che a quei tempi era ancora una esperienza possibile, ma
eccezionale per gli immigrati, per quanto spesso rimanga tale nella loro
percezione, a causa degli innumerevoli meccanismi di rimozione che ogni
percezione riesce a mettere in atto, diventerà sempre di più la norma.
Credo, dunque, che mentre nelle preparazioni delle manifestazioni degli anni
passati il coinvolgimento degli immigrati non era uno degli obbiettivi
prioritari, ora questo sia del tutto indispensabile.
Perché non cominciare, dunque, anche con una campagna di informazione, anche
questa coordinata e comune a più città, proprio nei loro luoghi di ritrovo
abituali?

Fatte queste premesse, ovviamente non ho molto da proporre.

1. In vista della preparazione della manifestazione di Torino:

Graziella Mascia, che quest'estate era entrata al Centro di Lampedusa
insieme a una delegazione composta da tre compagne del tavolo immigrazione
di Milano (Ilaria, Gilda ed io), si è detta disponibile a cercare di
coordinare i parlamentari. Mi ha fatto pervenire una lista di 15
parlamentari (rifondazione, verdi, correntone) che sono disponibili a
entrare nei centri con le delegazioni. Anche su questo nascondersi dietro al
nulla non ha molto senso, in quasi tutte le realtà i Centri ormai si sono
chiusi a qualsiasi altra visita che non sia quella annunciata da un/a o con
un/a parlamentare.
Secondo me, dopo la riunione del 20 di ottobre (quella in cui ci dovremmo
vedere dopo aver discusso tramite mail), dovremmo chiedere un incontro ai
parlamentari, per cercare di coordinare, dopo il Forum europeo, una giornata
in cui si entri insieme a loro in tutte le città in cui si riesce a farlo.

Questa giornata, che potrebbe essere sabato 16 o 23 novembre dovrebbe essere
accompagnata, nelle città in cui si riesce, da un'assemblea cittadina, fatta
in un luogo pubblico non unicamente legato agli spazi del movimento. Forme
di spettacolo, di racconti delle vite all'interno dei Campi, potrebbero
accompagnare i discorsi più abituali. (Dico questo perché ero stata
invitata, a maggio, a un convegno sull'esclusione a Mantova che era fatto
unicamente da spettacoli, c'era moltissima gente e del tutto eterogenea che
si è accorta per la prima volta, con stupore, dell'esistenza dei Cpt).


2. Monitoraggio continuo, che non si fermi il 30 novembre.

Come intenderlo?

Per ora, sono necessari anche semplicemente i dati quantitativi, che possono
essere chiesti, e credo che Graziella l'abbia già fatto, al Ministero.

Ma poi? Davvero crediamo ancora che entrare, il che richiede la
presentazione di un progetto, sia un partecipare, un collaborare? Davvero
crediamo che non entrare e non sapere nemmeno se, come casualmente ci siamo
accorti per via Corelli, ci siano liste di avvocati proposte dalla Croce
rossa ai detenuti, oppure che in un Centro, come quello di Lampedusa, manca
l'acqua da due mesi, sia un non partecipare? Un monitoraggio continuo,
potrebbe comunque non essere fatto direttamente dai tavoli immigrazione, si
potrebbe chiedere a qualche associazione che partecipa ai tavoli locali, o
creare un'associazione appositamente per questo. Certo, il lavoro del tavolo
dovrebbe fare da supporto.

Entrare e monitorare, permette comunque di non fermarsi al Centro. Un
esempio, capire i funzionamenti del centro all'interno, permette anche di
capire le ondate di retate all'esterno, e i criteri con cui vengono fatte.
Ne faccio un altro, a Lampedusa la sola raccolta dei dati quantitativi ci
aveva permesso di intuire le nuove rotte dei flussi degli ultimi mesi,
quello che poi in modo estemporaneo è stato detto e tracciato da qualche
giornalista della Repubblica. Inoltre, a mio avviso, cercare di documentare
le contraddizioni e gli illegalismi diffusi della gestione dei Centri da
parte di coloro che li hanno in gestione - Croce rossa e Caritas,
prevalentemente - comporterebbe anche, forse, delle possibilità di denuncia
diverse da quelle della sola denuncia dello scandalo costituito dall'
esistenza di questi luoghi. E davvero possono rimanere nell'invisibilità,
nostra, ma anche di un'opinione pubblica più allargata, i continui tentativi
di rivolta e di suicidi che sono all'ordine del giorno?
Maurizio, alla prima riunione che abbiamo fatto a Milano (quella da cui è
partita l'idea della rete), proponeva anche che si cercasse di iniziare un
lavoro che ricostruisca le storie del prima e del dopo degli immigrati
detenuti nei Centri, per riuscire a individuare e a dimostrare le logiche
che li permettono. Credo che questo sia importantissimo, non credo però che
un lavoro di ricerca sia specifico dei social forum. Costa soldi e ha
bisogno di finanziamenti. Perché non cominciare a pensare, tra quelli di noi
che lavorano all'Università o in altri luoghi di ricerca, di coordinarci
anche rispetto a questo lavoro?


Per finire: il 20 ottobre ci vediamo con le persone che hanno deciso di fare
parte di questo gruppo e poi con gli altri due gruppi che stanno preparando
la manifestazione del 30 novembre. Non credo che sia necessario che tutti ci
siano, altrimenti non facciamo altro che incrementare il numero delle
riunioni e le entrate delle Ferrovie dello stato. Propongo che tutti coloro
che hanno considerazioni me li inviino, io le inoltrerò agli altri.

(Federica Sossi, tavolo immigrazione Milano)