La guerra è vicina.
Lo annunciano i titoli dei giornali, che riportano le
dichiarazioni minacciose di Bush. Per non dire della
partenza per l'Afghanistan di un contingente di alpini
italiani, voluta per "liberare" i soldati inglesi, per
poterli collocare nel nuovo scenario bellico.
Stavolta, però, si è lontani da quel clima di
unanimismo che si è verificato dopo gli attentati alle
Twin Towers. Alla potenza yankee risulta difficile
giustificare la nuova impresa, dovendosi appigliare
solo al presunto riarmo dell'ex fratello Saddam e non
ad un episodio tragico come quello dell'11 settembre
2001. Perciò è più facile che si sviluppi un movimento
contro la guerra e che anche un pezzo della stampa
ufficiale prenda le distanze dagli States.
Ora, il fatto che tale movimento abbia già avuto modo
di esprimersi con manifestazioni come quella recente
di Londra induce a ben sperare.
Ma la forza che, in varie parti del vecchio
continente, sta emergendo contro l'imminente attacco
all'Irak, rischia di essere imbrigliata.
Ad evitare che il movimento contro la guerra dispieghi
appieno le sue potenzialità, ci pensa una nuova
ideologia: l'europeismo.
Da molte parti, infatti, sentiamo dire che l'Europa
deve pesare di più nello scenario internazionale, per
bilanciare la potenza USA. Da molte parti, insomma,
viene spinta l'idea di una Unione Europea forte,
attrezzata militarmente, così da risolvere da sè le
crisi in atto nelle zone calde del pianeta.
Si tratta di discorsi che non vengono dal movimento,
bensì da quella sinistra ufficiale che, pure, un
dialogo strumentale con chi scende in piazza lo cerca,
non fosse che per guadagnare masse alla causa del
rafforzamento della costruzione europea e della
opposizione a governi di centrodestra -si veda quello
italiano- sempre più vicini a Bush.
Tale dialogo va respinto! Va respinto perchè lo
propongono i fautori di altre imprese militari, coloro
i quali si scandalizzano solo delle guerre che
l'Europa, intesa come polo imperialistico in
concorrenza con gli USA, non riesce a cogestire.
Ma, per essere chiari in proposito, bisogna superare
anche alcune illusioni. Quelle, per intenderci, che
rimandano all'idea di un'Europa sociale, che lotti per
un ordine economico più giusto e che pratichi il
disarmo. Si tratta di una idea di Europa
irrealizzabile. IL consolidarsi dell'UE fa tutt'uno
con la realizzazione di una forza armata europea e con
una politica economica rispondente al massimo ai
criteri di un liberismo temperato. Lottare per
l'Europa sociale vuol dire, quindi, lottare per un
obiettivo non solo lontano, ma anche fuorviante.
Spingerci a scalpitare in attesa della buona parola
europea sui problemi del mondo o a far propria la
parola d'ordine degli euroburocrati sul rilancio
dell'ONU, ossia di un carrozzone che può al più
registrare gli equilibri tra le potenze.
Se è vero che la guerra che verrà non è solo per il
petrolio ma anche per impedire che l'Europa guadagni
posizioni in Medio Oriente (dove molti paesi hanno già
nell'Euro la moneta di riferimento), è anche vero che
la causa dell'UE non può coincidere con la nostra.
Non ha senso invocare un'Europa dal volto umano quando
questa si arma e procede, paese per paese, a tagliare
intere voci della spesa pubblica in favore delle spese
militari.
Dobbiamo fare altro!
Dobbiamo creare, a partire dal rapporto con gli
immigrati, l'unità tra tutti coloro che subiscono le
scelte di chi detiene le leve del comando. Dobbiamo
creare, quindi, l'unità tra chi vede negati i propri
bisogni in virtù dei sacrifici richiesti dallo sforzo
bellico e quei "dannati della terra" che vengono
colpiti dai bombardamenti su Bagdad, che vivono nei
villaggi palestinesi assediati dalle truppe israeliane
o che vengono "gassati" dalla Turchia nelle montagne
del Kurdistan!
E' in questa direzione che si dovrebbe muovere il
movimento contro la guerra. Facendo da sè, senza
sperare nelle parole di nessuno: si tratti dell'ONU,
dell'UE, di Bush, di Saddam o di pacifisti dell'ultima
ora come Schroeder.
Per l'opposizione dal basso contro la guerra e contro
le spese militari, per l'unità tra gli/le sfruttati/e.
Corrispondenze metropolitane
Roma, 5 ottobre 2002
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