Autore: Alessandro Presicce Data: Oggetto: [Lecce-sf] articolo su guerra
dalla lista gsf-puglia@???
No war
di Stefania Ventura*
In questi giorni di inquieta incertezza sull'eventuale guerra in Irak e di
civile obiezione, risuonano nella mente le parole sempre attuali del Vescovo
"costruttore di Pace", don Tonino Bello. Stesso scenario, una guerra da
evitare perché inutili come tutte le guerre, stessi protagonisti Saddam
Hussein e la dinastia Bush assetata di petrolio. L'uno un dittatore, gli
altri, padre e figlio, presidenti di una nazione democratica e liberale. Le
stesse domande. Si chiede don Tonino in una Lettera aperta ai parlamentari
datata 1990 e continuamo a chiederci, oggi, dopo l'11 settembre e l'inutile
rasa al suolo dell'Afghanistan: "A quali considerazioni ci provoca la presa
d'atto che, traendone osceni profitti, i paesi occidentali (Italia compresa)
hanno venduto all'Irak ogni tipo di armamento?" Una semplice legge di
mercato vuole, infatti, che se c'è una domanda c'è anche un'offerta e
relativo mercato, quello delle armi, variamente finanziato nell'entità dalle
lobbies economiche e dagli istituti di (dis)credito. Mercato, questo, sempre
più liberista: è al senato una proposta di legge di modifica dell'attuale
normativa (L. 185/90), in tema di trasparenza e controllo nel commercio
delle armi, che introduce la cd "licenza globale di progetto". In altre
parole se l'Italia vendesse armi (come già fa!) all'Afghanistan o alla
Turchia sarebbe esente dal dichiarare l'utente finale, salvo poi "scoprire"
che quel determinato Paese, non esattamente rispettoso dei diritti che si
vorrebbero inviolabili, sia in possesso di armi sofisticate di sterminio di
massa.
La subdola caratteristica dell'intervento in Irak (come prima in
Afghanistan) è l'incertezza: è incerto il suo obiettivo (il disarmo? il
terrorismo?..il controllo e sfruttamento delle risorse energetiche?
Destabilizzare Saddam?), così come l'effetto devastante sui già delicati
equilibri mediorientali. Il vero obiettivo dell'amministrazione Bush non è
la lotta al terrorismo essendo di tutta evidenza l'inutilità dei poco
intelligenti missili contro una rete del terrore che non ha patria,
privilegiando la riservatezza dei centri urbani o delle piccole comunità e
nutrendosi degli effetti perversi di una globalizzazione non regolata, che
dispensa ineguaglianze.
Saddam non è certo un cherubino, ma non è certo dichiarando guerra ad un
potenziale pericolo che si ottiene il disarmo. Proprio per questo stupisce
l'intermittente attenzione anglo-americana che riscopre il pericolo-Saddam
in fase, guarda caso, di recessione economica. Non è latente
antiamericanismo, ma banale senso critico di chi s'indigna e contesta non
solo per i morti delle Torri Gemelle, diventati ormai lutto internazionale,
ma per tutte le vittime e i massacri che quotidianamente si consumano al
buio delle telecamere e nella complice indifferenza.
L'invio degli Alpini in Afghanistan è solo il primo passo di una guerra non
ancora dichiarata e già combattuta, beffardamente incurante dell'azione
diplomatica svolta dalle Nazioni Unite. Si offende l'opinione pubblica,
sempre più attenta e sollecita verso una politica distratta, sostenendo che
l'invio di questi mille giovani serva semplicemente a sostituire i militari
inglesi che saranno impiegati in Irak.
Le pinne degli Alpini dividono l'Ulivo. Meglio così, se Ulivo vuol dire
avallare l'ipotesi che esista una "guerra giusta" o, peggio, astrattamente
"preventiva". Come componente minoritaria non da oggi lo diciamo. "Non parlo
a nome dell'Ulivo" ha dichiarato Rutelli al momento della votazione. Se n'è
accorto un po' tardi. Personalmente già da prima dell'infamante "enduring
freedom" non mi riconoscevo nelle sue parole di leader di una coalizione
variegata al suo interno. Il centro sinistra deve ripartire da una comune
piattaforma programmatica che attinga al sostrato culturale di ogni partito:
la non-violenza, un diverso modo di vivere e sentire la municipalità (il
bilancio partecipativo), un nuovo internazionalismo e la riforma degli
istituti internazionali (ONU, FMI, BM, WTO), promozione ed estensione dei
diritti sociali.
Uno slogan efficace dice "la pace nelle nostre mani". Costruire una pacifica
convivenza, consapevoli che sarebbe un inutile sforzo senza un'economia di
giustizia, che consenta un'equo accesso alle risorse ed un consumo critico
delle stesse (si pensi all'universale diritto di accesso all'acqua): questa
la sfida che ci attende. Come ricorda spesso Zanotelli il 20% della
popolazione mondiale consuma l'80% delle risorse naturali. E' più che mai
importante alzare la voce insieme partiti, forze sindacali, amministrazioni
locali ed associazioni, laiche e cattoliche, come in occasione
dell'iniziativa nazionale "100 piazze per la Pace-1000 modi di dire no alla
guerra" organizzata anche a Lecce.