[Cerchio] Per un mondo senza morale 1

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Autore: magali
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Oggetto: [Cerchio] Per un mondo senza morale 1
«La Banquise», n. 1



Questa introduzione alla critica dei costumi è un contributo a una
necessaria antropologia rivoluzionaria. Il movimento comunista ha una
dimensione al contempo classista e umana. Esso poggia sul ruolo centrale
degli operai proletari senza essere un operaismo e va verso una comunità
umana senza essere un umanismo. Per ora, il riformismo vive della
separazione assommando delle rivendicazioni entro sfere parallele senza mai
metterle in discussione. Una delle prove della potenza di un movimento
comunista sarà la sua capacità di riconoscere, poi di superare nella pratica
il divario, persino la contraddizione, tra queste due dimensioni, classista
e comunitaria.

Sono questo divario e questa contraddizione che si manifestano nelle
ambiguità della vita affettiva e che rendono più delicata che mai la critica
dei costumi.

Quel che segue non è un testo sulla «sessualità», prodotto culturale storico
allo stesso titolo dell'economia e del lavoro. La «sessualità» è nata con
essi come sfera specializzata dell'attività umana, perfezionata e teorizzata
(«scoperta») sotto il capitalismo ottocentesco, da esso banalizzata nel xx
secolo e superabile un giorno in una totalità di vita comunista.

Per le stesse ragioni, non si leggerà qui nemmeno una «critica della vita
quotidiana». Quest'ultima esprime solo lo spazio sociale escluso dal lavoro
e in concorrenza con esso. I «costumi» inglobano al contrario l'insieme dei
rapporti umani nei loro aspetti affettivi. Non sono estranei alla produzione
materiale (per esempio, la morale borghese della famiglia è indissociabile
dall'etica del lavoro).

Dal momento che il capitalismo riassume a modo suo il passato umano che l'ha
prodotto, non vi è una critica rivoluzionaria senza una critica dei costumi
e dei modi di vita anteriori al capitalismo, quali quest'ultimo li ha
integrati.



L'amore, l'estasi, il crimine



L'amore

Secondo i Manoscritti economico-filosofici del 1844, il «rapporto più
naturale dell'uomo con l'uomo, è il rapporto dell'uomo con la donna». Questa
formula è comprensibile e utilizzabile fin tanto che non si dimentica che la
storia degli uomini è quella della loro emancipazione dalla natura mediante
la creazione della sfera economica. L'idea dell'uomo come contro-natura,
come totalmente estraneo alla natura è certo un'aberrazione. La natura dell'
uomo è al contempo un puro dato biologico (noi siamo dei primati) e la sua
attività di uomo che modifica dentro e fuori di lui il puro dato naturale.

Essendone parte, l'uomo non è estraneo alle condizioni naturali. Ma vuole
conoscerle e ha cominciato a giocare con esse. Si possono discutere i
meccanismi che hanno determinato ciò (in quale misura questo modo di
procedere è il risultato delle difficoltà della sopravvivenza,
particolarmente nelle zone temperate ecc.?) ma certo è che trasformando il
suo ambiente, per esserne a sua volta trasformato, l'uomo si è posto in una
posizione che lo distingue radicalmente dagli altri stati conosciuti della
materia. Liberata da tutti i presupposti metafisici, questa capacità di
giocare, in una certa misura, con le leggi della materia, è proprio la
libertà umana. Questa libertà, della quale gli uomini sono stati spossessati
via via che la producevano - è essa ad aver nutrito l'economia - si tratta
di riconquistarla senza illudersi su ciò che è: nessuna libertà di desiderio
irrompe senza incontrare degli ostacoli, nessuna libertà di sottomettersi ai
comandamenti (chi li decifrerà?) della Madre Natura. Si tratta anche di dare
tutta la sua estensione alla libertà di giocare con le leggi della materia:
essa è tanto invertire un corso d'acqua come anche usare per fini sessuali
un orifizio che non è stato «previsto» per questo uso. Si tratta infine di
vedere che il rischio solo garantisce la libertà.

È perché deve lasciare tutto il suo spazio alla libertà umana che la critica
dei costumi non può erigere a segno della loro miseria una pratica piuttosto
che un'altra. Si legge talvolta che nel mondo moderno, la libertà dei
costumi non ricoprirebbe altro che un'attività masturbatoria (solitaria, a
due, o più). Fermarsi su questo dato di fatto, è ingannarsi sull'essenza
della miseria sessuale. È necessario dilungarsi sull'evidenza che c'è un
toccarsi solitario infinitamente meno miserabile di molti amplessi? La
lettura di un buon romanzo d'avventura può essere molto più appassionante
dei viaggi organizzati. Ciò che è miserabile, è vivere in un mondo dove non
esiste più avventura se non nei libri. Le fantasticherie, seguite
eventualmente da effetto, che un essere suscita in noi, non sono disgustose.
Lo sono le condizioni che bisogna mettere insieme perché sia possibile
incontrarlo. Quando leggiamo nella rubrica dei piccoli annunci di un barbuto
che invita una signora anziana del piano di sopra e il suo cane a zompare
con lui, non sono né la barba, né la vecchiezza, né la zoofilia a
disgustarci. Ripugnante è che il desiderio del barbuto diventi motivo di
vendita di una merce ideologica particolarmente nauseabonda, è che il
barbuto faccia un'inserzione su «Liberation».

Quando, da soli in una stanza, si redige un testo teorico, nella misura in
cui questo testo offre una presa sulla realtà sociale, si è meno isolati
dagli uomini che in un metrò o al lavoro. L'essenza della miseria sessuale
non risiede in tale attività piuttosto che in tal altra - anche se la
predominanza di una sulle altre può essere sintomatica - sta di fatto che
insieme a dieci, in coppia o tutto solo, l'individuo è irrimediabilmente
separato dagli altri a causa dei rapporti di concorrenza, della fatica e
della noia. Fatica del lavoro, noia dei ruoli. Noia della sessualità come
attività separata.

La miseria sessuale è innanzitutto la costrizione sociale (l'obbligo del
lavoro salariato e il suo seguito di miserie psicologiche e fisiologiche, la
coazione dei codici sociali) che si esercita in una sfera presentata dalla
cultura dominante e dalla sua versione contestataria come una delle ultime
regioni del mondo dove l'avventura è ancora possibile. La miseria sessuale è
anche uno smarrimento profondo degli uomini (nella misura in cui la civiltà
capitalista e giudaico-cristiana si è loro imposta) di fronte a ciò che l'
Occidente ha fatto della sessualità.

Il cristianesimo ha ripreso dallo stoicismo (dominante nell'Impero romano)
la duplice idea che 1) il sesso è alla base dei piaceri 2) si può e si deve
dunque controllarlo. L'Oriente, da parte sua, attraverso un'affermazione
aperta della sessualità (e non soltanto nell'arte della camera da letto),
tende verso un pansessualismo dove la sessualità certamente deve essere
controllata, ma così come il resto: non la si privilegia. L'Occidente non
bistratta la sessualità dimenticandola, bensì non pensando che a essa.
Sessualizza tutto. Il peggio non è che il pensiero giudaico-cristiano abbia
soffocato il sesso, ma che ne sia stato obnubilato; non che l'abbia
represso, ma che l'abbia organizzato. L'Occidente fa della sessualità la
verità nascosta della coscienza normale, ma anche della follia (isteria).
Nel momento in cui la morale entra in crisi, Freud scopre nella sessualità
il grande segreto del mondo e di ogni civiltà.

La miseria sessuale, è un gioco di equilibrio tra due ordini morali, l'
ordine tradizionale e l'ordine moderno che coabitano più o meno nei cervelli
e nelle ghiandole dei nostri contemporanei: da un lato, si soffre a causa
delle costrizioni della morale e del lavoro che impediscono di raggiungere l
'ideale storico di pieno godimento sessuale e amoroso, dall'altro, più ci si
libera di queste costrizioni (in ogni caso immaginariamente) più questo
ideale appare insoddisfacente e vuoto.

Non bisogna scambiare una tendenza e la sua spettacolarizzazione con la
totalità: se la nostra epoca è quella di una relativa liberalizzazione dei
costumi, l'ordine morale tradizionale non è scomparso. Provate solamente a
essere «pedofilo» a viso aperto. L'ordine tradizionale funziona e funzionerà
ancora a lungo per una buona parte delle popolazioni dei Paesi
industrializzati. In una gran parte del mondo, è ancora dominante e
ossessivo: Islam, Paesi dell'Est. Nella stessa Francia, i suoi
rappresentanti, preti di Roma o di Mosca, sono lungi dall'essere inattivi.
Il peso delle sofferenze rappresentato dai loro misfatti grava ancora
abbastanza perché ci si possa astenere dal denunciarli in nome del fatto che
è il capitale a scalzare le basi dell'ordine morale tradizionale. Non tutta
la rivolta contro ogni ordine va necessariamente nel senso di un
neoriformismo, essa può anche essere il grido della creatura oppressa che
contiene in germe l'infinita varietà delle pratiche sessuali e sensuali
possibili, represse da millenni dalle società oppressive.

Si sarà compreso che noi non siamo contro le «perversioni». Neppure ci
opponiamo alla monogamia eterosessuale a vita. Tuttavia, quando dei
letterati o degli artisti (i surrealisti per es.) pretendono di imporci l'
amor fou come il massimo desiderabile, dobbiamo pur constatare che essi
riprendono il grande mito riduttore dell'Occidente moderno. Questo mito è
destinato a fornire un supplemento di anima alle coppie, atomi isolati che
costituiscono il migliore fondamento dell'economia capitalista. Tra le
ricchezze che un'umanità liberata dal capitale farà prosperare figurano le
innumerevoli variazioni di una sessualità e di una sensualità perverse e
polimorfe. Soltanto quando queste pratiche potranno fiorire, l'«amore», qual
è cantato da André Breton e Harlequin, apparirà per quello che è: una
costruzione culturale transitoria.

L'ordine morale tradizionale è oppressivo e come tale merita d'essere
criticato e combattuto. Ma se è entrato in crisi, non è perché i nostri
contemporanei abbiano maggiormente il gusto della libertà che i nostri avi,
ma perché la morale borghese rivela la sua inadeguatezza alle condizioni
moderne di produzione e di circolazione delle merci.

La morale borghese formatasi in tutta la sua ampiezza nel xix secolo e
trasmessa attraverso il canale della religione o quello della scuola laica,
è nata da un bisogno di supporti ideologici al dominio del capitalismo
industriale, in un'epoca nella quale il capitale non dominava ancora
totalmente. Etica sessuale, familiare, del lavoro, andavano di pari passo.
Il capitale si sosteneva su dei valori borghesi e piccolo-borghesi: la
proprietà frutto del lavoro e del risparmio, il lavoro faticoso ma
necessario, la vita di famiglia. Nella prima metà del xx secolo, il
capitalismo giunge a occupare tutto lo spazio sociale. Si rende
indispensabile, inevitabile: il salariato è la sola attività possibile dato
che non c'è altro. È così che, nel mentre si impone a tutti, il salariato
può rappresentarsi come assenza di costrizione, garanzia di libertà. Essendo
stato mercificato tutto, ogni elemento della morale diviene caduco. Si
accede alla proprietà prima di aver risparmiato, grazie al credito. Si
lavora perché è prassi, non per dovere. La famiglia allargata cede il posto
alla famiglia nucleare, essa stessa sconvolta dalle pressioni del denaro e
del lavoro. La scuola, i mass media contendono ai genitori l'autorità, l'
influenza, l'educazione. Tutto ciò che era annunciato dal Manifesto del
partito Comunista, è realizzato dal capitalismo. Con la fine degli spazi
della vita popolare (caffé...) rimpiazzati dai luoghi di consumo mercantile
(uffici, centri commerciali) che non hanno qualità affettiva, si arriva a
chiedere troppo alla famiglia, in un momento nel quale ha meno che mai da
offrire.

Sotto la crisi della morale borghese, c'è più profondamente una crisi della
moralità (cioè della socialità) capitalista. C'è una difficoltà a fissare
dei «costumi», a trovare modi di relazione tra gli esseri, di comportamenti
che superino il fallimento della morale borghese. Quale moralità il
capitalismo moderno reca agli uomini? La sottomissione di tutti e di tutto,
la sua onnipresenza rendono teoricamente superflui i supporti precedenti.
Per fortuna, non funziona. Non c'è, non ci sarà mai una società capitalista
pura, integralmente, unicamente capitalista. Da una parte, il capitale non
crea niente ex nihilo, trasforma gli esseri e i rapporti nati al di fuori di
esso (contadini inurbati, piccoli borghesi declassati, immigrati) e rimane
sempre qualcosa dell'antica socialità, almeno sotto forma di nostalgia. Dall
'altra parte, il funzionamento stesso del capitale non è armonioso: non
mantiene le promesse del mondo di sogno della pubblicità, e suscita una
reazione, un ripiegamento verso i valori tradizionali pur complessivamente
superati come la famiglia. Donde il fenomeno seguente: ci si continua a
sposare, tuttavia un matrimonio su quattro finisce in un divorzio. Infine,
obbligato a dirigere, vincolare, maltrattare i suoi salariati, il capitale
deve reintrodurre in permanenza i valori di supporto autoritativi e di
obbedienza che nella sua fase attuale rende tuttavia desueti: da cui un
impiego costante dell'antica ideologia accanto a quella moderna
(partecipazione...)

La nostra è l'epoca della coesistenza delle morali. Della proliferazione dei
codici, non della loro sparizione. Alla colpevolezza (ossessione di violare
un tabù) si giustappone l'angoscia (sentimento di una mancanza di
riferimenti dinnanzi alla «scelta» da fare). Alla nevrosi e all'isteria di
un tempo fanno seguito al narcisismo e alla schizofrenia come malattie
storiche.

Ciò che regge il comportamento dei nostri contemporanei, è sempre meno l'
insieme dei comandamenti senza appello trasmessi dal pater familias o dal
prete, quanto piuttosto una specie di morale utilitarista di pienezza
individuale, favorita da una feticizzazione del corpo e da una
psicologizzazione forsennata delle relazioni umane, nelle quali la mania
interpretativa ha rimpiazzato la confessione e l'esame di coscienza.

Sade era in anticipo sul suo tempo. Egli annunciava semplicemente il nostro:
quello della sparizione di ogni garanzia morale prima che l'uomo sia
divenuto. La noia intollerabile che il lettore del monotono catalogo del
marchese finisce più o meno velocemente per provare, la si ritrova nella
lettura di questi piccoli annunci dove si ripetono all'infinito le figure di
un piacere senza comunicazione. Il desiderio sadiano mira all'assoluta
reificazione dell'altro, cera molle su cui imprimere i propri fantasmi.
Atteggiamento mortifero: annientare l'alterità, rifiutare di dipendere dal
desiderio dell'altro, sono la ripetizione dell'identico e la morte. Ma,
mentre gli eroi sadiani s'impegnano a rompere i freni sociali, l'uomo
moderno, nella sua logica di pieno godimento individuale, è divenuto la
propria cera da plasmare. Non è trascinato dal suo desiderio, «realizza i
suoi fantasmi». O piuttosto, cerca di realizzarli, come si fa jogging invece
di correre per diletto o perché si ha bisogno di recarsi rapidamente da
qualche parte. L'uomo moderno non si perde nell'altro, fa funzionare e
sviluppare le sue capacità di godimento, la sua attitudine all'orgasmo.
Fiacco domatore del suo proprio corpo, gli dice: «Godi!», «meglio di così»,
«corri!», «danza!» ecc.

Per l'uomo moderno, l'obbligo del lavoro è sostituito da quello di un tempo
libero «riuscito», la costrizione sessuale dalla difficoltà di affermare un'
identità sessuale. La cultura narcisista va di pari passo al cambiamento di
funzione della religione: quest'ultima, invece di evocare una trascendenza,
diventa un modo per facilitare il passaggio dei momenti di crisi della vita
(adolescenza, matrimonio, morte). La religione del resto non basta ad
aiutare gli uomini a essere moderni: occorre loro anche il richiamo alla
famiglia! «Una famiglia non iper-presente, come nel secolo scorso, ma
iper-assente. Essa si definisce non attraverso l'etica del lavoro o del
vincolo sessuale, ma attraverso l'etica della sopravvivenza e della
promiscuità sessuale.» Così parla uno psicologo, Christopher Lasch (1).

Al centro della crisi della moralità che domina le società occidentali, gli
uomini sono meno armati che mai per risolvere la «questione sessuale». Ed è
precisamente il momento nel quale essa si pone in tutta la sua crudezza, e
nel quale si hanno dunque le maggiori possibilità di accorgersi che questa
«questione» non è a sé.

L'uomo moderno si sgomenta, ed è tanto più perduto dinnanzi alla
mercificazione di tutta la vita che si attacca al sesso maltrattato da 2000
anni, che risorge solo per farsi merce. Ci si accorge allora che l'esercizio
ininterrotto dei sensi («La Grande Abbuffata») nel mondo della merce, isola
ancor più l'individuo, dall'umanità, dai suoi compagni e da se stesso. Si
ritorna alla fin fine al cristianesimo, poiché si approda all'idea di una
sessualità alienante e mortifera.

L'opera di Georges Bataille, per esempio, è rivelatrice di questa evoluzione
del mondo occidentale dopo l'inizio del secolo. Al contrario della storia
della civiltà, Bataille parte dalla sessualità per approdare alla religione.
Dall'Occhio (1929) alla fine della sua vita, passa la sua esistenza a
cercare l'implicito dell'Occhio. La sua traiettoria incrocia il movimento
rivoluzionario e se ne allontana tanto più velocemente e facilmente dato che
questo movimento sparisce quasi completamente. Nondimeno, negli ultimi anni
del periodo fra le due guerre, egli ha avuto il tempo di difendere delle
posizioni di fronte all'antifascismo e alla minaccia di guerra, che
risaltano sovente per la loro lucidità sullo sproloquio della gran
maggioranza dell'estrema sinistra. È per questo che la sua opera è ambigua.
Si può utilizzarla come spiegazione delle impasses religiose a cui approda l
'esperienza-limite della sessualità sfrenata: «una casa chiusa è la mia vera
chiesa, la sola abbastanza inquietante» (2).

Ma se, nel passo succitato, come nella maggior parte della sua opera,
Bataille si limita a contraddire i valori accettati, a rifinire una nuova
versione del satanismo, è anche arrivato a scrivere delle frasi che rivelano
un'intuizione profonda degli aspetti essenziali del comunismo: «intendere la
perversione e il crimine non come valori eclusivi ma da integrare nella
totalità umana» (3).



L'estasi

Attraverso le costruzioni culturali a cui ha dato origine (amore greco, amor
cortese, sistemi di parentela, contratto borghese ecc.), la vita affettiva e
sessuale non ha cessato di essere una posta in gioco, matrice di passioni,
zona di contatto di un'altra sfera culturale: il sacro. Nella trance, nell'
estasi, nel sentimento di comunione con la natura, si esprime in modo
parossistico l'aspirazione a superare i limiti dell'individuo. Sviata verso
il cosmo o la divinità, fino a oggi quest'aspirazione a fondersi nella
specie ha assunto i panni prestigiosi del sacro. Le religioni, e
particolarmente le religioni monoteiste, si sono impegnate a circoscrivere
il sacro e ad attribuirgli un ruolo conduttore nel mentre lo ponevano
lontano dalla vita umana. Al contrario delle società primitive nelle quali
il sacro è inseparabile dalla vita quotidiana, le società statali l'hanno
sempre più specializzato. La civiltà capitalista non ha liquidato il sacro,
lo ha represso ed i suoi molteplici residui e surrogati continuano a
ingombrare la vita sociale. Di fronte a un mondo dove coesistono anticaglie
religiose e banalizzazione mercantile, la critica comunista procede con un
doppio movimento: al tempo stesso deve desacralizzare, cioè scovare i vecchi
tabù là dove si sono rifugiati, e abbozzare un superamento del sacro, che il
capitalismo non ha fatto altro che degradare.

Dunque, desacralizzazione delle zone dove si sono rifugiati i vecchi
feticci, come per es. il pube. Contro l'adorazione del pene, contro il suo
imperialismo conquistatore, le femministe non hanno trovato di meglio che
feticizzare il sesso delle donne, con gran supporto di pathos e di
letteratura, per farne il segno della loro differenza, la piega oscura ove
dimora il loro essere! Lo stupro diviene allora il crimine dei crimini, un
attentato ontologico. Come se infliggere a una donna la penetrazione di un
pene con la violenza fosse più disgustoso che forzarla alla schiavitù
salariale attraverso la pressione economica! Ma è vero che nel primo caso il
colpevole è facile da trovare: è un individuo, mentre nel secondo caso, è un
rapporto sociale. È più facile esorcizzare la propria paura facendo dello
stupro una bestemmia, l'irruzione nel sancta sanctorum. Come se la
manipolazione pubblicitaria, le innumerevoli agressioni fisiche del lavoro o
la schedatura da parte degli organismi di controllo sociale non
costituissero delle violenze intime almeno altrettanto profonde che un coito
imposto!

Alla fin fine, ciò che spinge il somalo a strappare la clitoride della sua
donna e ciò che muove le femministe proviene dalla medesima concezione dell'
individualità umana come oggetto possibile di un rapporto di proprietà. Il
somalo, convinto che la sua donna faccia parte del bestiame, crede sia suo
dovere proteggerla dal desiderio femminino, dannoso parassita per l'economia
del gregge. Ma, così facendo, accorcia singolarmente e impoverisce il
proprio piacere, il proprio desiderio. Nella clitoride della donna, è il
desiderio umano che è preso di mira simbolicamente, tutti i sessi confusi.
Questa donna mutilata, è dell'umanità stessa a essere amputata. La
femminista che grida che il suo corpo le appartiene vorrebbe badare al
proprio desiderio da sé ma, quando desidera, entra in una comunità nella
quale l'appropriazione si dissolve.

«Il mio corpo è mio»: questa rivendicazione pretende di dare un contenuto
concreto ai Diritti dell'Uomo del 1789. Non si è ripetuto che essi
concernono solo un uomo astratto e non producono in definitiva che l'
individuo borghese! Si dirà oggi: borghese, maschio, bianco, adulto. Il
neoriformismo pretende di correggere questa lacuna attivandosi per dare un
contenuto reale a questo «uomo» finora astratto. I diritti «reali» dell'uomo
«reale», insomma. Ma l'«uomo reale» non è altro che la donna, l'ebreo, il
corso, l'omosessuale, il vietnamita ecc. «Il mio corpo è mio» è nella linea
di una rivoluzione borghese che si tenta di completare, di perfezionare
indefinitamente invitando la democrazia a cessare di essere «formale». Si
criticano qui gli effetti invece della loro causa.

L'esigenza di una proprietà sul proprio corpo individuale rinnova la
rivendicazione borghese del diritto di proprietà. Per sfuggire all'
oppressione secolare delle donne trattate un tempo dal loro marito (e oggi
ancora, sotto altre forme) come oggetto di possesso, il femminismo non trova
niente di meglio che allargare il diritto di proprietà. Che la donna a sua
volta divenga proprietaria, così sarà protetta: a ciascuno il suo!
Rivendicazione miserabile, in cui si riflette l'ossessione della «sicurezza»
che i mass media e tutti i partiti si sforzano di far condividere ai nostri
contemporanei. Rivendicazione nata in un orizzonte chiuso all'interno del
quale per dominare qualcosa (in questo caso, il proprio corpo) non si può
immaginare altro modo dall'appropriazione privativa. Il nostro corpo è di
coloro che ci amano, e questo non in virtù di un «diritto» garantito
giuridicamente, ma perché, carne ed emozione, noi non viviamo e non ci
muoviamo se non in funzione degli altri. E, nella misura in cui noi sappiamo
e possiamo amare la specie umana, il nostro corpo le appartiene.

Contemporaneamente alla desacralizzazione, la critica comunista deve
denunciare l'utopia capitalista di un mondo dove non si potrà più amare da
morire, dove, essendo stata appiattita ogni cosa, tutto si equivarrà e si
scambierà. Fare dello sport, baciare, lavorare, nello stesso tempo
quantificato, tagliato come un salame: il tempo industriale. I sessuologi
saranno lì a guarire tutte le debolezze della libido, gli psicoteraupeuti a
evitare ogni sofferenza psichica e la polizia, sostenuta dalla chimica, a
prevenire ogni sconfinamento; in quel mondo, non esisterà più la sfera dell'
attività umana che, essendo la posta in gioco capace di rimettere in causa
tutta la vita, potrebbe dare un altro ritmo al tempo.

È l'illusione astorica a fondare le pratiche mistiche e pericolose. Di
fatto, di esse ci sta a cuore solo ciò che, per definizione, non è
propriamente loro: il comunicabile. Non si esce dalla storia ma essa, quella
dell'individuo come quella della specie, non è nemmeno il puro svolgimento
lineare che il capitalismo s'impegna a produrre, e a far credere di
produrre. La storia comporta degli apogei che vanno al di là e al di qua del
presente, degli orgasmi che si perdono nell'altro, nella socialità e nella
specie.

«Il cristianesimo ha sostanziato il sacro ma la natura del sacro [...] è
forse ciò che si produce di più inafferrabile tra gli uomini, il sacro non è
che un momento privilegiato di unità di comunione, momento di comunicazione
convulsiva di ciò che ordinariamente viene soffocato» (4).

Questo momento di «unità di comunione», lo si ritrova oggi in un concerto,
nel panico che s'impadronisce di una folla e, nella sua forma più degradata,
nei grandi slanci patriottici e in altri sussulti dell'Unione Sacra: la sua
manipolazione permette ogni mascalzonata. Si può presumere che nella guerra
moderna, a differenza di ciò che accade nei Paesi capitalisti arretrati come
l'Iran, solo una minoranza parteciperà, il resto guarderà. Ma niente è
sicuro, la manipolazione del sacro ha forse ancora dei bei giorni davanti a
sé, poiché fino a oggi il sacro ha rappresentato il solo momento intenso
offerto alla manifestazione di questo bisogno irreprimibile dell'uomo:
essere insieme.

Oltre a fornire una nicchia più o meno immaginaria al riparo dalla lotta di
classe, le pratiche mistiche hanno potuto servire a cementare delle rivolte,
come dimostrato per es. dal ruolo della trance taoista nella resistenza al
potere centrale dell'antica Cina, del vudu nelle insurrezioni degli schiavi
o dei profetismi millenaristi. Se le ricerche mistiche contemporanee giocano
un ruolo controrivoluzionario, giacché sono solo una delle forme del
ripiegamento su di sé dell'individuo borghese, questo non toglie che la
banalizzazione mercantile di tutti gli aspetti della vita tenda a svuotare l
'esistenza del suo contenuto passionale. Il mondo in cui viviamo ci propone
di amare solo un'accozzaglia di insufficienze individuali. Confrontato con
le società tradizionali, questo mondo ha perduto una dimensione essenziale
della vita umana: i tempi intensi dell'unione dell'uomo con la natura. Siamo
condannati a guardare le feste dei raccolti in tivù.

Ma noi non ne vogliamo sapere di un ridicolo passatismo, di un ritorno a
delle gioie di cui la storia ci ha fatto scoprire il carattere ripetitivo,
ingannevole e limitato. Allorché il capitale tende a stabilire il suo regno
assoluto, cercare altrove dalla rivoluzione l'«unità di comunione» e la
«comunicazione convulsiva», diviene puramente reazionario. Il fatto che il
capitalismo abbia banalizzato tutto ci offre l'occasione di liberarci di
questa sfera specializzata, la sessualità. Noi vogliamo un mondo in cui l'
impeto fuori di sé esista come possibilità in tutte le attività umane - un
mondo che ci proponga la specie come oggetto di amore, e degli individui le
cui insufficienze saranno quelle della specie e non più quelle del mondo. La
posta oggi in gioco, ciò che merita il rischio della morte, ciò che potrebbe
donare un altro ritmo al tempo, è il contenuto della vita tutta intera.

continua...