[Cerchio] I: quando un giornale fottutto e venduto...

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著者: clochard
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題目: [Cerchio] I: quando un giornale fottutto e venduto...
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From: clochard <spartacok@???>
To: <movimento@???>; <cerchio@???>
Sent: Friday, September 06, 2002 1:13 AM
Subject: quando un giornale fottutto e venduto...


> Mah, la maggior parte lo leggerete abitualmente, annoiandovi, come

recitava
> una canzone dell''assemblea musicale teatrale", spalla di molti concerti

di
> Guccini.
> Ma accade, secondo me, ke sviluppi elaborazioni + complesse e radicali di
> quanto immaginino le fanciulle dal pube rigoglioso e magnetizzante
>
>
>
>
> Stati uniti, un anno dopo /2. Intervista a Howard Zinn
> L'arrogante fragilità
> Il governo americano si sta facendo sempre più nemici, all'interno e
> all'estero. E l'apparato di propaganda cela quel che l'11 settembre
> mostrava, l'antipatia e la vulnerabilità degli Usa. Fino a quando? Parla

lo
> storico Zinn, militante negli anni `60 del movimento per i diritti civili
> MARCO D'ERAMO
> INVIATO A NEW YORK
> Howard Zinn porta i suoi quasi ottant'anni con il garbo e la civetteria di
> quelle rarissime persone che la vecchiaia rende più belle. Dopo l'infanzia
> newyorkese (a Brooklyn) che ha raccontato nel libro autobiografico You

Can't
> Be Neutral on a Moving Train («Non puoi essere neutrale su un treno in
> corsa»), ha lavorato nei cantieri navali prima di essere arruolato sui
> bombardieri durante la seconda guerra mondiale. Da storico, ha partecipato
> al movimento per i diritti civili degli anni `60. Ora ha un'intensa

attività
> di conferenziere e collabora a numerose pubblicazioni di sinistra come The
> Nation, In These Times e The Progressive (del cui comitato editoriale è
> membro). Vive con la moglie Roslyn a Cape Cod da cui si allontana
> spessissimo, invitato a parlare ovunque nel mondo. Il suo libro più

famoso,
> ristampato innumerevoli volte e adottato come libro di testo in tantissimi
> licei statunitensi è A People's History of the United States -1492 to
> Present, «una brillante e commovente storia degli americani raccontata dal
> punto di vista di coloro la cui condizione è stata quasi sempre omessa da
> quasi tutte le storie» (Library Journal), una storia raccontata dai
> dominati, dalle donne, dai nativi, dai neri, dagli immigrati, dagli operai

e
> braccianti. Il canale HBO sta producendo un adattamento televisivo di

questa
> «Storia della gente».
>
> Dopo l'11 settembre Howard Zinn ha scritto Terrorism and War, un libro
> intervista in cui riafferma il proprio pacifismo («con gli armamenti

attuali
> non vi sono guerre giuste: la seconda guerra mondiale contro il nazismo

era
> giusta ma ha portato ai bombardamenti a tappeto di Dresda e alle bombe
> atomiche su Hiroshima e Nagasaki») e mostra la colossale asimmetria tra i
> morti dell'11 settembre e quelli provocati dai bombardamenti Usa. I primi
> erano «persone, singoli esseri umani, con storie, volti, passioni,

affetti»
> le cui vite sono state sottratte all'anonimato e incessantemente

raccontate
> dalla stampa americana. I secondi sono rimasti senza volto, entità

astratte,
> «come coloro che bombardavamo durante la seconda guerra mondiale da 10.000
> metri di altezza».
>
>
>
> Se guarda al 10 settembre dell'anno scorso, e poi a oggi, come

riassumerebbe
> quel che è davvero cambiato?
>
> Il 10 settembre dell'anno scorso, agli occhi di molti George W. Bush era
> ancora un presidente illegittimo, e dell'elezione del 2000 si parlava

ancora
> come di un'«elezione rubata» regalata a Bush dalla Corte suprema. Bush non
> era una figura popolare, era stato catapultato alla Casa Bianca perché

aveva
> amicizie politiche tra i giudici costituzionali e nello stato della

Florida.
> Prima dell'11 settembre l'amministrazione non godeva di molto credito, e
> soprattutto, negli Stati uniti e altrove - certo nella sinistra, ma non
> solo - cresceva la critica e la preoccupazione per lo strapotere delle
> multinazionali nell'economia globalizzata, le manifestazioni di Seattle,
> Philadelphia, Washington, Genova. Dopo l'11 settembre tutti questi temi

sono
> stati estromessi dal quadro in nome della «guerra al terrorismo». La

guerra
> è utilissima a chi sta al potere perché accantona tutte le proteste, i
> malcontenti, le critiche. L'emergenza è usata come una scusa per non

parlare
> più di nient'altro, di glissare sui problemi della gente e concentrarsi

sul
> nemico. E chi osa criticare il governo è subito tacciato di
> antipatriottismo, di essere una quinta colonna del nemico. In questo senso
> le cose sono cambiate terribilmente dall'11 settembre.
>
> Da un anno subiamo una valanga di retorica sul «niente sarà più come

prima»,
> ma per esempio Benedict Anderson (l'autore delle Comunità immaginate)
> sostiene che non è cambiato nulla: gli Usa hanno appoggiato tiranni e loro
> gorilla per 50 anni e continuano ad appoggiare tiranni e gorilla.
>
> Sono d'accordo. Fondamentalmente, la politica degli Stati uniti non è
> cambiata. La «guerra al terrorismo» consente agli Usa di fare quel che
> facevano prima, ma l'11 settembre ha fornito una scusa speciale per
> proseguire nella stessa politica, e cioè l'espansione imperiale nel mondo.
> Se guardi alla storia americana ogni periodo di espansione è spiegato con
> una diversa, particolare scusa. Quella delle annessioni del Texas, Arizona

e
> New Mexico a metà del secolo scorso era chiamata Manifest Destiny, dopo la
> seconda guerra mondiale la nostra espansione fu spiegata la lotta al
> comunismo e il «Mondo Libero»; ma gli Stati uniti si stavano espandendo da
> ben prima che l'Urss diventasse un pericolo per loro, e ben da prima
> appoggiavano i despoti dell'America centrale e meridionale. C'è quindi una
> continuità. La differenza è che l'11 settembre ha fornito una scusa
> potentissima, tremenda.
>
> Non per essere cinici, ma meno di 3.000 morti sono un inezia nella storia
> dei massacri del ventesimo secolo e alla distanza sembreranno un episodio
> marginale.
>
> È sempre stato vero. Gli Stati uniti sono terribilmente autocentrati. Le
> vittime americane sono importanti, quelle d'oltremare no. Un morto negli
> Stati uniti è considerato più importante di migliaia di morti all'estero.

È
> vero che il costo di vite umane dell'11 settembre è irrisorio rispetto

alle
> vittime di altri terrori in America centrale, nel sud-est asiatico e in
> Africa. Ma è tale il nazionalismo americano che è facile per un governo
> potente e per una stampa controllata far passare le 3.000 morti dell'11
> settembre come la più grande tragedia mai verificatasi nella storia
> dell'umanità.
>
> In genere l'Europa sottovaluta la sagacia della classe dirigente

americana.
> Attribuisce il suo potere a una tautologia: gli Usa sono forti perché sono
> ricchi, hanno le risorse, le armi, cioè sono forti perché sono forti. Ma

si
> dimentica che questa potenza è stata costruita con quella che Woodrow

Wilson
> chiamava «la feccia d'Europa». La mia domanda perciò è: non è possibile

che
> anche stavolta stiamo sottovalutando la classe dirigente americana? E che

la
> politica dell'amministrazione Bush avrà successo nell'espandere e

rafforzare
> l'impero americano?
>
> Io penso che il potere del governo americano è davvero fragile, è vuoto,

non
> è radicato. Lo abbiamo visto in altri paesi dove governi che sembravano
> saldissimi in sella, con il pieno controllo, in realtà sono crollati di
> botto perché non avevano radici, erano corrotti e anche perché si
> autoingannavano, perché sotto la superficie della padronanza totale,
> mutazioni gradualmente si verificavano nella popolazione, cresceva la
> consapevolezza che qualcosa non andava. Io credo che lo stesso stia
> avvenendo agli Stati uniti che hanno tutto questo potere, queste armi,
> questa ricchezza, ma la cui egemonia è costruita sulla sabbia, perché

stanno
> andando troppo oltre, perché si stanno facendo troppi nemici. Per ora si
> stanno facendo troppi nemici all'estero, ma poi il processo avverrà anche
> all'interno perché, per continuare a espandersi, l'impero americano dovrà
> appropriarsi di una parte sempre maggiore del denaro degli americani. Per
> avere un bilancio militare di 400 miliardi di dollari, ci sarà meno denaro
> per la sanità, la scuola, gli alloggi. E sta aumentando la coscienza di

quel
> che fa questo governo. Parlo qui della direzione, della linea di tendenza,
> non dell'orario. Nessuno può dire quando questa coscienza prenderà il
> sopravvento. Né quanto tempo ci metterà il potere americano a cadere, ma

io
> credo che alla fine cadrà.
>
> Ma come mai gli Stati uniti non hanno imparato la lezione che non è vero

che
> «i nemici dei miei nemici sono miei amici»? Saddam Hussein era amico

perché
> era nemico del nemico Iran, e adesso è il pericolo numero uno. Osama bin
> Laden era una creatura della Cia, prediletto, armato e finanziato dagli

Usa
> perché in Afghanistan era nemico della nemica Urss, e si è visto come è
> finita, con le Twin Towers. Ma dopo l'11 settembre gli Usa appoggiano
> dittatori come Musharraf che ogni giorno che passa si regala un anno in

più
> di potere assoluto... Come mai non hanno imparato la lezione?
>
> Perché non hanno alternative. Se non ottengono l'appoggio dei Musharraf o

di
> governi repressivi come la Turchia o l'Arabia saudita, non ottengono

nessun
> appoggio. Non possono fare nient'altro.
>
> Lo scorso ottobre Studs Terkel si diceva in parte ottimista, perché forse
> questo orribile attacco avrebbe tolto agli americani quei pregiudizi e

quei
> paraocchi che l'invulnerabilità comporta, e che forse gli Americani
> avrebbero capito come sono considerati dal resto del mondo e che non

vengono
> visti come quei «bravi tipi» che credono di essere. Ma dopo un anno sembra
> che l'ottimismo di Studs Terkel fosse in gran parte infondato.
>
> Studs Terkel ha ragione quando dice che nell'11 settembre c'è un

potenziale
> per capire che le nostre vittime non sono né le prime, né le peggiori. È
> vero. Ma il governo ha un formidabile apparato di propaganda che tenta di
> espurgare la verità. Il problema è: quanto efficace e per quanto tempo

sarà
> quest'apparato? Io credo che la gente imparerà dall'11 settembre, ma credo
> che ci vorranno molti sforzi per educare il pubblico, da parte dei settori
> progressisti della società americana. E l'educazione potrà darla solo la
> realtà, il mondo stesso che ci circonda. La propaganda ha espulso la

realtà,
> ma la realtà comincia di nuovo a fare capolino poco alla volta. Questo è
> ovvio per l'Afghanistan: è quasi un anno che sono cominciati i

bombardamenti
> e sempre più persone si accorgono che la cosiddetta guerra al terrorismo

non
> funziona. La sinistra diffonde questa coscienza attraverso una rete
> informale, spesso sotterranea di radio locali, stampa alternativa,
> associazioni di comunità. Ma a prescindere da questa poco visibile eppure
> capillare azione della sinistra, la gente comune, l'americano qualunque si
> sta rendendo conto che la cosiddetta guerra al terrorismo è una

barzelletta,
> certo, una tragica barzelletta. Quando costringi la gente a guardare un

film
> troppo a lungo, alla fine la gente si alza, deve pur andare in bagno. È
> successo anche con la guerra fredda, quando la minaccia comunista e
> sovietica veniva brandita in continuazione. Dopo un po' la gente si è
> svegliata. Ricordiamoci che la guerra in Vietnam veniva presentata come

una
> guerra che dovevamo combattere per fermare il comunismo. Ma in breve

apparve
> chiaro che la guerra era qualcos'altro. E così anche la minaccia comunista
> evaporò e negli anni `60 il Comitato parlamentare sulle attività
> anti-americane scomparve dalla scena. Perciò credo che il governo avrà
> sempre meno successo nel rendere tutti isterici sul terrorismo.
>
> Come mai gli americani non si rendono conto di quanto ha macchiato la loro
> immagine all'estero la vicenda di Guantanamo? Come mai non si sono resi
> conto che quelle immagini di prigionieri rinchiusi in gabbie all'aperto

come
> animali, sotto illuminazione permanente, faceva riaffiorare i ricordi dei
> lager?
>
> Gli americani non sanno nulla di quello che succede all'estero, perché la
> stragrande maggioranza trae tutte le notizie dalla tv che non parla mai
> dell'estero. E i giornali ne parlano pochissimo. Se fai un sondaggio su
> Guantanamo, scoprirai che il 90% degli americani non sa nulla di quel che

vi
> succede. Il controllo totale sull'ìnformazione in questo paese è

l'ostacolo
> più serio per un mutamento della politica americana.
>