[Forumumbri] Paolo Persichetti: guerra e castigo

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Autor: franco coppoli
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L'articolo originale e' recuperabile a http://italy.indymedia.org/news/2002/08/74580.php. Stampa i commenti.
un articolo di Paolo Persichetti: guerra e castigo
by macedonio Sunday August 25, 2002 at 10:10 PM
Condannato a 22 anni di carcere per banda armata, Paolo Persichetti viveva da "clandestino ufficiale" a Parigi, dove una forte mobilitazione aveva impedito la sua estradizione in Italia. E' da poco uscito un suo saggio nel libro "Guerra civile mondiale", Odradek editore, che segue perch#34868;rovato in rete su: http://www.scirocco-news.org/sommario.htm


A Genova, in piazza Alimonda, un caldo pomeriggio d'estate bagnato dal sangue sembrava aver cambiato il corso della storia. L'eclettico movimento contro la "globalizzazione neoliberale" contava il suo primo morto, un ragazzo, Carlo Giuliani. Almeno questa sembrava allora la convinzione di molti. Come sempre il vizio etnocentrico portava l'Occidente, anche quello che si vuole pi#55619;#56481;dicale, a presentarsi come lo specchio del tempo, misura degli eventi, calendario della storia, dimenticando altri morti, ancora pi#55618;#57269;merosi ma lontani e senza volto, nel Chiapas, nell'Equador, in Africa... Non meno di due mesi dopo, il mattino dell'11 settembre, il dirottamento suicida di quattro aerei USA lanciati contro il Pentagono e le Twin Towers ha nuovamente e bruscamente modificato il percorso degli eventi. Folgorante, l'agitato succedersi degli avvenimenti s'#34861;ostrato pi#55619;#56741;loce del pensiero. La realt#2088;a preceduto l'immaginazione, oltrepassato ogni ipotesi, largamente subissato la finzione realizzando i sogni inconfessati d'alcuni e gli incubi temuti da altri. Le immagini dei due aerei che entravano nelle Torri, lo squarcio fumante del Pentagono, che un'accorta politica dell'immagine ha velocemente epurato dagli schermi televisivi tentando di censurare dalla memoria la profonda ferita portata all'orgogliosa arroganza del complesso militar-industriale e al sentimento d'invulnerabilit#2084;ella nazione americana, hanno infranto certezze e miti della grande potenza. Ripiegata su se stessa, colpita al cuore, l'America, come una bestia ferita, ha cominciato a guardarsi mostrando agli occhi increduli del mondo una impensata fragilit#2089;nterna: una grande insicurezza psicologica che innerva la sua complessa trama sociale. Gli Stati Uniti sono ridivenuti di colpo umani, dopo che la morte per strage aveva dissolto momentaneamente le classi, riunificando sotto una montagna di macerie le migliaia di agenti del capitale finanziario, i brockers in uniforme giacca e cravatta, e le centinaia di clandestini lavapiatti, puliscicessi e lavavetri, che come topi lavoravano per qualche dollaro l'ora nei retrobottega delle grandi Torri. La distanza sociale, il dominio degli uni sugli altri, lo sfruttamento dei primi sui secondi, si ricomponeva nei cadaveri bruciati, maciullati, tritati, sfarinati, d'una comunit#2101;mana tornata polvere.
Increduli abbiamo osservato questo avvenimento assoluto, "madre di tutti gli eventi", come l'ha definito Baudrillard, spiegandoci che la portata simbolica di quanto #34849;ccaduto sorpassa di gran lunga l'odio, sano e legittimo, contro la potenza mondiale dominante, diffuso tra i diseredati e gli sfruttati e tutti quelli relegati o finiti nella parte sbagliata del nuovo ordine mondiale. No, quest'odio viene dal cuore stesso del nuovo ordine, cresce al suo interno come il baco nella mela. L'allergia ad ogni ordine definitivo #35616;fortunatamente, un sentimento universale. L'emergere della potenza ingenera con la sua crescita il suo esatto contrario, ovvero la volont#2084;i distruggerla. La potenza, la volont#2084;i dominio, #34852;unque in qualche modo complice della sua stessa distruzione, per questo «quando le due torri sono crollate, si #34849;vuta l'impressione ch'esse rispondessero al suicidio degli aerei-suicidi col loro suicidio». Insomma le Torri si sarebbero suicidate, #34865;uesta la suggestiva iperbole provocatoriamente lanciata da Baudrillard. Che vuol dire? La guerra in corso dall'11 settembre #34854;orse una nuova forma di lotta di classe a scala mondiale sublimata sotto le vesti religiose di un islam dei poveri contro le altre credenze teologiche dei ricchi? #544;una guerra tra profeti e messia sotto il nome di uno stesso Dio? #544;Dio stesso che si #34852;ichiarato guerra? Oppure #34860;o svolgersi finalmente aperto d'una battaglia tra il Nord opulento contro il Sud diseredato, una volta giunto a termine lo scontro tra Est e Ovest?

L'oppio del popolo

Il conflitto che #34857;n corso, spiega Paul Virilio, ricorda sempre pi#55618;#57121; guerra tra caste, cio#34868;ra mafie dell'oppio, sette religiose, signori della guerra e multinazionali. Nessuno l'ha ancora detto, eppure mai gruppo religioso al mondo #34867;tato pi#55619;#56745;cino alla formulazione marxiana della religione di quanto lo siano i Talebani. Scriveva Marx nella introduzione alla Filosofia del diritto di Hegel che «la miseria religiosa #34849;l tempo stesso l'espressione della miseria reale e la protesta contro questa miseria reale. La religione #34857;l gemito della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualit#2976;La religione #34860;'oppio del popolo», una magica credenza che allevia come uno stupefacente i popoli dalla sofferenza rendendoli schiavi del bisogno d'essere alleviati in futuro. La teologia dei mullhah, trafficanti d'oppio in combutta con i servizi pachistani, costituisce l'essenza pi#55618;#56559;mpiuta di una religione che non #34867;olo oppio del popolo ma #34857;l surrogato sociale dell'oppio prodotto da un intero popolo. Murdoch, Bill Gates, Lockeed, Mac Donnel Douglas, bin Laden corporation, Bush and sons Oil company, sono i protagonisti d'un conflitto che solo in minima parte si svolge sui primi scoscesi pendii delle catene himalayane, tomba di tanti imperi. Il vero regolamento di conti avviene nei paesi offshore, all'interno dei sofisticati circuiti finanziari. La postmodernit#2088; questa: «come se fossimo tornati alla feudalit#2848;ma all'epoca e a scala della mondializzazione. Come se fossimo regrediti nella storia perch#38945;bbiamo progredito nello spazio, in uno spazio globale, con la rapidit#2084;ei trasporti o della quotazioni in borsa». Ha ragione Virilio, la postmodernit#2084;i questo conflitto #34852;ata dalla congiunzione dell'assolutamente arcaico con l'ipermoderno. Una societ#2100;ribale patriarcale, caratterizzata da un'assenza di sviluppo delle forze produttive, da comunit#2081;gropastorali divise in etnie ostili, da risacche di modernit#2848;depredate peraltro da vent'anni di guerra civile, raccolte attorno a qualche centro urbano come Kabul, dall'assenza totale d'una societ#2083;ivile, da #39721;te sociali e politiche raccolte attorno ai profitti ricavati da traffici e dazi d'ogni tipo realizzati sulla base di piccoli potentati locali, veri e propri feudi sui quali regna un signore attorniato da un esercito privato di sgherri al soldo. Economia di traffici e rapina saldata alla sofisticata ingegneria finanziaria d'un aristocratico saudita, nutrito dalla rendita moderna del petrolio che ha soppiantato la vecchia rendita fondiaria. Il mullah Omar, carismatico capo religioso figlio di contadini senza terra, unito in un patto d'acciaio con l'emiro bin Laden, ex rampollo d'una famiglia ben conosciuta e apprezzata nei salotti buoni della finanza nordamericana, associati in una guerra contro un vecchio alleato, gli USA di George Bush, lui stesso figlio viziato d'una famiglia che ha costruito la sua fortuna economica sul petrolio. Amici di ieri, nemici di oggi.

La disgregazione del regime talebano, dissoltosi come neve al sole dopo poche settimane di bombardamenti, mostra come quell'entit#2086;osse artificiale, escrescenza tumorale sviluppatasi all'ombra del subimperialismo pachistano e grazie all'indifferenza compiacente dei gendarmi nordamericani del nuovo ordine imperiale. La realt#2083;lanica della societ#2081;fgana ha avuto la meglio sulla dimensione ideologico-religiosa della guerra santa. A parte alcune brigate d'elite, costituite da militanti fedeli alla jihad, molti dei quali stranieri, il resto della truppa talibana ha ripiegato sui propri villaggi. Il contadino pashtun #34868;ornato a casa, mentre diversi loro comandanti hanno intascato valige di dollari. La tutela del controllo sul proprio territorio tribale, e dunque sulle forme d'economia che vi sussistono, ha prevalso su ogni altra esigenza.

Questo conflitto #34860;'emblema dell'entrata in un'epoca dalla complessit#2089;nfinita, «medio evo della mondializzazione», la definisce Virilio che metaforicamente vi ritrova le stesse figure dell'antica societ#2084;egli ordini e delle caste: i "signori" dei traffici che pullulano con i commerci illegali pi#55619;#56566;ariati, protagonisti d'una economia corsara, prototipo di una accumulazione originaria fatta di rapina e d'arrembaggio. Come non pensare alla Russia, passata in un baleno dalla struttura burocratica del partito-nomeklatura alle mafie, alle lobbies, alle bande e alle banche? ; i "preti" che si moltiplicano tra i profeti della guerra di religione e gli inquisitori della giustizia universale; il contadiname, altrimenti detto la base sociale del movimento antiglobalizzazione - e qui certo Virilio pensa alla confederazione paesana di Jose Bov#38957;, il che poco si addice alla composizione italiana del movimento antiglobal, dove sono sparuti i petits Jacques, a parte le saltuarie apparizioni della mucca Ercolina col suo padrone. "Piccolo Giacomo", era il termine con il quale durante l'ancien regime la nobilt#2084;ei latifondi chiamava gli anonimi contadini, considerati dei non soggetti, scheletri intercambiabili, equivalenti l'uno con l'altro, non persone, sovranumeri, eccedenze carnacee. Da qui #34864;oi venuto il termine jacquerie, per indicare l'ira funesta e senza perdono dei contadini in rivolta che saccheggiava, devastava e bruciava le propriet#2084;ei nobili, trucidando e violentando all'occorrenza. Nel contesto italiano, sempre stando alla metafora medioevale avanzata da Virilio, i preti trovano un posto di rilievo nel movimento antiglobal, sorta di nuovi pastori anabattisti che un tempo guidavano le rivolte contadine. L'anima cattolica, il volontariato legato al cattolicesimo sociale, costituisce se non la componente maggioritaria, quanto meno una buona met#2084;el movimento antiglobal in Italia, e Woytila #34867;enza dubbio un antesignano e grande ma#60722;e a penser della critica alla globalizzazione che ai suoi occhi corrisponde all'universalizzazione del materialismo liberale e alla secolarizzazione borghese. Egli rappresenta uno dei referenti ideologici della critica anticapitalista che alimenta le culture antiglobal, insieme allo zapatismo di Marcos (sorta di terzomondismo riveduto e corretto). Un anticapitalismo con un basso tasso di marxismo che in Francia invece #34864;revalentemente sostituito dalla cultura sovranista (trasversale alla destra come alla sinistra), che si professa antiglobalista perch#38966;eterokeynesiana, statalista, neoprotezionista e neocorporativa.

Giustizia penale universale

Manca il terzo stato nella rappresentazione suggerita da Virilio, un p#55874;#56442;zardata ma certo suggestiva. Non ci sono l'equivalente delle professioni della toga, manca la borghesia mercantile, il mondo dei mestieri, le corporazioni degli artigiani e dei bottegai. Stiamo al gioco e proviamo a guardarci meglio intorno: a ben vedere le professioni della toga le ritroviamo nella diplomazia internazionale, negli azzeccacarbugli dell'ONU, nei vari organismi economici e finanziari sopranazionali, in quel Palais de Bruxelles, sede dell'Unione europea, che ricorda tanto il parlamento di Parigi in combutta contro il re di Francia, ma ancora di pi#55618;#57253;l personale giuridico delle corti penali internazionali ad hoc, propaggini moderne della vecchia Santa Inquisizione, sacerdoti e magistrati al tempo stesso, come il procuratore generale Carla Del Ponte. Possiamo identificarli tra i nuovi imprenditori della morale e della sanzione, avanguardie dell'ingerenza giudiziaria, inquisitori del giudiziario globale o meglio della mondializzazione penale, come l'ex magistrato di Castiglia, divenuto nel frattempo giudice metaplanetario, Baltazar Garzon, partigiano intraprendente della "giustizia penale universale" oramai diretta concorrente del giudizio universale divino. La borghesia mercantile ci rinvia a figure note e familiarmente nemiche, un po' mercanti e un po' banditi, o meglio l'uno e per forza di cose l'altro insieme. Scriveva il New York Times del 28 marzo 1999: "affinch#38956;a globalizzazione possa funzionare, l'America non deve temere d'agire come la superpotenza onnipotente ch'essa #35744;La mano invisibile del mercato non funzioner#2093;ai senza ricorrere al suo pugno nascosto. MC Do non pu#55875;#56370;osperare senza Mac Donnel Douglas, il costruttore degli aerei F15". Pi#55618;#56552;iaro non poteva essere! La forza della persuasione #34868;anto pi#55618;#56678;ficace quando s'accompagna con la persuasione della forza. Cos#51235;oncorrenza e marketing dominano e regolano il mondo. L'universo dei mestieri e delle corporazioni ci porta invece tra i Ciompi moderni, alla realt#2083;omplessa della forza lavoro, quella a infimo costo, sorta di nuovo servaggio, dei paesi del Sud-Est asiatico, del Sud America e dell'Est Europa, oppure al precariato, all'evanescenza contrattuale del lavoro odierno in Europa e in Nord America.

Guerra di caste o guerra frattale, in ogni caso guerra totale. Se gli americani hanno inventato l'aereo furtivo, l'11 settembre ha introdotto l'attentato furtivo. Un "nemico" anonimo suicidario e stragista si #34849;ffacciato, raccogliendo una sfida divenuta confronto feroce. Terrore contro terrore, crudelt#2081;l posto della violenza, in ogni caso terrore asimmetrico che spiazza e disarma la grande potenza americana. Un paese che ha cancellato, grazie al mito ipertecnologico della guerra aerea e ciberspaziale, l'idea della morte nel proprio campo e nel campo avverso, a seguito della dottrina del costo zero e della guerra chirurgica e pulita, si ritrova paradossalmente vulnerabile. L'iperpotenza tecnologica #34870;enuta a supplire l'iperfragilit#2096;sicologica, ma fino a che punto? Gli stragisti dell'11 settembre sono riusciti a trasformare la loro vocazione al suicidio in una arma assoluta contro un sistema che vive della esclusione della morte, della propria morte, e il cui ideale #34849;ppunto quello dello zero morti. «Ogni sistema a zero morti #34869;n sistema a somma nulla. E tutti i sistemi di dissuasione e di distruzione non possono nulla contro un nemico che ha gi#2086;atto della propria morte un'arma d'attacco». Se gli stragisti suicidi hanno altrettanta voglia di morire di quanto gli americani hanno voglia di vivere #34850;en difficile annullare il loro potere di nocivit#2848;salvo neutralizzarli preventivamente.

Guerra Mondo

Il divenire ondulatorio della storia, il suo andare zigzagante, il procedere per salti, balzi in avanti e catastrofi improvvise, impone alla riflessione di misurarsi con nuove ed impreviste verifiche. Ad alcuni mesi di distanza #34863;ramai impossibile tornare sui moti di Genova senza prendere in conto la variabile delle Torri fumanti, il paradigma della guerra-mondo che il loro crollo ha annunciato. Un conflitto senza confini contro un avversario fantasma muta l'essenza della guerra. La fragile amministrazione Bush, votata dai tribunali pi#55618;#56552;e dagli elettori, grazie alla elaborazione di una nuova dottrina della guerra fredda, ha finalmente trovato l'identit#2085; il programma mancanti e una nuova legittimit#2089;nterna. Si profila cos#51253;n nuovo tipo di conflitto globale, non pi#55618;#56559;ntro un'altra potenza, non pi#55618;#56559;ntro un campo visibile anche se mobile, non pi#55619;#56686;a situazione d'ostilit#2083;he traslava e intrappolava nella divisione verticale dei campi contrapposti lo scontro orizzontale della lotta di classe. No! La guerra #34863;ramai contro un fantasma, rincorre delle ombre, inventa nuovi confini in un territorio che non ha pi#55618;#56754;ontiere e che dunque #34867;empre e comunque interno. La guerra #34863;ramai contro il nemico interno, tutti i nemici interni e le politiche non allineate. Pacificazione forzata e repressione dei renitenti, dei disertori e degli insubordinati. Un nuovo arsenale giuridico #34867;tato messo in piedi proprio per questo. L'11 settembre ha aperto una nuova epoca di fondazione dell'urgenza. Siamo tutti testimoni di un passaggio cruciale, d'un momento fondatore. Stiamo assistendo in tempo reale alla costruzione dell'eccezione che frantuma la regola precedente. La necessit#2086;onda la legittimit#2099;piegava Santi Romano di fronte al terremoto di Messina del 1911. La necessit#2084;ella guerra sta giustificando la legittimit#2084;i un nuovo livello di giuridicit#2848;altrimenti detto di nuove condizioni della legalit#2976;E chi decide della necessit#2085; delle sue priorit#4064;Il sovrano, e sovrano #34851;olui che #34851;apace d'imporre e governare l'eccezione. Bush ha gi#2084;eciso che gli attentatori dell'11 settembre, se catturati, non verranno giudicati pi#55618;#56609; una giurisdizione civile ma da una corte militare ad hoc. Saranno insomma deferiti ad una corte marziale ultraspeciale, cio#34869;lteriormente in deroga a quel regime speciale, previsto in tutte le costituzioni, che gi#2099;ospende il diritto comune corrente in una situazione di guerra. Ed una vera legislazione di guerra #34865;uella che #34867;tata promulgata o sta per essere varata da diversi paesi negli ultimi mesi. Sulla base di quale legittimit#4064;La loro forza!

Fa notare Danilo Zolo, in un articolo apparso sul Manifesto del 16 Novembre 2001 ("Dallo stato di diritto all'Impero penale"), che l'azione repressiva proposta dagli americani ha dato luogo ad una strategia di creazione d'organi giudiziari straordinari, di Tribunali speciali, di militarizzazione della giustizia interna, dunque di una sospensione di larghe zone dello stato di diritto che rafforza il modello dello "Stato penale". Come ha scritto il New York Times, questi tribunali militari ad hoc saranno segretamente istituiti dal potere esecutivo, a suo arbitrio e in qualsiasi momento. Gli imputati verranno privati della quasi totalit#2084;ei loro diritti di difesa, in una misura molto pi#55618;#56941;portante di quanto gi#2081;vviene presso la normale giurisdizione penale militare. Ma ci#55874;#56552;e #34849;ncora pi#55619;#56553;gnificativo - ricorda sempre Zolo - «#34860;a decisione dell'amministrazione Bush di istituire tribunali di questo tipo anche all'estero, cominciando dall'Afghanistan e dal Pakistan: una farsa tragica della giustizia internazionale. Lo "Stato penale" statunitense tenderebbe cos#51233; convertirsi nelle forme di un "Impero penale", impegnato a giustiziare i nemici che non siano stati direttamente eliminati con le armi o dai servizi segreti. E questi nemici potrebbero essere individuati, spiati e sorvegliati ovunque nel mondo, tradotti davanti a questi tribunali speciali, processati e giudicati segretamente». L'emergenza di un ordine unipolare ha reso desueta la funzione dell'arbitro internazionale, altrimenti detto l'ONU, divenuto piuttosto un notaio del gendarme mondiale. In seguito, il potente sviluppo della giudiziarizzazione delle relazioni internazionali ha introdotto la figura centrale del giudice. Chi #34857;l giudice? Questa #34860;a vera posta in gioco attuale. Gli USA non vogliono pi#55618;#56691;sere relegati al solo ruolo di gendarme del nuovo ordine mondiale ma rivendicano anche la funzione, a questo punto unica poich#38963;ono solo loro a metterci la forza, di giudice. Due culture, una fondata sulla ragione cinica, o "etica della responsabilit#2481;uot;, l'altra fondata sulla ragione morale, o "etica della convinzione", s'affrontano. Da una parte gli USA, ed in modo particolare i realisti che influenzano la sua politica estera, dall'altra le vestali della giustizia penale internazionale, del tribunale penale internazionale sotto l'egida dell'ONU, che gli USA guardano con estrema diffidenza se non con aperta ostilit#2976;Ancora una volta che #34857;l giudice? Georges Bush contro Baltazar Garzon. Chi il peggiore dei due? Certo tra i due non c'#34869;n migliore. Quando nelle relazioni internazionali dominava la figura dell'arbitro, giudici e gendarmi erano relegati. Quando le controversie non trovavano regolazione, la parola passava ai partigiani sul terreno dello scontro, per ritornare poi sul tavolo del negoziato. Quando #34853;mersa la figura del gendarme, l'arbitro #34867;tato relegato al ruolo di notaio. Ora che s'impone la figura del giudice, l'arbitro #34867;comparso sostituito dal secondino. La giudiziarizzazione delle relazioni sociali e di quelle internazionali introduce comunque, quale che sia il giudice, il ricorso alla forma penale come criterio di regolazione e governo delle relazioni sociali. Se in passato le guerre una volta terminate lasciavano il posto alla politica in senso stretto (diplomazia, trattati, negoziati), dove la parte belligerante sconfitta non era privata del suo status politico legittimo, oggi i conflitti si chiudono con dei processi di fronte a delle corti penali internazionali rappresentati pi#55618;#57312;meno espliciti dei vincitori. Non solo c'#34851;riminalizzazione del perdente, privato del suo status politico originario, ma il giudice #34852;irettamente parte in causa. La parte vincente vede cos#51244;egittimata la sua forza, attraverso la sanzione universale fornita dalla giustizia. La forza bruta diventa il criterio del giusto, come gi#2081; suo tempo aveva detto Pascal: "non potendo fare del giusto il forte, si fece del forte il giusto".

L'edificazione del nuovo ordine giudiziario globale consta di tre livelli:

* nuova qualificazione estensiva dell'infrazione di terrorismo attraverso una definizione concettualmente omogenea e riconosciuta a livello internazionale, armonizzata e integrata alle singole normative nazionali;

* mandato d'arresto europeo sulla base del mutuo riconoscimento delle sentenze e degli atti di giustizia. Misura che introduce la fine, o la riduzione sostanziale, del regime delle estradizioni all'interno dello spazio giudiziario europeo;

* promulgazione a livello nazionale di una vasta panoplia di norme sulla sicurezza interna che assimilano princ#52265; e misure decise a livello internazionale e comunitario, avviando cos#51249;uella che si pu#55874;#56613;finire: lo scatenamento di una guerra giudiziaria contro il sociale, una penalizzazione della sfera pubblica, la criminalizzazione della vita.

Il mandato d'arresto europeo e la nuova infrazione di terrorismo

Una nuova tappa #34867;tata raggiunta con l'imminente introduzione del mandato d'arresto europeo che abolisce, all'interno del territorio dell'Unione, l'istituto delle estradizioni con la relativa normativa giuridico-politica, i trattati e gli accordi internazionali, nonch#38956;'intera impalcatura delle garanzie e tutele per la persona inquisita o condannata. Il progetto, presentato dalla commissione europea, verr#2081;dottato dal consiglio dei ministri dell'Unione europea nel prossimo dicembre 2001. Il mutuo riconoscimento delle sentenze e degli atti di giustizia, accompagnata dal progetto di riformulazione estensiva a scala occidentale dell'infrazione di terrorismo, d#2092;uogo alla creazione di uno spazio giudiziario europeo privo dei necessari fondamenti giuridico-costituzionali. Il modello anglo-sassone del Common Law (assenza di costituzione scritta e civilt#2087;iuridica fondata sulla tradizione, usi e costumi) #34852;i fatto l'ispiratore di questo edificio giuridico senza un ordinamento costituzionale preventivo e unificato. Il peggio di ogni tradizione riassume la sintesi di questa area giudiziaria che, esentata dalla presenza dei vincoli di una norma costituzionale superiore, propria della tradizione del Civil Law, fa anche a meno dei "pesi e contrappesi" che pure ispirano la tradizione anglo-sassone. Se l'Europa finanziaria e monetaria, lo spazio di libero scambio e circolazione dei capitali e delle merci, s'ispirano ad una ferrea dottrina neoliberale, l'Europa giudiziaria fa strame invece della stesso formalismo predicato dalla scuola giuridica liberale preferendole la tradizione dello Stato di diritto autoritario, che ben conosciamo in Italia attraverso l'eredit#2084;ella codificazione fascista e soprattutto grazie al ventennio emergenzialista, figlio del sostanzialismo giuridico della sinistra (quello della "via giudiziaria al socialismo" divenuta pi#55619;#56609;rdi "via giudiziaria alla eliminazione dell'avversario parlamentare"). Gli estensori dei due testi non nascondono affatto le loro intenzioni allorch#38963;uggeriscono, nero su bianco, che tra i comportamenti illeciti perseguibili "potrebbero rientrare, tra l'altro, gli atti di violenza urbana". Appare chiaro come negli obiettivi di questo nuovo arsenale giuridico si vogliano far entrare a pieno titolo le azioni e le pratiche di buona parte dei nuovi movimenti che si sono manifestati a Seattle, Praga, G#56978;#56674;org e Genova.

Tra i comportamenti illeciti (riassunti in 13 punti) qualificati ora come azioni di terrorismo segnaliamo:

f) "l'occupazione abusiva o il danneggiamento di infrastrutture statali e pubbliche, mezzi di trasporto pubblico, luoghi pubblici e beni". Reato passibile d'una pena di reclusione di anni 5. I CSOA (Centri sociali occupati e autogestiti) sono avvertiti, salvo nel frattempo aver regolato il contratto d'affitto o di compra-vendita col legittimo proprietario. Sono avvertiti anche tutti quei movimenti sociali che nel corso delle loro azioni possono aver avuto l'idea d'occupare il proprio posto di lavoro, o una stazione ferroviaria o la pista di un aeroporto, per non parlare, infine, delle autogestioni scolastiche;

i) "l'intralcio o l'interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse fondamentali". Tutti gli eventuali scioperi "irregolari" nel settore potrebbero inquadrarsi agevolmente come delle azioni di terrorismo. La triplice, e soprattutto i Cobas sono avvertiti, non foss'altro perch#38956;a pena di reclusione erogabile sale fino ad un massimo di anni 10;

j) "gli attentati mediante manomissione dei sistemi di informazione". I compagni virtualisti, le reti informatiche di movimento, gli hacker, sono messi in mora. Niente pi#55618;#57185;nifestazioni digitali, cortei di mail, assalti a siti con bombardamenti o invio di virus stile I love you. Finiti gli scherzi, ragazzi! Pena il rischio di anni 5 di reclusione;

Questa "fatwa" capitalista lanciata contro ogni attacco portato alla propriet#2848;ai beni - mobili e immobili - e ai mezzi di produzione - materiali e immateriali - mostra come, l'infrazione di tipo terrorista costituisca oramai una violazione dell'essenza stessa dell'etica del capitale, valore supremo da difendere in s#39840;Non #34868;anto "l'intensit#2084;i violenza" o la volont#2084;i nuocere all'integrit#2084;ella persona umana, come recitavano alcuni testi in passato, che oggi viene presa di mira, quanto il pregiudizio portato contro la propriet#2848;i mezzi di produzione, la valorizzazione, che senza pi#55618;#56428;cun velo d'ipocrisia, #34863;ra esplicitamente sanzionato come crimine assoluto. L'estensione a dismisura della nozione di terrorismo (concetto insolubile, categoria aporetica divenuta un operatore ideologico abusato, aporia giuridica, parola pattumiera, vera e propria stigmate), #34866;ipresa in modo particolare dal Terrorism Act, varato nel Regno Unito nel gennaio 2000. Provvedimento che definisce il terrorismo come un'azione o una minaccia d'azione mirata a "influire sul governo o a intimidire la popolazione o una parte di essa"... o ancora come "l'azione o la minaccia d'azione compiuta allo scopo di promuovere una causa politica, religiosa o ideologica". Si tratta della definizione pi#55618;#56691;tesa che esista attualmente nella legislazione mondiale. Qualcuno ha ricordato (fornendo una paradossale interpretazione garantista d'un testo ben lontano da quei principi) come sia necessario, per incappare in questo nuovo tipo d'infrazione, la presenza non solo dell'elemento materiale (l'atto illecito) ma anche la compresenza dell'elemento intenzionale (la volont#2089;llecita). In altre parole, non #34867;ufficiente occupare, per esempio, un posto di lavoro perch#38966;enga commesso una infrazione di tipo terrorista; occorre che questa occupazione sia inquadrata all'interno di una esplicita volont#2084;i sovvertire, sabotare o semplicemente colpire l'ordine costituito, le istituzioni e il governo.

Ma la volont#2848;quand'essa non risulta oggettivata da prova scritta o registrata, #34863;ggetto d'interpretazione, materia di scandaglio per il lettino dello psicanalista. Una volont#2096;u#55874;#56691;sere "attribuita", i margini dell'arbitrio poliziesco e giudiziario sono molto larghi in questo senso. Un tale dispositivo giudiziario, applicato ad ambienti e comportamenti che per definizione si collocano ai margini del lecito e dell'illecito, percorrendo i confini della norma costituita, pu#55874;#56545;usare notevoli danni alle libert#2096;ubbliche e della persona. Ed in ogni caso, #34857;l diritto stesso alla critica, oltre ch#38956;a possibilit#2083;oncreta d'esercitare materialmente opposizione, insubordinazione, refrattariet#2848;che viene preso di mira e si trova criminalizzato da questa formulazione. Queste nuove regole sono gi#2099;tate recepite nelle settimane scorse dalle legislazioni d'alcuni paesi europei. Francia, Italia, Germania, Spagna, hanno integrato il loro gi#2098;icchissimo arsenale giuridico antiterrorista. L'Italia s'#34852;otata, attraverso un decreto legge, d'una ulteriore qualificazione del reato d'associazione sovversiva che porta a sette il numero dei reati associativi inclusi nel codice penale. Una proliferazione che fa dell'originario codice Rocco un manuale di liberalit#2083;on le sue sole tre qualificazioni: "associazione per delinquere", rivolta ai reati di diritto comune che gli inglesi definiscono, dopo l'emergere del conflitto nord irlandese, "crimini decenti e ordinari"; "associazione sovversiva" e "banda armata", infrazioni di natura politica che in molti paesi rilevano del diritto speciale e d'eccezione. Ad esse, col sommarsi delle emergenze, che s'aprono senza mai conoscere chiusura per cui ad infrazioni la cui natura storico-sociale #34851;iclica (insurrezioni, moti, disordini) corrisponde una sanzione normativa perenne tale da rendere endemicamente artificiali questo tipo di fenomeni, s'aggiungono stratificandosi: "l'associazione sovversiva con finalit#2084;i terrorismo"; "l'associazione per delinquere di stampo mafioso"; la figura anomala del "concorso esterno all'associazione per delinquere di stampo mafioso" e ultima arrivata "l'associazione sovversiva con finalit#2084;i terrorismo internazionale".

Malthusianesimo penale

In Francia sotto il nome di "legge sulla sicurezza quotidiana" sono state varate una lunga serie di norme che in grande misura nulla hanno a che vedere col preteso "pericolo terrorista" suscitato da Al Quaeda, la rete organizzativa messa in piedi da Ben Laden. Si tratta, in realt#2848;di una lista di misure, inasprimenti penali e giudiziari, riguardanti il governo quotidiano della societ#2848;in modo particolare nelle aree sociali calde, come le periferie urbane, i grandi agglomerati dell'edilizia popolare, il sistema dei trasporti pubblici. Tutti luoghi di tensione continua, di scontro quotidiano tra forza pubblica e realt#2099;ociali emarginate. Due esempi risultano estremamente significativi:

- l'attribuzione, agli agenti delle societ#2084;i sorveglianza privata, della possibilit#2084;i svolgere perquisizioni personali, attraverso palpazione, nei confronti dei cittadini. Si tratta d'un episodio che si iscrive all'interno del pi#55618;#56805;nerale processo di privatizzazione della societ#2976;#544;una concessione evidente al principio d'autodifesa della propriet#2096;rivata, presente in modo particolare nelle teorie dello Stato minimale (si veda, per esempio, l'elogio delle agenzie private di sicurezza avanzato dallo statunitense Robert Nozick, teorico dell'anarco-capitalismo libertariano);

- La trasformazione d'una infrazione amministrativa, quale l'elusione del pagamento del titolo di circolazione nei mezzi pubblici, in reato penale dopo il decimo caso di recidiva (passibile di sei mesi di reclusione e 7500 euro di multa). Quelle che in un altro momento storico erano classificate come banali forme di incivilit#39712;diseducazione e malcostume sociale, diventano veri e propri delitti penali. Dietro l'elusione sociale del pagamento dei mezzi di trasporto pubblico, un comportamento estremamente diffuso tra i giovani delle periferie che utilizzano i treni e i metro per recarsi nei centri urbani, non vi #34867;olamente un atteggiamento di insubordinazione ma anche e soprattutto una immediata questione sociale, legata al problema del costo del titolo di trasporto, dettato non pi#55618;#56609; criteri di servizio pubblico ma di redditivit#2976;Per chi abita nei grossi centri a 50 chilometri da Parigi, una andata e ritorno costa pi#55618;#56617; trenta mila lire, intorno ai venti euro. Non solo, ma da tempo la verifica del titolo di trasporto si #34868;rasformato in un controllo d'identit#2976;Le squadre di controllori della societ#2084;i trasporti agiscono da tempo col supporto di agenti di polizia in borghese, i quali prendono sistematicamente in consegna le persone colte in flagranza. I trasporti pubblici sono divenuti dunque un luogo di controllo sociale intenso e capillare, mirato a scovare gli immigrati clandestini e ogni sorta d'irregolarit#2085; anomalia sociale, proprio sotto quei tunnel del metro dove brulica una umanit#2101;nderground, una citt#2094;ella citt#2848;una societ#2094;ella societ#2106; lavoratori, clandestini, barboni, studenti, percettori dei sussidi di disoccupazione, artisti non pi#55618;#56617; strada ma di tunnel, turisti, bischeri e scansafatiche, giramondo, impiegati, distratti e frettolosi...

Si torna ad una forma di societ#2098;etta dal modello degli animals spirits. La fine dell'espansione keynesiana, la crisi del modello sociale fordista, la rottura dei meccanismi d'integrazione corporativa della societ#2084;el welfare, introduce una nuova societ#2084;ell'esclusione. Dove appunto lotta di classe #34857;nnanzitutto marginalizzazione sociale, inclusione forzata nell'esercito salariale di riserva, nell'armata del precariato diffuso. La nozione di sovranumero ritorna in auge, rilanciando una sorta di malthusianesimo penale che designa le nuove classi pericolose. Mentre i nuovi imprenditori politici e giudiziari della morale neomalthusiana e dello "zero tolleranza" disegnano il profilo delle nuove classi pericolose, senza che per altro questi gruppi sociali si percepiscano essi stessi come "classi", identificandosi piuttosto nei gruppi etnici o religiosi, soltanto il capitale, un certo tipo di capitale ultradinamico, iperveloce e dalle antenne ultrasensibili, riesce a comunicare con loro. Solo le grandi major musicali e le grandi multinazionali dell'abbigliamento sportivo trovano seguito e ascolto, recepiscono la cultura delle periferie, la metabolizzano, studiano e s'appropriano dei suoi codici riformulandoli, arrivando cos#51233; sussumerla completamente. Emarginati e pericolosi, tenuti a distanza dall'esercizio della cittadinanza, esclusi dalla vita della polis, questi lazzaroni moderni trovano riconoscimento e integrazione solo in quanto consumatori di Nike e di Sony. Il marketing li include, la politica li esclude e il capitale stravince.

La criminalizzazione delle politiche non allineate

Gli estensori del testo della Proposta di DECISIONE QUADRO DEL CONSIGLIO sulla lotta contro il terrorismo spiegano che: «i diritti sanciti dalla legge lesi da questo tipo di reato non sono gli stessi diritti lesi dai reati comuni dal momento che le motivazioni dell'autore del reato sono diverse; ci#55874;#56430;che se i reati terroristici possono generalmente essere equiparati, per i loro effetti pratici, ai reati comuni e, pertanto, altri diritti sanciti dalla legge sono ugualmente lesi. Infatti, di solito le azioni terroristiche attentano all'integrit#2086;isica o psichica di individui o gruppi, ai loro beni o alla loro libert#2848;allo stesso modo dei reati comuni, ma vanno oltre in quanto minano le strutture di cui sopra. Pertanto, i reati terroristici sono diversi dai reati comuni e ledono diritti diversi. #544;quindi opportuno prevedere elementi costitutivi e sanzioni diverse e specifiche per reati di tale gravit#3822; Ad essere sanzionato #34857;l momento intenzionale. Non l'atto illecito in s#39712;che trova gi#2101;na sua configurazione criminale prevista dalle infrazioni di diritto comune, ma le motivazioni. Le giustificazioni ideologiche costituiscono l'elemento volitivo. La tipologia politica, culturale o religiosa, #34852;unque l'elemento specificamente punito nell'infrazione di terrorismo. Un quid, un sovrappi#55618;#56692;ichettato come ipercriminale. Questa confessione piena e aperta, sans vergogne, testimonia della svolta radicale intrapresa dagli ordinamenti giudiziari dei sistemi politici retti da forme di governo rappresentativo. Il riconoscimento della politicit#2084;ei reati emerse in modo particolare nel corso dell'800, quando la nozione moderna di delitto politico venne costruendosi essenzialmente attorno ai problemi sollevati dalle procedure d'estradizione, alla ricerca dei fondamenti giuridici che ne giustificassero l'eventuale divieto, alla concessione di amnistie e indulti. Era l'epoca dei movimenti nazional-borghesi. Criteri di classe e interessi geopolitici portarono la Realpolitik dei singoli Stati ad affinare degli strumenti giuridici che offrissero una definizione dell'infrazione politica che non agisse contro l'imputato. La "qualit#2096;olitica" nobilitava e attenuava la portata "criminale" di delitti commessi da membri delle classi dominanti in piena epoca di moti costituzionali, repubblicani e nazionali. Una sostanziale discriminazione classista permetteva di demarcare con maggiore facilit#2097;uesto tipo di infrazioni da quelle considerate di diritto comune poich#38949;sse non includevano ancora le classi pericolose. Col tempo per#55874;#57121; nozione di delitto politico fin#51236;i fatto per essere estesa anche alla conflittualit#2096;olitica e sociale, alla dialettica antagonista tra Stato liberale e movimento operaio.

L'immunit#2083;oncessa da un paese, un impero, un regno era sempre esistita come un corollario della sovranit#2088;il nemico del mio nemico era mio amico, in ogni caso era mio interesse tutelarne l'incolumit#2085; offrirgli protezione. Dante, Leonardo, Machiavelli, Hobbes, Foscolo, Hugo.... hanno dovuto trovare rifugio nel corso della loro vita). Mancava per#55875;#56686; edificio giuridico che ne regolasse e ne giustificasse i fondamenti. Esso si sviluppa con il moltiplicarsi degli Stati nazionali, lo svilupparsi delle relazioni diplomatiche e la nascita d'uno spazio interstatale che d#2092;uogo a regolazioni giuridiche internazionali. L'infrazione politica, forma di illegalit#2096;ositiva, #34864;artecipe di quello jus publicum europeum che regola prima il conflitto sovranazionale tra borghesie e ceti nobili e poi tra borghesie stesse. Le successive vicissitudini dei singoli Stati, a seconda delle fasi di conflittualit#2089;nterna ed esterna, hanno condotto gli ordinamenti giuridici nazionali a recepire in modo alterno la nozione di politicit#3744;

- Da parte degli ordinamenti democratico-liberali vi #34867;tato un tradizionale atteggiamento di misconoscimento della politicit#2085; conseguente sua ipercriminalizzazione (vedi le leggi antianarchiche di fine Ottocento con la creazione in Francia del reato d'association de malfaiteurs). Memori dell'alone positivo che aveva accompagnato i momenti illegali delle lotte politiche liberali, i "liberali" - una volta pervenuti a controllare l'ideologia dominante e divenuti interpreti del potere costituito - hanno preferito ricorrere all'espediente della depoliticizzazione dei comportamenti politici per delegittimare e sanzionare il nemico interno;

- Gli ordinamenti a carattere autoritario hanno optato per il riconoscimento chiaro e l'ipersanzione esplicita della natura politica, intesa come inimicizia, del nemico interno.

L'attuale processo di giudiziarizzazione estrema, unito alla guerra-mondo, sta invertendo la rotta che negli ultimi decenni aveva condotto ad una progressiva depoliticizzazione dei reati, e al contrario s'accresce la loro etichettatura politica negativa attraverso l'impiego pervasivo della stigmate terrorista. Una tendenza che rinvia alla predominanza della categoria dell'inimicus su quella dell'hostis, gi#2095;sservata da alcune scuole di pensiero attente al fenomeno della criminalizzazione dell'avversario politico. In questo nuovo contesto di rinnovata guerra civile mondiale, vari fenomeni subiscono rapide accelerazioni, mutamenti d'intensit#2085; bruschi cambiamenti. Per esempio, la progressiva sterilizzazione dell'istituto della estradizione in corso da anni, non #34864;i#55619;#56565;fficiente. Occorre oramai la sua definitiva abolizione in larghe zone continentali.

I moti di Genova

Molti hanno salutato le giornate di Genova come il momento del grande ritorno del protagonismo delle masse. La vista di diverse centinaia di migliaia di persone ha certamente entusiasmato chi vi era confuso, ha probabilmente intimorito le schiere della destra, ha senza dubbio impressionato all'estero, dove le mobilitazioni "antiglobal" non avevano mai raggiunto una tale soglia numerica. Chi conosce l'Italia, per#55922;#56360; molto meno suggestionabile. Per fortuna, quale che siano stati i diversi fattori che sovente vengono enumerati per indicare la mutazione del politico: crisi delle forme della militanza tradizionale; sfarinamento degli imponenti apparati burocratici di massa (sindacati e partiti di sinistra); mutazione delle forme produttive (fordismo) che facilitavano il raggruppamento e la visibilit#2084;'importanti componenti della forza-lavoro; recupero di forme di notabilato nella politica; crisi del clientelismo politico mediterraneo e ritorno in auge di forme clientelari di stampo anglosassone improntate al modello dei "comitati elettorali": altrimenti detto il partito leggero e flessibile, i cui veri militanti non siedono pi#55618;#57253;lle sezioni ma nelle redazioni che contano, nei salotti buoni dell'alta societ#2083;ivile, della finanza, dell'industria e della tecnostruttura; il ruolo decisivo assunto dai media e in particolare dalla televisione; tutto ci#55874;#57263;n ha impedito periodici bagni di folla nelle piazze italiane. Sinistra e destra hanno ripetutamente mostrato nell'ultimo decennio di saper e poter mobilitare anche se in misura diversa. Circostanza che ha trovato conferma anche nelle mobilitazioni contrapposte del 10 novembre 2001, al di l#2084;ella diversa forza numerica messa in piazza e tradizionalmente favorevole alla sinistra. Semmai il dato nuovo emerso in questa ultima giornata #34867;tata la scomparsa della "sinistra politica" istituzionale. In piazza si sono confrontati la destra politica (moderata, nazionale ed etnica), contro la sinistra sociale.

Chi c'era a Genova?

Sarebbe ora di rispondere a questo interrogativo rinunciando alla retorica autocelebrativa largamente profusa nelle settimane e mesi successivi a quell'evento. Scarsi sono stati i contributi seri all'analisi della composizione sociale del movimento sceso nelle strade della citt#2092;igure. L'analisi della composizione sociale offre una chiave di lettura utile per la comprensione della natura, dell'identit#2085; delle potenzialit#2848;di questa nuova forma di protagonismo sociale. Senza alcuna pretesa di esaustivit#2848;e comunque per difetto, si possono avanzare alcune prime sommarie rilevazioni:

* le realt#2084;ell'associazionismo e del volontariato, il variegato mondo delle ONG (fatte tutte le debite differenze di peso, dimensione e ruolo che esistono tra esse). #544;il caso di ricordare che tra le oltre ventimila ONG recensite, esistono vere e proprie strutture paragovernative che di fatto svolgono un'attivit#2083;ollaterale all'azione dei governi e degli Stati, sorta di diplomazia parallela. Sia detto per inciso, "Non governamentale" non #34852;i per s#38963;inonimo di indipendenza, autonomia e neutralit#3808;cattolici e cristiani, i quali costituiscono una delle componenti sociali pi#55618;#57269;merose grazie al loro intenso tessuto d'associazioni di volontariato e ONG che copre geograficamente e tematicamente il territorio nazionale e pu#55874;#56432;poggiarsi alla tradizionale e solida presenza missionaria nei paesi del terzo mondo;

* la realt#2084;el sindacalismo di base (Cobas, Cub, Rsb, Rsu... settori della sinistra Cgil) che raccoglie molti militanti della estrema sinistra antagonista degli anni 70;

* l'area dei centri sociali, il che non vuol dire molto viste le innumerevoli differenze e divisioni. Non solo, ma sovente i militanti di questi centri sociali o alcuni centri sociali stessi fanno parte o animano ONG e gruppi di volontariato. Nel qual caso le due realt#2099;i sovrappongono e s'intrecciano. Vi sono poi centri sociali pi#55618;#56932;eologici che rinviano a schieramenti o categorie politiche nate con l'estrema sinistra degli anni 70 (neo-emmelle; post-operaisti...) o alla rivisitazione di tradizioni ideologiche storiche come i gruppi neoanarchici, o ancora realt#2084;ifficilmente catalogabili in modo preciso. La cultura ideologica e politica di questo variegato mondo non si nutre pi#55618;#56617; referenti teorici forti e coerenti. La contaminazione, e il pi#55618;#56613;lle volte la confusione, riassume il bagaglio culturale di molti "militanti". Lo stesso termine di militante risulta improprio per definire un impegno che a volte si limita alla semplice frequentazione di luoghi, condivisione di spazi di socialit#2848;musica, momenti di festa e discussione, attivit#2094;on per forza politiche, ma solo genericamente sociali. Un'analisi ancora pi#55618;#56613;ttagliata ci condurrebbe lontano dall'oggetto di questo testo. Anche se sinteticamente va quanto meno ricordato che la forma "centro sociale" #34862;ata agli inizi degli anni 80, soppiantando i vecchi moduli organizzativi dell'estrema sinistra e della sinistra rivoluzionaria degli anni 70, ovvero la micro-forma partito o, in ogni caso, la presenza di un corpo nazionale, centralizzato e organizzato, nei limiti delle forze disponibili, su tutto il territorio, in ogni caso sull'area geografica o cittadina raggiungibile, attorno ad una teoria pi#55618;#57312;meno compiuta ed un progetto politico definito. I primi centri sociali, al contrario, si sono formati sulla base di pratiche locali, di quartiere, sintetizzando affinit#2085; interessi comuni che spesso esulavano dal "politico" tradizionale. Musica, socialit#2848;cultura alternativa, erano gli elementi trainanti di queste nuove aggregazioni giovanili (l'esperienza del Forte Prenestino a Roma #34853;mblematica, mentre il Leoncavallo di Milano costituisce un esempio di sopravvivenza e di travaso della tradizione "creativa" gi#2096;resente negli anni 70). Successivamente, le aree residuali dell'autonomia, scampate alla repressione dell'emergenza, si sono riciclate "sciogliendosi nel sociale". Dai vecchi comitati politici territoriali sono nati i primi centri sociali. Un caso tipico #34867;tato quello della organizzazione cittadina dei Volsci romani, ma ancora pi#55619;#56545;liente #34860;'esperienza dei collettivi politici veneti, i quali di fatto hanno dissimulato la loro originaria struttura partitica estremamente centralizzata e burocratica sotto le mentite spoglie della forma "centri sociali del Nord-Est". Nel corso dei due decenni successivi molti di questi originari centri sociali si sono estinti. Al loro posto ne sono sorti dei nuovi creati da generazioni che non hanno conosciuto le forme di organizzazione politica precedenti.

* Rifondazione comunista era presente in quanto partito. Questa presenza analizzata per#55875;#56565;l piano sociologico conduce ad una ripartizione dei suoi militanti tra le diverse componenti prima indicate, in modo particolare le organizzazioni sindacali di base, la sinistra Cgil, ma anche il volontariato e settori dei centri sociali;

Anche se socialmente insignificante, va segnalata la presenza politica dei Verdi e di alcuni esponenti della sinistra DS. Probabilmente una parte dell'elettorato democratico di sinistra era presente sotto l'egida dell'associazionismo e del volontariato. Importante soprattutto nella manifestazione del giovedi 18 luglio, la presenza di numerose delegazioni e gruppi d'organizzazioni rappresentative degli immigrati.

Settori dell'autoimprenditorialit#2085; dell'economia solidale, organizzati in prevalenza sotto forma di ONG, presenti anche in diversi ambienti dei centri sociali. Questa realt#2085;conomica costituisce oramai un vero e proprio ceto sociale emergente, con una sua plusvalenza, una sua burocrazia, interessi, capitale economico e simbolico nonch#38947;ulturale. Per altro si tratta del ceto sociale pi#55618;#57199;ndializzato per collocazione e interessi e che per questo esprime uno dei fenomeni pi#55618;#57269;ovi della globalizzazione. Imprenditori economici a tutti gli effetti, gli attori di questo settore sostengono il carattere morale del loro commercio sulla base di una economia etica basata su valori d'equit#2848;rispetto, sviluppo sostenibile, nel tentativo di percorrere strade alternative che, sulla base della reciproca utilit#2848;forniscano sbocchi alle attivit#2096;roduttive, artigianali e agricole, dei paesi in via di sviluppo, sottoposte alla scelta tra la sottomissione al monopolio delle multinazionali o la rovina delle proprie attivit#2976;Queste imprese d'economia solidale hanno una forte capacit#2084;i produzione simbolica; in effetti, accanto all'import-export di prodotti, veicolano e diffondono "senso", ideologia. Il loro approccio etico alle questioni poste dalla globalizzazione #34851;ondiviso da larghi strati del movimento noglobal. La natura economica di queste realt#2848;la loro collocazione all'interno del ciclo capitalistico, ne fa un soggetto emergente della nuova imprenditoria e del mercato mondializzato: per questo resta assai difficile coglierne la pertinenza anticapitalista.

Pacifisti, pacificati e pacificatori: nonviolenza e legalitarismo

Si #34864;arlato e straparlato a lungo, prima, durante e dopo Genova, di violenti e nonviolenza. Innanzitutto la questione viene sempre dibattuta in modo univoco. La non-violenza #34849;gitata, in direzione di chi si solleva di fronte al potere, mai mettendo in questione il potere stesso. La "non-violenza" #34864;roposta sempre come pratica unilaterale; essa deve riguardare solo quelli che si pongono di fronte ai poteri costituiti, mai i poteri stessi. Ma i poteri costituiti, altrimenti detto lo Stato, sono nati attraverso un processo di accumulo dei monopoli: la fiscalit#2848;la moneta e la forza. La macchina statale #34864;er definizione il luogo di massima concentrazione della forza, #34860;'istituto che si distingue da una banda qualsiasi perch#38960;u#55874;#56691;ercitarla in modo legittimo, ovvero attraverso la regola dell'autolimitazione. Di fronte alla critica nonviolenta, il potere statale #34852;i per s#38960;rivo di legittimit#2096;erch#38953;ntimamente violento e perch#38949;spressione della violenza dei forti. Ma per i non-violenti italiani questa lezione non vale. Strano modo di rovesciare il segno di quella che pure #34862;ata come forma radicalissima di lotta. Da momento di delegittimazione etica dei poteri costituiti, dei detentori del monopolio della forza legittima ("coercizione", indicano con un eufemismo i manuali di diritto), viene fatta diventare strumento di selezione, delegittimazione e criminalizzazione di coloro che si ribellano contro i poteri costituiti. Vittorio Agnoletto, uno dei prendiparola pi#55619;#56559;lerti e sponsorizzati da alcuni poteri mediatici forti, #34869;no dei maggiori campioni della caccia al diverso, al dissidente, in nome di quella che potremmo definire chiaramente come una forma di non-violenza autoritaria e ultraistituzionalizzata. Si #34852;etto: "se pratichi la violenza, contro beni o contro terzi, mi fai violenza", ma una volta accettata, la stessa logica vale anche all'inverso "se mi imponi la tua non-violenza, mi fai violenza". Non credo che se ne esca, salvo un'accettazione reciproca di principio, che riconosca la pari legittimit#2084;elle due ipotesi e accetti il confronto, la sfida, sul terreno della competizione e persuasione degli argomenti e dell'azione. Unico luogo di verifica che pu#55874;#56436;tribuire l'egemonia. Ma ai sacerdoti della non-violenza nostrana ed ai loro prendiparola piace la scomunica e la ricerca del capro espiatorio pi#55618;#56552;e il confronto. Aspiranti cardinali, Agnoletto ed altri, cercano legittimazione dalle istituzioni, ovvero dai titolari del monopolio della violenza legittima, e tra alcuni poteri forti presenti nei media. La non-violenza, come l'infamia (vedi la polemica sugli "infiltrati") risultano solo pretestuosi argomenti d'agitazione impiegati in modo demagogico e fazioso per tentare di liquidare degli scomodi rivali politici. Storicamente i movimenti sociali sono sempre stati il prodotto d'una convivenza forzata, d'interesse o d'amore, tra queste due anime, tra queste due pratiche. A seconda delle circostanze l'una #34864;revalsa sull'altra. Movimento di massa e forza d'urto; minaccia del numero e violenza dell'atto; forza delle ragioni e ragioni della forza; spessore, imponenza, solidit#2085; agilit#2848;visibilit#2848;incisivit#3808;guerra di posizione e guerra di movimento.

In Italia, con un malizioso malinteso, viene chiamata non-violenza un tipo di cultura politica che si #34851;ostruita sul rifiuto e sulle ceneri della violenza politica dei movimenti sociali sovversivi degli anni 70 e sull'accettazione della legalit#2848;altrimenti detta l'esercizio del "monopolio legittimo della forza" da parte dello Stato. In questo caso siamo di fronte al vero e proprio stupro semantico d'un termine e di una pratica che ha ben altra storia e ben altre pretese, e che da sempre #34862;emica dello Stato e della sua legalit#2976;Viene definita non-violenza la semplice acquiescenza all'ordine costituito, il che vuol dire piuttosto sottomissione o comunque subalternit#2848;domesticazione nei confronti di chi esercita il monopolio legale della forza. Il primo requisito della nonviolenza #34857;nfatti la violazione della legalit#2081;ttraverso forme di "disobbedienza civile" e non certo l'eticizzazione forzosa dell'accettazione del monopolio statale della forza legittima. Un'altra delle sue caratteristiche peculiari riguarda la sua natura " extra-democratica". La nonviolenza #34849;l di fuori della logica inevitabilmente numerica delle molte accezioni del termine democrazia. Sovente la sua pratica investe esigue minoranze, quando non singoli. #544;una demagogia del corpo, esercitata da pochi verso molti, una sorta di parossismo della responsabilit#2096;ersonale. Un altro equivoco largamente diffuso nasce dal fatto che un semplice cambiamento di segno e di direzione della violenza, non pi#55618;#57318;fensiva o difensiva ma autoaggressiva, trasformi, per esempio, lo sciopero della fame in una pratica nonviolenta. Mettere in gioco il catabolismo del proprio corpo #35616;in realt#2848;violenza inaudita.

Mestre va al Pentagono: il mito del conflitto sociale a costo zero

La nonviolenza c'entra poco anche con le "guerriglie comunicative", lo spostamento della guerra su forme e oggetti transizionali che la mimino in modo incruento, a bassa intensit#2976;La novit#2089;ntrodotta dalle Tute bianche non viene, come da pi#55619;#56353;rti #34867;tato detto, dalla loro scoperta della comunicazione. Saper comunicare era gi#2099;tato un assillo di molti gruppi e movimenti, combattenti e non, negli anni 70. L'effetto cassa di risonanza, le strategie e la volont#2084;i usare i media e non farsi usare, risale a quegli anni e fu molte volte un successo, altre un boomerang. Quello che non si cap#51248;er tempo fu quando i media smisero di fare da cassa di risonanza e cominciarono a suonare la gran cassa dell'emergenza, degli allarmi sociali a ripetizione che utilizzavano fantasmi e paure, ingenerando angosce e ansie artificiali, divenute il fondo di commercio del mercato politico. Semmai la differenza sta nel fatto che oggi la comunicazione #34866;icercata come una supplenza vitale al vuoto di contenuto. Si punta sul moltiplicatore mediatico per colmare la debolezza delle mobilitazioni. In passato la posta in gioco dell'informazione era successiva all'azione, riguardava il racconto, il senso da dare all'evento accaduto; oggi pi#55619;#56560;esso la comunicazione serve a creare l'evento fino a sostituirlo completamente. L'originalit#2084;elle Tute bianche sta innanzitutto nel quesito iniziale a cui esse hanno poi dato successivamente una risposta censurabile. Ma la domanda era giusta: come rilanciare il conflitto, in un contesto che vede la nozione d'antagonismo delegittimata e criminalizzata? Come ripercorrere forme di lotta di classe percotanti, efficaci, rompendo l'accerchiamento, sfidando il disarmo ideologico che #34867;eguito alla fine degli anni 70? Come tornare a fare lotte sociali e lotta di classe in modo trainante e vincente senza pagare lo scotto degli anni 70? In primo luogo alcuni centri sociali sono diventate le Tute Bianche, ovvero hanno giocato sulla visibilit#3808;ricorrendo ad alcune categorie d'analisi della composizione sociale postfordista, hanno voluto dare visibilit#2096;olitica alla invisibilit#2099;ociale di settori del proletariato interinale. Ma soprattutto, mutuando una teoria che ricorda la strategia impiegata dal Pentagono durante la guerra del Golfo, le Tute bianche hanno elaborato una sorta di strategia della lotta di classe senza perdite, al minor costo sociale. Ci#55874;#57249;sce probabilmente dal loro bilancio degli anni 70 e dal tentativo di ricollocare una pratica conflittuale all'interno della realt#2089;taliana della fine degli anni 80, dove il conflitto era largamente delegittimato, immediatamente criminalizzato e sanzionato. Ad essa si aggiunge una trasposizione quanto mai artificiale della guerra a bassa intensit#2085; alto valore comunicativo portata avanti dagli zapatisti in Chiapas.

Ha preso piede cos#51241;l ricorso a pratiche mimetiche, a forme di camuffamento politico, che hanno dato luogo ad una vasta panoplia di doppiezze che avrebbero fatto impallidire persino il Migliore: tra queste la non-violenza simulata, strategia escogitata pensando di potersi avvalere del carattere simbolico legittimante dell'espressione "non violenza". In realt#2848;non di nonviolenza era questione ma di scontro di piazza a bassa intensit#2085; ad alta conflittualit#2083;omunicativa. L'antagonismo mediatico #34851;aduto o voluto finire nella mascherata pattuita, nel gioco delle parti, nello spettacolo sociale dei falsi scontri e degli effetti d'annuncio. A forza di voler spettacolarizzare per elevare il grado di simbolicit#2085; ridurre il rischio di costi eccessivi in termini repressivi, le Tute bianche sono state assorbite completamente dalla spirale della rappresentazione spettacolare, confondendo realt#2085; finzione, col risultato d'annullare ogni reale consistenza sociale. Ha funzionato col centrosinistra grazie alle mediazioni e alle connivenze. Non funziona pi#55618;#56559;n la destra che manda i carabinieri, i quali riconducendo di colpo lo spettacolo alla realt#2081;lzano il prezzo facendo ridiventare il conto salato. Nello scenario di Genova questa strategia #34867;tata devastante.

Nonviolenza simulata e mitopoiesis: una cattiva filosofia

«Sapevano cosa volevamo fare e avrebbero potuto permetterci di violare la zona rossa. La verit#2096;er#55874;#56864;che sono stati i carabinieri a far saltare tutto» (Luca Casarini, Il Nuovo, 27 agosto 2001). Pedagogia del conflitto o semplice arguzia opportunistica? Forse entrambe. Certo la mitopoiesis e la non-violenza simulata, le carnevalate concordate con le forze dell'ordine per inscenare teatrali quanto fittiz#59437;omenti di scontro ad uso e consumo delle videocamere televisive, hanno costituito una pessima risposta ad una buona domanda. Finch#38953;l centrosinistra #34867;tato al governo importanti margini di negoziazione hanno garantito la sopravvivenza puramente estetica di questa "guerriglia comunicativa", ma a partire da Napoli, nel marzo 2001, quando era ancora in piedi il governo Amato, gli spaz#59443;i sono chiusi e a Genova #34870;enuta brutale la conferma della svolta. Lo scimmiottamento della dichiarazione di guerra fatta dagli zapatisti, ricopiata parola per parola, immagine per immagine, avrebbe potuto farci sorridere di fronte a tanta ingenuit#2096;olitica, se non fosse che sull'asfalto c'#34866;imasto Carlo, e che biecamente si #34849;limentata una campagna di linciaggio contro una componente del movimento. Polemica tanto pi#55619;#56564;erile, pretestuosa e mistificatoria, quanto pi#55618;#56812;i scontri hanno visto protagoniste migliaia di persone, la cui maggioranza era raccolta dietro il corteo dei disubbidienti e non tra le fila del Black bloc.

Paolo Persichetti


www.scirocco-news.org/sommario.htm

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<DIV>L'articolo originale e' recuperabile a <A href="http://italy.indymedia.org/news/2002/08/74580.php">http://italy.indymedia.org/news/2002/08/74580.php</A>. <A href="http://italy.indymedia.org/print.php?id=74580&comments=yes">Stampa i commenti</A>.</DIV><!-- TEMPLATE -->
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<TD><FONT color=#000000><B><A class=black name=""></A>un articolo di Paolo Persichetti: guerra e castigo </B></FONT><BR>by macedonio <I>Sunday August 25, 2002 at 10:10 PM</I></TD></TR>
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<BLOCKQUOTE>Condannato a 22 anni di carcere per banda armata, Paolo Persichetti viveva da "clandestino ufficiale" a Parigi, dove una forte mobilitazione aveva impedito la sua estradizione in Italia. E' da poco uscito un suo saggio nel libro "Guerra civile mondiale", Odradek editore, che segue perch&#34868;rovato in rete su: http://www.scirocco-news.org/sommario.htm </BLOCKQUOTE></BLOCKQUOTE>
<P class=media></P>
<P class=article>A Genova, in piazza Alimonda, un caldo pomeriggio d'estate bagnato dal sangue sembrava aver cambiato il corso della storia. L'eclettico movimento contro la "globalizzazione neoliberale" contava il suo primo morto, un ragazzo, Carlo Giuliani. Almeno questa sembrava allora la convinzione di molti. Come sempre il vizio etnocentrico portava l'Occidente, anche quello che si vuole pi&#55619;&#56481;dicale, a presentarsi come lo specchio del tempo, misura degli eventi, calendario della storia, dimenticando altri morti, ancora pi&#55618;&#57269;merosi ma lontani e senza volto, nel Chiapas, nell'Equador, in Africa... Non meno di due mesi dopo, il mattino dell'11 settembre, il dirottamento suicida di quattro aerei USA lanciati contro il Pentagono e le Twin Towers ha nuovamente e bruscamente modificato il percorso degli eventi. Folgorante, l'agitato succedersi degli avvenimenti s'&#34861;ostrato pi&#55619;&#56741;loce del pensiero. La realt&#2088;a preceduto l'immaginazione, oltrepassato ogni ipotesi, largamente subissato la finzione realizzando i sogni inconfessati d'alcuni e gli incubi temuti da altri. Le immagini dei due aerei che entravano nelle Torri, lo squarcio fumante del Pentagono, che un'accorta politica dell'immagine ha velocemente epurato dagli schermi televisivi tentando di censurare dalla memoria la profonda ferita portata all'orgogliosa arroganza del complesso militar-industriale e al sentimento d'invulnerabilit&#2084;ella nazione americana, hanno infranto certezze e miti della grande potenza. Ripiegata su se stessa, colpita al cuore, l'America, come una bestia ferita, ha cominciato a guardarsi mostrando agli occhi increduli del mondo una impensata fragilit&#2089;nterna: una grande insicurezza psicologica che innerva la sua complessa trama sociale. Gli Stati Uniti sono ridivenuti di colpo umani, dopo che la morte per strage aveva dissolto momentaneamente le classi, riunificando sotto una montagna di macerie le migliaia di agenti del capitale finanziario, i brockers in uniforme giacca e cravatta, e le centinaia di clandestini lavapiatti, puliscicessi e lavavetri, che come topi lavoravano per qualche dollaro l'ora nei retrobottega delle grandi Torri. La distanza sociale, il dominio degli uni sugli altri, lo sfruttamento dei primi sui secondi, si ricomponeva nei cadaveri bruciati, maciullati, tritati, sfarinati, d'una comunit&#2101;mana tornata polvere. <BR>Increduli abbiamo osservato questo avvenimento assoluto, "madre di tutti gli eventi", come l'ha definito Baudrillard, spiegandoci che la portata simbolica di quanto &#34849;ccaduto sorpassa di gran lunga l'odio, sano e legittimo, contro la potenza mondiale dominante, diffuso tra i diseredati e gli sfruttati e tutti quelli relegati o finiti nella parte sbagliata del nuovo ordine mondiale. No, quest'odio viene dal cuore stesso del nuovo ordine, cresce al suo interno come il baco nella mela. L'allergia ad ogni ordine definitivo &#35616;fortunatamente, un sentimento universale. L'emergere della potenza ingenera con la sua crescita il suo esatto contrario, ovvero la volont&#2084;i distruggerla. La potenza, la volont&#2084;i dominio, &#34852;unque in qualche modo complice della sua stessa distruzione, per questo «quando le due torri sono crollate, si &#34849;vuta l'impressione ch'esse rispondessero al suicidio degli aerei-suicidi col loro suicidio». Insomma le Torri si sarebbero suicidate, &#34865;uesta la suggestiva iperbole provocatoriamente lanciata da Baudrillard. Che vuol dire? La guerra in corso dall'11 settembre &#34854;orse una nuova forma di lotta di classe a scala mondiale sublimata sotto le vesti religiose di un islam dei poveri contro le altre credenze teologiche dei ricchi? &#544;una guerra tra profeti e messia sotto il nome di uno stesso Dio? &#544;Dio stesso che si &#34852;ichiarato guerra? Oppure &#34860;o svolgersi finalmente aperto d'una battaglia tra il Nord opulento contro il Sud diseredato, una volta giunto a termine lo scontro tra Est e Ovest? </P>
<P class=article>L'oppio del popolo </P>
<P class=article>Il conflitto che &#34857;n corso, spiega Paul Virilio, ricorda sempre pi&#55618;&#57121; guerra tra caste, cio&#34868;ra mafie dell'oppio, sette religiose, signori della guerra e multinazionali. Nessuno l'ha ancora detto, eppure mai gruppo religioso al mondo &#34867;tato pi&#55619;&#56745;cino alla formulazione marxiana della religione di quanto lo siano i Talebani. Scriveva Marx nella introduzione alla Filosofia del diritto di Hegel che «la miseria religiosa &#34849;l tempo stesso l'espressione della miseria reale e la protesta contro questa miseria reale. La religione &#34857;l gemito della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualit&#2976;La religione &#34860;'oppio del popolo», una magica credenza che allevia come uno stupefacente i popoli dalla sofferenza rendendoli schiavi del bisogno d'essere alleviati in futuro. La teologia dei mullhah, trafficanti d'oppio in combutta con i servizi pachistani, costituisce l'essenza pi&#55618;&#56559;mpiuta di una religione che non &#34867;olo oppio del popolo ma &#34857;l surrogato sociale dell'oppio prodotto da un intero popolo. Murdoch, Bill Gates, Lockeed, Mac Donnel Douglas, bin Laden corporation, Bush and sons Oil company, sono i protagonisti d'un conflitto che solo in minima parte si svolge sui primi scoscesi pendii delle catene himalayane, tomba di tanti imperi. Il vero regolamento di conti avviene nei paesi offshore, all'interno dei sofisticati circuiti finanziari. La postmodernit&#2088; questa: «come se fossimo tornati alla feudalit&#2848;ma all'epoca e a scala della mondializzazione. Come se fossimo regrediti nella storia perch&#38945;bbiamo progredito nello spazio, in uno spazio globale, con la rapidit&#2084;ei trasporti o della quotazioni in borsa». Ha ragione Virilio, la postmodernit&#2084;i questo conflitto &#34852;ata dalla congiunzione dell'assolutamente arcaico con l'ipermoderno. Una societ&#2100;ribale patriarcale, caratterizzata da un'assenza di sviluppo delle forze produttive, da comunit&#2081;gropastorali divise in etnie ostili, da risacche di modernit&#2848;depredate peraltro da vent'anni di guerra civile, raccolte attorno a qualche centro urbano come Kabul, dall'assenza totale d'una societ&#2083;ivile, da &#39721;te sociali e politiche raccolte attorno ai profitti ricavati da traffici e dazi d'ogni tipo realizzati sulla base di piccoli potentati locali, veri e propri feudi sui quali regna un signore attorniato da un esercito privato di sgherri al soldo. Economia di traffici e rapina saldata alla sofisticata ingegneria finanziaria d'un aristocratico saudita, nutrito dalla rendita moderna del petrolio che ha soppiantato la vecchia rendita fondiaria. Il mullah Omar, carismatico capo religioso figlio di contadini senza terra, unito in un patto d'acciaio con l'emiro bin Laden, ex rampollo d'una famiglia ben conosciuta e apprezzata nei salotti buoni della finanza nordamericana, associati in una guerra contro un vecchio alleato, gli USA di George Bush, lui stesso figlio viziato d'una famiglia che ha costruito la sua fortuna economica sul petrolio. Amici di ieri, nemici di oggi. </P>
<P class=article>La disgregazione del regime talebano, dissoltosi come neve al sole dopo poche settimane di bombardamenti, mostra come quell'entit&#2086;osse artificiale, escrescenza tumorale sviluppatasi all'ombra del subimperialismo pachistano e grazie all'indifferenza compiacente dei gendarmi nordamericani del nuovo ordine imperiale. La realt&#2083;lanica della societ&#2081;fgana ha avuto la meglio sulla dimensione ideologico-religiosa della guerra santa. A parte alcune brigate d'elite, costituite da militanti fedeli alla jihad, molti dei quali stranieri, il resto della truppa talibana ha ripiegato sui propri villaggi. Il contadino pashtun &#34868;ornato a casa, mentre diversi loro comandanti hanno intascato valige di dollari. La tutela del controllo sul proprio territorio tribale, e dunque sulle forme d'economia che vi sussistono, ha prevalso su ogni altra esigenza. </P>
<P class=article>Questo conflitto &#34860;'emblema dell'entrata in un'epoca dalla complessit&#2089;nfinita, «medio evo della mondializzazione», la definisce Virilio che metaforicamente vi ritrova le stesse figure dell'antica societ&#2084;egli ordini e delle caste: i "signori" dei traffici che pullulano con i commerci illegali pi&#55619;&#56566;ariati, protagonisti d'una economia corsara, prototipo di una accumulazione originaria fatta di rapina e d'arrembaggio. Come non pensare alla Russia, passata in un baleno dalla struttura burocratica del partito-nomeklatura alle mafie, alle lobbies, alle bande e alle banche? ; i "preti" che si moltiplicano tra i profeti della guerra di religione e gli inquisitori della giustizia universale; il contadiname, altrimenti detto la base sociale del movimento antiglobalizzazione - e qui certo Virilio pensa alla confederazione paesana di Jose Bov&#38957;, il che poco si addice alla composizione italiana del movimento antiglobal, dove sono sparuti i petits Jacques, a parte le saltuarie apparizioni della mucca Ercolina col suo padrone. "Piccolo Giacomo", era il termine con il quale durante l'ancien regime la nobilt&#2084;ei latifondi chiamava gli anonimi contadini, considerati dei non soggetti, scheletri intercambiabili, equivalenti l'uno con l'altro, non persone, sovranumeri, eccedenze carnacee. Da qui &#34864;oi venuto il termine jacquerie, per indicare l'ira funesta e senza perdono dei contadini in rivolta che saccheggiava, devastava e bruciava le propriet&#2084;ei nobili, trucidando e violentando all'occorrenza. Nel contesto italiano, sempre stando alla metafora medioevale avanzata da Virilio, i preti trovano un posto di rilievo nel movimento antiglobal, sorta di nuovi pastori anabattisti che un tempo guidavano le rivolte contadine. L'anima cattolica, il volontariato legato al cattolicesimo sociale, costituisce se non la componente maggioritaria, quanto meno una buona met&#2084;el movimento antiglobal in Italia, e Woytila &#34867;enza dubbio un antesignano e grande ma&#60722;e a penser della critica alla globalizzazione che ai suoi occhi corrisponde all'universalizzazione del materialismo liberale e alla secolarizzazione borghese. Egli rappresenta uno dei referenti ideologici della critica anticapitalista che alimenta le culture antiglobal, insieme allo zapatismo di Marcos (sorta di terzomondismo riveduto e corretto). Un anticapitalismo con un basso tasso di marxismo che in Francia invece &#34864;revalentemente sostituito dalla cultura sovranista (trasversale alla destra come alla sinistra), che si professa antiglobalista perch&#38966;eterokeynesiana, statalista, neoprotezionista e neocorporativa. </P>
<P class=article>Giustizia penale universale </P>
<P class=article>Manca il terzo stato nella rappresentazione suggerita da Virilio, un p&#55874;&#56442;zardata ma certo suggestiva. Non ci sono l'equivalente delle professioni della toga, manca la borghesia mercantile, il mondo dei mestieri, le corporazioni degli artigiani e dei bottegai. Stiamo al gioco e proviamo a guardarci meglio intorno: a ben vedere le professioni della toga le ritroviamo nella diplomazia internazionale, negli azzeccacarbugli dell'ONU, nei vari organismi economici e finanziari sopranazionali, in quel Palais de Bruxelles, sede dell'Unione europea, che ricorda tanto il parlamento di Parigi in combutta contro il re di Francia, ma ancora di pi&#55618;&#57253;l personale giuridico delle corti penali internazionali ad hoc, propaggini moderne della vecchia Santa Inquisizione, sacerdoti e magistrati al tempo stesso, come il procuratore generale Carla Del Ponte. Possiamo identificarli tra i nuovi imprenditori della morale e della sanzione, avanguardie dell'ingerenza giudiziaria, inquisitori del giudiziario globale o meglio della mondializzazione penale, come l'ex magistrato di Castiglia, divenuto nel frattempo giudice metaplanetario, Baltazar Garzon, partigiano intraprendente della "giustizia penale universale" oramai diretta concorrente del giudizio universale divino. La borghesia mercantile ci rinvia a figure note e familiarmente nemiche, un po' mercanti e un po' banditi, o meglio l'uno e per forza di cose l'altro insieme. Scriveva il New York Times del 28 marzo 1999: "affinch&#38956;a globalizzazione possa funzionare, l'America non deve temere d'agire come la superpotenza onnipotente ch'essa &#35744;La mano invisibile del mercato non funzioner&#2093;ai senza ricorrere al suo pugno nascosto. MC Do non pu&#55875;&#56370;osperare senza Mac Donnel Douglas, il costruttore degli aerei F15". Pi&#55618;&#56552;iaro non poteva essere! La forza della persuasione &#34868;anto pi&#55618;&#56678;ficace quando s'accompagna con la persuasione della forza. Cos&#51235;oncorrenza e marketing dominano e regolano il mondo. L'universo dei mestieri e delle corporazioni ci porta invece tra i Ciompi moderni, alla realt&#2083;omplessa della forza lavoro, quella a infimo costo, sorta di nuovo servaggio, dei paesi del Sud-Est asiatico, del Sud America e dell'Est Europa, oppure al precariato, all'evanescenza contrattuale del lavoro odierno in Europa e in Nord America. </P>
<P class=article>Guerra di caste o guerra frattale, in ogni caso guerra totale. Se gli americani hanno inventato l'aereo furtivo, l'11 settembre ha introdotto l'attentato furtivo. Un "nemico" anonimo suicidario e stragista si &#34849;ffacciato, raccogliendo una sfida divenuta confronto feroce. Terrore contro terrore, crudelt&#2081;l posto della violenza, in ogni caso terrore asimmetrico che spiazza e disarma la grande potenza americana. Un paese che ha cancellato, grazie al mito ipertecnologico della guerra aerea e ciberspaziale, l'idea della morte nel proprio campo e nel campo avverso, a seguito della dottrina del costo zero e della guerra chirurgica e pulita, si ritrova paradossalmente vulnerabile. L'iperpotenza tecnologica &#34870;enuta a supplire l'iperfragilit&#2096;sicologica, ma fino a che punto? Gli stragisti dell'11 settembre sono riusciti a trasformare la loro vocazione al suicidio in una arma assoluta contro un sistema che vive della esclusione della morte, della propria morte, e il cui ideale &#34849;ppunto quello dello zero morti. «Ogni sistema a zero morti &#34869;n sistema a somma nulla. E tutti i sistemi di dissuasione e di distruzione non possono nulla contro un nemico che ha gi&#2086;atto della propria morte un'arma d'attacco». Se gli stragisti suicidi hanno altrettanta voglia di morire di quanto gli americani hanno voglia di vivere &#34850;en difficile annullare il loro potere di nocivit&#2848;salvo neutralizzarli preventivamente. </P>
<P class=article>Guerra Mondo </P>
<P class=article>Il divenire ondulatorio della storia, il suo andare zigzagante, il procedere per salti, balzi in avanti e catastrofi improvvise, impone alla riflessione di misurarsi con nuove ed impreviste verifiche. Ad alcuni mesi di distanza &#34863;ramai impossibile tornare sui moti di Genova senza prendere in conto la variabile delle Torri fumanti, il paradigma della guerra-mondo che il loro crollo ha annunciato. Un conflitto senza confini contro un avversario fantasma muta l'essenza della guerra. La fragile amministrazione Bush, votata dai tribunali pi&#55618;&#56552;e dagli elettori, grazie alla elaborazione di una nuova dottrina della guerra fredda, ha finalmente trovato l'identit&#2085; il programma mancanti e una nuova legittimit&#2089;nterna. Si profila cos&#51253;n nuovo tipo di conflitto globale, non pi&#55618;&#56559;ntro un'altra potenza, non pi&#55618;&#56559;ntro un campo visibile anche se mobile, non pi&#55619;&#56686;a situazione d'ostilit&#2083;he traslava e intrappolava nella divisione verticale dei campi contrapposti lo scontro orizzontale della lotta di classe. No! La guerra &#34863;ramai contro un fantasma, rincorre delle ombre, inventa nuovi confini in un territorio che non ha pi&#55618;&#56754;ontiere e che dunque &#34867;empre e comunque interno. La guerra &#34863;ramai contro il nemico interno, tutti i nemici interni e le politiche non allineate. Pacificazione forzata e repressione dei renitenti, dei disertori e degli insubordinati. Un nuovo arsenale giuridico &#34867;tato messo in piedi proprio per questo. L'11 settembre ha aperto una nuova epoca di fondazione dell'urgenza. Siamo tutti testimoni di un passaggio cruciale, d'un momento fondatore. Stiamo assistendo in tempo reale alla costruzione dell'eccezione che frantuma la regola precedente. La necessit&#2086;onda la legittimit&#2099;piegava Santi Romano di fronte al terremoto di Messina del 1911. La necessit&#2084;ella guerra sta giustificando la legittimit&#2084;i un nuovo livello di giuridicit&#2848;altrimenti detto di nuove condizioni della legalit&#2976;E chi decide della necessit&#2085; delle sue priorit&#4064;Il sovrano, e sovrano &#34851;olui che &#34851;apace d'imporre e governare l'eccezione. Bush ha gi&#2084;eciso che gli attentatori dell'11 settembre, se catturati, non verranno giudicati pi&#55618;&#56609; una giurisdizione civile ma da una corte militare ad hoc. Saranno insomma deferiti ad una corte marziale ultraspeciale, cio&#34869;lteriormente in deroga a quel regime speciale, previsto in tutte le costituzioni, che gi&#2099;ospende il diritto comune corrente in una situazione di guerra. Ed una vera legislazione di guerra &#34865;uella che &#34867;tata promulgata o sta per essere varata da diversi paesi negli ultimi mesi. Sulla base di quale legittimit&#4064;La loro forza! </P>
<P class=article>Fa notare Danilo Zolo, in un articolo apparso sul Manifesto del 16 Novembre 2001 ("Dallo stato di diritto all'Impero penale"), che l'azione repressiva proposta dagli americani ha dato luogo ad una strategia di creazione d'organi giudiziari straordinari, di Tribunali speciali, di militarizzazione della giustizia interna, dunque di una sospensione di larghe zone dello stato di diritto che rafforza il modello dello "Stato penale". Come ha scritto il New York Times, questi tribunali militari ad hoc saranno segretamente istituiti dal potere esecutivo, a suo arbitrio e in qualsiasi momento. Gli imputati verranno privati della quasi totalit&#2084;ei loro diritti di difesa, in una misura molto pi&#55618;&#56941;portante di quanto gi&#2081;vviene presso la normale giurisdizione penale militare. Ma ci&#55874;&#56552;e &#34849;ncora pi&#55619;&#56553;gnificativo - ricorda sempre Zolo - «&#34860;a decisione dell'amministrazione Bush di istituire tribunali di questo tipo anche all'estero, cominciando dall'Afghanistan e dal Pakistan: una farsa tragica della giustizia internazionale. Lo "Stato penale" statunitense tenderebbe cos&#51233; convertirsi nelle forme di un "Impero penale", impegnato a giustiziare i nemici che non siano stati direttamente eliminati con le armi o dai servizi segreti. E questi nemici potrebbero essere individuati, spiati e sorvegliati ovunque nel mondo, tradotti davanti a questi tribunali speciali, processati e giudicati segretamente». L'emergenza di un ordine unipolare ha reso desueta la funzione dell'arbitro internazionale, altrimenti detto l'ONU, divenuto piuttosto un notaio del gendarme mondiale. In seguito, il potente sviluppo della giudiziarizzazione delle relazioni internazionali ha introdotto la figura centrale del giudice. Chi &#34857;l giudice? Questa &#34860;a vera posta in gioco attuale. Gli USA non vogliono pi&#55618;&#56691;sere relegati al solo ruolo di gendarme del nuovo ordine mondiale ma rivendicano anche la funzione, a questo punto unica poich&#38963;ono solo loro a metterci la forza, di giudice. Due culture, una fondata sulla ragione cinica, o "etica della responsabilit&#2481;uot;, l'altra fondata sulla ragione morale, o "etica della convinzione", s'affrontano. Da una parte gli USA, ed in modo particolare i realisti che influenzano la sua politica estera, dall'altra le vestali della giustizia penale internazionale, del tribunale penale internazionale sotto l'egida dell'ONU, che gli USA guardano con estrema diffidenza se non con aperta ostilit&#2976;Ancora una volta che &#34857;l giudice? Georges Bush contro Baltazar Garzon. Chi il peggiore dei due? Certo tra i due non c'&#34869;n migliore. Quando nelle relazioni internazionali dominava la figura dell'arbitro, giudici e gendarmi erano relegati. Quando le controversie non trovavano regolazione, la parola passava ai partigiani sul terreno dello scontro, per ritornare poi sul tavolo del negoziato. Quando &#34853;mersa la figura del gendarme, l'arbitro &#34867;tato relegato al ruolo di notaio. Ora che s'impone la figura del giudice, l'arbitro &#34867;comparso sostituito dal secondino. La giudiziarizzazione delle relazioni sociali e di quelle internazionali introduce comunque, quale che sia il giudice, il ricorso alla forma penale come criterio di regolazione e governo delle relazioni sociali. Se in passato le guerre una volta terminate lasciavano il posto alla politica in senso stretto (diplomazia, trattati, negoziati), dove la parte belligerante sconfitta non era privata del suo status politico legittimo, oggi i conflitti si chiudono con dei processi di fronte a delle corti penali internazionali rappresentati pi&#55618;&#57312;meno espliciti dei vincitori. Non solo c'&#34851;riminalizzazione del perdente, privato del suo status politico originario, ma il giudice &#34852;irettamente parte in causa. La parte vincente vede cos&#51244;egittimata la sua forza, attraverso la sanzione universale fornita dalla giustizia. La forza bruta diventa il criterio del giusto, come gi&#2081; suo tempo aveva detto Pascal: "non potendo fare del giusto il forte, si fece del forte il giusto". </P>
<P class=article>L'edificazione del nuovo ordine giudiziario globale consta di tre livelli: </P>
<P class=article>* nuova qualificazione estensiva dell'infrazione di terrorismo attraverso una definizione concettualmente omogenea e riconosciuta a livello internazionale, armonizzata e integrata alle singole normative nazionali; </P>
<P class=article>* mandato d'arresto europeo sulla base del mutuo riconoscimento delle sentenze e degli atti di giustizia. Misura che introduce la fine, o la riduzione sostanziale, del regime delle estradizioni all'interno dello spazio giudiziario europeo; </P>
<P class=article>* promulgazione a livello nazionale di una vasta panoplia di norme sulla sicurezza interna che assimilano princ&#52265; e misure decise a livello internazionale e comunitario, avviando cos&#51249;uella che si pu&#55874;&#56613;finire: lo scatenamento di una guerra giudiziaria contro il sociale, una penalizzazione della sfera pubblica, la criminalizzazione della vita. </P>
<P class=article>Il mandato d'arresto europeo e la nuova infrazione di terrorismo </P>
<P class=article>Una nuova tappa &#34867;tata raggiunta con l'imminente introduzione del mandato d'arresto europeo che abolisce, all'interno del territorio dell'Unione, l'istituto delle estradizioni con la relativa normativa giuridico-politica, i trattati e gli accordi internazionali, nonch&#38956;'intera impalcatura delle garanzie e tutele per la persona inquisita o condannata. Il progetto, presentato dalla commissione europea, verr&#2081;dottato dal consiglio dei ministri dell'Unione europea nel prossimo dicembre 2001. Il mutuo riconoscimento delle sentenze e degli atti di giustizia, accompagnata dal progetto di riformulazione estensiva a scala occidentale dell'infrazione di terrorismo, d&#2092;uogo alla creazione di uno spazio giudiziario europeo privo dei necessari fondamenti giuridico-costituzionali. Il modello anglo-sassone del Common Law (assenza di costituzione scritta e civilt&#2087;iuridica fondata sulla tradizione, usi e costumi) &#34852;i fatto l'ispiratore di questo edificio giuridico senza un ordinamento costituzionale preventivo e unificato. Il peggio di ogni tradizione riassume la sintesi di questa area giudiziaria che, esentata dalla presenza dei vincoli di una norma costituzionale superiore, propria della tradizione del Civil Law, fa anche a meno dei "pesi e contrappesi" che pure ispirano la tradizione anglo-sassone. Se l'Europa finanziaria e monetaria, lo spazio di libero scambio e circolazione dei capitali e delle merci, s'ispirano ad una ferrea dottrina neoliberale, l'Europa giudiziaria fa strame invece della stesso formalismo predicato dalla scuola giuridica liberale preferendole la tradizione dello Stato di diritto autoritario, che ben conosciamo in Italia attraverso l'eredit&#2084;ella codificazione fascista e soprattutto grazie al ventennio emergenzialista, figlio del sostanzialismo giuridico della sinistra (quello della "via giudiziaria al socialismo" divenuta pi&#55619;&#56609;rdi "via giudiziaria alla eliminazione dell'avversario parlamentare"). Gli estensori dei due testi non nascondono affatto le loro intenzioni allorch&#38963;uggeriscono, nero su bianco, che tra i comportamenti illeciti perseguibili "potrebbero rientrare, tra l'altro, gli atti di violenza urbana". Appare chiaro come negli obiettivi di questo nuovo arsenale giuridico si vogliano far entrare a pieno titolo le azioni e le pratiche di buona parte dei nuovi movimenti che si sono manifestati a Seattle, Praga, G&#56978;&#56674;org e Genova. </P>
<P class=article>Tra i comportamenti illeciti (riassunti in 13 punti) qualificati ora come azioni di terrorismo segnaliamo: </P>
<P class=article>f) "l'occupazione abusiva o il danneggiamento di infrastrutture statali e pubbliche, mezzi di trasporto pubblico, luoghi pubblici e beni". Reato passibile d'una pena di reclusione di anni 5. I CSOA (Centri sociali occupati e autogestiti) sono avvertiti, salvo nel frattempo aver regolato il contratto d'affitto o di compra-vendita col legittimo proprietario. Sono avvertiti anche tutti quei movimenti sociali che nel corso delle loro azioni possono aver avuto l'idea d'occupare il proprio posto di lavoro, o una stazione ferroviaria o la pista di un aeroporto, per non parlare, infine, delle autogestioni scolastiche; </P>
<P class=article>i) "l'intralcio o l'interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse fondamentali". Tutti gli eventuali scioperi "irregolari" nel settore potrebbero inquadrarsi agevolmente come delle azioni di terrorismo. La triplice, e soprattutto i Cobas sono avvertiti, non foss'altro perch&#38956;a pena di reclusione erogabile sale fino ad un massimo di anni 10; </P>
<P class=article>j) "gli attentati mediante manomissione dei sistemi di informazione". I compagni virtualisti, le reti informatiche di movimento, gli hacker, sono messi in mora. Niente pi&#55618;&#57185;nifestazioni digitali, cortei di mail, assalti a siti con bombardamenti o invio di virus stile I love you. Finiti gli scherzi, ragazzi! Pena il rischio di anni 5 di reclusione; </P>
<P class=article>Questa "fatwa" capitalista lanciata contro ogni attacco portato alla propriet&#2848;ai beni - mobili e immobili - e ai mezzi di produzione - materiali e immateriali - mostra come, l'infrazione di tipo terrorista costituisca oramai una violazione dell'essenza stessa dell'etica del capitale, valore supremo da difendere in s&#39840;Non &#34868;anto "l'intensit&#2084;i violenza" o la volont&#2084;i nuocere all'integrit&#2084;ella persona umana, come recitavano alcuni testi in passato, che oggi viene presa di mira, quanto il pregiudizio portato contro la propriet&#2848;i mezzi di produzione, la valorizzazione, che senza pi&#55618;&#56428;cun velo d'ipocrisia, &#34863;ra esplicitamente sanzionato come crimine assoluto. L'estensione a dismisura della nozione di terrorismo (concetto insolubile, categoria aporetica divenuta un operatore ideologico abusato, aporia giuridica, parola pattumiera, vera e propria stigmate), &#34866;ipresa in modo particolare dal Terrorism Act, varato nel Regno Unito nel gennaio 2000. Provvedimento che definisce il terrorismo come un'azione o una minaccia d'azione mirata a "influire sul governo o a intimidire la popolazione o una parte di essa"... o ancora come "l'azione o la minaccia d'azione compiuta allo scopo di promuovere una causa politica, religiosa o ideologica". Si tratta della definizione pi&#55618;&#56691;tesa che esista attualmente nella legislazione mondiale. Qualcuno ha ricordato (fornendo una paradossale interpretazione garantista d'un testo ben lontano da quei principi) come sia necessario, per incappare in questo nuovo tipo d'infrazione, la presenza non solo dell'elemento materiale (l'atto illecito) ma anche la compresenza dell'elemento intenzionale (la volont&#2089;llecita). In altre parole, non &#34867;ufficiente occupare, per esempio, un posto di lavoro perch&#38966;enga commesso una infrazione di tipo terrorista; occorre che questa occupazione sia inquadrata all'interno di una esplicita volont&#2084;i sovvertire, sabotare o semplicemente colpire l'ordine costituito, le istituzioni e il governo. </P>
<P class=article>Ma la volont&#2848;quand'essa non risulta oggettivata da prova scritta o registrata, &#34863;ggetto d'interpretazione, materia di scandaglio per il lettino dello psicanalista. Una volont&#2096;u&#55874;&#56691;sere "attribuita", i margini dell'arbitrio poliziesco e giudiziario sono molto larghi in questo senso. Un tale dispositivo giudiziario, applicato ad ambienti e comportamenti che per definizione si collocano ai margini del lecito e dell'illecito, percorrendo i confini della norma costituita, pu&#55874;&#56545;usare notevoli danni alle libert&#2096;ubbliche e della persona. Ed in ogni caso, &#34857;l diritto stesso alla critica, oltre ch&#38956;a possibilit&#2083;oncreta d'esercitare materialmente opposizione, insubordinazione, refrattariet&#2848;che viene preso di mira e si trova criminalizzato da questa formulazione. Queste nuove regole sono gi&#2099;tate recepite nelle settimane scorse dalle legislazioni d'alcuni paesi europei. Francia, Italia, Germania, Spagna, hanno integrato il loro gi&#2098;icchissimo arsenale giuridico antiterrorista. L'Italia s'&#34852;otata, attraverso un decreto legge, d'una ulteriore qualificazione del reato d'associazione sovversiva che porta a sette il numero dei reati associativi inclusi nel codice penale. Una proliferazione che fa dell'originario codice Rocco un manuale di liberalit&#2083;on le sue sole tre qualificazioni: "associazione per delinquere", rivolta ai reati di diritto comune che gli inglesi definiscono, dopo l'emergere del conflitto nord irlandese, "crimini decenti e ordinari"; "associazione sovversiva" e "banda armata", infrazioni di natura politica che in molti paesi rilevano del diritto speciale e d'eccezione. Ad esse, col sommarsi delle emergenze, che s'aprono senza mai conoscere chiusura per cui ad infrazioni la cui natura storico-sociale &#34851;iclica (insurrezioni, moti, disordini) corrisponde una sanzione normativa perenne tale da rendere endemicamente artificiali questo tipo di fenomeni, s'aggiungono stratificandosi: "l'associazione sovversiva con finalit&#2084;i terrorismo"; "l'associazione per delinquere di stampo mafioso"; la figura anomala del "concorso esterno all'associazione per delinquere di stampo mafioso" e ultima arrivata "l'associazione sovversiva con finalit&#2084;i terrorismo internazionale". </P>
<P class=article>Malthusianesimo penale </P>
<P class=article>In Francia sotto il nome di "legge sulla sicurezza quotidiana" sono state varate una lunga serie di norme che in grande misura nulla hanno a che vedere col preteso "pericolo terrorista" suscitato da Al Quaeda, la rete organizzativa messa in piedi da Ben Laden. Si tratta, in realt&#2848;di una lista di misure, inasprimenti penali e giudiziari, riguardanti il governo quotidiano della societ&#2848;in modo particolare nelle aree sociali calde, come le periferie urbane, i grandi agglomerati dell'edilizia popolare, il sistema dei trasporti pubblici. Tutti luoghi di tensione continua, di scontro quotidiano tra forza pubblica e realt&#2099;ociali emarginate. Due esempi risultano estremamente significativi: </P>
<P class=article>- l'attribuzione, agli agenti delle societ&#2084;i sorveglianza privata, della possibilit&#2084;i svolgere perquisizioni personali, attraverso palpazione, nei confronti dei cittadini. Si tratta d'un episodio che si iscrive all'interno del pi&#55618;&#56805;nerale processo di privatizzazione della societ&#2976;&#544;una concessione evidente al principio d'autodifesa della propriet&#2096;rivata, presente in modo particolare nelle teorie dello Stato minimale (si veda, per esempio, l'elogio delle agenzie private di sicurezza avanzato dallo statunitense Robert Nozick, teorico dell'anarco-capitalismo libertariano); </P>
<P class=article>- La trasformazione d'una infrazione amministrativa, quale l'elusione del pagamento del titolo di circolazione nei mezzi pubblici, in reato penale dopo il decimo caso di recidiva (passibile di sei mesi di reclusione e 7500 euro di multa). Quelle che in un altro momento storico erano classificate come banali forme di incivilit&#39712;diseducazione e malcostume sociale, diventano veri e propri delitti penali. Dietro l'elusione sociale del pagamento dei mezzi di trasporto pubblico, un comportamento estremamente diffuso tra i giovani delle periferie che utilizzano i treni e i metro per recarsi nei centri urbani, non vi &#34867;olamente un atteggiamento di insubordinazione ma anche e soprattutto una immediata questione sociale, legata al problema del costo del titolo di trasporto, dettato non pi&#55618;&#56609; criteri di servizio pubblico ma di redditivit&#2976;Per chi abita nei grossi centri a 50 chilometri da Parigi, una andata e ritorno costa pi&#55618;&#56617; trenta mila lire, intorno ai venti euro. Non solo, ma da tempo la verifica del titolo di trasporto si &#34868;rasformato in un controllo d'identit&#2976;Le squadre di controllori della societ&#2084;i trasporti agiscono da tempo col supporto di agenti di polizia in borghese, i quali prendono sistematicamente in consegna le persone colte in flagranza. I trasporti pubblici sono divenuti dunque un luogo di controllo sociale intenso e capillare, mirato a scovare gli immigrati clandestini e ogni sorta d'irregolarit&#2085; anomalia sociale, proprio sotto quei tunnel del metro dove brulica una umanit&#2101;nderground, una citt&#2094;ella citt&#2848;una societ&#2094;ella societ&#2106; lavoratori, clandestini, barboni, studenti, percettori dei sussidi di disoccupazione, artisti non pi&#55618;&#56617; strada ma di tunnel, turisti, bischeri e scansafatiche, giramondo, impiegati, distratti e frettolosi... </P>
<P class=article>Si torna ad una forma di societ&#2098;etta dal modello degli animals spirits. La fine dell'espansione keynesiana, la crisi del modello sociale fordista, la rottura dei meccanismi d'integrazione corporativa della societ&#2084;el welfare, introduce una nuova societ&#2084;ell'esclusione. Dove appunto lotta di classe &#34857;nnanzitutto marginalizzazione sociale, inclusione forzata nell'esercito salariale di riserva, nell'armata del precariato diffuso. La nozione di sovranumero ritorna in auge, rilanciando una sorta di malthusianesimo penale che designa le nuove classi pericolose. Mentre i nuovi imprenditori politici e giudiziari della morale neomalthusiana e dello "zero tolleranza" disegnano il profilo delle nuove classi pericolose, senza che per altro questi gruppi sociali si percepiscano essi stessi come "classi", identificandosi piuttosto nei gruppi etnici o religiosi, soltanto il capitale, un certo tipo di capitale ultradinamico, iperveloce e dalle antenne ultrasensibili, riesce a comunicare con loro. Solo le grandi major musicali e le grandi multinazionali dell'abbigliamento sportivo trovano seguito e ascolto, recepiscono la cultura delle periferie, la metabolizzano, studiano e s'appropriano dei suoi codici riformulandoli, arrivando cos&#51233; sussumerla completamente. Emarginati e pericolosi, tenuti a distanza dall'esercizio della cittadinanza, esclusi dalla vita della polis, questi lazzaroni moderni trovano riconoscimento e integrazione solo in quanto consumatori di Nike e di Sony. Il marketing li include, la politica li esclude e il capitale stravince. </P>
<P class=article>La criminalizzazione delle politiche non allineate </P>
<P class=article>Gli estensori del testo della Proposta di DECISIONE QUADRO DEL CONSIGLIO sulla lotta contro il terrorismo spiegano che: «i diritti sanciti dalla legge lesi da questo tipo di reato non sono gli stessi diritti lesi dai reati comuni dal momento che le motivazioni dell'autore del reato sono diverse; ci&#55874;&#56430;che se i reati terroristici possono generalmente essere equiparati, per i loro effetti pratici, ai reati comuni e, pertanto, altri diritti sanciti dalla legge sono ugualmente lesi. Infatti, di solito le azioni terroristiche attentano all'integrit&#2086;isica o psichica di individui o gruppi, ai loro beni o alla loro libert&#2848;allo stesso modo dei reati comuni, ma vanno oltre in quanto minano le strutture di cui sopra. Pertanto, i reati terroristici sono diversi dai reati comuni e ledono diritti diversi. &#544;quindi opportuno prevedere elementi costitutivi e sanzioni diverse e specifiche per reati di tale gravit&#3822; Ad essere sanzionato &#34857;l momento intenzionale. Non l'atto illecito in s&#39712;che trova gi&#2101;na sua configurazione criminale prevista dalle infrazioni di diritto comune, ma le motivazioni. Le giustificazioni ideologiche costituiscono l'elemento volitivo. La tipologia politica, culturale o religiosa, &#34852;unque l'elemento specificamente punito nell'infrazione di terrorismo. Un quid, un sovrappi&#55618;&#56692;ichettato come ipercriminale. Questa confessione piena e aperta, sans vergogne, testimonia della svolta radicale intrapresa dagli ordinamenti giudiziari dei sistemi politici retti da forme di governo rappresentativo. Il riconoscimento della politicit&#2084;ei reati emerse in modo particolare nel corso dell'800, quando la nozione moderna di delitto politico venne costruendosi essenzialmente attorno ai problemi sollevati dalle procedure d'estradizione, alla ricerca dei fondamenti giuridici che ne giustificassero l'eventuale divieto, alla concessione di amnistie e indulti. Era l'epoca dei movimenti nazional-borghesi. Criteri di classe e interessi geopolitici portarono la Realpolitik dei singoli Stati ad affinare degli strumenti giuridici che offrissero una definizione dell'infrazione politica che non agisse contro l'imputato. La "qualit&#2096;olitica" nobilitava e attenuava la portata "criminale" di delitti commessi da membri delle classi dominanti in piena epoca di moti costituzionali, repubblicani e nazionali. Una sostanziale discriminazione classista permetteva di demarcare con maggiore facilit&#2097;uesto tipo di infrazioni da quelle considerate di diritto comune poich&#38949;sse non includevano ancora le classi pericolose. Col tempo per&#55874;&#57121; nozione di delitto politico fin&#51236;i fatto per essere estesa anche alla conflittualit&#2096;olitica e sociale, alla dialettica antagonista tra Stato liberale e movimento operaio. </P>
<P class=article>L'immunit&#2083;oncessa da un paese, un impero, un regno era sempre esistita come un corollario della sovranit&#2088;il nemico del mio nemico era mio amico, in ogni caso era mio interesse tutelarne l'incolumit&#2085; offrirgli protezione. Dante, Leonardo, Machiavelli, Hobbes, Foscolo, Hugo.... hanno dovuto trovare rifugio nel corso della loro vita). Mancava per&#55875;&#56686; edificio giuridico che ne regolasse e ne giustificasse i fondamenti. Esso si sviluppa con il moltiplicarsi degli Stati nazionali, lo svilupparsi delle relazioni diplomatiche e la nascita d'uno spazio interstatale che d&#2092;uogo a regolazioni giuridiche internazionali. L'infrazione politica, forma di illegalit&#2096;ositiva, &#34864;artecipe di quello jus publicum europeum che regola prima il conflitto sovranazionale tra borghesie e ceti nobili e poi tra borghesie stesse. Le successive vicissitudini dei singoli Stati, a seconda delle fasi di conflittualit&#2089;nterna ed esterna, hanno condotto gli ordinamenti giuridici nazionali a recepire in modo alterno la nozione di politicit&#3744;</P>
<P class=article>- Da parte degli ordinamenti democratico-liberali vi &#34867;tato un tradizionale atteggiamento di misconoscimento della politicit&#2085; conseguente sua ipercriminalizzazione (vedi le leggi antianarchiche di fine Ottocento con la creazione in Francia del reato d'association de malfaiteurs). Memori dell'alone positivo che aveva accompagnato i momenti illegali delle lotte politiche liberali, i "liberali" - una volta pervenuti a controllare l'ideologia dominante e divenuti interpreti del potere costituito - hanno preferito ricorrere all'espediente della depoliticizzazione dei comportamenti politici per delegittimare e sanzionare il nemico interno; </P>
<P class=article>- Gli ordinamenti a carattere autoritario hanno optato per il riconoscimento chiaro e l'ipersanzione esplicita della natura politica, intesa come inimicizia, del nemico interno. </P>
<P class=article>L'attuale processo di giudiziarizzazione estrema, unito alla guerra-mondo, sta invertendo la rotta che negli ultimi decenni aveva condotto ad una progressiva depoliticizzazione dei reati, e al contrario s'accresce la loro etichettatura politica negativa attraverso l'impiego pervasivo della stigmate terrorista. Una tendenza che rinvia alla predominanza della categoria dell'inimicus su quella dell'hostis, gi&#2095;sservata da alcune scuole di pensiero attente al fenomeno della criminalizzazione dell'avversario politico. In questo nuovo contesto di rinnovata guerra civile mondiale, vari fenomeni subiscono rapide accelerazioni, mutamenti d'intensit&#2085; bruschi cambiamenti. Per esempio, la progressiva sterilizzazione dell'istituto della estradizione in corso da anni, non &#34864;i&#55619;&#56565;fficiente. Occorre oramai la sua definitiva abolizione in larghe zone continentali. </P>
<P class=article>I moti di Genova </P>
<P class=article>Molti hanno salutato le giornate di Genova come il momento del grande ritorno del protagonismo delle masse. La vista di diverse centinaia di migliaia di persone ha certamente entusiasmato chi vi era confuso, ha probabilmente intimorito le schiere della destra, ha senza dubbio impressionato all'estero, dove le mobilitazioni "antiglobal" non avevano mai raggiunto una tale soglia numerica. Chi conosce l'Italia, per&#55922;&#56360; molto meno suggestionabile. Per fortuna, quale che siano stati i diversi fattori che sovente vengono enumerati per indicare la mutazione del politico: crisi delle forme della militanza tradizionale; sfarinamento degli imponenti apparati burocratici di massa (sindacati e partiti di sinistra); mutazione delle forme produttive (fordismo) che facilitavano il raggruppamento e la visibilit&#2084;'importanti componenti della forza-lavoro; recupero di forme di notabilato nella politica; crisi del clientelismo politico mediterraneo e ritorno in auge di forme clientelari di stampo anglosassone improntate al modello dei "comitati elettorali": altrimenti detto il partito leggero e flessibile, i cui veri militanti non siedono pi&#55618;&#57253;lle sezioni ma nelle redazioni che contano, nei salotti buoni dell'alta societ&#2083;ivile, della finanza, dell'industria e della tecnostruttura; il ruolo decisivo assunto dai media e in particolare dalla televisione; tutto ci&#55874;&#57263;n ha impedito periodici bagni di folla nelle piazze italiane. Sinistra e destra hanno ripetutamente mostrato nell'ultimo decennio di saper e poter mobilitare anche se in misura diversa. Circostanza che ha trovato conferma anche nelle mobilitazioni contrapposte del 10 novembre 2001, al di l&#2084;ella diversa forza numerica messa in piazza e tradizionalmente favorevole alla sinistra. Semmai il dato nuovo emerso in questa ultima giornata &#34867;tata la scomparsa della "sinistra politica" istituzionale. In piazza si sono confrontati la destra politica (moderata, nazionale ed etnica), contro la sinistra sociale. </P>
<P class=article>Chi c'era a Genova? </P>
<P class=article>Sarebbe ora di rispondere a questo interrogativo rinunciando alla retorica autocelebrativa largamente profusa nelle settimane e mesi successivi a quell'evento. Scarsi sono stati i contributi seri all'analisi della composizione sociale del movimento sceso nelle strade della citt&#2092;igure. L'analisi della composizione sociale offre una chiave di lettura utile per la comprensione della natura, dell'identit&#2085; delle potenzialit&#2848;di questa nuova forma di protagonismo sociale. Senza alcuna pretesa di esaustivit&#2848;e comunque per difetto, si possono avanzare alcune prime sommarie rilevazioni: </P>
<P class=article>* le realt&#2084;ell'associazionismo e del volontariato, il variegato mondo delle ONG (fatte tutte le debite differenze di peso, dimensione e ruolo che esistono tra esse). &#544;il caso di ricordare che tra le oltre ventimila ONG recensite, esistono vere e proprie strutture paragovernative che di fatto svolgono un'attivit&#2083;ollaterale all'azione dei governi e degli Stati, sorta di diplomazia parallela. Sia detto per inciso, "Non governamentale" non &#34852;i per s&#38963;inonimo di indipendenza, autonomia e neutralit&#3808;cattolici e cristiani, i quali costituiscono una delle componenti sociali pi&#55618;&#57269;merose grazie al loro intenso tessuto d'associazioni di volontariato e ONG che copre geograficamente e tematicamente il territorio nazionale e pu&#55874;&#56432;poggiarsi alla tradizionale e solida presenza missionaria nei paesi del terzo mondo; </P>
<P class=article>* la realt&#2084;el sindacalismo di base (Cobas, Cub, Rsb, Rsu... settori della sinistra Cgil) che raccoglie molti militanti della estrema sinistra antagonista degli anni 70; </P>
<P class=article>* l'area dei centri sociali, il che non vuol dire molto viste le innumerevoli differenze e divisioni. Non solo, ma sovente i militanti di questi centri sociali o alcuni centri sociali stessi fanno parte o animano ONG e gruppi di volontariato. Nel qual caso le due realt&#2099;i sovrappongono e s'intrecciano. Vi sono poi centri sociali pi&#55618;&#56932;eologici che rinviano a schieramenti o categorie politiche nate con l'estrema sinistra degli anni 70 (neo-emmelle; post-operaisti...) o alla rivisitazione di tradizioni ideologiche storiche come i gruppi neoanarchici, o ancora realt&#2084;ifficilmente catalogabili in modo preciso. La cultura ideologica e politica di questo variegato mondo non si nutre pi&#55618;&#56617; referenti teorici forti e coerenti. La contaminazione, e il pi&#55618;&#56613;lle volte la confusione, riassume il bagaglio culturale di molti "militanti". Lo stesso termine di militante risulta improprio per definire un impegno che a volte si limita alla semplice frequentazione di luoghi, condivisione di spazi di socialit&#2848;musica, momenti di festa e discussione, attivit&#2094;on per forza politiche, ma solo genericamente sociali. Un'analisi ancora pi&#55618;&#56613;ttagliata ci condurrebbe lontano dall'oggetto di questo testo. Anche se sinteticamente va quanto meno ricordato che la forma "centro sociale" &#34862;ata agli inizi degli anni 80, soppiantando i vecchi moduli organizzativi dell'estrema sinistra e della sinistra rivoluzionaria degli anni 70, ovvero la micro-forma partito o, in ogni caso, la presenza di un corpo nazionale, centralizzato e organizzato, nei limiti delle forze disponibili, su tutto il territorio, in ogni caso sull'area geografica o cittadina raggiungibile, attorno ad una teoria pi&#55618;&#57312;meno compiuta ed un progetto politico definito. I primi centri sociali, al contrario, si sono formati sulla base di pratiche locali, di quartiere, sintetizzando affinit&#2085; interessi comuni che spesso esulavano dal "politico" tradizionale. Musica, socialit&#2848;cultura alternativa, erano gli elementi trainanti di queste nuove aggregazioni giovanili (l'esperienza del Forte Prenestino a Roma &#34853;mblematica, mentre il Leoncavallo di Milano costituisce un esempio di sopravvivenza e di travaso della tradizione "creativa" gi&#2096;resente negli anni 70). Successivamente, le aree residuali dell'autonomia, scampate alla repressione dell'emergenza, si sono riciclate "sciogliendosi nel sociale". Dai vecchi comitati politici territoriali sono nati i primi centri sociali. Un caso tipico &#34867;tato quello della organizzazione cittadina dei Volsci romani, ma ancora pi&#55619;&#56545;liente &#34860;'esperienza dei collettivi politici veneti, i quali di fatto hanno dissimulato la loro originaria struttura partitica estremamente centralizzata e burocratica sotto le mentite spoglie della forma "centri sociali del Nord-Est". Nel corso dei due decenni successivi molti di questi originari centri sociali si sono estinti. Al loro posto ne sono sorti dei nuovi creati da generazioni che non hanno conosciuto le forme di organizzazione politica precedenti. </P>
<P class=article>* Rifondazione comunista era presente in quanto partito. Questa presenza analizzata per&#55875;&#56565;l piano sociologico conduce ad una ripartizione dei suoi militanti tra le diverse componenti prima indicate, in modo particolare le organizzazioni sindacali di base, la sinistra Cgil, ma anche il volontariato e settori dei centri sociali; </P>
<P class=article>Anche se socialmente insignificante, va segnalata la presenza politica dei Verdi e di alcuni esponenti della sinistra DS. Probabilmente una parte dell'elettorato democratico di sinistra era presente sotto l'egida dell'associazionismo e del volontariato. Importante soprattutto nella manifestazione del giovedi 18 luglio, la presenza di numerose delegazioni e gruppi d'organizzazioni rappresentative degli immigrati. </P>
<P class=article>Settori dell'autoimprenditorialit&#2085; dell'economia solidale, organizzati in prevalenza sotto forma di ONG, presenti anche in diversi ambienti dei centri sociali. Questa realt&#2085;conomica costituisce oramai un vero e proprio ceto sociale emergente, con una sua plusvalenza, una sua burocrazia, interessi, capitale economico e simbolico nonch&#38947;ulturale. Per altro si tratta del ceto sociale pi&#55618;&#57199;ndializzato per collocazione e interessi e che per questo esprime uno dei fenomeni pi&#55618;&#57269;ovi della globalizzazione. Imprenditori economici a tutti gli effetti, gli attori di questo settore sostengono il carattere morale del loro commercio sulla base di una economia etica basata su valori d'equit&#2848;rispetto, sviluppo sostenibile, nel tentativo di percorrere strade alternative che, sulla base della reciproca utilit&#2848;forniscano sbocchi alle attivit&#2096;roduttive, artigianali e agricole, dei paesi in via di sviluppo, sottoposte alla scelta tra la sottomissione al monopolio delle multinazionali o la rovina delle proprie attivit&#2976;Queste imprese d'economia solidale hanno una forte capacit&#2084;i produzione simbolica; in effetti, accanto all'import-export di prodotti, veicolano e diffondono "senso", ideologia. Il loro approccio etico alle questioni poste dalla globalizzazione &#34851;ondiviso da larghi strati del movimento noglobal. La natura economica di queste realt&#2848;la loro collocazione all'interno del ciclo capitalistico, ne fa un soggetto emergente della nuova imprenditoria e del mercato mondializzato: per questo resta assai difficile coglierne la pertinenza anticapitalista. </P>
<P class=article>Pacifisti, pacificati e pacificatori: nonviolenza e legalitarismo </P>
<P class=article>Si &#34864;arlato e straparlato a lungo, prima, durante e dopo Genova, di violenti e nonviolenza. Innanzitutto la questione viene sempre dibattuta in modo univoco. La non-violenza &#34849;gitata, in direzione di chi si solleva di fronte al potere, mai mettendo in questione il potere stesso. La "non-violenza" &#34864;roposta sempre come pratica unilaterale; essa deve riguardare solo quelli che si pongono di fronte ai poteri costituiti, mai i poteri stessi. Ma i poteri costituiti, altrimenti detto lo Stato, sono nati attraverso un processo di accumulo dei monopoli: la fiscalit&#2848;la moneta e la forza. La macchina statale &#34864;er definizione il luogo di massima concentrazione della forza, &#34860;'istituto che si distingue da una banda qualsiasi perch&#38960;u&#55874;&#56691;ercitarla in modo legittimo, ovvero attraverso la regola dell'autolimitazione. Di fronte alla critica nonviolenta, il potere statale &#34852;i per s&#38960;rivo di legittimit&#2096;erch&#38953;ntimamente violento e perch&#38949;spressione della violenza dei forti. Ma per i non-violenti italiani questa lezione non vale. Strano modo di rovesciare il segno di quella che pure &#34862;ata come forma radicalissima di lotta. Da momento di delegittimazione etica dei poteri costituiti, dei detentori del monopolio della forza legittima ("coercizione", indicano con un eufemismo i manuali di diritto), viene fatta diventare strumento di selezione, delegittimazione e criminalizzazione di coloro che si ribellano contro i poteri costituiti. Vittorio Agnoletto, uno dei prendiparola pi&#55619;&#56559;lerti e sponsorizzati da alcuni poteri mediatici forti, &#34869;no dei maggiori campioni della caccia al diverso, al dissidente, in nome di quella che potremmo definire chiaramente come una forma di non-violenza autoritaria e ultraistituzionalizzata. Si &#34852;etto: "se pratichi la violenza, contro beni o contro terzi, mi fai violenza", ma una volta accettata, la stessa logica vale anche all'inverso "se mi imponi la tua non-violenza, mi fai violenza". Non credo che se ne esca, salvo un'accettazione reciproca di principio, che riconosca la pari legittimit&#2084;elle due ipotesi e accetti il confronto, la sfida, sul terreno della competizione e persuasione degli argomenti e dell'azione. Unico luogo di verifica che pu&#55874;&#56436;tribuire l'egemonia. Ma ai sacerdoti della non-violenza nostrana ed ai loro prendiparola piace la scomunica e la ricerca del capro espiatorio pi&#55618;&#56552;e il confronto. Aspiranti cardinali, Agnoletto ed altri, cercano legittimazione dalle istituzioni, ovvero dai titolari del monopolio della violenza legittima, e tra alcuni poteri forti presenti nei media. La non-violenza, come l'infamia (vedi la polemica sugli "infiltrati") risultano solo pretestuosi argomenti d'agitazione impiegati in modo demagogico e fazioso per tentare di liquidare degli scomodi rivali politici. Storicamente i movimenti sociali sono sempre stati il prodotto d'una convivenza forzata, d'interesse o d'amore, tra queste due anime, tra queste due pratiche. A seconda delle circostanze l'una &#34864;revalsa sull'altra. Movimento di massa e forza d'urto; minaccia del numero e violenza dell'atto; forza delle ragioni e ragioni della forza; spessore, imponenza, solidit&#2085; agilit&#2848;visibilit&#2848;incisivit&#3808;guerra di posizione e guerra di movimento. </P>
<P class=article>In Italia, con un malizioso malinteso, viene chiamata non-violenza un tipo di cultura politica che si &#34851;ostruita sul rifiuto e sulle ceneri della violenza politica dei movimenti sociali sovversivi degli anni 70 e sull'accettazione della legalit&#2848;altrimenti detta l'esercizio del "monopolio legittimo della forza" da parte dello Stato. In questo caso siamo di fronte al vero e proprio stupro semantico d'un termine e di una pratica che ha ben altra storia e ben altre pretese, e che da sempre &#34862;emica dello Stato e della sua legalit&#2976;Viene definita non-violenza la semplice acquiescenza all'ordine costituito, il che vuol dire piuttosto sottomissione o comunque subalternit&#2848;domesticazione nei confronti di chi esercita il monopolio legale della forza. Il primo requisito della nonviolenza &#34857;nfatti la violazione della legalit&#2081;ttraverso forme di "disobbedienza civile" e non certo l'eticizzazione forzosa dell'accettazione del monopolio statale della forza legittima. Un'altra delle sue caratteristiche peculiari riguarda la sua natura " extra-democratica". La nonviolenza &#34849;l di fuori della logica inevitabilmente numerica delle molte accezioni del termine democrazia. Sovente la sua pratica investe esigue minoranze, quando non singoli. &#544;una demagogia del corpo, esercitata da pochi verso molti, una sorta di parossismo della responsabilit&#2096;ersonale. Un altro equivoco largamente diffuso nasce dal fatto che un semplice cambiamento di segno e di direzione della violenza, non pi&#55618;&#57318;fensiva o difensiva ma autoaggressiva, trasformi, per esempio, lo sciopero della fame in una pratica nonviolenta. Mettere in gioco il catabolismo del proprio corpo &#35616;in realt&#2848;violenza inaudita. </P>
<P class=article>Mestre va al Pentagono: il mito del conflitto sociale a costo zero </P>
<P class=article>La nonviolenza c'entra poco anche con le "guerriglie comunicative", lo spostamento della guerra su forme e oggetti transizionali che la mimino in modo incruento, a bassa intensit&#2976;La novit&#2089;ntrodotta dalle Tute bianche non viene, come da pi&#55619;&#56353;rti &#34867;tato detto, dalla loro scoperta della comunicazione. Saper comunicare era gi&#2099;tato un assillo di molti gruppi e movimenti, combattenti e non, negli anni 70. L'effetto cassa di risonanza, le strategie e la volont&#2084;i usare i media e non farsi usare, risale a quegli anni e fu molte volte un successo, altre un boomerang. Quello che non si cap&#51248;er tempo fu quando i media smisero di fare da cassa di risonanza e cominciarono a suonare la gran cassa dell'emergenza, degli allarmi sociali a ripetizione che utilizzavano fantasmi e paure, ingenerando angosce e ansie artificiali, divenute il fondo di commercio del mercato politico. Semmai la differenza sta nel fatto che oggi la comunicazione &#34866;icercata come una supplenza vitale al vuoto di contenuto. Si punta sul moltiplicatore mediatico per colmare la debolezza delle mobilitazioni. In passato la posta in gioco dell'informazione era successiva all'azione, riguardava il racconto, il senso da dare all'evento accaduto; oggi pi&#55619;&#56560;esso la comunicazione serve a creare l'evento fino a sostituirlo completamente. L'originalit&#2084;elle Tute bianche sta innanzitutto nel quesito iniziale a cui esse hanno poi dato successivamente una risposta censurabile. Ma la domanda era giusta: come rilanciare il conflitto, in un contesto che vede la nozione d'antagonismo delegittimata e criminalizzata? Come ripercorrere forme di lotta di classe percotanti, efficaci, rompendo l'accerchiamento, sfidando il disarmo ideologico che &#34867;eguito alla fine degli anni 70? Come tornare a fare lotte sociali e lotta di classe in modo trainante e vincente senza pagare lo scotto degli anni 70? In primo luogo alcuni centri sociali sono diventate le Tute Bianche, ovvero hanno giocato sulla visibilit&#3808;ricorrendo ad alcune categorie d'analisi della composizione sociale postfordista, hanno voluto dare visibilit&#2096;olitica alla invisibilit&#2099;ociale di settori del proletariato interinale. Ma soprattutto, mutuando una teoria che ricorda la strategia impiegata dal Pentagono durante la guerra del Golfo, le Tute bianche hanno elaborato una sorta di strategia della lotta di classe senza perdite, al minor costo sociale. Ci&#55874;&#57249;sce probabilmente dal loro bilancio degli anni 70 e dal tentativo di ricollocare una pratica conflittuale all'interno della realt&#2089;taliana della fine degli anni 80, dove il conflitto era largamente delegittimato, immediatamente criminalizzato e sanzionato. Ad essa si aggiunge una trasposizione quanto mai artificiale della guerra a bassa intensit&#2085; alto valore comunicativo portata avanti dagli zapatisti in Chiapas. </P>
<P class=article>Ha preso piede cos&#51241;l ricorso a pratiche mimetiche, a forme di camuffamento politico, che hanno dato luogo ad una vasta panoplia di doppiezze che avrebbero fatto impallidire persino il Migliore: tra queste la non-violenza simulata, strategia escogitata pensando di potersi avvalere del carattere simbolico legittimante dell'espressione "non violenza". In realt&#2848;non di nonviolenza era questione ma di scontro di piazza a bassa intensit&#2085; ad alta conflittualit&#2083;omunicativa. L'antagonismo mediatico &#34851;aduto o voluto finire nella mascherata pattuita, nel gioco delle parti, nello spettacolo sociale dei falsi scontri e degli effetti d'annuncio. A forza di voler spettacolarizzare per elevare il grado di simbolicit&#2085; ridurre il rischio di costi eccessivi in termini repressivi, le Tute bianche sono state assorbite completamente dalla spirale della rappresentazione spettacolare, confondendo realt&#2085; finzione, col risultato d'annullare ogni reale consistenza sociale. Ha funzionato col centrosinistra grazie alle mediazioni e alle connivenze. Non funziona pi&#55618;&#56559;n la destra che manda i carabinieri, i quali riconducendo di colpo lo spettacolo alla realt&#2081;lzano il prezzo facendo ridiventare il conto salato. Nello scenario di Genova questa strategia &#34867;tata devastante. </P>
<P class=article>Nonviolenza simulata e mitopoiesis: una cattiva filosofia </P>
<P class=article>«Sapevano cosa volevamo fare e avrebbero potuto permetterci di violare la zona rossa. La verit&#2096;er&#55874;&#56864;che sono stati i carabinieri a far saltare tutto» (Luca Casarini, Il Nuovo, 27 agosto 2001). Pedagogia del conflitto o semplice arguzia opportunistica? Forse entrambe. Certo la mitopoiesis e la non-violenza simulata, le carnevalate concordate con le forze dell'ordine per inscenare teatrali quanto fittiz&#59437;omenti di scontro ad uso e consumo delle videocamere televisive, hanno costituito una pessima risposta ad una buona domanda. Finch&#38953;l centrosinistra &#34867;tato al governo importanti margini di negoziazione hanno garantito la sopravvivenza puramente estetica di questa "guerriglia comunicativa", ma a partire da Napoli, nel marzo 2001, quando era ancora in piedi il governo Amato, gli spaz&#59443;i sono chiusi e a Genova &#34870;enuta brutale la conferma della svolta. Lo scimmiottamento della dichiarazione di guerra fatta dagli zapatisti, ricopiata parola per parola, immagine per immagine, avrebbe potuto farci sorridere di fronte a tanta ingenuit&#2096;olitica, se non fosse che sull'asfalto c'&#34866;imasto Carlo, e che biecamente si &#34849;limentata una campagna di linciaggio contro una componente del movimento. Polemica tanto pi&#55619;&#56564;erile, pretestuosa e mistificatoria, quanto pi&#55618;&#56812;i scontri hanno visto protagoniste migliaia di persone, la cui maggioranza era raccolta dietro il corteo dei disubbidienti e non tra le fila del Black bloc. </P>
<P class=article>Paolo Persichetti <BR></P>
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