Autore: Gianni Meazza Data: Oggetto: [Cerchio] spese militari
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Sent: Wednesday, September 04, 2002 12:55 AM
DA BAGHDAD A KABUL
Agli ordini del Pentagono
MANLIO DINUCCI
L'amministrazione Bush ci ha ripensato: mentre prima era contraria
all'invio di altre truppe in Afghanistan, ora ritiene che «dislocare altre
truppe fuori Kabul può contribuire alla sicurezza del paese». Lo hanno
dichiarato al New York Times (30 agosto) alcuni funzionari, spiegando il
perché: la costruzione dell'esercito afghano va a rilento (alla fine
dell'anno comprenderà solo 3-4 mila soldati) e i signori della guerra
continuano a erodere l'autorità del governo centrale di Kabul. E'
necessario quindi inviare altre truppe, che dovrebbero presidiare le
maggiori città o, partendo da Kabul, compiere incursioni nei punti caldi.
Gli Stati uniti «fornirebbero il sostegno, ma non truppe». A inviarle
dovrebbero essere i paesi alleati. L'Italia, in base a una richiesta fatta
direttamente da Bush a Berlusconi, dovrebbe mandare in Afghanistan un
migliaio di soldati. Essi andrebbero a sostituire i Royal Marines inglesi,
che vengono ridislocati nel quadro dei preparativi di guerra contro
l'Iraq. Il contingente italiano dovrebbe essere formato principalmente da
reparti della Folgore, appartenenti al 9° reggimento d'assalto Col Moschin
e al 185° reggimento Rao, e da reparti del reggimento
alpini-paracadustisti Monte Cervino. Il loro ruolo sarebbe differente da
quello dei 300 militari già impegnati nella forza internazionale di
sicurezza dislocata a Kabul a protezione del governo Karzai: primo, perché
sarebbero impiegati in operazioni di combattimento su tutto il territorio;
secondo, perché sarebbero sotto il diretto comando statunitense. I
paracadutisti del Col Moschin, definito «punta di diamante di tutta la
forza armata», e gli alpini-paracadutisti sarebbero incaricati di
rastrellare zone montuose e compiere incursioni nei villaggi alla ricerca
di presunti taleban e terroristi indicati dal comando Usa. Quelli del 185°
reggimento avrebbero il compito di ricercare gli obiettivi e segnalarli
agli aerei Usa perché vengano colpiti.
E' quindi una missione di nuovo tipo, che - ha promesso il ministro della
difesa Martino - dovrà essere approvata dal parlamento, non si sa se in
aula o solo in commissione difesa. Ci si chiede a questo punto: che
posizione prenderà l'Ulivo? Inviare in Afghanistan una forza da
combattimento, mettendola agli ordini del Pentagono, significa vincolare
ulteriormente il nostro paese alla strategia statunitense e contribuire
alla preparazione della guerra contro l'Iraq.
La colonna portante del rifiuto della guerra quale mezzo di soluzione
delle controversie internazionali viene sgretolata dal «Nuovo modello di
difesa»: non semplicemente una ristrutturazione delle forze armate, ma
l'istituzionalizzazione di una nuova politica militare, basata sul
concetto anti-costituzionale della difesa degli «interessi esterni» con la
forza armata, e contestualmente di un nuovo tipo di politica estera nel
ruolo di subpotenza sulla scia della «potenza globale» statunitense.
Un altro aspetto è il costo di tali operazioni. Esso consiste non solo nel
pagare a ciascun militare una indennità di missione di migliaia di euro al
mese fuori busta ed esentasse, ma nel sostenere l'enorme costo della
macchina logistica e dell'acquisizione di sistemi d'arma idonei alla
«proiezione di forze» in lontani teatri bellici. Tanto per dare un'idea, i
nuovi aerei 767 Tanker Transport (aerei cisterna e da trasporto), che
l'aeronautica italiana acquisterà per le operazioni a lunga distanza,
costano a seconda della versione dai 150 ai 225 milioni di dollari
ciascuno (da quasi 300 a oltre 400 miliardi delle vecchie lire). Al salone
aerospaziale di Farnborough, il 26 luglio, il ministero della difesa e
Alenia aeronautica hanno firmato un accordo con la statunitense Boeing che
stabilisce la partecipazione italiana al programma del 767 Tanker
Transport, con un costo stimato in 1.300 milioni di euro (oltre 2.500
miliardi di lire).
Questo e altri accordi - che accrescono la capacità offensiva delle nostre
forze armate e fanno lievitare la spesa militare, già cresciuta nel
decennio 1990-2000 da 28 mila a 43 mila miliardi di lire annui a scapito
delle spese sociali .