Da Fuoriregistro, di Marino Bocchi
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=1213
"L'educazione per l'occupabilità". Cosi' si intitola il paragrafo del Patto
per l'Italia dedicato all'istruzione. Poche righe, in cui si riafferma
l'asse ideologico che ha orientato le politiche degli ultimi due governi
sulla scuola. E che si e' espresso in concreti o annunciati atti di riforma,
prima con Berlinguer e poi con la Moratti. Da esso derivano, a cascata, i
vari interventi che si sono succeduti, dall'autonomia in giu' e la
massiccia, reiterata inflazione di un linguaggio economicista e
aziendalista, perche' se la scuola deve essere finalizzata all'occupabilita'
logica vuole che debba conformarsi al mercato, assumendone i modelli
culturali e le parole in cui quei modelli si condensano (presidi-manger,
efficacia-efficienza, produttivita', prodotto finale, ecc.) . Bonezzi,
presidente di Proteo e membro del direttivo nazionale della CGIL ci lancia
una sfida importante, rispetto alla quale non possiamo restare indifferenti.
Per quello che puo' valere, la mia risposta e si', la sfida va accettata. Si
deve aderire al Manifesto. Non e' questione di essere berlusconiani o anti.
Che la scuola pubblica sia in uno stato di sfacelo, e' un fatto. Un po' per
colpa dell'attuale ministro, un po' per responsabilita' non sue ma del
governo di cui fa parte. Pero' lo sfacelo c'era anche prima, esiste da
decenni. E allora? Allora si tratta di puntare in alto invece che per
obiettivi minimi, come propone Bonezzi. Si tratta di provare ad aggregare il
consenso piu' vasto degli insegnanti, aldilà delle opinioni politiche, su
alcuni obiettivi che ridiano centralita' alla scuola e dignita' al nostro
lavoro. Ma per farlo occorre prima sbarazzarsi di quel ciarpame da cui siamo
stati soffocati in questi anni. A cominciare proprio da
quell'espressione-madre: "educazione per l'occupabilità". La quale sottende
che il sapere va considerato una merce spendibile, sottoposta ai vincoli e
alle leggi della domanda e dell'offerta, un valore di scambio (sapere =
competenze = prestazioni da offrire al mercato). Perche' accettare questo
significherebbe ridurre i bisogni, la vita stessa dei nostri alunni, al
meccanismo selettivo della competizione, del successo, dell'individualismo
senza individualita'. Lo stesso meccanismo che produce il disagio,
l'emarginazione, il senso di fallimento e le devianze di molti ragazzi. La
scuola, come dice Vincenzo Cerami, deve invece saper ricondurre il sapere
alla sua natura di valore d'uso. Perche' possa promuovere la formazione di
un individuo-lavoratore (e non di un lavoratore senza individualita')
consapevole dei suoi diritti e delle sue aspirazioni (che era poi
l'insegnamento di Don Milani). E' questo che Bonezzi propone? Se è questo io
ci sto. Ma allora si deve avere il coraggio e l'obbligo di capovolgere
l'orizzonte culturale della politica scolastica in cui anche la sinistra si
e' trovata ad essere complice e compromessa. E non ci devono essere
scorciatoie e imbarazzi su questo punto. Le carte vanno messe in chiaro. E
vanno messi in chiaro i contenuti. Io ne propongo alcuni, ispirati al
principio del valore d'uso del sapere e al radicale rifiuto del nesso
educazione-occupabilita'. Non pretendo di essere ne' esaustivo ne'
convincente. Ma vorrei sapere che ne pensano Bonezzi e la CGIL di questa
bozza di "Manifesto". E sarebbe ancora piu' importante che fossero i lettori
di Fuoriregistro a intervenire, chiosare, aggiungere. Facciamolo noi il
Manifesto, e vediamo che dicono.
UNA BOZZA DI PROPOSTA
1) - aumento di tre punti (dal 4 al 7%) degli investimenti sull'istruzione
rispetto al Pil, per portare l'Italia al livello degli Stati europei piu'
avanzati (ad esempio la Norvegia);
2) - progressivo adeguamento dei livelli stipendiali agli standard europei;
3) - istituzione di un efficace sistema di valutazione dei docenti,
sottratto all'inutile trust di cervelli operante al servizo dei vari
ministri di turno, composto da gente che nulla sa di scuola, del fare
scolastico ma che autolegittima la propria spocchia su confronti e stesure
di modelli astratti, senza alcuna corrispondenza con il concreto agire di
chi ogni giorno lavora coi ragazzi e con le loro infinite problematiche:
l'unica forma efficace di valutazione, l'unica che non leda il principio
della liberta' di insegnamento sancito dalla Costituzione, e'
l'autovalutazione, con la supervisione del dirigente scolastico, al quale
vanno riaffidate, anche come modalita' di selezione del personale,
competenze pedagogiche e non solo amministrative;
4) - revisione della legge sull'autonomia, che non deve intendersi come
autonomia economica (se si vuole veramente sottrarre la scuola al modello
azienda, altrimenti sono chiacchiere) ma didattica e amministrativa, in
sintonia con la riforma federalista dello Stato;
5) - revisione del suddetto modello federalista per quanto riguarda la
scuola che, oltre a dare piu' potere ai comuni rispetto alle regioni (cioe'
al territorio reale nelle quali le scuole operano e lavorano), sottragga
alle regioni la gestione degli Istituti di istruzione professionale e la
riconduca allo Stato, perche' se la scuola ha una funzione compensativa
degli squilibri sociali e culturali tale riequilibrio puo' essere perseguito
e raggiunto soltanto nel quadro di un progetto che impegni l'intera
collettivita' nazionale come suo valore fondante. Andranno dunque respinte
le ipotesi del doppio canale e la formazione professionale dovra' essere
tenuta distinta dall'istruzione professionale;
6) - espletamento dell'obbligo scolastico, da portare a 18 anni, solo
all'interno del canale dell'istruzione con esclusione di ogni ipotesi di
poterlo assolvere ricorrendo alla formazione professionale.
Ottimo spunto di confronto e lavoro per il pianeta scuola
Emanuela