著者: Khorakhané-Trezzi 日付: 題目: [Cerchio] Fw: [RK] Re: en attendant the perfect storm
interessante
paolo Kh
(bentornato PK)
> Sono uno di quelli che ha posizioni ambigue verso l'Europa. Da un lato, guardo > all'Europa (soprattutto quella continentale e scandinava, non anglo-americana) con > la speranza che sia in grado di resistere alla crisi della civiltà umanista, che il > trionfo del neo-liberismo e del corporativismo razziale ha indotto negli ultimi 15 > anni (ma dopo la messa fuori legge di Batasuna, a cui nessuno ha reagito a livello > istituzionale Europeo, e dopo la fine della tolleranza per i rifugiati in Francia, > ho poche speranze). Dall'altro, vedo che si può parlare di Europa in modo reale e > pratico solo sul terreno dell'economia, della moneta e della finanza. E i risultati > sono estremamente negativi, oltre che deludenti per gli stessi promotori liberisti. > Alle volte ho l'impressione che Europa sia sinonimo solo di Maastricht e che > Maastricht abbia raggiunto perfettamente il suo scopo: non quello di creare uno > stato europeo unico e federalista, bensì imbavagliare e impedire che si potesse > perseguire una politica economica nazionale non in linea con i dettami del liberismo > e della finanza americana o con gli adeguamenti strutturali del FMI (ammesso che in > Francia o in Germania e persino in Italia, negli anni passati, ci sia stata > l'intenzione).
> Nel libro "L'anti-europa delle monete", scritto insieme a Lapo Berti esattamente > dieci anni fa, paventavamo questo rischio e l'uso strumentale del concetto di > Europa, che poi regolarmente si è verificato.
> Personalmente credo che L'Europa di Prodi sia quella di Maastricht e delle forche > caudine e illiberali del patto di stabilità. Solo di Europa economica si può > parlare, non di Europa politica: quest'ultima, come diceva qualcuno un paio di > secoli fa, rischia di essere solo un'espressione geografica. Perchè? Perchè è > economicamente dipendente: finanziariamente, tecnologicamente, lobbisticamente, > nella competizione globale. Non dimentichiamoci che mentre l'Europa era
> masochisticamente impegnata a flagellarsi con Maastricht, gli Usa e soprattutto le > sue multinazionali, (sulle prime 100 multinazionali, oggi 70 sono americane contro > le 45 di 10 anni fa) si pappavano le nuove tecnologie e le reti di subfornitura di > mezzo mondo, grazie al Wto, al Fmi, ecc. Oggi il capitalismo Usa è in crisi e ciò > può dare l'apparenza che per l'Europa ci sia un nuovo spazio per riconquistare le > posizioni perse. Personalmente non credo, perchè la dipendenza è troppo forte e i > dati sulla crescita europea lo dimostrano ampiamente - così come la crisi della > Vivendi. Sulle difficoltà USA di attaccare unilateralmente l'Iraq, credo abbia > pesato di più la mossa vincente (e mediatica) di Saddam di chiedere l'invio degli > ispettori dell'Onu che il "nein" di Schroeder.
> Se poi apriamo il capitolo del welfare, del lavoro e delle privatizzazioni, tutti i > vertici europei da Cardiff. a Lussemburgo a Lisbona sino a Goteborg e Barcellona > hanno ripetuto lo stesso refrain di sostanza (anche se in alcuni casi accompagnato > da specchietti per allodole, come l'Informatic Society di Lisbona): smantellamento > del welfare (sanità, istruzione,previdenza), sostegno ai profitti, peggioramento > delle condizioni di lavoro e salario, precarietà, ecc,.
> Qual'è allora l'Europa che vogliamo? Un'Europa tollerante, non repressiva, anti- > Schengen, in grado di promuovere politiche pubbliche, più solidale e con maggiore > attenzione agli aspetti sociali. Non mi sembra che quella di Prodi sia di questo > tipo, anche se si difende dall'attacco corporativo di alcune destre (Spagna e > Italia). Tra i due (pseudo)contendenti non mi schiero e non rinuncio a chiedere e a > lottare per qualcosa di diverso e, soprattutto, di più.
> Quindi, in conclusione, ok. per l'europa politica, ma nell'era della
> globalizzazione, la politica ha senso se è in grado di contaminare l'economia con un > nuovo progetto economico, che, per quanta riguarda l'Europa, manca completamente. > Non so se il Forum di Firenze può essere il luogo giusto. Lo potrebbe diventare se > si riesce a rompere gli schemi tradizionali di una visione fordista del conflitto. >
> Andrea Fumagalli
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