Autor: +cauz. [filipp0.] Data: Temat: [Cm-crew] e' uscita ieri...
grrr... era l'unico articolo che poteva interessarmi da "archiviare", ma il
sonno della domenica mi ha sempre impedito di comprare il giornale. comunque
si trova su internet, per fortuna, l'articolo intervista che il manifesto ha
dedicato a chris, qualcuno sa se c'erano anche delle immagini ad
accompagnarlo?
ecco tutto:
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Cicli e ricicli di protesta
Si chiamano Critical mass e ogni venerdì bloccano le strade di San Francisco
con le biciclette. «Vogliamo conquistare spazi nelle strade occupate dalle
auto», spiega il fondatore Chriss Carlsson
Compleanno A settembre il movimento festeggerà i dieci anni dalla nascita
LUCA FAZIO
Con quella scritta sulla maglietta da battaglia - one car less (un'auto di
meno) - Chris Carlsson, 45 anni, ha tutta l'aria di un professore di Berkley
in vacanza. E' scrittore, editore, produttore e designer multimediale, da
venti anni factotum del movimento californiano. Dieci anni fa ha avuto
un'idea geniale che sta facendo il giro del mondo. «Stavo pedalando quando
mi è venuto in mente che sarebbe stato bello formare una massa compatta di
ciclisti in grado di conquistarsi uno spazio di libertà nelle strade di San
Francisco». La sua idea si chiama critical mass, è diventata un movimento
senza capo ne coda che ha cambiato la storia sociale della bicicletta
spingendo migliaia di anarco-ciclisti a formare grumi di resistenza nel
traffico per contrastare un sistema che si regge sul dominio segregante
dell'automobile (e per divertirsi). E' tutto scritto nel libro che Chris
Carlsson ha curato e che presto potrebbe essere tradotto anche in italiano,
Critical mass. Bicycling's defiant celebration. Le masse critiche oggi si
ritrovano in centinaia di città nel mondo (180 negli Usa, 111 in Europa) e
anche i ciclisti critici nostrani si sono mossi per dire Noi non blocchiamo
il traffico, noi siamo il traffico. E siccome il decennale di critical mass
è alle porte - festa a San Francisco, 27 settembre 2002 - ovunque fervono i
preparativi per rispondere con una pedalata all'invivibilità del modello
urbano contemporaneo.
Torniamo al 1992
A San Francisco per le biciclette è sempre stata piuttosto dura. Negli Stati
uniti, anche se per legge le biciclette hanno tutto il diritto di circolare,
l'automobile è sacra. L'impianto stradale di San Francisco è stato concepito
solo per le automobili e fino a dieci anni fa poche persone avevano il
coraggio di scendere dall'auto per salire su una bicicletta. Se pedalavi,
rischiavi di finire per terra fuori strada. I ciclisti prima di critical
mass erano degli individui che passavano nella stessa strada senza
conoscersi e senza entrare mai in contatto tra loro. Poi, una scelta
individuale considerata stravagante si è trasformata in una svolta
collettiva per la conquista di uno spazio di libertà. Una specie di
zerocrazia dove ognuno fa quello che gli pare, nel gruppo si chiacchiera, si
stringono amicizie, ognuno è libero di prendere l'iniziativa.
Come è andata la prima volta?
Dopo cinque o sei mesi di interminabili discussioni, ho proposto di
incontrarci una volta al mese per organizzare una sorta di coincidenza
collettiva. Per due settimane ho girato San Francisco mettendo un volantino
su ogni bicicletta. Alla fine, era il 25 settembre del 1992, un venerdì, ci
siamo trovati in un punto preciso alle 18 del pomeriggio - in Market
Street - perché volevamo riunirci tutti insieme per tornare a casa dal
lavoro in bicicletta, come una massa compatta che le automobili non
avrebbero potuto fare a meno di superare. Avevamo intenzione di chiamare
tutto questo Grumo del Pendolarismo, come un blocco nelle vene che fa
saltare il sistema circolatorio, poi abbiamo scelto Critical Mass.
E' filato tutto liscio?
Le prime volte eravamo come invisibili, circa 45 biciclette, la gente ci
salutava sorridendo come si sorride a una comitiva che va a farsi una
scampagnata. Fin da subito la piccola massa critica ha espresso una
contraddizione: c'erano ciclisti che non vedevano l'ora di bloccare il
traffico e fare casino con gli automobilisti perché li consideravano
avversari, altri invece, la maggioranza, cercavano di farseli alleati:
scendete dall'automobile, gridavano. Il nostro slogan era: «Noi non
blocchiamo il traffico, noi siamo il traffico». E' stato subito un successo,
perché non si trattava di una manifestazione per conquistare qualcosa in
futuro ma di una cosa bella da vivere nell'immediato, era come se si fosse
concretizzata la possibilità di crearsi uno spazio dove sperimentare un
mondo migliore da vivere subito. Le prime volte arrivava gente che ci
portava fiori e noi li gettavamo agli automobilisti.
Possibile che nessuno ce l'avesse con voi?
Beh, quando siamo diventati un migliaio il traffico di San Francisco si è
bloccato completamente. La polizia non sapeva come comportarsi, arrivava e
cercava di individuare chi avesse organizzato la manifestazione, voleva
parlare con il "leader", chiedevano se era un appuntamento politico o
sportivo. Facevano multe a caso, 50 o 200 dollari, per esempio se un
ciclista passava col rosso, ma non ha funzionato: presentavamo ricorso in
tribunale, poi è bastato rispettare le regole del traffico per farli
impazzire.
Un venerdì però è finita male...
Nel luglio del 1997 il sindaco di San Francisco si era messo in testa di
sradicare critical mass. Voleva aprire una trattativa e si affannava a
cercare un leader per raggiungere un ragionevole compromesso. Insomma,
voleva stabilire una specie di percorso protetto per trasformare il tutto in
un'insipida parata ecologica. A dire il vero, qualche leader improvvisato è
andato a trattare, ma critical mass non ha mai risposto ad alcun leader e il
tentativo del sindaco è fallito. Quel giorno il sindaco si è presentato
all'appuntamento per augurarci buon divertimento, ma ha raccolto solo una
tremenda bordata di fischi. La polizia era già piuttosto nervosa. Al primo
tentativo di blocco, più di 7 mila ciclisti si sono sparpagliati come uno
sciame per tutta la città bloccandola completamente. Non sapevano più cosa
fare. Gli elicotteri volteggiavano in cielo senza sapere dove andare, sono
arrivati i poliziotti con i caschi anti-sommossa e hanno inutilmente cercato
di costruire una diga per bloccare la massa critica. Alla fine, sono
riusciti a imbottigliare un centinaio di ciclisti, prima li hanno pestati
per bene e poi li hanno arrestati: a ripensarci adesso fa anche un po'
ridere vedere un cop tutto bardato che manganella una povera ciclista, ci
sono le foto...
Adesso il venerdì è tutto ok?
I poliziotti hanno imparato che non possono controllare critical mass, hanno
anche imparato che devono stare alla larga. Ci tollerano. Ormai siamo circa
7-800 ciclisti fedeli e un venerdì al mese San Francisco ha lo stesso
"problema".
Ma essere ignorati non può anche significare che la massa critica è stata
assorbita e quindi disinnescata? Insomma, la mancanza di conflitto non
rischia di fiaccare i movimenti?
La storia non finisce mai. E' proprio in quel momento che si può portare
un'esperienza a un altro livello: perché se veniamo lasciati soli siamo
davvero liberi di rendere le nostre iniziative più interessanti, il
difficile è che a questo punto tocca a noi. Quando il conflitto rientra,
siamo gli unici responsabili dello spazio che ci siamo guadagnati.
Dopo dieci anni, quali risultati concreti avete ottenuto?
Molti. Intanto la città è cambiata radicalmente: basta pensare che dal 1992
a San Francisco ci sono in circolazione il 700% di biciclette in più. Oggi
finalmente la bicicletta esiste nella testa della gente, anche se è
difficile misurare il grado di consapevolezza delle persone sulla reale
portata politica di questo cambiamento. Sono convinto che chi ha partecipato
a critical mass è cambiato, perché la gente, anche persone che con la
politica non avevano niente a che fare, ha sperimentato per una volta che si
può essere protagonisti di un cambiamento, anche se piccolo.
Davvero non c'è niente che non abbia funzionato?
Mi sarebbe piaciuto che lo spirito situazionista di critical mass avesse
contagiato altri punti di rottura del sistema dove stanno nascendo i
conflitti. Invece non è così.
Perché proprio attraverso la bicicletta è stato possibile aggregare una
massa inedita capace di porre con forza una questione fondamentalmente
politica? Quanto conta il mezzo?
In una società dove il capitalismo governa tutto e lo scontro di classe,
incredibilmente, sembra superato - in America tutti sgobbano ma si credono
potenziali milionari... - credo che nel trasporto ci sia ancora un piccolo
spazio per sottrarsi alla strategia del controllo: staccarsi dal volante
dell'automobile. Magari lo fai anche perché sei spinto da alcuni principi
anti-sistema, ma il fatto è che appena pedali stai bene perché realizzi
subito alcuni tuoi bisogni. Salire in bici è un modo immediato per disertare
un mondo atomizzato realizzando subito qualcosa di diverso.
Il problema è come tradurre una scelta individuale in una azione politica.
Per molti la forma più normale di resistenza alle forze economiche più
deteriori è il sabotaggio, l'attacco frontale, l'azione collettiva. Io
personalmente sono molto più individualista. Se qualcosa nei meccanismi che
regolano la società non mi piace, semplicemente dico «ciao, io me ne vado».
Per molti della mia generazione la forma più normale di opposizione è la
diserzione. Non mi piace stare fermo in coda col culo incollato al sedile?
Mollo l'auto e mi diverto molto di più. Il problema però è che le scelte
individuali sono poco visibili, poco politiche. Noi disertori dobbiamo
metterci insieme in gruppi temporanei e far vedere agli altri quanto si viva
meglio da disertori, in un'azione di comunicazione in positivo, da individuo
a individuo. Credo che questo sia il significato di critical mass.
Immagino che attorno alla massa critica sarà fiorito un marketing molto
insidioso. Siete di moda?
In America si vende tutto e ce l'aspettavamo, eppure non è successo. Siamo
sempre stati tutti d'accordo nel non voler commercializzare questo spazio
libero, sottrarsi al consumo è un altro modo per disertare questo tipo di
mondo.
A Milano ho visto una bici in vetrina, mi ha colpito l'estetica aggressiva
del modello e il fatto che venisse pubblicizzata con lo slogan "illegal
bike". Forse il mercato ha già inventato il prodotto giusto per il ciclista
critico?
Non penso che si siano ispirati a noi. Nelle città americane ci sono i
"messangers", quelli che voi chiamate pony express. Forse quella bicicletta
riprende l'estetica dei ciclisti-postini. Sono molto aggressivi e
spericolati, fanno i duri, hanno i polpacci tatuati...anche loro vengono con
noi il venerdì sera ma si annoiano subito se non ci sono scontri con la
polizia. In America c'è una vera sub-cultura dei ciclisti machos,
organizzano bike-rodeos, gare a lancia in resta, ci sono anche bici con
razzetti sputa fuoco...
Un consiglio per le neonate masse critiche italiane
Concentratevi sul piacere e divertitevi: critical mass serve a dire che non
bisogna aver paura di abbassare lo standard di vita. Si può vivere bene
anche guadagnando meno, spendendo meno, lavorando meno. L'auto è una
macchina che succhia energie, soldi, tempo. La sua funzionalità è
sopravvalutata, la verità è che le auto servono a far girare soldi e
produrre posti di lavoro. Anche l'industria bellica crea lavoro, ma questo
non vuol dire che vada difesa.
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e sotto:
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Da Milano a Cagliari Critical massa in Italia
Tempo di grande esodo per la massa di criticoni ciclici milanesi? Nemmeno
per sogno. Non passa giovedì sera (l'ultima volta erano più di cento) senza
che piazza Mercanti si riempia anche in agosto di quei ciclisti che 8 mesi
fa hanno deciso di scorazzare compatti per la città alla faccia delle
automobili. A Milano critical mass ormai è un evento che raccoglie oltre 250
persone sempre pronte ad organizzare incursioni notturne per disturbare il
mortifero tran tran di una città che agonizza per il traffico. Le prime
volte, lo scorso inverno, la massa sembrava un ufo, ormai è un fenomeno
quasi istituzionale, e per l'autunno ha già escogitato nuove provocazioni
itineranti. Un virus salutare che ha infettato diverse città italiane,
coinvolgendo polpacci e polmoni i più diversi possibili, giovani "no
global", mamme con mocciosi a rimorchio, professionisti che da tempo hanno
scelto la bicicletta, ambientalisti, semplici curiosi e qualche stranita
pattuglia di polizia (a passo d'uomo, in automobile). Torino sta crescendo e
segue a ruota, con partenza dal municipio ogni giovedì sera alle 21. I
ciclonauti di Bologna invece hanno debuttato a maggio e adesso pedalano ogni
giovedì sera partendo da piazza del Nettuno. Genova invece sciama il venerdì
con appuntamento in piazza Verdi. A Brescia si monta in sella il giovedì, in
piazza della Loggia. Roma ha cominciato alla grande qualche settimana fa con
una scazzottata bici vs auto - l'inconveniente della massa critica... - ma
ha tutta l'aria di volersi rifare: per ora ci si muove solo l'ultimo venerdì
del mese, da piazzale Ostiense. Napoli invece ha scelto giovedì e piazza
Plebiscito. La novità dell'estate però viene da Cagliari. Dopo mesi di
disperata ricerca in rete per sollecitare una qualche cellula ciclica, nel
capoluogo sardo un piccolo sciame si è mosso per la prima volta domenica 28
luglio. E le ultime dal lungomare raccontano di una massa compatta e in
mutande che fa il bello e il cattivo tempo lungo la spiaggia del Poetto. (l.
fa.)
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